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martedì 3 dicembre 2019

GENOVA: DEDICA A QUATTROCCHI NO di Giovine Italia

[ martedì 3 novembre 2019 ]

Presidio a favore del partigiano Firpo, contro l’assegnazione del ponte a Fabrizio Quattrocchi. [nella foto accanto]

Genova, 2 novembre 2019

Oggi alcuni patrioti si sono recati al ponte Firpo, il quale doveva essere ridenominato Fabrizio Quattrocchi. Si doveva perché il comune (sollecitato dalla sorella del famigerato contractor che combatté in Iraq a fianco degli occupanti americani) ha fatto un passo indietro e ha deciso che il ponte restasse intitolato a Firpo, partigiano comunista fucilato dalle Brigate Nere nel 1945.

Chiunque abbia partecipato al presidio odierno ha rimarcato come sulla controversa figura del Quattrocchi sarebbe necessario indagare meglio: quest’ultimo infatti lavorava per un’agenzia privata, che forniva supporto all’esercito imperialista americano in Iraq il quale, come è noto, si è macchiato di crimini contro il popolo che resisteva. 

Che
I militanti di Movimento 48 al presidio di ieri
Quattrocchi, sequestrato dalla Resistenza irachena, sia morto con “onore” non toglie il fatto che i neofascisti inneggiano al Quattrocchi perché pare che prima di essere ucciso fece il saluto romano; così ci spieghiamo il motivo per cui questa notte la targa è stata sostituita con il suo nome da Azione Frontale, fascisti “cattolici”, nonostante il dietrofront del Comune. 

Suona giustamente come una provocazione e la sua figura, in questo modo, è ancor più inaccettabile.

Al presidio hanno partecipato il PC, il Fronte della Gioventù Comunista, l’ANPI e Movimento 48 (Giovine Italia) accompagnati dall’immancabile bandiera della Brigata Garibaldi.

* Fonte: Movimento 48 (Giovine Italia

giovedì 11 luglio 2019

RUSSIA: P101 AL V. CONGRESSO ANTIFASCISTA

[ 11 luglio 2019 ]

Una delegazione di Programma 101 parteciperà al quinto Congresso antifascista internazionale che si svolgerà a Sebastopoli (Crimea) a partire dal prossimo 25 luglio. 
Qui sotto il programma dei lavori.





*  *  *


PROGRAMMA DEL V CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI ANTIFASCISTI : "UN FUTURO SENZA NAZISMO E TERRORISMO"


ORGANIZZATORI DEL CONGRESSO:

1) UNIONE INTERNAZIONALE DEGLI ANTIFASCISTI

2) ORGANIZZAZIONE PANRUSSA DEI VETERANI "FRATELLANZA BELLICA"

3) FONDO BENEFICO : "I BAMBINI DISEGNANO LA PACE"

4) MOVIMENTO MONDIALE SERBO "ROD"

5) FONDO BENEFICO "SOLIDARIETA',BENE,MISERICORDIA"


Ordine del Giorno congressuale: 25/07 - 10h

1) Conferenza-stampa del Consiglio di coordinamento dell'Unione antifascista internazionale sui compiti e gli scopi del V Congresso internazionale degli antifascisti.

2) Seduta inaugurale del congresso.

Videomessaggi, telegrammi, premiazioni, concerto di festa.

3) Relazione annuale dell'Unione antifascista internazionale sul lavoro svolto nei 5 anni di lotta antifascista (relatrice Ljubov' Korsakova, presidente del Consiglio di coordinamento della M.S.A (Unione internazionale degli antifascisti)


26/07 - Lavoro delle sedute plenarie (sezioni)



-10h LA SITUAZIONE POLITICO-MILITARE IN UCRAINA. IL DESTINO degli ACCORDI DI MINSK


1) "Ruolo e significato degli istituti di potere nella prevenzione dei conflitti interni ed internazionali"

-Relatore Derkac Valerij Aleksandrovic, Presidente dell'unione associativa "Russia unita"

-12h - La Serbia come poligono sperimentale dell'aggressione della NATO

-16h- L'attività militare dell'Alleanza nella regione del Mar Nero

-18h-Approvazione delle dichiarazioni e degli appelli secondo il lavoro delle sedute plenarie


27/07- 10h APPELLO DELLE ORGANIZZAZIONI ANTIFASCISTE- LOTTA dei POPOLI dei PAESI EUROPEI CONTRO I FASCISTI, la NATO e i COLONIZZATORI



12h- Lavoro delle sedute plenarie

12 h- Il revisionismo delle decisioni del Tribunale di Norimberga come riabilitazione del nazismo (ad esempio nelle Repubbliche Baltiche,in Ucraina e Polonia)

1. L'influsso del Vaticano mediante le ideologie fasciste per la sua espansione religiosa. storia ed attualità. Relatore Oleg Trofimov,dottore in teologia,....

17h- Il ruolo della nuova generazione nella lotta antifascista

18h- Approvazione delle dichiarazioni e degli indirizzi secondo il lavoro delle sedute plenarie. Approvazione della risoluzione del V Congresso internazionale degli antifascisti.

Conclusione dei lavori del Congresso.

28/07- Partecipazione ai festeggiamenti nel giorno della Flotta del Mar Nero



DOCUMENTI PROGRAMMATICI CONCLUSIVI del CONGRESSO

- Risoluzione-Appello all'ONU al Parlamento europeo, all'UE sul ritiro dello Stato ucraino da tutte le strutture europee per le violazioni di massa delle norme di diritto europeo

- Domanda giudiziale per un Tribunale internazionale criminale per la citazione in giudizio della responsabilità (criminale) dell'Alleanza nordatlantica per crimini contro l'umanità

- Appello ai deputati del parlamento europeo,ai deputati dei parlamenti dei Paesi europei sul riconoscimento delle Repubbliche popolari di Lugànsk e Donèck

- Appello ai deputati del Parlamento europeo,ai deputati dei Parlamenti dei Paesi europei sul riconoscimento del diritto costituzionale degli abitanti della Repubblica Autonoma di Crimea e della città di Sebastopoli all'autodeterminazione sulla base della Carta europea dell'autonomia.


25/07 PROGRAMMA CULTURALE

Mostra dei disegni dei bambini " I bambini disegnano il mondo", Proiezione dei film: "La lezione non appresa 14/41",

25/07 Mostra fotografica i di disegni di bambini " I Balcani contro l'aggressione della NATO,film "Ferma il genocidio degli abitanti del Donbass"

26/07 Mostre e installazioni, fotografie: a) mostra dei lavori di V. Michailjova " Le bombe e le rose", b) "Il Donbass bruciato"

27/07 Presentazione del film " La miliziana bambina"

27/07 Mostra fotografica di Irina Lasckevic e Dena Levi " guarda negli occhi del Donbass",proiezione del film "Crimea"

28/07 Partecipazione alle giornate di festeggiamento nel giorno del Flotta del Mare Nero

giovedì 9 maggio 2019

COME NON SI COMBATTE IL FASCISMO di Piemme

[ 9 maggio 2019]

Due sono i fatti che oggi balzano alla cronaca. Lo smantellamento, al Salone del libro di Torino, della casa editrice neofascista Altaforte, e la dura contestazione di Virginia Raggi nel quartiere di Casal Bruciato a Roma.
Due fatti distanti e di diversissima natura e tuttavia il circo mediatico ha avuto facile gioco e connettere ad un unico filo conduttore: l'antifascismo.

Nel primo caso, quello di Torino è stato tolto lo stand ad una piccola casa editrice legata ai "fascisti del terzo millennio". Nel secondo caso ancora Casa Pound protagonista perché si è fiondata sulla protesta di alcuni abitanti di Casl Bruciato contro l'assegnazione di un alloggio ad una famiglia rom italiana (sottolineo italiana).

Per la cronaca: CP è riuscita a presentare liste alle europee saltando l'improba 

raccolta di firme grazie alla cortesia di un parlamentare ungherese, quindi, sempre per la cronaca, CP, tanto per non smentirsi, va in alleanza con la lista almirantiana e finta pro-Forconi "Destre Unite".

Sul primo caso c'è poco da dire: si tratta di una sciatta operazione di censura politica e ideologica, compiuta in nome dell'antifascismo di regime. Un antifascismo con cui la sinistra patriottica non ha nulla a che spartire, e non solo perché si è risolta in uno spettacolare spot a favore di una minuscola casa editrice di cui basta guarda i titoli per capirne il penoso livello culturale. Dalle parti della sinistra radicale (che un tempo gridava allo "antifascismo militante" per distinguerlo da quello di regime) si esulta per l'atto censorio, a dimostrazione che essa va a rimorchio del potere neoliberista ed ha perso ogni barlume di autonomia. 

