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martedì 3 settembre 2019

M5S ED IL MITO DELLA SINISTRA CHE NON C’E’ di Inessa Armand

[ martedì 3 settembre 2019 ]

Volentieri pubblichiamo questo duro intervento che ci ripropone la tesi della scomparsa della dicotomia destra-sinistra. Tesi che viene da lontano e che abbiamo avuto modo di contestare. Ci permettiamo di segnalare: 



DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA: TRAMONTO O ECLISSI? sulle tesi di Preve e Fusaro?
DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA: critica a Giulietto Chiesa,  
SOVRANISMI (DI SINISTRA, DI DESTRA... E DI CENTRO)

*  *  *

RIFLESSIONI SUI PERICOLI DELLA NOSTALGIA E
SULLA POTENZA DELLE ALLUCINAZIONI




Esaminando l’attuale situazione politica è necessario, quanto inevitabile, che il termine “sinistra”, parafrasando Trotsky, venga definitivamente gettato nella raccolta differenziata, tra i rifiuti altamente tossici, più esattamente tra quelli radioattivi.
Che ci si riferisca alle mutazioni genetiche del PCI o alle diverse scorie prodotte dalla deflagrazione di organizzazioni post sessantottine, il risultato non cambia, si tratta ormai, mutatis mutandis, esattamente della stessa melma.
 Per anni, la sinistra “radicale” e quella “canonica” si sono scontrate, caratterizzate da una diversa prassi politica che rendeva possibile fare dei distinguo; ora tutto è cambiato e, in questa fase di importanti trasformazioni sociali, si ritrovano accomunate da inqualificabili prese di posizione: dalla difesa della teoria gender, alla ”illusione del multiculturalismo” ( la cui massima espressione è il Global Compact che giustifica e garantisce un’immigrazione totalmente incontrollata), dalla scienza teorizzata come nuova teologia (per far passare l’obbligatorietà di 12 vaccini ed una mostruosità come la Triptorelina) fino alla difesa della legge sulle impronte digitali o quella sulle fake news (ovvero l’ultima frontiera, almeno per ora, del controllo sociale).
Conseguentemente, ora più che mai, proprio alla luce di quanto accade, appare chiaro che il vocabolo “Sinistra” è un significante vuoto ovvero privo di significato.
Ne consegue che quel che le élites neoliberali hanno sbandierato come la sparizione della dicotomia destra/sinistra è, pertanto, semplicemente, un’ipocrisia, un’invenzione ideologica prima che politica. 
 E’ necessaria la mera presa di coscienza di questo inganno per iniziare a ragionare sul presente; affermare quanto sopra non vuol dire negare le differenze di analisi e, di conseguenza, ideologiche tra le diverse teorie sulla prassi politica, vuol dire, anzi, liberarle dalle grottesche generalizzazioni a cui si è arrivati a causa di un ristagno teoretico, di un lunghissimo riflusso e di un’immobilità concettuale senza precedenti. In tale situazione, avvalersi ancora del lemma “Sinistra” è qualcosa che, politicamente, non ha più senso.
Nei secoli precedenti, il contesto storico politico ha originato fondamentali dottrine economico-filosofiche: si parlava di marxismo, leninismo, trotskismo, lambertismo, bordighismo... Pur esistendo il termine Sinistra, questo designava un concetto talmente vago da essere solo parzialmente utilizzabile, un’idea geografica prestata alla politica; la Sinistra, come blocco ideologico, non esisteva e, forse, non è mai esistita.
Tra la metà dell’800 e gli inizi del ‘900, sono state elaborate teorie, creati strumenti di interpretazione di quella realtà e rivoluzionato il corso degli eventi. Parliamo di una fase storica precisa.
Ora però siamo nel 2019 e la fase storica è cambiata radicalmente, la situazione politica, economica e sociale non è più, neanche lontanamente, paragonabile a quella dei secoli scorsi, per dirla tecnicamente, siamo in un altro ciclo di accumulazione capitalistico.
Una diversa realtà ha, conseguentemente, bisogno di essere interpretata con nuovi strumenti e necessita di una nuova teoria politica. Continuare a decodificare il momento attuale servendosi della concezione, degli strumenti interpretativi e delle categorie socio-economiche create tra il 1848 ed il 1940 sarebbe come combattere i missili, di cui dispongono oggi le forze neoliberali, con i cannoni ed i fucili a scoppio. Sarebbe assurdo, oltreché assolutamente stupido. Sarebbe un inutile massacro, la cronaca di una morte annunciata e, peggio ancora, una follia anacronistica.
Ancora fino agli anni ’70 la realtà era diversa: analizzando la situazione sociale è possibile affermare che ci fossero un grande partito di massa, il PCI, e grandi sindacati di massa, un blocco sociale enorme incanalato e tenuto insieme affinché le istanze e le semplici rivendicazioni non potessero, in alcun modo, sfociare in un movimento che avrebbe rischiato di diventare ingestibile.
Che cos’era la sinistra in Italia e che cosa è diventata? Ci sono state moltissime organizzazioni partitiche, dal PCI al PSI o DP (solo per citarne alcune) fino ad arrivare al PRC e tutto quel che dalla scomparsa del PCI è fuoriuscito, PD compreso, ma c’era anche una così detta sinistra rivoluzionaria, una miriade di organizzazioni molto prolifiche intellettualmente ma solo parzialmente radicate sul territorio, spesso poco più che dei circoli culturali, dei centri studi.
Molte di quelle organizzazioni esistono ancora ma sono rimaste intrappolate nel loro pensiero pensante, come in una bolla dalla quale vedono lo scorrere del tempo ma non i cambiamenti sociali. Peggio ancora esse hanno completamente aderito alla propaganda neoliberale della globalizzazione e, paradossalmente, gli stessi che avevano partecipato al movimento No global, ora si trovano impastoiati, impantanati nella grande narrazione.
La sinistra canonica (PD, PRC ecc) non è stata da meno: ha aderito a Maastricht ed agli altri trattati, con le disastrose conseguenze che ben conosciamo, ha abbattuto la produzione manufatturiera avallando la delocalizzazione, ha distrutto il lavoro salariato grazie al mortale colpo del Job Act, ha tagliato drasticamente le pensioni mediante la legge Fornero, ha dato il colpo di grazia alla sanità pubblica ed ha portato avanti la demolizione della scuola e delle università e l’hanno chiamata “Buona scuola”.
Ha portato a termine o ha dato il colpo di grazia perché il percorso era iniziato prima: senza fare archeologia politica, è possibile affermare che l’era della distruzione è iniziata dopo mani pulite con i diversi governi tecnici e con Berlusconi (la complicità delle sinistre è stata comunque determinante), poi, come è noto, le élites hanno visto in Renzi un candidato promettente. Ha fatto un gran bel lavoro di smantellamento mentre un’altra parte della sinistra si impegnava alacremente, e si impegna tutt’ora, in arcobaleni ed in una acritica “accoglienza” senza minimamente rendersi conto che la maggioranza della popolazione si sta ribellando a questa visione perversa, sta vivendo una situazione sociale di estrema difficoltà: periferie sempre più impraticabili, salari abbassati, lavoro nero in aumento, disoccupazione ai massimi storici, impoverimento, degrado sociale, aumento della violenza… Chi prende posizione contro questa visione delirante è considerato un fascista, un razzista.
La sinistra è ormai inappellabilmente condannata ad allontanarsi dalle masse, non ne difende più gli interessi perché non è più in grado di comprenderne né le priorità, né le problematiche. E’ quella che ha tradito i lavoratori, è quella che difende l’immigrazione di massa, è quella che non difende la parità di diritti ma propaga la teoria gender, è quella che insulta ed accusa, è quella della giustizia rossa che non protegge, è quella della corruzione, della malasanità, degli appalti truccati, delle cooperative rosse… E’ Tutto questo.
Leggendo, senza pregiudizi e, soprattutto senza vuoti sentimentalismi, ciò che è accaduto in questi anni, la situazione italiana, appare assolutamente chiara, se poi estendessimo questa analisi a quanto è successo negli ultimi mesi, considerando non solo l’esito delle elezioni politiche, ma quello delle elezioni europee e locali, regionali e comunali, la veridicità di quanto affermato, diventa inoppugnabile.
I blocchi sociali, così come li conoscevamo ed erano rappresentati, almeno fino agli anni ’60, non esistono più; sono radicalmente mutati, scompaginati.
In Italia, un coacervo di istanze sociali, “sezionali e prepolitiche” ha cercato la sua espressione politica nelle urne ed ha affidato le sue richieste al governo che è seguito alle votazioni del 4 marzo: La Lega ed il Movimento 5 Stelle.
Fin dall’inizio, sia i mass media (ed in genere, il pensiero dominante) che le oligarchie eurocentriche, hanno aspramente avversato questo governo, ma, paradossalmente, proprio queste critiche hanno contribuito a tenerlo in vita ed a far sì che venisse percepito come qualcosa di diverso, un elemento di rottura con i precedenti.  
Sappiamo come è andata a finire: i “deplorevoli” sono stati delusi anche perché, ciò che per troppi non è ancora evidente, è la reale natura dei “Criceti di Satana”, quel buco nero che è il Movimento 5 Stelle, l’apoteosi della normalizzazione neoliberale.
