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giovedì 20 giugno 2019

LE VERE PAURE DIETRO AI MINIBOT di Domenico Moro

[ giovedì 20 giugno 2019 ]


La vicenda dei minibot, che da giorni riempie pagine dei giornali e talk show, è rivelatrice della difficoltà a coniugare il rispetto delle regole Ue con investimenti e crescita della produzione. 

Malgrado l’Italia sia sempre additata come poco virtuosa nella gestione della finanza pubblica, negli ultimi 20 anni ha speso meno delle entrate (al netto degli interessi), realizzando surplus primari del bilancio statale, con la sola eccezione del 2009, anno di picco della crisi. Molto meglio non solo della Spagna e della Francia, ma persino della Germania. Non parliamo poi di Paesi al di fuori dell’area euro, come Usa, Regno Unito e Giappone, sempre con deficit primari molto alti. Il problema è che il raggiungimento del surplus primario ha contribuito a ridurre gli investimenti pubblici, la cui contrazione non ha permesso di compensare il calo degli investimenti privati, che risulta il più accentuato in Europa dall’inizio della crisi. A dispetto di questa situazione, la recente lettera della Commissione europea richiama l’Italia a una maggiore disciplina di bilancio, che, come si vede da un decennio, è foriera di recessione, specie quando, come accade oggi, il mercato estero e quindi le esportazioni, su cui ormai è orientata l’economia italiana, calano.

In questo contesto dominato dal Fiscal compact si inseriscono i minibot, che hanno già sollevato le proteste della Bce, attraverso Draghi, e dello stesso ministro dell’economia, Tria. Ma che cosa sono i minibot? Sono titoli di debito cioè buoni emessi dal Tesoro per finanziare il debito dello Stato. A differenza dei Bot normali, non hanno tasso d’interesse e sono senza scadenza. Potrebbero essere utilizzati per pagare servizi o beni legati in qualche modo allo Stato (tasse, benzina, biglietti dei treni, ecc.). In base alla proposta iniziale su cui hanno votato favorevolmente tutti i partiti (compresi Pd e +Europa, che poi hanno fatto un rapido passo all’indietro), i minibot sarebbe dovuti servire a saldare i debiti dello Stato: quelli verso le imprese, i crediti d’imposta pluriennale dei cittadini e i crediti Iva delle Pmi e dei professionisti.

In sostanza i minibot diventerebbero simili al contante. Se lo Stato li usasse per pagare tutto l’arretrato si immetterebbero 70/100 miliardi di euro in minibot, pareggiando l’attuale stock di denaro cartaceo in euro. In questo modo, secondo alcuni, si creerebbe una moneta parallela all’euro. In realtà quello che accadrebbe sarebbe un recupero surrettizio della capacità dello Stato nazionale di emettere moneta autonomamente e così facendo si monetizzerebbe, almeno in parte, il debito pubblico. La monetizzazione del debito consiste nel suo finanziamento non più soltanto mediante entrate fiscali o collocando titoli di stato sul mercato internazionale (con la conseguente possibilità di innalzamento dei tassi d’interesse), ma anche attraverso l’emissione di moneta da parte dello Stato.

Appare abbastanza evidente che si tratta di un aggiramento della struttura dei trattati e dell’euro, che aliena queste funzioni dallo Stato alla Bce. Sono queste le vere paure nascoste dietro la polemica sui minibot e per questo si sono levati subito gli scudi contro la proposta, sostenuta dalla Lega. Addirittura alcuni paventano che i minibot siano l’anticamera dell’uscita dall’euro. Una conclusione francamente azzardata, perché una vera uscita dall’euro comporta la ripresa del controllo statale su tutto il sistema monetario a partire dalla Banca d’Italia. I minibot proposti dalla Lega rappresentano una provocazione o tutt’al più un granello di sabbia teso non tanto a uscire dall’euro, quanto a rimettere in discussione i meccanismi europei, o, più precisamente, a ottenere sul piano negoziale condizioni migliori per alcuni settori del capitale e della borghesia italiana penalizzati dalla Ue e dalla concorrenza francese e tedesca. Oltre ovviamente a dare una boccata di ossigeno a alcuni dei settori sociali, Pmi e professionisti, che fanno parte del blocco sociale della Lega e che sono i primi a trovarsi in difficoltà con il rallentamento dell’economia. I minibot possono rappresentare una valida alternativa a un credito bancario che rimane asfittico, anche a causa delle regole europee, per le piccole e medie imprese che, a differenza delle grandi imprese multinazionali, non accedono ai mercati dei capitali internazionali.

In ogni caso, i minibot sono rivelatori di tre fatti:

1 - che l’euro e i trattati non funzionano e che sono destinati a cozzare in modo ricorrente, e alla fine definitivo, con i limiti di una economia perennemente instabile e stagnante;
2- che la sinistra tradizionale e filoeuropeista del Pd non riesce o meglio non vuole trovare alcuna proposta che riesca a spingere a modifiche nella struttura dell’Europa e 3 - 3- che, a distanza di più di 10 anni dallo scoppio della crisi, continua a essere aggrappata a una Europa e al rispetto di regole che producono recessione;
che gran parte della sinistra (anche a sinistra del Pd) si lascia ingabbiare dal confronto sovranismo-nazionalismo contro europeismo, lasciando alla Lega l’iniziativa su decisivi temi economici e sociali.

L’unica vera soluzione ai problemi su esposti è una strategia di uscita dall’euro e dalla Ue. La polemica sui minibot di per sé rappresenta la classica tempesta nel bicchiere d’acqua. Tuttavia, è rivelatrice di problemi enormi, che, in qualche modo, ha il merito di sollevare e che sono riconducibili alla questione del recupero della sovranità monetaria alienata alla Bce. Non sono temi da abbandonare alla Lega. Al contrario, la Lega deve essere contrastata da una rinnovata sinistra di classe proprio mediante la capacità di stare su questi temi anziché lasciarsi rinchiudere su terreni o fittizi o sui quali risulta necessariamente perdente.