Fiancheggiare l'antifascismo del regime liberal-liberista, apparire come collusi con esso, non solo è un modo sbagliato di fare antifascismo, è molto peggio, significa spianare la strada alla crescita dei neofascisti, che ogni volta che simili sodalizi si manifestano, vanno infatti in brodo di giuggiole. Andare a rimorchio dell'élite di regime significa di fatto agire da fiancheggiatori dei neofascisti.


*  *  *

Simile, pur essendo il contesto del tutto diverso, il tranello in cui gli antifascisti di sinistra sono caduti a Casal Bruciato — come del resto già avvenne nel 2014 a Tor Sapienza, a Torre Maura e sempre a Casal Bruciato un mese fa

Alcune periferie di Roma sono una vera e propria polveriera sociale. Casal Bruciato (qui il PCI, ai tempi, aveva la maggioranza assoluta, poi passata al M5S che ha ottenuto il 70%) non fa eccezione. 
«Cassonetti cappottati e stracarichi di pattume, strade crivellate di buche, giardini per bambini ridotti a grovigli di vegetazione informe, corse dei bus depennate dall'oggi al domani... i bagni del centro anziani dove si gioca a briscola chiusi e così tutto attorno è diventato un orinatoio.. ogni tanto sparatorie in strada». [IL MESSAGGERO del 9 maggio]
Aggiungete il dissesto dei condomini di proprietà pubblica. Aggiungete che tantissimi, non solo giovani, campano di lavoretti precari o sono disoccupati cronici; aggiungete il dissesto della scuola pubblica e del sistema sanitario; aggiungete la pandemia dello spaccio illegale di droga con cui in molti campano; ed avrete un'idea che si è seduto sopra un vulcano.

In questa polveriera basta una piccola miccia affinché esploda la rabbia degli abitanti. Ancora una volta questa miccia è stata l'assegnazione di un appartamento ad una famiglia italiana di etnia rom. Ancora una volta alcuni residenti hanno cercato di impedire che questa vi si installasse. Si tratta di xenofobia? Certo che sì. Se non si fosse trattato di rom è sicuro che la protesta non ci sarebbe stata. I neofascisti come al solito sono piombati sul quartiere tentando di mettere il cappello su di essa. 

La malcapitata sindaca Raggi ha fatto una figuraccia senza precedenti. Lì proprio dove solo poco tempo fa aveva fatto il pieno di voti quasi veniva linciata non fosse stato per le forze di polizia. E' andata a dire, pensate un po', che "La legge si rispetta!". Una donna le ha gridato in faccia:
«Non sei la nostra sindaca, sei una buffona, la gente che muore di fame non la guardi, vieni qua per i rom, vergogna! E noi che t'abbiamo pure votato, siamo stati dei cretini!»
E' in questo casino si sono fulmineamente infilati i neofascisti di Casa Pound con il loro presidio. E solo a questo punto è arrivata la contro manifestazione degli antifa e di parte del movimento di lotta per la casa — che in troppi casi appare come una specie di comitato di soccorso per soli immigrati. Scene già viste.

Servono queste pratiche a costruire un blocco popolare rivoluzionario? No, non servono, anzitutto perché esse fanno il verso, con il loro accoglientismo incondizionato, alle élite dominanti e alla chiesa cattolica, col che aiutano proprio i neofascisti a spacciarsi come campioni degli italiani in fondo alla scala sociale e dunque abbandonati a se stessi. 

Una sinistra seria e rivoluzionaria dovrebbe rimettere piede in queste periferie e riconnettersi con le classi popolari. Ma questo non sarà mai praticamente possibile se non ci si sbarazza di una politica che considera più importanti i diritti individuali rispetto a quelli sociali e di classe; di idee cosmpolitiche e borghesi riassunte in slogan fricchettoni come "Italia meticcia"; della vera e propria idiosincrasia verso la sovranità nazionale; della attenzione esclusiva alle minoranze d'ogni tipo (sessuali, etniche ecc.); dell'apologia dell'immigrazione irregolare; della parallela sordità assoluta verso il comune sentire popolare che l'immigrazione fuori controllo è inaccettabile; della condanna senza appello di questo comune sentire come razzismo.

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sabato 29 settembre 2018

EMILIANO BRANCACCIO E BENITO MUSSOLINI di Sollevazione

[ 28 settembre 2018 ]

Malgrado sia sub iudice se Emiliano Brancaccio possa essere considerato un economista "marxista" — non pare che egli accetti la sua (di Marx) fondamentale teoria del valore, e si spiega le crisi generali in base al paradigma del sottoconsumo —, [1] continuiamo a considerarlo tra le migliori economisti del nostro Paese.

Ma un ottimo economista non è per ciò stesso un intelligente politico. Succede anzi spesso, che la competenza settoriale dell'economista di mestiere sia inversamente proporzionale alla sua politica profondità di vedute. Una conferma viene dalla lettura di quanto Brancaccio ha scritto su L'espresso on line dell'altro ieri. [2] 

Egli, dopo una rituale critica a certa sinistra sistemica che ha sposato il neoliberismo, si scaglia in modo violentissimo contro una "tendenza ancora più perniciosa", quella degli "ex-compagni" che hanno capitolato alla "bruta reazione fascistoide", "all'onda nera di stampo neofascista", "... che scimmiotta maldestramente con le destre sovraniste e reazionarie nei loro più neri propositi". Di chi parla? Della sinistra patriottica.

Sorpresi da questa sua mossa francamente no, ma sbalorditi per la brutta caduta di stile con la quale il nostro lancia la scomunica arruolandosi così nel mucchio anti-rossobruno dei cretini d'ogni tendenza, questo sì.

Si spiega quindi come mai L'Espresso ospiti i suoi anatemi, essi (dimmi dove scrivi e ti dirò chi sei) sono coerenti con la linea politica della testata che ospita la sua rubrica.  [3] Il settimanale, assieme alla sorella La Repubblica, per nome e per conto dei poteri forti liberisti ed eurocratici, guida la più estremistica e spudorata campagna contro il "populismo" ed il governo M5s-Lega.  Chi non ne abbia contezza si legga l'ultimo numero in edicola. Decine di pagine per spiegare
che l'Italia sta sprofondando, per colpa di Salvini e del "suo" governo, nell'oscurantismo fascista: 
«Vogliono abolire i diritti civili, l'aborto e il divorzio, le conquiste di genere... tornare ai tempi dell'alleanza trono-altare».
Ma come può Brancaccio prestarsi a questa campagna di isterica intossicazione ideologica? Sbaglia chi ricorre a risposte dietrologiche. La ragione è invece profonda, è la prossimità, ideologica e di classe, con l'élite liberale. Il nostro in sostanza ci dice: meglio sottostare al regime dell'élite neoliberista che sostenere la rivolta populista contro l'establishment. La ragione è presto detta: egli ritiene che questa rivolta sia gravida di fascismo, che i movimenti populisti, Lega in primis, siano fascisti della peggior specie.

Qual è il cuore del suo predicozzo? Eccolo:
«Io sono al tempo stesso politicamente inorridito e scientificamente affascinato dalla mostruosa trasformazione, degna del Dottor Jekyll di Stevenson, che alcuni ex compagni hanno subito in questi anni. Ex compagni che oggi prendono gli immigrati come capro espiatorio di ogni male economico e che prendono le distanze da fondamentali battaglie per i diritti: come quelle per l’uguaglianza di genere, per la libertà e l’emancipazione sessuale e contro ogni discriminazione, le battaglie per l’aborto, per la critica della superstizione, per una cultura laica e progressista nelle scuole.
Vorrei dirlo con chiarezza anche agli esponenti della Linke, di France Insoumise e ai nostrani più o meno disorientati: cedere di un solo millimetro, compiere un solo passo verso le agende politiche delle destre reazionarie, significa rinnegare in un colpo solo una storia più grande di loro.
Una storia che parte dall’illuminismo, che passa per le grandi rivoluzioni rosse, che attraversa il secolo con l’ecologismo, con il femminismo, con la critica della famiglia borghese. E’ la storia di chi interpreta e agisce nel mondo sulle basi scientifiche del materialismo storico e della lotta di classe. Basi che sono oggi paradossalmente note e apprezzate dai grandi magnati della finanza globale, e che invece sfuggono inesorabilmente ai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo.
Questa storia eccezionale è l'unica ragione di fondo per cui, sia pure in questo tempo così cupo, si può tuttora scommettere razionalmente su un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale.
Gettare al macero questa storia straordinaria per portare avanti una strategia “codista”, al traino delle peggiori destre reazionarie, è l’idea politica più ottusa e perdente che mi sia toccato di commentare in tutta la mia vita. Confido che i fatti rivelino presto l'insulsaggine di questa idea». [4]
Sorvoliamo, per carità di patria, sulla chiamata in correo dei "grandi magnati della finanza globale". Il pensiero, anzi, la visione che ci propone Brancaccio, si basa su null'altro che l'ingannevole mito tanto borghese quanto logoro del "progresso"; sulla tesi, come minimo discutibile, che il movimento comunista sarebbe l'erede legittimo dell'illuminismo, quindi deputato a realizzarne la visione.