Una disamina, di questo fenomeno politico da baraccone, appare necessaria ed urgente.
Il problema vero è costituito da coloro che, pur conoscendone la genealogia ed il successivo sviluppo, perseverano nel considerare il M5S qualcosa di diverso da quel che è.
Il M5S è un movimento creato a tavolino in guisa di contenitore, nel senso più stretto del termine: contenere! Convogliare e contenere il malessere sociale, canalizzandolo in un ambito istituzionale. La fede in una fantasiosa distopia tecno-scientifica è il pilastro che soggiace a sgangherate posizioni politiche di circostanza. Per provarlo, oltre ogni ragionevole dubbio, è sufficiente analizzare il modo in cui hanno normalizzato certe espressioni chiare di istanze sociali, di malcontento. Due esempi fattuali: il reddito di cittadinanza, il cui progetto originale avrebbe potuto segnare un passo avanti nell’ambito delle conquiste sociali, svilito e deturpato in modo da farlo diventare una sorta di Hartz 4 tedesco e la legge Lorenzin peggiorata nel DDL 770. Questi erano due dei loro cavalli di battaglia pre-elettorali, hanno preso voti per questo; poi la montagna ha partorito il miserabile topolino. L’inganno è stato svelato dai fatti.
Altra prova a suffragare tale valenza normalizzatrice: all’indomani del colpo di mano di Mattarella ne avevano chiesto l’impeachment, idea difendibile, l’intromissione era insopportabile, chiunque se ne è reso conto; Di Maio annuncia una grande manifestazione di protesta, tempo ventiquattr’ore e tutto è finito con funambolico passo indietro: una possibile manifestazione di massa, trasformata in una pacifica ed innocua, quanto inutile, scampagnata post elettorale al circo Massimo.
Il M5S non ha nessuna intenzione, prima ancora che la capacità, di “tenere una piazza”, non gli interessa: è stato creato con l’intento opposto. Se non basta ciò che è accaduto in Italia, analizziamo quel che è successo in Francia, altrettanto emblematico: Di Battista e Di Maio incontrano una delegazione di GJ a Nizza e ciò che ne segue è una listaccia per le elezioni europee che ha solo emarginato i quattro gatti che vi hanno aderito.
Spazzatura neoliberale ma ammantata dell’uso di un altro termine (per altro altrettanto svuotato di significato) “onestà” che loro hanno trasformato in parola d’ordine, mantra scriteriato che ripetono mentre vorrebbero ridurre lo spazio democratico ratificando la diminuzione del numero dei parlamentari (che ricorda il referendum renziano), il taglio degli stipendi dei parlamentari, l’abolizione delle provincie, l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti.
 Analizzando, non è difficile vedere quel che si cela dietro queste richieste: sono tutte applicazioni di direttive europee, sebbene abbiano cercato di travestirle da innovativi punti programmatici (presenti nel loro Programma Elettorale insieme ad altre preoccupanti quanto aberranti derive tecnocratiche), cascami europeisti dissimulati come scelta politica contro gli sprechi.
Il loro europeismo è, de facto, inequivocabile, tanto che certe dichiarazioni di Di Maio, come quella “noi non siamo contro i vicoli europei” (FQ 07/05/2019) suonano quasi ridondanti, al pari della rivendicazione del Salario minimo orario europeo (dovremmo parlare di circa 9,00 Euro lordi), ancora una volta di renziana memoria!
Ogni possibile dubbio è stato infine dissipato dal voto alla Von der Leyen, perfettamente in asse con le altre forze europeiste, tra le quali spicca il PD.
A voler pensar male, si potrebbe evincere che le oligarchie finanziarie europeiste avevano deciso di affidare a questo magma, che è il M5S, il ruolo che, precedentemente, avevano conferito a Renzi che era riuscito, solo in parte, a portare avanti il progetto. Il suo delirio di onnipotenza lo aveva convinto ad usare il Referendum come mezzo, gli italiani hanno reagito compattamente mandando un chiaro segnale. Il M5S sta cercando di perseguire lo stesso fine, con altri mezzi, molto più pericolosi perché surrettizi.
Questi “Criceti di Satana”, con una fede cieca nella tecnologia e nella scienza, pronti ad asserire e poi negare qualsiasi assunto, non si sono dimostrati altro se non utili idioti al servizio di poteri più grandi di loro.
La base elettorale se ne sta rendendo conto, l’illusione è ormai stata ampiamente svelata ed è per questa ragione che hanno iniziato a perdere consensi ovunque, un’emorragia che parrebbe confermata dalle ultime consultazioni elettorali. Avevano promesso, hanno tradito, hanno perso voti.
Pochi non ne hanno ancora preso atto, evidentemente, vittime di un abbaglio politico-sociale o di un errore di valutazione: ignorano le origini di questo movimento e ne ignorano la natura, ovvero si barricano dietro ad una perversa, quanto fallace, giustificazione, ciò è dire e sostenere che il M5S sia meno liberista della Lega: questo è l’assunto politico più inquietante! Eppure era Von Hayek che teorizzava che “uno vale uno” ma forse gli è sfuggito… E, se gli è sfuggito questo, gli sono sfuggite molte altre posizioni indifendibili: gli è sfuggito che Il reddito di cittadinanza è uno Hartz4, che la Ministra Grillo ha fatto passare la Triptorelina, che il personale scolastico e medico potrebbe essere sottoposto ad un numero indefinito di vaccini, che l’ecotassa colpisce gli strati più deboli della popolazione, che la digitalizzazione è controllo sociale, che la tutela del Made in Italy è la svendita all’imperialismo sub-umano cinese, che il 5G è un potenziale pericolo per la salute, che ridurre il numero dei parlamentari riduce i margini della democrazia…
Tutto inutile. Vedere questo significa analizzare e condannare, senza appello, le scelte politico-sociali di un’organizzazione che millanta novità, non vederlo vuol dire appellarsi ad una sorta di surrealismo magico.
Le ombre delle ombre della caverna di Platone.
Non si intravede, neppure analizzandolo al microscopio elettronico, nel M5S, alcun blocco sociale di riferimento a cui ci si possa appellare, a meno che non sia per smascherare il loro opportunismo elettorale ed il loro totale asservimento all’Unione Europea. Il fatto è che costoro non hanno accumulato nulla di tangibile: ciò che fanno balenare, come blocco sociale, è volatile, evanescente ed accessibile senza essere costretti a stipulare alcun contratto o legame.
Ciò che si evince, guardando la realtà e quindi anche il substrato elettorale di questo governo (cioè di entrambe le forze che lo compongono), è una congerie di istanze sociali diverse, espressioni eterogenee di una diffusa insoddisfazione sociale, che ha consegnato le proprie aspettative a coloro che hanno dato ad intendere di rappresentare, e poter attuare, il cambiamento. Legarsi politicamente, a chi ha fatto dell’infingimento la sola pratica politica, è suicidio inutile ed una lettura diversa può essere solo frutto di un fallace pregiudizio ideologico.
Questa ostinata miopia, al pari del vagheggiamento di un’altra “sinistra” come qualcosa di diverso dall’accozzaglia realmente esistente, appare come un inganno della ragione, un’ineffabile quanto patetica nostalgia che ha a che fare più con la psicoanalisi che con la politica.
Continuando ad essere prigionieri di questo incantesimo, il rischio è quello di ritrovarsi o fermi ad aspettare invano Godot o, peggio ancora, a non avere il coraggio politico di fare il passo necessario verso una consapevole emancipazione da ogni forma di nostalgia e dal pregiudizio.
Quel che occorre è, innanzi tutto, intercettare le variegate sollecitazioni sociali e dargli una risposta politica precisa e non dissimulata, semplice e non fuorviata da anacronismi ideologici inadeguati, una risposta in grado di coalizzarle intorno ad una visione chiara del momento attuale e delle strategie per uscire da questo impasse politico, economico e sociale.
Dissolvere il fumo propagato da questi mendaci venditori, servitori sciocchi dell’Unione Europea, e ripulire l’aria mostrando la gabbia in cui siamo finiti, “la tela di ragno” in cui siamo intrappolati da vent’anni.  Il resto appare come un’assoluta perdita di tempo che mostra un totale disprezzo per l’urgenza di assunzione di responsabilità che la rapida mutevolezza degli eventi richiede.
 Non è possibile continuare a correre dietro a tutto ciò che accade, prestando attenzione ad ogni abbaiar di cane, occorre aver chiara la meta, sapere dove andare, avere delle priorità ed affinare una strategia per raggiungere lo scopo.
Non servono mirabolanti previsioni astrologiche sul futuro, peraltro puntualmente ribaltate dai fatti perché, qualsiasi cosa accada, chi fa politica fuori dalle organizzazioni partitiche esistenti, deve essere attento, deve sottoscrivere una dichiarazione di assunzione di responsabilità e deve essere assolutamente credibile; appellarsi ad una fantomatica “sinistra”, di qualsivoglia tipo, è un errore tattico, terminologico politicamente indifendibile, occorre prenderne atto. Non è una strada percorribile e la nostalgia non aiuta, il cordone ombelicale va troncato di netto, nessun sentimentalismo è possibile, ancor peggio ogni sentimentalismo è destinato al naufragio.