* Fonte: Laboratorio

domenica 26 maggio 2019

PERCHÉ SIAMO CONTRO L'EURO di Leonardo Mazzei

[ domenica 26 maggio 2019 ]

Strano ma vero: nella campagna elettorale per le europee non si è parlato dell'euro. Forse che la crisi della moneta unica è finita? Forse che gli squilibri che ha prodotto sono stati nel tempo risolti? Forse che paesi come l'Italia non ne pagano più il prezzo? La risposta è un triplice e cubitale NO.Il bello è che non c'è persona informata dei fatti che non sappia che così stanno le cose. Ma, per un motivo o per l'altro, fan tutti finta che così non sia. In questo modo, mentre le élite gongolano per la scomparsa di ogni dibattito sul tema, chi gli si vorrebbe opporre oscilla tra il balbettio ed il parlar d'altro, come se in questo modo il problema potesse essere esorcizzato.
Proprio per questa gigantesca rimozione, per questo (si spera momentaneo) trionfo dell'ipocrisia, ci pare necessario ricordare le ragioni del nostro NO all'euro. E ci pare utile farlo proprio nel giorno delle elezioni.


Contro l'euro per tre motivi



Rammentare le ragioni del NO all'euro, ribadire dunque l'assoluta necessità di uscirne quanto prima per tornare alla lira, non serve tanto a ricordare le nostre posizioni, quanto a ristabilire la giusta gerarchia dei problemi del Paese, rimettendo al centro la questione da cui tutto dipende in questa fase storica.

Sull'euro abbiamo scritto tanto, ad esempio QUI QUI, ma le ragioni del NO alla moneta unica si possono comunque raggruppare in tre motivi di fondo. Siamo contro l'euro per ragioni politiche, per ragioni economiche e per ragioni sociali.


Ragioni politiche




Siamo contro per ragioni politiche, perché l'euro è al tempo stesso uno strumento di dominazione straniera, un meccanismo di dominazione di classe, un veleno in grado di annichilire ogni residuo di democrazia. Che vi sia una dominazione straniera, esercitata dalle oligarchie euriste per conto della Germania (al massimo dell'asse carolingio franco-tedesco), è cosa talmente evidente da non richiedere troppi discorsi. Basti pensare alla pretesa di dettare i contenuti delle leggi di bilancio fin nei dettagli, oppure alle interferenze giunte a mettere perfino un veto sul nome di un ministro. 


Quel che è evidente, in ogni caso, è che non può esservi sovranità nazionale senza sovranità monetaria. Ma senza sovranità nazionale la democrazia è semplicemente defunta. Possiamo anche dilettarci a parlare all'infinito di principi, diritti e Costituzione, ma alla fine il risultato sarà solo uno zero assoluto. Non parliamo poi dei rapporti di forza tra le classi. Se le nostrane oligarchie sono tutte pro-euro, nonostante i danni economici causati dalla fine della lira, è proprio perché la moneta unica funziona anche come formidabile strumento di disciplina sociale, dunque come potentissima arma nelle mani dei padroni del vapore.  


Ragioni economiche




Siamo contro per ragioni economiche, perché è a causa dell'euro che l'Italia non riesce ad uscire dalla lunga depressione in corso. Undici anni di crisi, sostanzialmente ininterrotta, dovranno pur dirci qualcosa. Se siamo ancora sotto di 5 punti rispetto al Pil pre-crisi, una ragione ci sarà. La verità è che la gabbia dell'euro, con la sua inevitabile austerità, dunque con le sue rigide regole di bilancio, impedisce ogni seria politica espansiva, ogni rilancio degli investimenti pubblici, di cui pure si blatera assai spesso senza però indicare il vero motivo che rende impossibile intraprendere questa strada. 


Con l'euro, che è a tutti gli effetti una moneta straniera, ogni politica economica è semplicemente vietata. Contano solo le regole ordoliberiste dell'UE, contano i "mercati", cioè le oligarchie finanziarie, con i loro interessi e le loro speculazioni. Detto in breve, con l'euro non si uscirà mai veramente dalla crisi. E giunti a questo punto spetterebbe semmai agli euristi dimostrare il contrario.

Ma c'è di più. Esattamente all'opposto di quel che ci dicono, è proprio l'euro che fa aumentare il debito pubblico. E' vero che con la moneta unica i tassi di interesse sui titoli del debito si sono ridotti, ma ciò è avvenuto al prezzo della interminabile depressione che stiamo vivendo. Del resto, il famoso rapporto debito/Pil non dipende solo dal numeratore (il debito), ma anche dal denominatore (il Pil). A causa dell'euro all'Italia mancano almeno 20 punti di Pil, circa 350 miliardi. Solo per questa riduzione del denominatore il rapporto debito/Pil è più alto di circa 23 punti. Ma c'è dell'altro. Meno Pil significa anche minore occupazione, maggiore povertà, declino dei redditi, dunque minor gettito fiscale. Ecco perché chi dice che l'euro "fa bene" al debito mente sapendo di mentire.



Ragioni sociali


Siamo contro per ragioni sociali, perché senza una politica economica socialmente orientata - impossibile restando nella moneta unica - ogni discorso sulla lotta alla disoccupazione ed alla precarietà è solo aria fritta. Com'è infatti che l'Italia ha recuperato la competitività persa con la fine della lira? Semplice, lo ha fatto con la svalutazione interna. Riducendo cioè in primo luogo i salari, ma più in generale i redditi, col duplice fine di aumentare la competitività e di distruggere (come ebbe a dire Monti, il Salvatore) la domanda interna.


In questo modo la bilancia commerciale italiana è arrivata sì a registrare un notevole surplus, ma la produzione industriale è ancora sotto di un 20% rispetto a quella del 2008. Come una guerra, ma per certi aspetti perfino peggio di una guerra, dato che le guerre finiscono mentre l'euro è ancora qui con noi. Ma com'è possibile aver raggiunto un surplus di 50 miliardi nel commercio con l'estero, avendo perso un quinto della produzione industriale? Semplice: è bastato ridurre le importazioni colpendo i consumi interni. E' sufficiente riflettere un attimo su questo fatto per capire chi stia pagando le conseguenze dell'euro.

Ma c'è di più. Per tenere i salari bassi occorre un tasso di disoccupazione elevato ed un livello di precarizzazione altrettanto pesante. In Italia il tasso di disoccupazione è ufficialmente al 10,2%, e secondo l'Istat dovrebbe aumentare nei prossimi mesi. Ma il fatto è che una disoccupazione così elevata è perfettamente in linea con quello che la Commissione Europea considera, ufficialmente con le sue stime del NAWRU (Not accelerating wages rate of unemployment), il giusto "punto di equilibrio" per l'Italia. Un "giusto punto di equilibrio" che ha un unico scopo: impedire un aumento del salario reale. 