L'equazione è che tanto più progresso abbiamo, tanto più avremo "emancipazione sociale". Una fesseria che pensavamo "marxisti", anche mediamente intelligenti, avessero da tempo abbandonato. Non c'è, in regime capitalistico, alcuna correlazione tra l'uno e l'altra. Il capitale (Marx docet) non può fare a meno del "progresso", ovvero sviluppare e rivoluzionare le forze produttive e, con esse sconvolgere, assieme alla sovrastruttura, i tradizionali legami comunitari e sociali. Lo stesso Marx maturo dovette scoprire quanto priva di fondamento fosse la tesi contenuta ne Il Manifesto secondo cui il proletariato doveva sostenere l'avanzata del capitalismo in ogni sua forma (colonialismo compreso) in quanto apripista (suo malgrado) del socialismo. Dopo Marx scopriremo che più il capitale spinge all'estremo la sua evoluzione progressiva, più le catene dell'oppressione si fanno potenti; che più esso scompagina i tradizionali legami sociali e comunitari tanto più crescono l'abbrutimento, l'alienazione sociale, la barbarie, la minaccia per l'ecosistema. La verità è che la "emancipazione sociale" non è mai stata figlia del progresso capitalistico, bensì della tenace lotta delle classi subalterne. La storia ha ampiamente dimostrato che il socialismo s'afferma  non dove più alto è lo sviluppo capitalistico ma ove più acuto è il conflitto sociale, dove cioè la classe subalterna è meglio cosciente e organizzata. 

E qui veniamo dunque alle farneticazioni sul fascismo incombente.

Il fascismo (dittatura antiproletaria e antidemocratica dispiegata del grande capitale) non si da, ovvero la borghesia non gli cede il potere statale, se non ove ci siano circostanze eccezionali, tra cui una effettiva minaccia rivoluzionaria. Il fascismo poté salire al potere in un contesto storico-sociale straordinario: una guerra mondiale sconvolgente, la crisi inesorabile delle democrazie liberali, una crisi economica e sociale senza precedenti, l'avanzata di forze culturali e ideali vitalistiche ed antipositivistiche, ed infine, qui la condizione principale del suo affermarsi, la potente avanzata del movimento comunista.

«L'avvenimento più importante del ventesimo secolo e quello che ebbe una maggiore influenza sui fatti che accaddero nell'immediato futuro. Esso non fu tanto la vittoria o la sconfitta delle potenze europee alla fine del 1918, bensì la violenta presa del potere rivoluzionaria, verificatasi l'anno precedente, di un partito marxista in Russia, lo Stato più grande del mondo per estensione». [5]
La borghesia, per la precisione i grandi monopoli capitalistici — che con l'economia di guerra erano diventati pienamente dominanti — portarono Mussolini al potere perché lo ritennero l'ultimo baluardo contro la minaccia bolscevica venuta avanti con la Rivoluzione d'Ottobre. Minaccia che seminò un vero e proprio panico in seno alle classi dominanti europee nell'estate del 1918
«... quando si delineò in Russia un fenomeno che persino nella rivolzione francese fu solo accennato, ovvero l'annientamento sociale, e in buona parte anche fisico del bourgeois, l'imprendtiore privato, o anche kulak». [6]
Esistono forse nel nostro Paese circostanze simili? E' evidente che no, anzitutto perché, ammesso e non concesso che i populismi siano fascismi, essi avanzano non già grazie all'appoggio della grande borghesia, ma senza ed anzi contro essa. In base a quali criteri, dunque, affermare che c'è una fascistizzazione della società? Quali sarebbero dunque i parametri per sostenere che l'Italia si va fascistizzando pur in assenza di una minaccia rivoluzionaria? Per sostenere che M5s e Lega sarebbero i vettori del fascismo? 

Nel suo pistolotto Brancaccio scrive che "Militanza antifascista significa anzitutto comprensione delle cause materiali del fascismo". Il nostro ci sta in realtà dicendo: "siccome il capitalismo conosce una crisi economica strutturale, la minaccia fascista è inevitabile". Ecco qua il vizio inguaribile dell'economista, ovvero l'economicismo. Gramsci nel dimenticatoio, liquidate come inessenziali l'ideologia e le forze spirituali e morali. Ma andiamo avanti.

Brancaccio, non essendo così sprovveduto da sostenere la fesseria che fascista sia ogni forma di populismo, ne sostiene un'altra non meno sbagliata, quella secondo cui si sarebbe certamente in presenza di fascismo ove ci sia la trinità nazionalismo-autoritarismo-razzismo. Ci si ferma alle forme fenomeniche dimenticando la sostanza, col che addio teoria marxista, addio alla leniniana "analisi concreta della situazione concreta".


Passiamo pure sopra al fatto che il nostro fa sua la narrazione politicamente corretta dell'élite globalista la quale, sentendosi mancare il terreno sotto i piedi, temendo lo sfondamento dei movimenti populisti, prova a fermarli ricorrendo alla tecnica dell'hitlerizzazione.

La storia moderna è piena zeppa di movimenti razzisti e autoritari che poco o nulla hanno avuto a che fare col fascismo. Di più, proprio il liberalismo, nella sua marcia plurisecolare, è stato impregnato, in una simbiosi addirittura costitutiva, con fenomeni brutali di nazionalismo, razzismo, xenofobia e dispotismo antidemocratico (volgarmente detto autoritarismo). Consigliamo a Brancaccio di leggere la monumentale Controstoria del liberalismo del compianto Domenico Losurdo [7] che documenta in maniera inoppugnabile come il liberalismo, all'occorrenza, ha fatto strame dei suoi ideali umanitari sfornando e sostenendo forme di oppressione brutali, da cui infatti il fascismo attinse a piene mani.

Brancaccio conclude il suo pistolotto invocando la ripresa della "Militanza antifascista". La sintonia con certa nostrana sinistra antisovranista è piena, conclamata: il nemico principale da combattere non è la classe dominante ma i movimenti populisti ("fascisti") che sono giunti al potere. Quindi avanti nella battaglia per abbattere, in nome "dei diritti di genere, della libertà e l'emancipazione sessuale", le barriere nazionali e statuali per una società "meticcia" (che se non sei per il meticciato sei razzista), contro "la superstizione per una cultura laica e progressista". Insomma, non solo contro il sovranista governo giallo-verde, ma contro la sinistra patriottica.

L'élite ringrazia ma l'antifascismo, quello vero, quello che abbiamo imparato dalla prima Resistenza (1921-22) e dalla seconda (1943-45) va a farsi friggere. 
Benito Mussolini in una foto segnaletica del 1903

L'antifascismo è una cosa troppo seria per lasciarlo in mano ad intellettuali senza memoria, che immaginano di contrastarlo brandendo l'arma spuntata di un internazionalismo non solo astratto, ma antipatriottico ed anzi antinazionale, oramai imparentato con il cosmopolitismo dell'élite neoliberista. 
Dove Brancaccio vede il "codismo" c'è invece la chiave del solo antifascismo che può avere speranza di successo, quello che strappa di mano ai fascisti "viandanti del nulla" la bandiera della sovranità nazionale, opponendo al loro nazionalismo angusto e revanscista, un patriottismo democratico e rivoluzionario.
«Confermiamo la nostra eresia. Noi non possiamo concepire un socialismo patriottico. Il socialismo ha infatti un carattere di umanità e di universalità. Fin dai primi anni dell'adolescenza, quando ci passarono per le mani i manuali grossi e piccoli della dottrina socialista, abbiamo imparato che nel mondo non ci sono che due patrie: quella degli sfruttati e quella degli sfruttatori». [8]
E' una frase pronunciata da Benito Mussolini nel 1912, quando divenne capo indiscusso dell'ala intransigente del Partito socialista. Una frase in cui c'è la quint'essenza del massimalismo, contrassegnato da un radicalismo verbale e spaccone privo di ogni costrutto, d'ogni effettiva strategia egemonica. Non deve stupire che solo due anni dopo, davanti alla tempesta sconvolgente della guerra, Mussolini fosse diventato un ardente interventista. Molto poterono, certo, i quattrini dei francesi e della Triplice Intesa, ma quel clamoroso salto della quaglia si spiega proprio come risultato del totale fallimento politico del massimalismo, che soccomberà anni dopo sotto l'urto della violenza fascista.