 E’ necessario, al contrario, leggere, senza preconcetti, la realtà, fornirne adeguati strumenti interpretativi ed elaborare, sulla base dei risultati di questa lettura, una teoria che soggiaccia ad una strategia che diventi pratica politica.  

* Fonte: FRONTIERE

lunedì 30 luglio 2018

A CHI CONVIENE SPACCARE L'ALLEANZA M5S-LEGA? di Piemme

[ 30 luglio 2018 ]

Silvio Berlusconi — la bestia nera di tutti i "progressisti" che si fan dare la linea dalla conventicola de la repubblica —, ha definito il governo M5s-Lega "il più a sinistra della storia".
Affermazione categorica che, dato il pulpito, deve far riflettere.
Anzitutto ci dice che il cavaliere nero, in fatto di tassonomia politica, contrariamente alle panzane postmoderne, crede e come esista e persista la dicotomia destra-sinistra. I capitalisti non amano gli arzigogoli concettuali, come Berlusconi sono tipi pratici: è di destra ubbidire al grande capitalismo, è di sinistra andare incontro agli interessi del popolo lavoratore.

Il film che vedono a sinistra è opposto. Quello giallo-verde sarebbe il "governo più a destra della Repubblica", peggio, sarebbe un governo "fascista".

clicca per ingrandire

Per il segretario di Rifondazione comunista (vedi grafica a destra dal sito del Prc) Salvini non solo sarebbe l'erede di Mussolini ma addirittura del Ku Klux Klan. 
Spiegate ad Acerbo che il rito del KKK di bruciare la croce simboleggia appunto il rifiuto di venerare la croce, quindi  l'esatto contrario della sua esposizione. Massima apostasia per i cattolici quella del KKK, visto la croce è emblema della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Stendiamo un pietoso velo e torniamo alle cose serie.