Dunque, ricapitolando, alti tassi di disoccupazione e precarietà, bassi salari e taglio dei diritti ai lavoratori, sono tutte conseguenze dirette dell'appartenenza all'euro, conseguenze ufficialmente volute dagli organismi dell'UE. In questo quadro, con quale faccia tosta Cgil-Cisl-Uil osino parlare di questi temi, dopo aver firmato insieme a Confindustria uno scandaloso appello unitario "per l'Europa", è cosa che lasciamo giudicare ai lettori.



Basta con l'austerità 

A completare il quadro, come non ricordare i nefasti effetti dell'austerità? I tagli di questo decennio hanno colpito duramente la sanità e la scuola, hanno messo in ginocchio i comuni, hanno portato ad un drastico peggioramento dei livelli di manutenzione, mettendo a rischio ogni tipo di infrastruttura.

Non si pensi di venire fuori dall'austerità senza uscire dall'euro. Nella gabbia della moneta unica, l'austerità è infatti necessaria ed inevitabile. Essa serve non solo per far quadrare i conti, ma pure per mantenere le attuali gerarchie, per spolpare in ogni modo paesi come l'Italia. Ma l'austerità serve anche come strumento ideologico e di disciplina sociale. Non passeranno molti giorni, non appena si sarà spenta l'eco dei risultati delle odierne elezioni, per ritornare alle solite richieste di sacrifici targate euro(pa). Ecco perché, se da un lato fanno sorridere, dall'altro fanno sinceramente schifo tutti coloro che vorrebbero far credere che l'Unione Europea (e dunque l'euro) sia riformabile, che l'austerità potrà comunque finire, che i vincoli potranno allentarsi. Non andrà così, perché non può andare così. Per sua natura infatti l'UE non è riformabile, dell'euro neanche parlarne! Non ci si libererà dunque dall'austerità e dai suoi nefasti effetti senza riconquistare la sovranità monetaria. 




Uscire dall'euro-dittatura



L'Italexit è dunque necessaria. Naturalmente, l'abbiamo sempre detto, per uscire dalla crisi nell'interesse del popolo lavoratore, venire fuori dall'euro è una condizione necessaria ma non ancora sufficiente. Ma il fatto che sia necessaria significa che al momento ogni altro discorso che non metta nel conto questo passaggio è solo aria fritta.

Si tratta, fra l'altro, di mettere fine al gigantesco trasferimento di ricchezza dal sud al nord del continente che l'euro ha generato. Si tratta di tagliare le unghie alla speculazione finanziaria sui Btp, obiettivo raggiungibile solo con una nuova Banca centrale che riassuma anche le funzioni di acquirente di ultima istanza. Si tratta, in breve, di porre fine all'euro-dittatura. Di iniziare a riconquistare la libertà e la democrazia.

Per tanti motivi la questione dell'euro è stata del tutto rimossa dalla campagna elettorale. Ma non si risolvono i nodi facendo finta di non vederli. Senza dubbio la questione tornerà dunque di attualità già nei prossimi mesi. Vedremo allora quali saranno le forze disposte a battersi per questa nuova lotta di liberazione nazionale.


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giovedì 14 marzo 2019

L'AUTOGOL DI MIMMO PORCARO di Leonardo Mazzei

[ 14 marzo 2019 ]

Noi "sovranisti storici"

Una risposta a Mimmo Porcaro


Abbiamo dato ampio spazio all'assemblea nazionale di presentazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Avremo tanti difetti, ma quello del settarismo sembra proprio di no.

Intervenendo sul contenuto del Manifesto, Programma 101 ha segnalato da un lato la larga convergenza con analisi e proposte che per primi abbiamo avanzato, dall'altra la sua astrattezza politica, il suo sostanziale vuoto strategico.

La lacuna più grave, scriveva P101 agli inizi di febbraio, è che:
«da nessuna parte si scrive che l’Italia deve uscire dall’eurozona e dall’Unione. Da nessuna parte si proclama a chiare lettere la necessità dell’Italia di battere moneta propria attraverso una banca centrale pubblica. Una mancanza che anche a noi ha lasciato di stucco. Data questa assenza, mentre tutti, da sinistra a destra, si trastullano nell’illusione di poter “cambiare i Trattati”, la prospettiva (di sapore gollista) di una Confederazione europea di nazioni sovrane ha un sapore davvero sinistro». 


Era fondata quella critica? Ovviamente sì, come ci conferma la debole giustificazione del passo indietro compiuto, pronunciata all'assemblea di Roma da Mimmo Porcaro.

Scrive Porcaro:
«La seconda condizione (per la riuscita del progetto, ndr) è l’allontanamento da quello che io chiamo “sovranismo storico”, ossia da un atteggiamento culturale e politico che meritoriamente sottolinea e ribadisce il carattere antipopolare dell’ Ue e dell’Uem, ma proprio per questo tende, pur quando non vuole, a fare dell’exit e del recupero della sovranità nazionale un fine in sé e non un mezzo, impedendosi così di crescere oltre il proprio steccato e di aumentare la propria capacità di convincere (e rassicurare) quella grande maggioranza dell’elettorato che è necessaria a sostenere la rottura con le istituzioni comunitarie. Non si può costruire un partito sull’uscita dall’euro e sulla rottura con l’Unione. Non si costruisce un partito con largo seguito popolare su una serie di negazioni e su una prospettiva obiettivamente complessa che gli avversari hanno buon gioco a drammatizzare».

Ora Porcaro, secondo uno stile non proprio originale, non fa nomi. Ma è chiaro che noi saremmo tra quei "sovranisti storici" da cui allontanarsi. Certo, questo "allontanamento" non riguarda solo noi. A occhio e croce dovrebbe riguardare anche quel Mimmo Porcaro che nel 2014 sottoscrisse con noi il Vademecum per l'uscita dall'euro, prodotto dall'allora coordinamento nazionale della Sinistra contro l'euro.