Il fatto è che il massimalismo parolaio, di cui proprio Mussolini fu massimo esponente, è morto ma risorto, e pare sia una patologia congenita della sinistra italiana. E' tra noi sotto le mentite spoglie delle sinistre radicali e rivoluzionarie  e il loro motto è proprio quello adolescenziale che così suona: "nel mondo non ci sono che due patrie: quella degli sfruttati e quella degli sfruttatori".




NOTE

[1] Vedi: Emiliano Brancaccio. Appunti di economia politica. Appunti delle lezioni diFondamenti di Economia politica. febbraio 2010

[2] Contro le sinistra codiste. L'espresso on line, 27 settembre


(3) E' quantomeno singolare che Brancaccio abbia scelto, come nome per la sua rubrica Mercurio, per i greci Hermes, che era il dio dei mercanti, dei ladri, dei truffatori, dell'inganno e dunque dei farabutti. Tra gli altri ruoli, Hermes aveva  quello che conduceva le anime dei morti negli inferi. Per i romani, che com'è noto andavano meno per il sottile, Mercurio era il dio dei ladri, degli scambi, del profitto, del mercato e del commercio, il suo nome latino sembra infatti derivasse dal termine merx o mercator, che significa appunto mercante.


[4] Contro le sinistra codiste. L'espresso on line, 27 settembre

[5] Ernst Nolte. La rivoluzione conservatrice; Rubettino, 2009, p. 69

[6] Ibidem, p. 13

[7] Domenico Losurdo. Controstoria del liberalismo; Laterza 2006 

[8] Benito Mussolini. Opera Omnia, Firenze 1951; vol IV, p. 155

giovedì 30 agosto 2018

IL FASCISMO

I. Congresso del Komintern, estate 1919

[ 30 agosto 2018 ]

Riteniamo necessario, mentre si fa un gran baccano sul "fascio-leghismo", pubblicare un documento dell'Internazionale Comunista, per la precisione una risoluzione approvata nel giugno 1923, otto mesi dopo che Mussolini salì al potere. Questa risoluzione fissa degli importantissimi punti fermi, sia per quanto attiene alla natura del fascismo (e su questo torneremo) che al modo in cui si doveva combattere. Ci siamo permessi di sottolineare alcuni passaggi topici.


*  *  *

RISOLUZIONE SUL FASCISMO
Approvata dal III. Plenum allargato dell'Internazionale Comunista (Komintern)
( 23 giugno 1923 )

Il fascismo è un fenomeno di decadenza caratteristico di questa epoca, espressione della progressiva dissoluzione dell’economia capitalistica e della decomposizione dello stato borghese.

La sua radice più profonda è nel fatto che la guerra imperialistica e il dissesto dell’economia capitalistica che essa ha accresciuto e favorito hanno distrutto le precedenti condizioni di vita e cioè la precedente sicurezza dell’esistenza di larghi strati della piccola e media borghesia, dei piccoli contadini e dell’«intellighenzia». Deluse son restate anche le confuse aspettative che alcuni membri di questi strati sociali avevano riposto in un energico miglioramento della società da parte del socialismo riformistico. Il tradimento della rivoluzione da parte dei capi riformisti del partito e dei sindacati, la loro capitolazione davanti al capitalismo, la loro coalizione con la borghesia allo scopo di restaurare il vecchio dominio di classe e sfruttamento di classe – tutto ciò all’insegna della «democrazia» - hanno fatto perdere a questa specie di «simpatizzanti» del proletariato la speranza nel socialismo stesso e nella sua forza di liberazione e di rinnovamento sociale. La debolezza di volontà e il terrore della lotta, con le quali la schiacciante maggioranza del proletariato fuori della Russia sovietica permette questo tradimento e lavora sotto gli scorpioni capitalistici per rafforzare il proprio sfruttamento e asservimento, hanno tolto ai piccolo e medio-borghesi in fermento, nonché agli «intellettuali»,  la fiducia nella classe operaia in quanto principale artefice di una trasformazione radicale della società. Ad essi si sono uniti alcuni elementi proletari i quali, decisi ad agire e pretendendo che si agisse, si sentivano insoddisfatti del comportamento di tutti i partiti politici. Al fascismo spingono inoltre disillusi e declassati, persone sradicate da ogni ceto sociale, specialmente però ex ufficiali che dalla fine della guerra in poi sono diventati disoccupati e senza guadagno.
In particolare ciò vale per gli Stati centrali sconfitti, dove di conseguenza il fascismo ha assunto una forte impronta repubblicana.


Senza conoscenze storiche e senza educazione politica, la masnada fascista socialmente variopinta, messa insieme a casaccio, attendeva ogni salvezza da uno «Stato» che, creatura e strumento suo, attuasse il suo confuso, contraddittorio programma in modo sedicente non-classista e apartitico, con o senza legalità borghese, mediante la «democrazia» o un dittatore.

Il fascismo, nel periodo del fermento rivoluzionario e della crescita del proletariato, ha simpatizzato o almeno ha civettato con obiettivi rivoluzionario-proletari.
Il presidium del II. Congresso del Komintern estate 1920
Le masse che lo seguivano oscillavano tra i due campi avversi dei grandi storici conflitti e contrasti di classe. Di fronte alla ripresa del dominio borghese e all’offensiva generale della borghesia, esse si sono tuttavia decisamente buttate dalla parte della borghesia, dove sin dall’inizio sono stati i loro capi. La borghesia ha assunto il fascismo al proprio servizio e lo ha assoldato per la propria lotta diretta a sconfiggere il proletariato e ad asservirlo durevolmente. 

Quanto più a lungo e quanto più intensamente si sviluppa la decomposizione dell’economia capitalistica, quanto più insopportabili si fanno i pesi e le sofferenze che perciò premono sul proletariato, tanto meno bastano a difendere l’ordine borghese contro l’incalzare delle masse lavoratrici le prediche riformistiche di carattere pacifista e di collaborazione democratica tra i lavoratori. La borghesia ha bisogno per la propria difesa di un potere aggressivo contro la classe operaia. Il vecchio apparato di potere sedicente «apolitico» dello Stato borghese non le garantisce più sufficiente sicurezza. Essa procede a creare truppe speciali per la lotta di classe contro il proletariato. Tali truppe gliele fornisce il fascismo. Benché questo per la sua origine e per i suoi componenti includa anche tendenze rivoluzionarie che potrebbero volgersi contro il capitalismo e il suo Stato, esso diventa però una pericolosa forza della controrivoluzione. Lo dimostra dove vince: in Italia.

Si intende che il fascismo, a seconda delle condizioni storiche date nei diversi paesi, mostra tratti diversi, ma dappertutto la sua essenza consiste in un miscuglio della violenza terroristica più brutale con una fraseologia apparentemente rivoluzionaria che fa leva in modo demagogico sui bisogni e sugli umori di larghe masse lavoratrici. Il suo più maturo sviluppo esso lo ha avuto sino ad ora in Italia. Qui la passività del partito socialista e dei capi sindacali riformisti gli ha aperto la porta; qui la sua fraseologia rivoluzionaria gli ha dato il seguito di alcuni elementi proletari che ha reso possibile la sua vittoria. Nello sviluppo del fascismo in Italia si manifesta l’incapacità del partito e dei sindacati di utilizzare, ai fini di una crescita della lotta di classe proletaria, l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai del 1920. La conseguenza della vittoria fascista è la proibizione di ogni movimento di lavoratori, anche della pura apolitica rivendicazione salariale. La vittoria del fascismo in Italia incita la borghesia degli altri paesi a far sconfiggere nello stesso modo il proletariato. Il destino dei fratelli italiani minaccia la classe operaia di tutto il mondo.