Per capire meglio cosa voglia intendere Berlusconi ci corre in soccorso Luciano Fontana, direttore del CORRIERE DELLA SERA. Occorre leggere con attenzione il suo editoriale nell'edizione di ieri: Il grido di allarme che cresce.
«C’è qualcosa di molto preoccupante nelle decisioni e negli annunci che ogni giorno arrivano dagli esponenti del nuovo governo. C’è un sentimento diffuso di disagio nel mondo dell’impresa, soprattutto nel Nord del Paese. Alcune scelte hanno già avuto conseguenze immediate, altre possono cambiare (irrimediabilmente) la cultura del lavoro e dell’impresa nel nostro Paese. Misure sui contratti, Ilva, Alta velocità, gasdotto Tap, Alitalia: sono i capitoli di un «vasto programma» che sta diffondendo l’idea di un’Italia che si chiude al mondo, non rispetta gli impegni, rinuncia alle sfide della competitività nel mercato globale, ostacola chi il lavoro lo crea. Una cultura che ha pregiudizi verso gli imprenditori (siano essi piccoli, medi o grandi), che ingabbia lo spirito d’iniziativa individuale, il desiderio di migliorare la propria condizione di vita con le armi della competenza, del rischio e della determinazione. Si può decrescere (non sappiamo se felicemente o no), tanto ci penserà lo Stato. O la Cassa Depositi e Prestiti, cassaforte del risparmio degli italiani. E se non ci sono i soldi per gli interventi pubblici meglio accumulare altro deficit. Come se non avessimo già un debito pubblico enorme che i contribuenti, prima o poi, dovranno pagare. Le vicende dell’acciaieria Ilva a Taranto e della Tav Torino-Lione sono emblematiche soprattutto per il segnale che stiamo lanciando agli investitori stranieri che ancora producono in Italia o avrebbero intenzione di farlo. Prima erano la burocrazia e la corruzione a costituire i principali ostacoli, ora c’è un’ideologia di governo improntata al sospetto. (...) Sta radicandosi l’illusione che lo Stato penserà a tutto: con i sussidi o con i suoi interventi. Un Eden, un mondo fantastico in cui ogni cosa è possibile. Il grido d’allarme è rivolto soprattutto a Matteo Salvini, detentore di un largo consenso nel mondo produttivo. Fino a quando asseconderà l’alleato di governo?».
""L'Italia che si chiude al mondo", "che rinuncia alle sfide della competitività del mercato globale", un governo che penalizza "La cultura del lavoro e dell'impresa", che svela "pregiudizi verso gli imprenditori e ingabbia lo spirito d'iniziativa".... 

Decodifichiamo quel che scrive Fontana: "Sappiamo bene che questo governo non è anticapitalista. Esso tuttavia, in quanto populista, risponde anzitutto alle istanze delle classi sociali che stanno in basso, e calpesta quelle delle classi che stanno in alto. E per andare incontro a chi sta in basso il governo deve invertire le politiche neoliberiste, l'idea che il mercato debba ubbidire a politiche pubbliche, rimettendo dunque al centro lo Stato.

Sembra di sentire, prima ancora che Luigi Einaudi, Milton Friedman:
«Ci sono molte varianti del liberismo. C'è un liberismo che propone un governo nullo, anarchico. C'è un liberismo che propone un governo limitato. […]  Ma in pratica non importa perché puntiamo tutti verso la stessa direzione».
Berlusconi in modo rozzo, Fontana in forma elegante c'entra il punto: il rischio è che questo sia il primo governo occidentale ad invertire la rotta, a chiudere con le politiche macroeconomiche liberiste e globaliste. E lorsignori sono molto preoccupati non solo perché questo "esperimento populista" conduce alla colisione con la Ue, potrebbe avere successo. 

Non sia mai! Occorre impedirlo! Di qui l'insidiosa manovra: lisciare il pelo alla Lega di Salvini affinché rompa l'alleanza con Di Maio e quindi faccia cadere il governo.

Dal che sorge la domanda: conviene al popolo lavoratore che questa manovra del grande capitalismo anti-nazionale ed euro-globalista vada in porto? O non è forse vero il contrario, che dobbiamo augurarci che l'alleanza M5s-Lega non si rompa?

Indovinate qual è la (non) ardua sentenza.


martedì 11 luglio 2017

PERCHÉ NON CI INTERESSA UNIRE LA SINISTRA di Sirio Zolea

[ 11 luglio 2017 ]