Ma lasciamo perdere e concentriamoci sugli argomenti adesso sostenuti, che a me sembrano fondamentalmente tre. Il primo è che gli innominati "sovranisti storici" confonderebbero i mezzi con i fini, il secondo è che insistere sull'uscita restringerebbe la possibilità di crescita, il terzo è che non si costruisce un partito solo con dei no.

Che dire? Si è compiuto un deciso passo indietro - specie il gruppo di Rinascita (di cui Porcaro fa parte) lo ha compiuto - e si tenta una maldestra difesa del percorso intrapreso.

Confusione tra mezzi e fini? Porcaro sa bene che non è il nostro caso. Sa bene che abbiamo sempre parlato di uscita dalla Ue e dall'euro come condizione necessaria, ma non sufficiente ad uscire dal disastro in cui è stato condotto il nostro Paese. Sa bene che abbiamo sempre pensato ad un soggetto politico costruito su una nuova prospettiva socialista. E sa bene che alcune delle nostre vecchie divergenze riguardavano proprio questo punto, che ci differenziava ad esempio dall'impostazione di Alberto Bagnai. Di chi parli dunque Porcaro proprio non sappiamo.

Il secondo argomento non è meglio del primo. I sovranisti non sono cresciuti perché troppo radicali? Dovremmo allora passare da un sovranismo esplicito ad un semi-sovranismo criptico e per iniziati? Ma davvero si pensa che le persone siano così stupide? Potrei forse capire se si fosse al governo, perché in quel caso ogni parola dell'ipotetico ministro Porcaro potrebbe far sobbalzare lo spread. Ma non è questo il caso. Si pensa forse di ottenere più consensi con una nuova forma di altreuropeismo? Auguri, non resta che provare. La compagnia di sicuro non mancherà: da destra a sinistra, passando per il centro sistemico imperniato sul Pd, son tutti su questa linea. E questo mentre perfino dalla Germania si ammette cos'é stato il disastro dell'euro per l'Italia.

Stefano Fassina
Infine, certo che «non si costruisce un partito solo con dei no». Ma non si costruisce neppure senza pronunciare dei no, senza indicare chiaramente il nemico, in primo luogo quello individuato come  principale nella fase politica in cui si combatte. E, di grazia, quale sarebbe oggi questo nemico principale se non la gabbia eurista che, legittimando il neoliberismo, fa da schermo al potere di quell'oligarchia finanziaria che è il cuore e il simbolo di un sistema da rovesciare? La verità è che ogni soggetto politico che ha lasciato un segno nella storia ha sempre detto dei "sì" e dei "no". Si pensa forse che sia adesso arrivata l'epoca dei "ni"? Noi non crediamo proprio.

Ovviamente non siamo così sciocchi da non considerare alcune esigenze tattiche. Riguardo all'Italexit, in decine di nostri scritti abbiamo parlato dell'utilità  di un Piano A e di un Piano B. Dunque, a prima vista, potremmo essere d'accordo con Porcaro quando scrive che:
«Si tratta di non presentare l’exit come programma immediato, di avere per ogni evenienza un programma di governo sic stantibus rebus, e di definire contemporaneamente un piano A di uscita negoziata e di apertura ad una ricostruzione dell’Ue su basi confederali, ed un piano B di uscita unilaterale in risposta al precipitare di una crisi non altrimenti gestibile».

Bene, dov'è allora il problema? Il problema è che nel Manifesto per la Sovranità Costituzionale il Piano B proprio non c'è. E' semplicemente scomparso, cancellato, defunto. Che si dice allora a proposito dell'euro? Leggiamo:
«La sovranità costituzionale è, quindi, condizione per abolire la tirannia del principio della libera concorrenza, subordinandolo all’utilità sociale e alla dignità della persona. A tal fine, la moneta è variabile politica decisiva, da portare al servizio del welfare e della democrazia costituzionale».

Che dire? Una scoperta sconvolgente, che non ci rivela però di quale moneta si stia parlando. Peccato, sarà per un'altra volta. Magari, nel frattempo, qualcuno potrebbe spiegarci che senso abbia parlare di sovranità se non si dice chiaramente che bisogna liberarsi dal giogo eurista.

Ora, noi saremo "sovranisti storici" (e siamo felici di esserlo), ma chi pensa di nascondere le debolezze strategiche e le ambiguità politiche del Manifesto dietro a simili argomenti non rende di certo un bel servizio alla sua causa.


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giovedì 3 gennaio 2019

MONETA SOVRANA NON A DEBITO di Eros Cococcetta

[ 3 gennaio 2019 ]

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


In attesa della EUROEXIT, che sarebbe la soluzione ottimale ma ancora molto lontana (a causa della latitanza del Governo), c'è una cosa molto importante che il Governo potrebbe fare subito, prima delle prossime elezioni europee: introdurre la MONETA SOVRANA NON A DEBITO nelle varie modalità proposte dagli economisti: 

- BIGLIETTI DI STATO (Nino Galloni), emessi dalla Zecca-Poligrafico di Stato, e MONETA ELETTRONICA DI STATO (ormai più del 90% della moneta in circolazione è elettronica) gestita direttamente dal Ministero dell'economia, che con un semplice click potrebbe finanziare tutti i Ministeri. 

- CERTIFICATI DI CREDITO FISCALE (Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi), da assegnare gratuitamente a cittadini e imprese (200 Mld in tre anni) utilizzabili anche per pagare le tasse al terzo anno ma che intanto potrebbero circolare come moneta; nel loro libro ("La soluzione per l'Euro") al capitole 3 c'è anche una bozza di proposta di legge già pronta. I due economisti hanno calcolato che la ripresa economica conseguente all’introduzione dei CCF porterebbe in tre anni il PIL a superare i 2.000 Mld, il tasso di disoccupazione scenderebbe al 5% e l’inflazione salirebbe ad un contenuto 1,9% (vedi QUI e QUI ). 

- MINIBOT (Claudio Borghi), con cui pagare i 60 Mld di debiti che lo Stato ha verso i suoi fornitori e che, comunque, potrebbero circolare come moneta. 

Pensiamo a come un utilizzo contestuale di queste soluzioni “sovraniste” (che comunque non violano i Trattati UE che si occupano solo dell’Euro) cambierebbe la situazione economica nazionale, ma anche la ventata di ottimismo e fiducia di cui beneficerebbero tutti gli italiani. 