Soltanto che lo sviluppo del fascismo in Italia dimostra anche qualcos’altro: cioè che il fascismo ha carattere ambivalente e porta in sé forti elementi di dissoluzione e di decomposizione ideologica e politica. Il fine che esso persegue, di forgiare cioè il vecchio Stato borghese «democratico» a fascistico Stato forte, sprigiona conflitti tra la vecchia e la nuova burocrazia fascista; tra l’esercito regolare con i suoi ufficiali di carriera e la nuova milizia con i suoi capi; tra la violenta e fascistica politica nell’economia e nello Stato e l’ideologia dei residui liberali  e democratici della borghesia; tra monarchici e repubblicani; tra i veri e propri fascisti delle camicie nere e i nazionalisti accolti nel partito e nella milizia; tra l’originario programma dei fascisti che illuse e conquistò le masse, e l’odierna politica fascista che fa gli interessi del capitale industriale e in prima linea dell’industria pesante artificialmente ingrassata. Dietro questi ed altri conflitti stanno però, insuperabili e inconciliabili, i conflitti economici e sociali tra i diversi strati sociali capitalistici, tra la grande borghesia e i piccoli e medi borghesi, tra la piccola borghesia terriera e l’intellighenzia e, al di sopra di tutti questi, il maggiore di tutti i conflitti economici e sociali: il conflitto di classe tra borghesia e proletariato. Sulla base di detti conflitti s’è verificata la bancarotta ideologica del fascismo nella contraddizione tra il programma fascista e il modo con cui esso s’è attuato. L’organizzazione armata e il terrore senza scrupoli potranno impedire ancora per qualche tempo l’esplosione di questi contrasti e nascondere questa bancarotta ideologica. Ma alla fine questi grandi contrasti si faranno valere nelle stesse forze armate e faranno saltare il fascismo.

L’avanguardia rivoluzionaria del proletariato non deve assistere passivamente al processo di dissoluzione del fascismo, ma è piuttosto suo dovere storico favorirlo attivamente e consapevolmente. Gli elementi rivoluzionari confusamente e inconsapevolmente conquistati al fascismo devono essere spinti alla lotta di classe proletaria contro il dominio di classe e il potere di sfruttamento della borghesia.
Il superamento ideologico e politico del fascismo deve preparare la sua sconfitta militare.
All’avanguardia cosciente e rivoluzionaria della classe operaia spetta il compito di prendere nelle sue mani la lotta contro il fascismo che si va organizzando in tutto il mondo. Essa deve disarmare politicamente il fascismo e deve organizzare i lavoratori per una forte ed efficace autodifesa contro le sue violenze. A questo scopo dev’essere fatto quanto segue:

Delegati al IV. Congresso del Komintern, estate 1922
I.  In ogni paese deve esser creato da  parte dei partiti e delle organizzazioni operaie di ogni orientamento un organo speciale per dirigere la lotta contro il fascismo.
I compiti di questo organo sono:
1) Raccolta delle notizie sul movimento fascista nel proprio paese.
2) Sistematica illustrazione, per la classe operaia, del carattere di classe del movimento fascista mediante articoli di giornale, opuscoli, manifesti, riunioni, ecc.
3) Sistematica illustrazione alle masse neoproletarie o minacciate di sicura proletarizzazione della loro condizione della funzione di difesa dell’alta borghesia svolta dal fascismo.
4) Organizzazione della lotta difensiva dei lavoratori mediante fondazione di squadre e loro armamento. Poiché i fascisti fanno propaganda specialmente fra la gioventù e la gioventù lavoratrice  dev’essere immessa nel fronte unico, è necessario accogliere giovani dai 17 anni in poi nelle squadre comuni. Organizzazione di comitati operai di controllo per impedire il trasporto di bande fasciste e di armi ad esse. Battere senza riguardi ogni tentativo fascista di terrorizzare i lavoratori e di impedire le manifestazioni della loro vita di classe.
5) Attrarre a questa lotta tutti i lavoratori senza distinzione di orientamento. Far appello a tutti partiti operai, ai sindacati e soprattutto  a tutte le organizzazioni proletarie di massa per la comune difesa del fascismo.
6) Lotta contro il fascismo nel Parlamento e in tutte le altre istituzioni pubbliche. Nel far ciò è da sottolineare il carattere sciovinistico del fascismo nei diversi paesi, grazie al quale s’accresce il pericolo di nuove guerre internazionali.
II.  L’organizzazione delle forze fasciste si compie a livello internazionale,  quindi è necessario organizzare anche la lotta dei lavoratori internazionalmente. A questo scopo deve crearsi un comitato operaio internazionale. Compito di questo comitato internazionale, oltre lo scambio delle esperienze, l’organizzazione di azioni internazionali, il primo luogo contro il fascismo italiano e i suoi rappresentanti all’estero.
Per la lotta contro di esso si devono prendere in considerazione:
1) Una campagna internazionale di propaganda, mediante giornali, opuscoli, immagini, riunioni di massa, del carattere assolutamente antioperaio della dittatura dei fascisti in Italia e della distruzione sistematica di tutte le organizzazioni dei lavoratori da parte sua.
2) Organizzazione di riunioni di massa internazionali e dimostrazioni internazionali contro il fascismo, contro i rappresentanti dello Stato fascista all’estero, ecc.
3) Lotta nel Parlamento; appelli e parlamenti, ai gruppi parlamentari dei partiti operai, alle organizzazioni internazionali dei lavoratori, per l’invio in Italia di commissioni per indagare sulla situazione della classe operaia.
4) Lotta per l’immediata liberazione dei lavoratori comunisti, socialisti e senza partito arrestati o condannati.
5) Preparazione di un boicottaggio internazionale di tutti i lavoratori contro l’Italia: rifiuto delle forniture di carbone all’Italia; rifiuto di tutti i lavoratori dei trasporti di scaricare e di trasportare merci da e per l’Italia, ecc. A questo scopo creazione di comitati internazionali di minatori, di marinai, di ferrovieri, di lavoratori dei trasporti di ogni specie.
6) Sostegno materiale e morale dei lavoratori italiani perseguitati con collette, sistemazione dei profughi, sostegno del loro lavoro all’estero, ecc. Riorganizzazione corrispondente a questo scopo del Soccorso Rosso. Le associazioni operaie devono essere indotto a fornire questo soccorso.


Si deve imprimere bene nella coscienza dei lavoratori che il destino della classe operaia italiana sarà il loro destino, se essi non impediranno, con un’energica, rivoluzionaria lotta contro la classe dominante, il confluire nel fascismo degli elementi provvisti di minore coscienza di classe. Le organizzazioni operaie devono perciò respingere con la massima energia le più vaste masse popolari contro il capitale, per difenderle dallo sfruttamento e dall’oppressione e devono contrapporre la più seria lotta di massa alle demagogiche parole d’ordine apparentemente rivoluzionarie del fascismo. Esse devono inoltre battersi con tutte le forze contro i primi tentativi delle organizzazioni fasciste nel proprio paese e devono essere convinte che esse combatteranno nel modo più efficace il fascismo in Italia, combattendolo nel modo più energico nel proprio paese.

* In Aldo Agosti, La Terza Internazionale storia documentaria, volume I, tomo II, Editori Riuniti, 1974

giovedì 12 luglio 2018

LA LINEA SCHLAGETER di Daniela Di Marco


[ 13 luglio 2018 ]

LOTTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE 
E LOTTA ANTIFASCISTA

Essen (Ruhr) gennaio 1923, un soldato francese minaccia un cittadino tedesco

Il terremoto elettorale del 4 marzo, la nascita il 1 giugno del governo "populista" M5s-Lega, i sondaggi che danno la Lega di Salvini in costante ascesa  hanno spinto l'élite dominante a scatenare una aggressiva campagna di terrorizzazione dell'opinione pubblica. Il mantra è presto detto: il populisti, leghisti anzitutto, sarebbero il "nuovo fascismo avanzante",  la "democrazia" e lo Stato di diritto sarebbero dunque a rischio. A sinistra si va dietro come beoti a questa narrazione.
La gran parte della sinistra rosè ha infatti già deciso di rispondere alla chiamata alle armi arruolandosi nella santa alleanza guidata dalla grande borghesia globalista. L'estrema sinistra non lo farà ma ha deciso che il "governo fascio-leghista" è il nemico principale e va rovesciato. Due linee diverse che producono il medesimo risultato: il suicidio. E chi non condivide questa pulsione di morte è condannato come "rossobruno". 
Ammesso ma non concesso che sia vero che il fascismo stia avanzando in Italia sorge il problema di quale sia la politica giusta da seguire per fermarlo. 
Per rispondere a questa domanda  presentiamo questo breve saggio. 
Esso parla della esplosiva situazione creatasi in Germania dopo la Grande Guerra, in particolare, siamo nel 1923, con l' occupazione militare franco-belga della Ruhr, la regione forse più ricca e industriosa della Germania. Il pretesto dell'invasione era che i tedeschi non pagavano come dovuto i loro enormi debiti di guerra.  Contro questa invasione ci fu un moto di rivolta del popolo tedesco. L'estrema destra nazionalista si gettò nella mischia tentando di occupare la prima linea del movimento di indignazione nazionale e popolare. Nel movimento comunista si confrontarono due linee: la prima, quella estremistica, non voleva partecipare al movimento nazionale per liberare la Ruhr occupata, la seconda riteneva al contrario che i comunisti sarebbero dovuti diventare i campioni della battaglia, ciò anche per non lasciare quel movimento popolare in mano al nascente fascismo tedesco.
La Di Marco ci suggerisce che esiste, a parti invertite (con la Germania che ha vinto la guerra dell'Unione europea) evidenti analogie tra la Repubblica di Weimare del 1923 e la nostra situazione attuale — la garrota del debito e dell'austerità imposta, la perdita di sovranità politica e statuale pongono all'ordine del giorno, in Italia, la questione nazionale. Analogia, si badi, con la Germania del 1923, non del 1933, quando il fascismo  era in fasce, non quando aveva già dilagato.
Una vicenda, quella della Repubblica di Weimar, che ci offre dunque preziose lezioni su quel che si dovrebbe fare, e gli errori che non devono essere commessi di nuovo.
 