Esistono alcune categorie del conflitto politico che tendono a ricorrere nella storia delle società divise in classi, sia pur con forme molto variegate: tra queste vi è per esempio il costituirsi di formazioni rappresentative delle istanze dei poveri contro quelle dei ricchi, di chi è escluso dalla detenzione del potere politico contro chi ne è incluso, delle minoranze religiose/etniche/linguistiche contro e in difesa dalle maggioranze e così via. Tra queste categorie non rientra, invece, la “sinistra”, nozione epistemologicamente vaga, che rimonta alla Rivoluzione francese, strettamente legata al modo di funzionare (e ai limiti!) delle assemblee parlamentari, idonea a riempirsi di contenuti storicamente diversi nel corso degli ultimi secoli e ad esprimere interessi sociali tra loro variegati.
Per venire al panorama italiano, nessuno si sognerebbe di identificare la Sinistra storica con le istanze del quarto stato, che nel frattempo cominciavano a organizzarsi politicamente altrove (Partito socialista, sindacalismo rivoluzionario, movimento cooperativo, ecc.) e, pur senza disconoscere importanti convergenze con l’Estrema sinistra storica, assumevano ben presto un profilo autonomo anche da essa. Al di là della collocazione fisica degli eletti nelle aule rappresentative, l’identificazione della “sinistra” con le formazioni rivoluzionarie delle classi popolari resta un discorso a lungo minoritario nell’immaginario socialcomunista italiano, salvo riaffiorare in misura crescente nel corso della prima Repubblica, da un lato con l’ammorbidimento progressivo e scaglionato dei connotati rivoluzionari delle fazioni che in assemblea costituente avevano rappresentato le istanze delle classi popolari, dall’altro con la sua ripresa semantica ad opera di forze nate negli anni del movimento, connotata dall’aggettivo “rivoluzionaria” per distinguersi dalla deriva compatibilista adottata, in ultimo, anche dal PCI del compromesso storico. L’identificazione nominale tra movimenti rivoluzionari e “sinistra” prendeva corpo e si riempiva di significato in molti Paesi e contesti geopolitici (un esempio tra tanti, il MIR in Cile), senza, probabilmente, diventare maggioritaria tra le popolazioni del mondo (per es., senza prendere piede nel continente più popoloso, l’Asia).
Tutto ciò testimonia come l’identificazione tra sinistra e istanze popolari di trasformazione sociale, o quantomeno la loro convergenza, siano state possibili e persino frequenti tra l’età moderna e quella contemporanea e siano tuttora probabilmente attuali e significative in alcuni Paesi; in molti altri no, e lì le esperienze politiche di rottura di maggior interesse sono proprio quelle che hanno saputo disfarsene, senza con questo compromettere i propri connotati e contenuti rivoluzionari, ma adattandoli al tempo. Tornando a noi oggi in Italia, ritengo politicamente sbagliato e fuorviante operare una simile equazione. Non identificandosi la “sinistra” con un significato preciso e circoscritto, ma con nozioni storicamente determinate e di volta in volta convenzionali, non vedo l’utilità di accanirsi a negare a Renzi, D’Alema e relative consorterie il fregio della sinistra, quando essi sono diffusamente percepiti come tali.
Una tendenza negli ambienti politici progressisti è invece quella di sostenere che costoro hanno tradito la sinistra e di cercare di ricostruire una sinistra contro e fuori questa “falsa” sinistra. Questo modo di operare mi sembra fondarsi sull’assolutizzazione e cristallizzazione di certe nozioni di “destra” e “sinistra”, quali quelle autorevolmente definite da Bobbio intorno alla dialettica eguaglianza-libertà. Il punto non sta affatto nel criticare la teoria di Bobbio (anzi, la dialettica eguaglianza-libertà resta fondamentale nel definire lo spettro delle posizioni politiche!), ma di interrogarsi sull’utilizzabilità oggi, nella politica italiana, per realizzare un programma politico di rottura, del quadro semantico (convenzionale) a cui Bobbio, tra gli altri, aveva agganciato la propria analisi. Ecco, penso che la risposta a questa domanda non possa che essere pragmatica, ed essa deve essere positiva laddove la nozione di sinistra abbia mantenuto un forte ancoraggio popolare e l’abbandono di certi valori da parte di formazioni con una storia di sinistra possa essere diffusamente percepito come un tradimento di quei valori. È un’operazione politica che, forse, 15 anni fa avrebbe potuto avere un senso; oggi, nel nostro Paese, i suoi presupposti non ci sono più e tentare di perpetuarne le vestigia diventa solo una fonte di confusione e di ambiguità, uno stratagemma in cui tanti si sono crogiolati per anni al solo scopo di raggranellare qualche poltrona e poltroncina, ben lontani dal senso comune e creando un terreno fertile per quei gruppuscoli terzo-posizionisti che, dietro la critica dell’inattuale e impopolare dialettica destra-sinistra, e provando a cancellare con essa anche la dialettica fascismo-antifascismo, cercano, con qualche successo, di creare spiragli per il riaffiorare della più bieca e aperta reazione.
Per cui, in definitiva, lasciamo la sinistra a Renzi e D’Alema, lasciamo la sinistra al capitale, o meglio ad alcuni suoi settori (come d’altronde era già ai tempi di Depretis e Crispi), e, piuttosto che spendere sforzi disperati per risemantizzare in senso di rottura un concetto perfettamente riassorbito nella sfera della compatibilità al sistema, individuiamo le parole più adatte a costellare il nostro immaginario di rivoluzionari del nostro tempo, i concetti-chiave che più si prestano a fondare un tale discorso e facciamo dello stesso un paradigma unificante di contro-egemonia e di contro-potere popolare! Renzi e D’Alema sono la sinistra; noi siamo la rottura sociale, noi i rivoluzionari!
* Fonte: Senso Comune

sabato 17 giugno 2017

SINISTRA-DESTRA-FASCISMO-ANIMALISMO di Tonguessy

[ 17 giugno 2017 ]

Ieri abbiamo pubblicato la terza parte del saggio di Tonguessy. Tra i vari commenti un lettore si è distinto nella critica. Tonguessy  ci ha chiesto di poter con questo post. Facoltà che gli concediamo.
Caro Fabio,

spero tu sia la stessa persona che nelle “puntate precedenti” si lamentava che io non sono in grado di definire più precisamente cosa sia di destra e cosa sia di sinistra. Inizi dicendo che dovrei “dimostrare... che le politiche antiliberiste… proposte da gente di destra (neofascisteria varia) non c’entrano nulla con la sinistra”. 

Ho tentato di farlo citando Borghezio ed il modus operandi della fascisteria: per costoro le politiche antiliberiste sono solo un attrattore, uno specchietto per le allodole utile ad attirare gli ingenui. Borghezio all’estrema potenza diventa la Notte dei Lunghi Coltelli, quando Hitler ed Himmler si sbarazzarono della “sinistra nazista”, ovvero delle forze che permisero l’ascesa del partito nazionalsocialista (Rohm e Strasser) legate all’idea di rivoluzione permanente. 

Il termine stesso nazionalsocialista trae in inganno, e lo fa artatamente. Dietro a Hitler e al nazismo c’era la IG Farben, non le masse di disperati per i trattati di Versailles. La IG Farben è poi diventata il colosso chimico di Basf, Bayer, Agfa, Hoechst, Merck etc...e già ai tempi del processo di Norimberga fu detto che per debellare il nazismo occorreva estirpare la IG Farben. Niente di tutto questo avvenne. Perché? Semplice: i nazisti tornarono utili in chiave anticomunista. Non voglio qui divagare troppo, anche se questi aspetti sono direttamente collegati con le tue domande. La Storia ci ha consegnato delle risposte, basta saperle leggere. 

Hitler ai tempi di Schacht si inventò i MEFO come soluzione autarchica quindi “antiliberista”. Questo significa forse che non ci fu il riarmo e successivamente la seconda guerra mondiale? Oppure significa che i cittadini tedeschi stremati da una disoccupazione senza precedenti causa crisi del '29 non ne trassero giovamento? Come vedi non esiste il “male assoluto della destra”, ed una dose ragionevole di relativismo deve essere inserita anche in queste analisi. Certamente se si tira una riga e si fanno le somme alla fine i conti (almeno per quanto mi riguarda) tornano. 

Ad ogni velleità antiliberista proveniente da destra corrisponde una volontà di irretire le masse (populismo) mentre si stringono collaborazioni con i gruppi di potere, quelli che poi agiranno verso il monopolio. A sinistra c’è qualcosa di diverso. Intanto non c’è alcuna intenzione di irretire, di mettere specchietti per le allodole. Piuttosto si cerca di argomentare. La destra parla alla pancia, la sinistra alla testa. Ma non è solo questione di metodo, c’entra anche la finalità. Che nel caso della destra ha un riferimento fisso: alleanze con i grandi capitali. E questo fu il motivo per cui fallì la riforma agraria voluta dal fascismo (e fino a quel punto andata benissimo): alla fine i latifondisti pugliesi si dissero pronti a scatenare le “loro” camicie nere contro Mussolini, se questi avesse insistito con quella riforma che prevedeva lo smembramento del latifondo.

Volendo fare un parallelo potremmo tirare in ballo Portella della Ginestra, dove i braccianti guidati da socialisti e comunisti manifestavano per la spartizione delle terre. Sai già come andò a finire.