Senza contare che i due partiti di governo avrebbero un grosso beneficio elettorale dall’adozione di queste misure, se attuate o quantomeno seriamente preannunciate nel programma elettorale per le europee. GOVERNO SVEGLIATI dal torpore europeista, altrimenti diventerai l’ennesima delusione per gli italiani.

Ciò senza contare che l’adozione di queste misure monetarie porterebbe automaticamente alla caduta dell’Euro perché gli italiani, finora ingannati dalle menzogne mainstream, vedrebbero chiaramente gli effetti positivi della moneta sovrana.

mercoledì 17 ottobre 2018

GLI ITALIANI E L'EURO: SE VI SEMBRA POCO...

[ 17 ottobre 2018 ]

IL SONDAGGIO

Italiani anti-Ue, ma pro-euro: solo il 44% vuole restare nell’Unione

Secondo i dati dell’Eurobarometro l’Italia è il paese con più euroscettici, il 65% è però favorevole alla moneta unica

In caso di referendum sull’uscita dall’Ue, solo il 44% degli italiani voterebbe per restare, contro il 66% degli intervistati europei: lo rivela l’ultimo sondaggio Eurobarometro, condotto tra l’8 e il 26 settembre 2018 da Kantar Public in tutti e 28 gli Stati membri. L’Italia è il Paese dove si registra anche il numero più alto di indecisi (32%), mentre il 24% voterebbe per seguire l’esempio britannico e andarsene. Si tratta del dato peggiore dei 28, anche a fronte dei britannici dove oggi il 53% è per il `remain´. Il 65% degli italiani si dichiara però favorevole all’euro. La percentuale rispecchia in questo caso la media europea: il 68% degli europei ritiene infatti che il proprio Paese abbia tratto beneficio dall’appartenenza all’Ue e il 61% degli intervistati considera positivamente la moneta unica: sono le percentuali più alte registrate negli ultimi 25 anni.

* Fonte: Corriere della sera del 17 ottobre

mercoledì 10 ottobre 2018

IL PRESIDENTE MATTARELLA E L'ART. 97 di Eros Cococcetta

[ 10 ottobre 2017 ]

Riceviamo e volentieri pubblichiamo 

Il poco loquace Presidente Mattarella stavolta ha parlato in modo chiaro lo scorso 29 settembre, dinanzi a molti microfoni, sulla manovra economica del Governo: 
«La Costituzione italiana - la nostra Costituzione – all’articolo 97 dispone che occorre assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico. Questo per tutelare i risparmi dei nostri concittadini, le risorse per le famiglie e per le imprese, per difendere le pensioni, per rendere possibili interventi sociali concreti ed efficaci. Avere conti pubblici solidi e in ordine è una condizione indispensabile di sicurezza sociale, soprattutto per i giovani e per il loro futuro». 
Queste chiare parole mi hanno fatto sorgere, però, diverse domande che ipoteticamente vorrei rivolgere al Presidente Mattarella, soprattutto per quello che non dicono:

1) Come mai non ha citato gli articoli 1, 3 e 4 della Costituzione che prevedono il diritto al lavoro per tutti, la piena occupazione e il dovere per lo Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il raggiungimento di tali obiettivi? In proposito vorrei ricordarle il discorso pronunciato nel 1955 dal grande giurista Piero Calamandrei sull’art. 3.

2) Secondo Lei gli articoli 1, 3 e 4, che rientrano tra i principi fondamentali della Costituzione, possono essere aggirati o vanificati dagli artt. 81 e 97, come modificati dal Governo Monti con la legge costituzionale 20.4.2012 n. 1, intitolata “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”? La Corte Costituzionale ha più volte ribadito che anche le leggi di revisione della Costituzione possono essere dichiarate incostituzionali se in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982 e 1146 del 1988), così come le leggi di esecuzione dei Trattati europei possono essere assoggettate al giudizio della Corte Cost. se in contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione o con i diritti inalienabili della persona umana (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984). Lei esclude che questa modifica sul pareggio-equilibrio di bilancio sia incostituzionale?

3) E’ a conoscenze delle motivazioni che hanno portato il Governo Monti ad inserire il pareggio di bilancio addirittura in Costituzione? A tale proposito L’ex Ministro Andrea Orlando in un incontro pubblico del 3 settembre 2016 ha dichiarato: 
«L’obbligo del pareggio di bilancio non fu il frutto di una discussione nel Paese, fu il frutto del fatto che a un certo punto la BCE, più o meno ora la brutalizzo, disse o mettete questa clausola nella vostra Costituzione o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese. Io devo dire che è una delle scelte di cui mi vergogno di più di aver fatto. Io penso che sia stato un errore approvare quella modifica …».
 Lei conosce queste dichiarazioni? Secondo Lei si è trattato semplicemente di una ingerenza indebita da parte della BCE oppure siamo di fronte ad un colpo di stato strisciante?

4) Come commenta la seguente frase pronunciata da Giuliano Amato in un’intervista del 13 luglio 2000 rilasciata a “La Stampa”:
«Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace – che solleva gli Stati nazionali dall’ansia mentre vengono privati del potere – con grandi balzi istituzionali … Perciò preferisco andare lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questa è il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni europee»?
E cosa ne pensa delle altre considerazioni dello stesso Giuliano Amato sul fallimento dell’euro (qui e qui)?