* * * 

LA LINEA SCHLAGETER  
di Daniela Di Marco
Düsseldorf: gennaio 1923, truppe francesi contro operai in "resistenza passiva"

Contesto storico

Facciamo quindi un salto indietro di un secolo. Nel 1918 la guerra era finita, a livello europeo avanzava impetuosamente il movimento rivoluzionario (’18-’20 biennio rosso), anche la Germania è attraversata dall’avanzata proletaria. La nazione è prostrata, si contano un milione e ottocentomila morti e più di quattro milioni di feriti, oltre le devastazioni.
La rivolta è spontanea, sul modello sovietico si erano costituiti i Consigli di operai e soldati, gli scioperi si susseguivano, ma non ci sarà nessuno in grado di guidare e unificare i tanti focolai rivoluzionari nati un po’ dappertutto.

La socialdemocrazia aveva paura e non sapeva da che parte stare, finirà col tradire gli interessi popolari con un’insolita alleanza con le forze militari, monarchiche e dell’alta borghesia, sancendo una frattura insanabile con i comunisti rivoluzionari (già sancita peraltro, nel ’19 con la nascita dell’Internazionale Comunista e dei nuovi partiti ispirati al modello bolscevico).
I rivoluzionari subiranno la sconfitta dell’insurrezione spartachista (gennaio 1919), l’uccisione dei leader del movimento Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht, mentre la neonata Repubblica di Weimar (nata nel novembre 1918 sulle ceneri dell’impero), era costretta, con la pistola puntata alla tempia da parte delle potenze vincitrici, a sottoscrivere l’umiliante Trattato di Versailles.

Stipulato nell’ambito della Conferenza di Pace di Parigi, nel 1919, il Trattato prevedeva per la Germania misure molto punitive in termini territoriali, economici e militari. A parte la perdita del 13% del territorio e quindi di un decimo della popolazione, l’enorme ridimensionamento dell’esercito e della marina, con l’articolo 231, conosciuto come “clausola di colpevolezza”, si obbligava la nazione tedesca ad assumersi la totale
responsabilità dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, trasformandola nella responsabile di tutti i danni materiali causati dal conflitto, per risanare i quali le sarebbero state imposte enormi somme di risarcimento.

Alcuni storici, decenni più tardi, ebbero a scrivere che si trattava di «un’umiliazione senza precedenti e senza pari nella storia moderna». Erano clausole assurde anche considerate dal punto di vista capitalista, tanto che l’allora giovane economista John Maynard Keynes (e delegato del Tesoro inglese alla “Conferenza di Pace”) le criticò duramente in un libro-denuncia “Le conseguenze economiche della pace” [1] dal successo immediato. Sosteneva Keynes che quelle riparazioni di guerra per i tedeschi erano insostenibili e avrebbero causato soltanto fame e disperazione fra la popolazione, meglio avrebbero fatto ad annullare tutti i debiti di guerra.

Le truppe francesi e belghe entrano nella Ruhr
Una commissione interalleata aveva stabilito l’ammontare delle riparazioni nella cifra, mostruosa per quei tempi, di 226 miliardi di marchi-oro, cifra ridotta nella primavera del 1921 a 132 miliardi di marchi-oro, da pagare in 42 rate annuali, oltreché, nell’immediato, a pagamenti con la fornitura di merce (carbone, navi, legno, bestiame, ecc…), cioè si imponeva ai tedeschi di privarsi, per quasi mezzo secolo, di un quarto del loro prodotto nazionale.

Lenin era stato categorico in proposito, già durante il II Congresso dell’Internazionale Comunista (19 luglio – 7 agosto 1920), aveva detto:

«La guerra, mediante il trattato di Versailles, ha imposto a questi popoli progrediti condizioni che li hanno precipitati in uno stato di soggezione coloniale, di miseria, di fame, di rovina, di mancanza di diritti, perché il trattato li ha incatenati per varie generazioni e li ha ridotti a vivere in condizioni in cui non era mai vissuto in precedenza nessun popolo civile. (…) Il trattato di Versailles ha posto la Germania e numerosi altri Stati vinti in condizioni che rendono materialmente impossibile la loro esistenza economica, in uno stato di assoluta mancanza di diritti e di completa umiliazione». [2]
Mentre in tutta la Germania si levava un’ondata di proteste contro un Diktat, come veniva allora chiamato il Trattato, a cui non si riconosceva alcuna legittimità, la Reichbank, la banca centrale tedesca, iniziava a stampare fiumi di moneta che acuirono l’inflazione già galoppante dai tempi della guerra, tantoché nel 1923, l’anno dell’iperinflazione, si avrà l’annullamento totale del potere d’acquisto del marco che non varrà più neanche la carta su ci veniva stampato (5 milioni di marchi per un dollaro in luglio, 200 miliardi in settembre, 4000 miliardi in novembre; un chilo di pane giunse a costare 400 miliardi, un chilo di burro 5000).

L’11 gennaio 1923, però, la Francia e il Belgio, traendo pretesto dalla mancata corresponsione di alcune riparazioni in natura, inviarono truppe nel bacino della Ruhr, la zona più ricca e industrializzata di tutta la Germania, occupandola militarmente. L’intera nazione tedesca si indignò per l’evento scioccante dell’aggressione straniera.

E’ questo il momento che ci interessa maggiormente, per quello che avrebbe potuto essere e non fu, e da cui dobbiamo oggi trarre il maggior insegnamento.

Cosa avrebbero dovuto fare i rivoluzionari di fronte ad una invasione militare del proprio Paese?

I comunisti vennero a trovarsi di fronte ad una situazione nuova che richiedeva una analisi concreta della situazione concreta, per dirla sempre con Lenin.

Considerando che il saccheggio delle potenze imperialiste vincitrici, di cui il Trattato era frutto e strumento, trasformava la Germania quasi in una colonia, per di più con una regione nevralgica militarmente occupata, considerando che la Germania viveva una situazione prerivoluzionaria, i comunisti erano posti di fronte ad un bivio cruciale: era plausibile invocare una alleanza patriottica con forze sociali e partiti politici esterni al proletariato? Come vedremo in seguito, questo sarà il dilemma su cui si scontreranno le diverse anime del movimento comunista, tedesco ed internazionale.


Divergenze in seno al Partito Comunista Tedesco

Cosa accadde, nel frattempo?

Il governo Cuno (di centro), di fronte all’occupazione manu militari della Ruhr, aveva chiamato nella regione alla "resistenza passiva", i lavoratori si rifiutavano di collaborare con il nemico, gli scioperi si moltiplicavano. La KPD (Kommunistische Partei Deutschlands, Partito Comunista di Germania) lacerata da controversie interne, non seppe risolversi a dare appoggio alla resistenza passiva, tanto che i suoi deputati il 13 gennaio del 1923 votarono contro la fiducia a Cuno sulla resistenza passiva.


Berlino, 14 gennaio 1923, la protesta contro l'occupazione della Ruhr

Dobbiamo purtroppo sottolineare che l’atteggiamento della KPD, quanto quello dell’Internazionale Comunista rimase molto incerto durante i primi mesi dell’occupazione e sostanzialmente attendista.

In particolare, al suo congresso di Lipsia, apertosi il 28 gennaio, la KPD non affrontò la questione dei compiti del partito nella nuova situazione, come proponeva la sua ala sinistra, ma si concentrò sulla questione del fronte unico e del governo operaio con la socialdemocrazia. In seno al partito c’erano serie divergenze sull’interpretazione del fronte unico e del governo operaio. In particolare, l’”ala destra” (ovvero la tendenza che seguiva le direttive suggerite da Mosca e dalla direzione dell’Internazionale Comunista) cercava di attuare la tattica del fronte unito tramite accordi con gli altri dirigenti dei partiti di sinistra senza escludere l’eventualità di partecipare a governi di coalizione con i socialdemocratici; l’estrema sinistra rifiutava de facto la tattica del fronte unico proletario mascherando questo rifiuto con lo slogan del “fronte unico dal basso”: alleanza solo con la base della socialdemocrazia ma non con i suoi vertici. La quale posizione esprimeva il classico estremismo di sinistra per cui ci si rifiutava di sollevare rivendicazioni democratiche e transitorie, sola via per l’egemonia tra il popolo lavoratore.