Questa è la differenza tra destra e sinistra che la Storia ci ha consegnato.

Passiamo allo statalismo: è di destra o di sinistra? Beh, dipende. Oggi che siamo sotto la cupola neoliberista è decisamente di sinistra, ma al netto delle precisazioni appena fatte. Sennò va a finire che Salvini in quanto antieuro è di sinistra. Hitler fu statalista? Direi di si, dato che fece risorgere la Germania dalle ceneri di Versailles, ma direi anche che uno stato totalitario come quello del terzo Reich non è nei piani di chi sostiene la sinistra oggi. Il nazionalismo in epoca di libera circolazione di tutto è sicuramente un modo per arginare la sconfitta programmata della sovranità nazionale.

Infine: “se sei contro il libero mercato , la mercificazione di tutto ecc..ma sei anche contro i diritti , l’emancipazione e l’inclusione delle minoranze , dei “diversi” ecc.. non sei di sinistra . Sei una destra sociale “. Boh. Ti ricordo solo che 100% animalisti fu fondato dal fascistissimo Fiore e si occupava di difendere i diritti di quelle “minoranze diverse” che sono gli animali. A parole. Non mi stupirei di sapere che ai vari gay pride partecipano nazisti, dato che esistono gay nazi.

D’altronde tra le fila naziste c’erano non pochi gay, tra cui il già citato Rohm. Quindi hai una visione della destra sociale che non mi trova d’accordo. E con questo passo e chiudo.

giovedì 8 giugno 2017

NÉ DESTRA NÉ SINISTRA (seconda parte): LA DESTRA PRO di Tonguessy

[ 8 giugno 2017 ]

(QUI la prima puntata)

Nella prima parte ho descritto i quattro quadranti:

1-la destra afferma che non esiste né destra né sinistra
2-la sinistra afferma che non esiste né destra né sinistra
3-la destra afferma che destra e sinistra sono ancora esistenti
4-la sinistra afferma che destra e sinistra sono ancora esistenti

Partiamo quindi ad analizzare il primo quadrante: la destra afferma  che non esiste né destra né sinistra.

La schizofrenia di negare la propria esistenza ed appartenenza politica di questo pulpito ha solo una ragione di esistere: convenienza. Si cerca di far tornare un interesse ormai svanito per la politica attraverso la negazione della propria storia. Il cortocircuito semantico ha lo scopo tutto postmoderno di creare nuove aspettative dalla ridondanza di significati: i valori di negazione dati alle affermazioni ci riportano al paradosso di Epimenide, cretese, il quale affermava che “tutti i cretesi mentono”. Tale affermazione impedisce di comprendere la differenza tra verità e falsità, lasciando l’interlocutore in una zona grigia da cui non può uscire.
Lo scopo di questa operazione la spiega molto bene Borghezio quando afferma “ci sono delle buone maniere per non essere etichettati come fascisti nostalgici ma come nuovo movimento regionale, cattolico etc.. ma sotto sotto rimanere gli stessi. Penetrate ovunque potete ma non dite alla gente che siete fascisti.”[1]

Si è fascisti dichiarando di non esserlo, Epimenide docet. Il secondo passo è conseguentemente negare l’esistenza di tutta la destra e, per contrappasso, di tutta la sinistra. Esiste solo l’indifferenziato che genera quel camoufflage ontologico che permette ai fascisti di “penetrare ovunque” negando di essere fascisti pur rimanendo tali con convinzione.

100% animalisti fa parte di questa crociata di camoufflage con finalità di penetrazione. La storia parte dalla già citata Terza Posizione che si poneva in contrapposizione tanto del comunismo quanto della destra capitalista ed imperialista. Proteiforme antesignano del né-né, uno dei suoi fondatori, Roberto Fiore, camaleontico leader neofascista, fonderà Forza Nuova tra le cui fila compare Paolo Mocavero, fondatore del movimento 100% animalisti. Lo scopo di queste avventure ambientaliste rimane sempre quello individuato da Borghezio: cavalcare l’onda del nuovo che avanza attraverso la gestione di un “nuovo movimento regionale” capace di catalizzare l’attenzione su questioni ormai passate in primo piano. “Non dite alla gente che siete fascisti”. Quale metodo migliore se non quello di dichiararsi ambientalisti, animalisti (o qualsiasi altra cosa sia di tendenza) negando l’esistenza della destra tout-court?

D’altronde la maggioranza dei movimenti della destra radicale ha quasi sempre rifiutato la collocazione a destra nello scacchiere politico, rivendicando il superamento dei concetti di destra e sinistra. Il Fronte della Gioventù di Marco Tarchi, ad esempio. Nei documenti del tempo si possono leggere queste affermazioni: 
«dobbiamo essere fautori della logica del superamento, basta con anticomunismo ed antifascismo, con le vecchie contrapposizioni che fanno il gioco del sistema. Né destra né sinistra, ma innovatori non inquadrati né inquadrabili in vecchi e logori schemi ideologici»... «In realtà non ci siamo mai definiti di Destra, anzi, noi crediamo in un superamento della dicotomia destra-sinistra». 
ha rivendicato Vincenzo Sofo, ricalcando esattamente le stesse argomentazioni che i neofascisti più avanzati usavano già quarant’anni fa. [2]
Ecco come Sofo (responsabile milanese de La Destra e collaboratore di Sintesi) spiega la situazione ai dirigenti de La Destra:
«i partiti di destra e di sinistra avranno vita breve. A ciò si aggiunge un'ulteriore motivazione: la dicotomia destra/sinistra è morta, non è più in grado di rispondere alle esigenze della società attuale….La Destra dovrebbe dunque costruire un partito solido e credibile in modo tale da riuscire in seguito a "vendersi" bene».[3]
Ma Sofo non è solo questo. E’ fondatore del think tank Il Talebano, (come si fa una destra) con lo scopo di contribuire al percorso della Lega e in generale della politica in senso sempre più votato alla valorizzazione dei concetti sociali di identità e comunità, ponendo l’accento sull’importanza dei giovani e degli intellettuali nella costruzione di un progetto per il Paese.[4]
Ed in effetti nel programma politico della Lega Nord per le elezioni europee 2014 troviamo affermazioni di questo tipo: “Il mondo è cambiato e con esso il senso della sfida politica. Le vecchie ideologie (“destra” e “sinistra”) ormai sono sorpassate e fuorvianti.[5]
Abbiamo saputo perché dichiararsi fascisti sia imbarazzante (infatti nessuno si dichiara più tale dopo l’illuminante intervento di Borghezio), mentre laurearsi da studente-fantasma invece no. Non abbiate paura, oggi esiste un sito anti-imbarazzo. Si chiama Trota e Lode e premette a chiunque (anche agli sgombri) di laurearsi. [6] Le vecchie categorie sono sorpassate: studenti e asini, fascisti e comunisti, idioti e geni. Azzeriamo tutto. 
Avanti così…..
Continuiamo le danze del né-né spostandoci verso il centrodestra con Luigi Brugnaro, imprenditore, dirigente e politico. Dal 2015 sindaco di Venezia grazie alla coalizione di centro destra (Forza Italia e Area Popolare) dopo il ballottaggio con Felice Casson, candidato di centrosinistra. [7] Il suo motto? Né destra né sinistra. Eppure a giudicare dagli sponsor politici…..
Anche il noto covo di anarcoinsurrezionalisti di Confindustria attraverso il proprio quotidiano si unisce al coro: 
«... è inevitabile sostenere la riforma costituzionale. Come si vede, qui sinistra o destra non contano, ma conta l’analisi del problema. …Un sistema di governo stabile, responsabile e semplice è né di destra né di sinistra. Esso costituisce la risposta di politica istituzionale ad un problema dell’Italia, divenuto un problema europeo».[8]
Cioè una classe politica di sinistra capace di promuovere progetti di stampo sociale sarebbe equivalente ad una classe dirigente di destra che realizza progetti neoliberisti. Una volta tali esternazioni avrebbero causato autentici terremoti. Oggi passano praticamente inosservate. 
(continua)