5) Nel 2017 il Giappone ha raggiunto un debito pubblico pari a 10.272 Mld di Euro con un PIL pari a 4.060 Mld di Euro (4.872 Mld $) e quindi un rapporto DP/PIL al 253% (per l’Italia gli stessi parametri al dic. 2017 sono: 2.263/1.725 Mld € = 131,2%); in altri termini il Giappone ha un debito pubblico 4,5 volte superiore a quello dell’Italia e un PIL pari a 2,4 volte quello italiano. Per non parlare del famoso rapporto deficit/PIL (quello su cui il nostro Governo sta litigando con Bruxelles per ottenere il 2,4%) che in Giappone nel 2009 era al 9,5% e poi e sceso gradualmente fino al 4,5% del 2017. In poche parole il Giappone — verrebbe da dire lo Stato più keynesiano del pianeta — (che nel 2011 e 2012 ha realizzato un PIL di circa 6.200 Mld di dollari), ha dei parametri economici (debito pubblico e deficit) che farebbero impallidire la Commissione europea, Draghi, la Merkel e Macron. Eppure, proprio grazie ai massicci investimenti pubblici in deficit effettuati dal Governo, il Giappone con il suo Yen è la terza economia del Mondo; con una popolazione di 127 milioni di abitanti ha un tasso di disoccupazione al 2,4% (quello dell’Italia a fine 2017 è all’11,2%, con una disoccupazione giovanile al 35% e 18 milioni di italiani a rischio povertà, cioè un italiano su tre). Anche l’inflazione nel Sol Levante è bassa (in media lo 0,5% nel 2017 e l’1% nel 2018), una riprova che finché il sistema economico non arriva alla piena occupazione dei fattori produttivi l’inflazione resta bassa anche in presenza di abbondanza di moneta. Insomma il Giappone è la prova provata che il debito pubblico e il deficit, anche se molto elevati, non solo non sono un problema ma sono la leva fondamentale per ottenere un’economia forte e la piena occupazione. Un modello da seguire per tutto il Mondo.

Secondo Lei il Giappone ha ottenuto questi eccellenti risultati economici nonostante l’elevato indebitamento o invece proprio grazie a questo elevato indebitamento?

6) Autorevoli economisti (tra cui mi limito a citare Sapelli, Galloni, Bagnai e Malvezzi) sostengono, in linea con la comprovata teoria Keynesiana (che consentì al Presidente Roosevelt di superare la grave crisi americana del 1929 con il New Deal), che un’economia impostata sull’austerity e il pareggio di bilancio spinge lo Stato verso la catastrofe perché in una situazione di crisi, stagnazione economica e disoccupazione è necessario che lo Stato effettui massicci investimenti pubblici in deficit per rilanciare l’economia e l’occupazione. Del resto tutti possiamo vedere quali sono gli effetti dell’austerity sugli Stati eurozona. Secondo Lei tra la teoria keynesiana e quella neoliberista chi ha ragione?

7) L’art. 123 del Trattato sul funzionamento UE vieta alla BCE e alle Banche Centrali nazionali di intrattenere qualsiasi tipo di rapporto finanziario con gli Stati membri (prestiti, finanziamenti, scoperti di c/c ecc.) come anche l’acquisto diretto di titoli di Stato (cioè di nuova emissione). Questa norma ha avuto l’effetto, assolutamente voluto, di costringere gli Stati Eurozona, privati della sovranità monetaria, a reperire la moneta vendendo i titoli di Stato alle banche e alle grandi finanziarie, ossia alla finanza speculativa. Per l’Italia ciò ha comportato un costo di 70 – 80 Mld di euro all’anno in termini di interessi sui titoli di Stato a partire dal 2002. Peraltro l’Italia era già caduta rovinosamente in questa trappola degli interessi nei precedenti 20 anni a causa del “divorzio” del 1981 della Banca d’Italia dal Min. Tesoro, imposto autonomamente da Ciampi e Andreatta. In sostanza l’art. 123 ha realizzato un gigantesco trasferimento di risorse finanziarie dagli Stati Eurozona verso le élite bancarie e finanziarie, sottraendole così alle molteplici necessità degli Stati e dei cittadini, solo a motivo del divieto stabilito dall’art. 123.

Infatti la BCE ha due compiti principali: 1°) quello di fornire liquidità alle banche mediante finanziamenti o prestiti (a tasso zero dal marzo 2016 - quindi una sorta di bancomat delle banche) oppure acquistando i titoli di Stato detenuti dalle banche stesse, quindi sul mercato secondario (il famoso QE - Quantitative Easing). 2°) di tenere l’inflazione al di sotto del 2%.

In sostanza la BCE è la banca delle banche e non interagisce con gli Stati se non indirettamente acquistando dalle banche i titoli di Stato già in circolazione, fornendo così liquidità al sistema bancario.

Secondo Lei non sarebbe opportuno modificare l’art. 123 TFUE, attribuendo alla BCE il compito di finanziare direttamente gli Stati UE e di acquistare i titoli di Stato al momento dell’emissione – cioè di diventare realmente la Banca Centrale degli Stati eurozona - in modo da ridurre al minimo se non azzerare gli interessi sul DP?

8) Per quanto finora detto, le sembra normale e condivisibile che il benessere di uno Stato e di un popolo dipenda dallo spread e dai mercati finanziari (speculativi o meno che siano) quando basterebbe cambiare i compiti delle BCE per evitare queste problematiche?

Finora la BCE ha tutelato soltanto le banche, ma ora è giunta l’ora di cambiare registro e di pensare al benessere degli Stati e ai popoli. Se invece la UE continua a seguire le teorie ordoliberiste - neoliberiste basate sull’austerity, il pareggio di bilancio e l’attuale assetto della BCE la strada verso la povertà degli Stati e dei popoli dell’Eurozona è irreversibile.

In tal caso restano due opzioni: 1°) Uscire dall’Euro a gambe levate ed emettere immediatamente una nuova moneta nazionale (il famoso piano B o “cigno nero”). 2°) Rimanendo nell’Euro dovremmo riscrivere l’art. 1 della nostra Costituzione come segue: l'Italia è una Repubblica fondata sulle agenzie di rating. La sovranità appartiene ai mercati che la esercitano nelle forme e nei limiti del trattato di Maastricht. Peccato per i neoliberisti che l’art. 1 non può essere modificato poiché rientra tra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale.

Vorrei concludere riportando una importante frase pronunciata dal grande Presidente americano Abramo Lincoln, che 150 anni fa aveva già capito tutto:


mercoledì 16 maggio 2018

GIALLO-VERDI E MONETA SOVRANA di Eros Cococcetta

[ 16 maggio 2018 ]

Il sempre silenzioso Presidente Mattarella ha parlato: i trattati UE e l’euro non si toccano.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri (art. 92 Cost.). Ma "nominare" non vuol dire scegliere e poi nominare, vuol dire nominare e basta. E' la maggioranza parlamentare che ha vinto le elezione (che ha la necessaria investitura del "popolo sovrano") che sceglie il premier e i ministri. Il Capo dello Stato si può rifiutare di firmare la nomina? Direi proprio di no. Se il premier scelto e i ministri proposti sono incensurati come può il Capo dello Stato rifiutarsi? Non è richiesto neppure che siano laureati. Tuttavia se il Capo dello Stato dovesse rifiutarsi per motivi politici ci sarebbe uno scontro istituzionale gravissimo e, secondo me, valutabile anche ex art. 90 (alto tradimento o attentato alla Costituzione). E' anche chiaro che Salvini e Di Maio, alla prima esperienza di governo, cercheranno di evitare un tale scontro e i nomi saranno concordati.