Al congresso furono quindi approvate le tesi della "ala destra" —in verità la corrente più sensibile alla politica leninista di "conquista della maggioranza" del popolo — con la specifica proposta di entrare in un governo di coalizione con i socialdemocratici in Sassonia, mentre Karl Radek, membro dell’Internazionale Comunista e rappresentante di essa in Germania, si adoperava per evitare scissioni deleterie in quel momento (ricordiamo che la KPD aveva già subito poco tempo prima una pesante scissione di estrema sinistra).

A complicare il quadro generale c’era l’apparente contiguità con i nazionalisti tedeschi, derivante dal medesimo radicale rifiuto del Trattato di Versailles, verso i quali l’ala “destra” del partito iniziava ad interrogarasi su quale fosse la tattica più adeguata per impedirne l'avanzata. Sono quindi di grande importanza le considerazioni sulla situazione post bellica e sul conflitto della Rurh, espresse da Thalheimer, dirigente di spicco e teorico della KPD, secondo il quale "i ruoli delle borghesie francese e tedesca non erano identici nonostante l’identità della loro essenza di classe".

«La borghesia tedesca è verso l’esterno (almeno temporaneamente) rivoluzionaria suo malgrado (…) La posizione della borghesia tedesca è contraddittoria: da una parte, la difesa nazionale di un popolo oppresso, disarmato, sfruttato, contro l’oppressore imperialista, che in questa misura è una difesa obiettivamente rivoluzionaria; d’altra parte e nello stesso tempo, la lotta difensiva condotta attualmente per accaparrarsi la sua quota-parte dello sfruttamento del proletariato tedesco è una lotta reazionaria». [3]
Di fatto la discussione avviata per trovare una soluzione teorica e pratica non diede risultati. L’ala “destra” si sforzava di dimostrare che in quel contesto, in quanto la nazione tedesca era sotto il giogo delle potenze vincitrici, era plausibile un blocco momentaneo con la borghesia nazionale, in ciò seguendo la tattica di difesa della Germania proposta da Marx ed Engels dopo il 1848 e fino alla prima fase della guerra franco-prussiana. Contro questa strategia politica arrivarono presto le prime accuse di “nazional bolscevismo” da parte dei comunisti di estrema sinistra, cosicché la KPD era in una condizione di stallo e continuava a non avere un piano per sfruttare al meglio la situazione nella Rurh occupata.
Berlino, manifestazione della KPD

Proprio nella Rurh, tra le file della KPD, prevaleva l’estrema sinistra che denunciava il tacito appoggio dato dal partito alla resistenza passiva, dichiarando, in una conferenza regionale che «la propaganda e i preparativi dei nazionalisti rientrano nel quadro della controrivoluzione» e proponevano «di salvare il proletariato tedesco dall’eterna grigia schiavitù combattendo per la conquista del potere politico». Così i comunisti locali, in nome del più puro astrattismo anticapitalista, non facendo alcuna differenza tra gli occupanti e gli occupati, organizzarono agitazioni continue e perfino, a metà aprile, un putsch a Mühlheim, che ovviamente fallì. [4]

Intanto in Germania e soprattutto nella Rurh occupata, i gruppi nazionalisti radicali ampliavano la loro base e il loro consenso, facendo leva sull’esasperazione del ceto medio e reclutando persino fra la classe operaia. Questi gruppi dell’estrema destra erano molto variegati: nazionalisti tradizionali, ex membri dei freikorps, formazioni militari irregolari, membri del Partito nazionalsocialista di Hitler di recente formazione. A tutti, indifferentemente, venne appiccicata l’etichetta di fascisti. Di fronte a questa ascesa, contro le tendenze estremistiche, la direzione della KPD 
«si sforzava di disgregare il movimento fascista. Conduceva nelle sue fila una campagna di agitazione allo scopo di convincere gli appartenenti allo stesso che gli interessi nazionali, per la cui difesa molti di loro erano finiti all’estrema destra, avrebbero potuto essere meglio difesi dal proletariato rivoluzionario». [5]
Fra i gruppi nazionalisti radicali operanti nella Rurh e le forze d’occupazione franco-belghe, si verificarono numerosi incidenti attraverso una feroce campagna di sabotaggi e assasinii.

A tal proposito ci interessa qui ricordare il luogotenente Albert Leo Schlageter. Già membro dei corpi franchi durante la guerra, per bloccare la logistica delle truppe d’occupazione, organizzò atti di sabotaggio facendo deragliare treni ed esplodere viadotti. Egli fu arrestato, condannato a morte e fucilato da un plotone di esecuzione francese il 26 maggio 1923. Quest’esecuzione suscitò grande indignazione e commozione in tutta la Germania.
la fucilazione di Schlageter
L’occupazione della Ruhr e il potente movimento di resistenza nazionale avevano introdotto, come abbiamo visto, un nuovo elemento nella situazione politica tedesca, fino a quel momento contrassegnata dallo scontro tra proletariato e borghesia come fattore centrale. A questo punto fu inevitabile per la KPD avviare una seria discussione interna, a prendere di petto la questione nazionale tedesca e la sua connessione con la prospettiva della rivoluzione socialista. A ciò contribuì in maniera notevole Karl Radek. Radek, esprimendo le opinioni dei bolscevichi (vedi quanto affermato da Lenin tre anni prima contro il Trattato di Versailles e la situazione della Germania), considerava come l’imperialismo francese trattava in quel frangente la Germania come una colonia. Per Radek, in difesa della causa nazionale tedesca, bisognava assumere un atteggiamento diverso nei confronti delle masse piccolo-borghesi, con cui sarebbe stato necessario fare una tattica alleanza patriottica, motivo per cui bisognava anche guardare sotto un’altra luce gli stessi movimenti nazionalisti di resistenza.

Il fatto è che nella KPD, come scritto, prevalevano tendenze di estrema sinistra che rifiutavano ogni politica patriottica e continuavano a lavorare invece per quella che consideravano l’imminente insurrezione proletaria. 

Seguiamo quanto ci dice E. H. Carr, noto storico e diplomatico inglese, autore di un monumentale lavoro sulla storia della Russia Sovietica.
Il Comitato Centrale della KPD il 17 maggio approvò una risoluzione che accoglieva la linea suggerita da Radek e da lui stesso scritta. Vi era il tentativo di distinguere i fascisti in due categorie, l’una composta da coloro che erano «direttamente venduti al capitale», l’altra dai «piccolo-borghesi nazionalisti ingannati» i quali avrebbero dovuto capire che la sventura nazionale poteva essere superata soltanto se il proletariato avesse «preso nelle proprie mani il futuro del popolo tedesco». La risoluzione, così terminava:
«Dobbiamo avvicinare le masse sofferenti, ingannate, incollerite della piccola borghesia proletarizzata per dir loro tutta la verità, per dir loro che possono difendere se stesse e il futuro della Germania soltanto se si alleeranno col proletariato per una lotta contro la vera borghesia. La via della vittoria su Poincaré e Loucher passa soltanto attraverso la vittoria su Stinnes e Krupp» [6]
Radek era appena giunto da Mosca, scrive Carr, è quindi implicito che avesse lì ottenuto l’approvazione per la linea proposta, ovvero una settimana prima dell’esecuzione di Leo Schlageter e un mese prima del suo discorso su Schlageter all’Esecutivo allargato dell’Internazionale Comunista.

La «Linea Schlageter»

Giungiamo così al decisivo e controverso III esecutivo allargato dell’Internazionale Comunista che si svolse a Mosca, dal 12 al 23 giugno del 1923.

La relazione d’apertura era affidata a Zinov’ev, il quale però non dedicò molta attenzione al problema tedesco, ma fece una critica alla direzione della KPD perché non aveva «posto in rilievo con sufficiente forza l’elemento cosiddetto nazionale nella sua interpretazione comunista». [7]

Il contributo decisivo, per quanto attiene alla questione nazionale tedesca dopo Versailles, arrivò pochi giorni dopo da Radek. Egli intervenne nell'ambito della discussione sul fascismo introdotta dalla comunista tedesca Clara Zetkin (lo stesso plenum approvò la nota risoluzione sul fascismo), contro la posizione settaria dei comunisti italiani che respingevano la tattica del Fronte unico proletario — Mussolini era diventato capo del governo nell’ottobre precedente, ciò che rappresentò un evento traumatico di portata europea.