NOTE


giovedì 1 giugno 2017

NÉ DESTRA NÉ SINISTRA (PRIMA PARTE: LA FILOSOFIA) di Tonguessy

[  1 giugno 2017 ]

«L’identitarismo, il comunitarismo e via via fino al rossobrunismo sarebbero quindi forme di “manipolazione semantica dei segni” che, in pieno spirito postmoderno, generano ridondanze (falsi positivi e negativi) rispetto alla questione primaria di collocazione politica. Sono maldestri tentativi di meticciato che attraverso l’uso del melting pot pretende di accostare per omologare e infine confondere le identità su cui è stata costruita tutta la storia politica moderna. L’evidente scopo è di rendere intollerabili le distinzioni (cui prodest?) e dotare i cittadini di mille sofismi in grado di destrutturare le precedenti tassonomie».

Ringraziamo l'amico Tonguessy che  ha scelto SOLLEVAZIONE come tribuna per pubblicare un suo saggio con cui fa i conti con la cosiddetta "fine della dicotomia destra-sinistra". Qui sotto la prima parte. Le altre seguiranno nei prossimi giorni.

Tema, quello della "fine della dicotomia", su cui siamo intervenuti già:

DICOTOMIA DESTRA SINISTRA. LE DIVERGENZE TRA IL COMPAGNO CHIESA E NOI
 10 novembre 2010
DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA: TRAMONTO O ECLISSI? 
31 ottobre 2013
"ANCORA CON QUESTA STORIA DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA?" 
25 agosto 2016

Ma ora la parola a Tonguessy...




La postmodernità è quel fenomeno economico, politico, sociale e culturale entrato in conflitto con la modernità ed i miti e riti che la contraddistinguevano. Tra i maggiori studiosi della filosofia di questa transazione c’è sicuramente Baudrillard, il quale ha identificato nella saturazione e nella ridondanza due matrici cardini del fenomeno in atto. Il capitale attraverso l’industria ha creato da una parte una quantità tale di merci da fare sprofondare i mercati nella saturazione (incubo stagflazione), e dall’altra una moltiplicazione di oggetti e valori tali da generare ontologie parallele e spesso non sovrapponibili. La liturgia del consumo esponenziale (modernità) ha canonizzato i rapporti sistematici astratti con tutti gli oggetti-segno (postmodernità). 
«Il consumo non è un’attività materiale e neanche una fenomenologia dell’abbondanza. Il consumo, se mai ha un senso, è un’attività di manipolazione sistematica dei segni». [1]
La sistematica astrazione dei segni, ovvero la virtualizzazione del reale (che diventa quindi iperrealtà) trova facile applicazione nella digitalizzazione programmata dei rapporti (facebook, sms, wiki e tutto il resto passando per le fake news). La realtà precedentemente adagiata sull’universale davanti al multiverso postmoderno si deve quindi posizionare su stratificazioni di convenienza, legate al Sé da relativismi strutturali. Grazie alla ridondanza tutto tende all’infinito ed i vecchi punti saldi, dopo avere affrontato intemperie ed intemperanze postmoderne, si sono sgretolati. Ciò che prima aveva un senso oggi quel senso l’ha perso, ed il senso nuovo va ricercato nella pletora di stratificazioni che veicolano i vari significati. Saturazione e ridondanza. I codici (comportamentali, politici, culturali) sono stati decodificati e destrutturati ed i bit che li componevano sparpagliati, pronti per essere assemblati alla bisogna.

L’iperrealtà ci ha consegnato un mondo tanto reale quanto immaginario, al tempo stesso deterministico e casuale, significativo ed insignificante, pacifico e guerrafondaio, e via elencando antinomie. “La guerra è pace” di Orwell è la sintesi perfetta del manifesto postmoderno. Il faro nella notte grazie al gioco degli specchi è stato replicato all’infinito, e né notte né faro esistono più: grazie all’iperrealtà della moltiplicazione digitale ciò che li legava alla percezione è stato portato a ridosso dell’infinito, riducendoli a poltiglia informe ed indistinta. Nel multiverso attuale di loro resta solo il suo eco legato all’universo di una volta mentre si percepisce tutto attraverso l’algoritmo della moltiplicazione.

Nella cosmologia della postmodernità merita una particolare attenzione il concetto tutto politico e moderno di destra e sinistra.  

Secondo Norberto Bobbio «chi dice di non essere né da una parte né dall ́altra, non vuole semplicemente far sapere da che parte sta», concetto replicato da uno dei suoi più accreditati eredi, Michelangelo Bovero: «È una collocazione inevitabile, qualunque altra cosa si affermi, perché destra e sinistra non sono concetti identitari, ma relazionali. Ti chiedono di rispondere non alla domanda "chi sei?", ma a "dove sei rispetto agli altri?": se non lo dichiari tu, saranno le tue relazioni a collocarti».[2]

L’identitarismo, il comunitarismo e via via fino al rossobrunismo sarebbero quindi forme di “manipolazione semantica dei segni” che, in pieno spirito postmoderno, generano ridondanze (falsi positivi e negativi) rispetto alla questione primaria di collocazione politica. Sono maldestri tentativi di meticciato che attraverso l’uso del melting pot pretende di accostare per omologare e infine confondere le identità su cui è stata costruita tutta la storia politica moderna. L’evidente scopo è di rendere intollerabili le distinzioni (cui prodest?) e dotare i cittadini di mille sofismi in grado di destrutturare le precedenti tassonomie.