Ma il sempre silenzioso Mattarella questa volta si è pronunciato: no a governi anti euro e anti trattati, alla faccia del voto del 4 marzo e dell'interesse nazionale. Il problema è che mentre la Lega si è pronunciata in modo chiaro contro l'euro e i trattati (Salvini, Bagnai e Borghi), il dubbioso Di Maio prima del voto si è pronunciato chiaramente sia a favore dell'euro che dei trattati. Intanto il leader pentastellato dovrebbe riflettere sul fatto che è l'attuale governance europea ad essere contro l'Europa e i popoli europei (ma il discorso qui sarebbe troppo lungo). In breve possiamo dire che la modifica dei trattati UE e il superamento dell'euro è una questione di interesse nazionale e, quindi, tutti i partiti, di destra, di centro o di sinistra, dovrebbero in teoria essere favorevoli a questo recupero di sovranità, assolutamente fondamentale per il futuro del nostro Paese.

E risulta paradossale che la destra sia sovranista mentre la sinistra parlamentare (che di sinistra non ha più nulla) da più di 20 anni ha rinunciato a difendere i lavoratori, aumentando il precariato e schierandosi in modo sempre più smaccato con le imprese e le banche. 
Peraltro non sarebbe neppure necessario uscire subito dall'euro. Quello che è fondamentale è l'introduzione di una moneta nazionale sovrana valida sul territorio nazionale, cosa fattibile ex art. 128 TFUE (QUI e QUI) che vieta agli Stati di emettere monete valide in ambito UE ma nulla vieta che uno Stato emetta una moneta valida nell’ambito del territorio nazionale (ognuno è padrone a casa sua). La Lega per iniziare cautamente pensa ai mini-bot. La nuova moneta sovrana consentirebbe allo Stato di finanziare in deficit (come diceva il grande Keynes) i servizi pubblici, di pagare i debiti verso imprese e cittadini e, in sostanza, di rilanciare l’occupazione e l’economia nazionale. 

Ma anche la moneta sovrana non basterebbe, perché i trattati UE e l’attuale art. 81 Cost. bloccherebbero qualsiasi tentativo di effettuare spesa in deficit. Senza dubbio i neoliberisti l’hanno studiata bene: prima ci hanno tolto la moneta (più esattamente i nostri politici incapaci o corrotti se la sono fatta togliere) e poi hanno creato un sistema di regole congegnate in modo da bloccare il più possibile la spesa pubblica, a tutto vantaggio delle multinazionali e della grande finanza che possono scorrazzare indisturbate e acquisire beni, aziende e servizi pubblici a prezzi di saldo. Quindi le due cose, introduzione della moneta sovrana e modifica dei trattati, dovrebbero necessariamente procedere di pari passo. 

Anche perché, diciamolo chiaramente, se il nascente governo giallo-verde (ammesso che vedrà la luce) non farà nulla sul fronte della moneta sovrana, della modifica dei trattati e dell’art. 81, non avrà i fondi per realizzare quasi nulla di quanto annunciato in campagna elettorale: abolizione della legge Fornero, reddito di cittadinanza, flat tax, sostegno alle famiglie, più fondi per infrastrutture, sanità, scuola e i servizi pubblici in generale. In questo caso Lega e 5 stelle farebbero la figura dei quaquaraquà con gli elettori e sicuramente alle prossime elezioni sarebbero puniti pesantemente. 

In sostanza i due partiti vincenti alle scorse elezioni non hanno scampo: o si scontrano con i difensori del neoliberismo, in casa e in Europa, oppure sono destinati a una pesante figuraccia e a un notevole ridimensionamento elettorale. 

Staremo a vedere se questo governo nascerà, cosa che al momento sembra alquanto difficile.

mercoledì 3 gennaio 2018

LISTA DEL POPOLO, FACCIAMO A CAPIRCI di Leonardo Mazzei

[ 3 gennaio 2018 ]


Risposta a Glauco Benigni su sovranismo e dintorni


Già una settimana fa ho replicato ad un articolo di Glauco Benigni che polemizzava con la Confederazione per la Liberazione Nazionale (CLN) attorno al tema della sovranità. 

Discussione per nulla astratta, in quanto riferita alle concrete vicende della "Lista del popolo". Adesso Benigni torna sulla questione, rispondendo a sua volta al mio articolo. Gliene sono grato, dato che sarà forse possibile mettere meglio a fuoco alcune questioni.

Benigni inizia dicendoci che gli «dispiace sinceramente che la CLN si sia dissociata dalla Lista del Popolo». Naturalmente non ho alcun motivo di dubitare della sua sincerità personale, ma il problema è un altro, ed è esattamente quello di non voler capire le ragioni della nostra dissociazione. 


Frasi come «Ancora una volta hanno vinto i nostri avversari... frettolose interpretazioni di posizioni espresse durante il dialogo... antichi giochi fondati sulla sfiducia di base e sugli ego», proprio non servono a nulla.

Io rispetto, pur non condividendole, le posizioni di Benigni. Ma il rispetto dovrebbe essere reciproco. E in primo luogo il rispetto avrebbe da manifestarsi attorno alla realtà dei fatti che hanno portato alla rottura. E qui proprio non ci siamo.

Il che mi costringe a ribadire, spero per l'ultima volta, cose già scritte in abbondanza. In breve, quando i promotori della lista (Giulietto Chiesa ed Antonio Ingroia) hanno cambiato le carte in tavola, sulla questione - per noi decisiva - dell'UE, ma pure sul programma di nazionalizzazioni, la CLN gli ha subito scritto per superare il passo indietro compiuto. 