Un’analisi sul fascismo, quella di Clara Zetkin, formalmente ineccepibile, ma del tutto evanescente sulla situazione specifica tedesca determinatasi con l’occupazione della Ruhr, che significa, per chi scrive, che la Zetkin sottovalutava l’importanza dell’occupazione della Ruhr e del draconiano Trattato di Versailles come carburanti dell’incipiente fascismo tedesco.

Karl Radek

E’ solo il giorno dopo che Radek interviene sul rapporto della Zetkin riferendosi stavolta più in concreto alla situazione tedesca.

Radek con il suo discorso, ponendo atto al centro dell’attenzione la questione nazionale tedesca, sorprese i presenti con giudizi e proposte fulminanti. Smascherò le parole d’ordine dei nazionalisti tramite le quali il grande capitale aggiogava ai propri interessi le masse piccolo borghesi (con ciò stesso svelando gli elementi politico-ideologici del fascismo) ma andava incontro al loro genuino sentimento nazionale.

Fu forse un po’ provocatorio, perché iniziò a parlare proprio ricordando la figura di Leo Schlageter, anzi, “il fascista tedesco, nostro nemico di classe”, e lo elogiò come «martire del nazionalismo tedesco» e «coraggioso soldato della controrivoluzione», che merita «di essere onestamente apprezzato con virilità da noi, soldati della rivoluzione» perché caduto per l’indipendenza nazionale tedesca, ma combattendo sotto insegne sbagliate.

Radek ricordò che Schlageter aveva combattuto contro i bolscevichi nel Baltico e contro gli operai nella Rurh, ora che era morto i suoi commilitoni dovevano ancora rispondere alla domanda più importante:
«Contro chi vogliono combattere i nazionalisti tedeschi: contro il capitale dell’Intesa, o contro il popolo russo? Con chi vogliono allearsi? Con gli operai e i contadini russi per scuotere insieme il giogo del capitale dell’Intesa, oppure con il capitale dell’Intesa per rendere schiavi i popoli tedesco e russo?»
Aggiunse inoltre:
«Se la Germania vuole essere in grado di lottare si deve costituire un fronte unico dei lavoratori e gli intellettuali devono formare con i lavoratori una falange ferrea (…) Crediamo che la grande maggioranza delle masse sensibili al problema nazionale non appartenga al campo del capitale bensì a quello del lavoro. Noi vogliamo cercare e trovare la via che porta a queste masse, e ci riusciremo. Faremo di tutto perché uomini come Schlageter, pronti a morire per una causa comune, diventino, anziché vagabondi del nulla, viandanti verso un futuro migliore dell’intera umanità (…). Il Partito comunista dirà questa verità alle più ampie masse popolari della Germania, poiché esso è il partito dei proletari combattenti, in lotta per la propria liberazione, per una liberazione che si identifica con la liberazione dell’intero popolo, con la liberazione di tutti coloro che in Germania lavorano e soffrono. Schlageter non può più sentire questa verità. Noi siamo sicuri che centinaia di Schlageter la intenderanno e comprenderanno». [8]
Il suo discorso inaugurava ufficialmente la cosiddetta «Linea Schlageter». Essa prevedeva non di certo, come è stato detto e scritto, un’alleanza con i fascisti, né un compromesso con la politica fascista, ma era il sacrosanto tentativo di dividerne le fila, non lasciando le masse, non solo proletarie, ma anche il ceto medio polverizzato e impoverito, ad abboccare alla propaganda fascista, nella comune lotta contro il Trattato e l’occupante straniero. Stare nello stesso campo, combattere contro lo stesso nemico principale non implica necessariamente fare fronte, o stabilire accordi politici.

La cosiddetta “Linea Schlageter” non era, lo ripetiamo, una trovata estemporanea di Radek. Essa era in verità l’applicazione in circostanze determinate di quella che potremmo chiamare la “linea leninista” la cui essenza è la “conquista delle masse” o come dirà Gramsci, dell’egemonia. Di contro alle idee astratte sulla rivoluzione, così diffuse oggi come ieri, tra le fila dei comunisti, Lenin si era già espresso:
«Colui che attende una rivoluzione sociale “pura”, non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione. La rivoluzione russa del 1905 è stata una rivoluzione democratica borghese. Essa è consistita in una serie di lotte di tutte le classi, i gruppi e i malcontenti della popolazione. V’erano tra di essi i pregiudizi più strani, con i più oscuri e fantastici scopi di lotta, v’erano gruppi che prendevano denaro dai giapponesi, speculatori e avventurieri, ecc. Obiettivamente, il movimento delle masse colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia, e per questo gli operai coscienti lo hanno diretto. La rivoluzione socialista in Europa non può essere nient’altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente – senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione – e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale, e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!), e attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all’abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si “epurerà” delle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo». [9] [NdR: i corsivi sono nostri]
Il discorso di Radek lasciò interdetti numerosi delegati di estrema sinistra. Nessuno intervenne sulla proposta di Radek e la risoluzione sul fascismo, redatta prima che Radek prendesse la parola, non venne minimamente modificata.

La KPD pur facendo propria la linea di Radek, non seppe attuarla. Seguì solo un vivacissimo dibattito pubblico attraverso articoli di confronto con i nazionalisti pubblicati sulla Rote Fahne.

Tuttavia la «linea Schlageter» diede motivo alla grande stampa capitalista tedesca di scatenare una aggressiva campagna contro il cosiddetto “nazional bolscevismo”. Numerosi giornali capitalisti tedeschi denunciarono infatti la pretesa “collusione dei capi comunisti e fascisti”.

Quell’esecutivo allargato dell’Internazionale Comunista, che si concluse il 23 giugno del 1923, si risolse con la convinzione che in Germania non erano ancora maturi i tempi per uno sbocco rivoluzionario.

I dirigenti della KPD e dell’Internazionale Comunista avrebbero presto cambiato idea, visto che in agosto una potentissima ondata di scioperi operai contro il caro vita sconvolgerà tutta la Germania e porterà alla caduta del governo Cuno con la nascita del governo Stresemann un governo di grande coalizione con la socialdemocrazia.

Sarà questo governo a porre fine alla “resistenza passiva” e ad accettare il “Piano Dawes” con il quale i francesi porranno fine in settembre all’occupazione della Ruhr.


NOTE

[ 1 ] John Maynard Keynes, The Economic Consequences of the Peace, 1919


[ 2 ] V.I. Lenin, Rapporto sulla situazione internazionale e sui compiti fondamentali dell’Internazionale Comunista, in Opere Complete, volume XXXI, Editori Riuniti, 1967, Roma, pag. 205 e seguenti. Discorso pronunciato il 19 luglio 1920

[ 3 ] Pierre Frank, Histoire de l’Internationale Communiste, vol. I, La Brèche, Parigi, 1979, pag. 287-288

[ 4 ] Edward H. Carr, La morte di Lenin. L’interregno 1923-1924, Giulio Einaudi editore, Torino, 1965.pag. 155

[ 5 ] Milos Hayek, Storia dell’Internazionale Comunista, 1921-1935; Editori Riuniti, 1975, pag. 69

[ 6 ] Edward H. Carr, La morte di Lenin. L’interregno 1923-1924, Giulio Einaudi editore, Torino, 1965pag. 169

[ 7 ] Ibidem, pag. 179

[ 8 ] Victor Serge, Germania 1923: la mancata rivoluzione, 
 2003, Graphos; a cura di Corrado Basile

[ 9 ] V.I. Lenin, L’insurrezione irlandese del 1916, Opere Complete, Editori Riuniti, volume XXII, pag. 353-354



BIBLIOGRAFIA

- Histoire de l’Internationale Communiste (1919 - 1943), Pierre Frank, 1979, Éditions La Brèche

- Germania 1923: la mancata rivoluzione, tomo I, Victor Serge, 2003, Graphos; a cura di Corrado Basile

- La Terza Internazionale, Storia documentaria, tomo I, Aldo Agosti, 1974, Editori Riuniti

- La morte di Lenin. L’interregno 1923-1924, Edward H. Carr, Giulio Einaudi editore, Torino

- Storia dell’Internazionale Comunista, 1921-1935, Milos Hayek, Editori Riuniti, 1975


- Rivoluzione in Germania 1917-1923, Pierre Broué; Einaudi, 1997

Storia del Terzo Reich, volume I, William L. Shirer; Einaudi 1974

- La Repubblica di Weimar. Un'instabile democrazia fra Lenin e Hitler, Ernst Nolte, Marrinotti 2006

- La Repubblica di Weimar. La Germania dal 1918 al 1933, Hagen Schulze; Il Mulino 1993

La Repubblica di Weimar, Gunther Mai; Il Mulino 2011


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