Riporto di seguito un passaggio di quella lettera:
«Ci riferiamo anzitutto alla posizione sull'Unione Europea che tende a confondersi con l’"altreuropeismo" (quello a la Tsipras et similia, per intenderci). E’ scomparsa poi, inopinatamente, la questione delle nazionalizzazioni delle banche (a partire da Bankitalia) e dei settori strategici dell'economia. Sappiamo che per unire forze diverse un compromesso è inevitabile. Ma, se le cose hanno un senso, il profilo programmatico ha da essere conseguente al grido d'allarme che lanciamo. Se parliamo di sovranità dobbiamo dire chi la minaccia e che cosa fare per riconquistarla».
La CLN non ha mai preteso di imporre la propria visione, il proprio programma, le proprie parole d'ordine. Abbiamo invece proposto un ragionevole compromesso. Grave colpa, evidentemente, dato che tale proposta è stata sdegnosamente respinta dai due promotori (meglio sarebbe dire padroni) della lista. Benigni era presente all'assemblea del 16 dicembre e tutto ciò non dovrebbe essergli sfuggito.

Non si capisce allora come egli voglia dipingerci come arroganti portatori di "verità". O meglio, lo si capisce fin troppo bene nel successivo passaggio nel quale il Nostro si dichiara nientemeno che agnostico sulle questioni euro ed UE.

Agnostico? Certo che ce ne vuole dopo dieci anni di crisi, di un dramma sociale targato euro/UE, di politiche economiche ed anti-sociali portanti lo stesso marchio, dopo decine di pubblicazioni che hanno mostrato il nesso inscindibile tra euro/UE ed austerità, tra quest'ultima ed il peggioramento drammatico delle condizioni di vita della maggioranza degli italiani!

Ce ne vuole, eccome! Ma se questo ancora non basta, ognuno è libero di percorrere la sua strada. Basterebbe non falsificare le posizioni di chi, avendo aperto gli occhi per tempo, ha solo chiesto un minimo di coerenza a chi pure si dichiara sovranista.

Ma coerenza per cosa? Solo per una mania intellettuale? No, per onestà (che non è solo quella cosa che immaginano i grillini), ma soprattutto per chiarezza politica. Quella chiarezza che avrebbe potuto essere la forza della "Lista del popolo". Una forza che invece non ci sarà, relegando la lista -  ammesso che riesca a presentarsi grazie alla probabile norma "salva-radicali" - nel parco dell'irrilevanza degli zerovirgola.  

Perché questo sarà l'effetto del tabù altreurista. Salvo la Bonino, oggi nessuno è così fesso da dire "più Europa". Tutti chiederanno invece, con maggiori o minori accentuazioni, un'altra Europa. Chiederanno cioè una cosa impossibile. Spiace che anche la "Lista del popolo" abbia scelto di unirsi a questo ipocrita coro. Ma ormai le scelte sono fatte e non è nostra intenzione continuare a polemizzare.

Ci sono però ancora tre cose che voglio dire a Benigni.

La prima riguarda il livello di coscienza degli italiani sul tema euro/UE. Secondo il rapporto 2017 del Censis, pubblicato di recente, il parere degli italiani sulla moneta unica è negativo per 80,1% degli intervistati. Non solo, mentre il 95% esprime il senso di appartenenza alla propria nazione, solo il 45% manifesta un analogo sentimento verso l'Ue, che sarebbe "forte" solo per l'8%. Queste le cifre assolute, ma l'orientamento anti-euro ed anti-Ue è più forte tra gli operai, i disoccupati e le casalinghe. Insomma, le classi popolari sembrano avere le idee più chiare di tanti promotori di liste (e non mi riferisco soltanto alla "Lista del popolo")... Non tenerne conto, in nome di una posizione "politically correct", è semplicemente autolesionista. Peccato.  

La seconda riguarda la Banca d'Italia, che noi vogliamo riportare sotto il controllo pubblico e la "Lista del popolo" invece no. A leggere Benigni qui si coglie un certo livello di approssimazione. Per il Nostro essa servirebbe soltanto «a stampare quantità illimitate di moneta». Tutto ciò solo «in ossequio alla Sovranità del Mercato». 
O Santo Cielo! Ma di cosa straparla? A parte il fatto che in un regime di sovranità monetaria è il governo che dispone questa o quella mossa della Banca centrale, come dimenticare le altre funzioni macroeconomiche di questa banca, tra le quali la politica dei tassi e la funzione di acquirente di ultima istanza dei titoli del debito pubblico? La verità è che senza una Banca centrale sotto il controllo pubblico non può esserci una politica economica degna di questo nome. Ma qui è Chiesa che ha chiesto un giuramento sulle opposte tesi del Micalizzi. Auguri!

La terza riguarda certi ragionamenti catastrofisti di cui il Nostro ha infarcito il suo intervento. Quelli secondo cui uscire dall'euro/Ue sarebbe il caos se non la catastrofe. Su queste cose tanto abbiamo scritto (certo non solo noi) e qui non ci torniamo sopra. Mi limito perciò ad indicare al Benigni il nostro Vademecum sull'uscita dall'euro. E' della primavera del 2014, ma è sicuramente più aggiornato di certe "riflessioni" che ci vengono riproposte ancora oggi. Noi abbiamo sempre detto che l'uscita dalla gabbia dell'euro non sarà di certo una passeggiata, ma le classi popolari del nostro Paese non possono più passeggiare serenamente da tempo. E' per questo che parliamo della necessità, per gestire tale rottura, di un governo popolare d'emergenza fondato sulla realizzazione di un programma di misure economiche urgenti.

Infine, ma qui siamo al comico, il Benigni chiede a me (sic!) di garantire che le non meglio precisate "Forze Occulte" non tentino di innescare il caos il giorno dell'uscita dall'euro. Ma si può!!!??? Certo che le forze del sistema non starebbero con le mani in mano, ma egli pensa forse di poter uscire dall'attuale regime senza scontrarsi con il blocco dominante? 

In ogni caso Benigni si tranquillizzi. Tra incertezze reali e presunte, tre certezze per il giorno dell'uscita mi sento di affermarle: 1) il sole continuerà a sorgere ad est, 2) le stagioni continueranno ad alternarsi, 3) chi non vuol capire oggi avrà le stesse difficoltà anche domani.
Tra queste tre certezze, l'ultima è la più certa di tutte.   

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