Un paio di casi (tra troppi): Claudio Mutti, comunitarista, tra i fondatori di Ordine Nero, fan del socialismo di Gheddafi e di Codreanu (Guardia di Ferro), fondatore del nazimaoismo italiano e saggista per “Rosso è nero” (!?). Il redattore di questa rivista, Paolo Seghedoni, scriveva: “Il fascismo italiano, quello nato come movimento il 23 marzo 1919 a Milano, è una costola del pensiero marxista...e vuole unire alla lotta sociale quell’Italia, nazione proletaria, contro le potenze plutocratiche allora come oggi padroni del mondo. Esistono varie tendenze in seno al marxismo: stalinisti, maoisti, operaisti, economicisti ecc...aggiungete dunque i fascisti tra queste tendenze.”[3]

La questione la voglio porre così: esistono quattro quadranti determinati dalle logiche combinatorie. Non cercherò di dimostrare che “dove sei rispetto agli altri” (e/o perché ti sei collocato lì) rimane la questione essenziale, mi limiterò a descrivere il percorso intrapreso da destra e sinistra per negare oppure rafforzare il diritto all’esistenza di queste due categorie politiche.  

Questi i quattro quadranti:
1-la destra afferma che non esiste né destra né sinistra
2-la sinistra afferma che non esiste né destra né sinistra
3-la destra afferma che destra e sinistra esistono
4-la sinistra afferma che destra e sinistra esistono

Il primo paradosso è capire come mai destra e sinistra affermino di non esistere, pur portando avanti programmi politici definibili come appartenenti storicamente a destra e sinistra. C’è qualcosa di evidentemente schizofrenico in chi afferma che la propria esistenza è inesistente, ma questa posizione ancora una volta nasce dai rapporti astratti con gli oggetti-segno. Dieci anni dopo la pubblicazione del libro “Il sistema degli oggetti” nasceva Terza Posizione che dava inizio alle danze del né-né. Così come lo yé-yé era un genere musicale che mezzo secolo fa permetteva di “mascherare le parole mancanti” [4], il né-né permette di sostenere l’indifferenziato postmoderno attraverso una presunta apolarità politica, affondando le proprie radici in un’evidente dislessia semantica che ha trovato ampie applicazioni da un secolo a questa parte .  
Giova ricordare che Terza Posizione è definito un “movimento neofascista eversivo” il cui simbolo si rifà al Wolfsangel, “adottato da numerose unità militari della Germania nazista” [tra cui la SS-Panzerdivision "Das Reich", ndr]. Per questo, ed il protratto utilizzo da parte di organizzazioni neonaziste, il simbolo è oggi talvolta associato con il Nazismo.”[5]
Il né-né inizia a presentarsi bene…. Certo che la confusione di certi ambienti non è proprio una novità, almeno se consideriamo la destra. Ci siamo già dimenticati che Mussolini inizialmente era socialista e che il partito nazista si chiamava nazionalsocialista?  
Fine prima parte (continua)

NOTE
[1] J. Baudrillard:Il sistema degli oggetti, 1968

giovedì 25 agosto 2016

"ANCORA CON QUESTA STORIA DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA?" di Piemme

[ 25 agosto ]

Sono molti quelli che, ritenendo che non abbia più corso la dicotomia destra-sinistra, ci criticano quando parliamo di "uscita da sinistra dall'euro". Così gli stessi ci facevano pernacchie quando demmo vita, nel febbraio 2014, al Coordinamento nazionale sinistra contro l'euro.
Questi critici sono passati nuovamente all'attacco siccome alcuni di noi hanno firmato recentemente il manifesto europeo "Lexit" —titolo che sta appunto per uscita da sinistra dalla gabbia dell’euro”.

Non ripetiamo questo slogan in modo ossessivo, tuttavia esso esprime un concetto giusto. Difendiamo l'idea dell'uscita di sinistra perché così qualifichiamo un programma di uscita dall’euro che potremmo definire "keynesiano radicale", quindi capace di portare fuori il Paese dal marasma ma senza scaricarne i maggiori costi sociali sulle spalle del popolo lavoratore.Quindi per distinguerci, non solo da ininfluenti (per adesso) gruppetti fascisti, ma da quelle frazioni nazional-liberiste del grande capitalismo che sono in agguato per salire al potere nel caso sempre più probabile, se non imminente, di uno sfascio della zona euro e della Ue.

Non escludiamo che sia necessaria un’alleanza tattica con queste frazioni nazional-liberiste —diciamo da anni che qui in Italia il Partito democratico è il principale nemico del popolo e che sarà necessario un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale come nel 1943-45—, ma a maggior ragione se questa alleanza tattica prenderà vita, le forze politiche  democratiche e socialiste rivoluzionarie non dovranno essere la quinta ruota del carro dei "gattopardi" (definizione di Brancaccio), dovranno essere pronte, il giorno dopo l’uscita, a combattere la destra nazional-liberista.

"E' morta la dicotomia destra-sinistra"....I diversi amici che si aggrappano a questa formula la difendono perché, dicono, è "senso comune oramai". 
Ma il "senso comune" è una medaglia con due facce. 

Sì, è "senso comune" che la sinistra politica e sindacale ufficiale ha tradito gli interessi dei lavoratori e si è venduta al mondialismo, ma proprio per questo, allo stesso tempo, è radicato "senso comune" che i valori ideali e i principi sociali di sinistra sono opposti a quelli di destra.

Ma è altrettanto radicata l'idea —certo, di meno fra i giovani— che gli ideali della eguaglianza sociale e le pratiche politiche di difesa di chi sta in basso, quindi la legittimità della lotta di classe contro chi sta sopra, siano ideali di sinistra. E' "senso comune" che chi si batte per il socialismo sia di sinistra. Come non si vive di solo pane, non ci si può limitare a chiedere di uscire dall'euro e dalla Ue. 

Non ha futuro un partito politico che come base programmatica ponga soltanto la "sovranità nazionale", che può essere declinata in tanti modi e che può essere usata da svariati furfanti politici. Un partito, o un movimento hanno bisogno di una visione del mondo, di un'identità forte, altrimenti hanno vita breve, sono partiti per una stagione.

Qui sta un punto sostanziale: assieme all’aggettivo “sinistra” si fa sparire il sostantivo “socialismo”.
Facendo della fine della dicotomia un dogma, non solo si butta il bambino con l’acqua sporca. Si rischia di spianare la strada al fascismo, che oggi come ieri si camuffa col discorso ingannevole “né destra né sinistra”.

Rimuovere il punto di arrivo del socialismo è spia di un cedimento all’ideologia dominante che vuole inculcare nella testa delle masse, non solo che il ‘900 è stato un secolo di orrore, ma l’idea che non c’è niente oltre il capitalismo, che è solo di varianti del capitalismo che si sta discutendo. 

Non è proprio questa la radice ideologica che ha portato la sinistra storica a diventare mondialista ed europeista?

martedì 20 gennaio 2015

«NÉ DI DESTRA, NÉ DI SINISTRA»: FASCISTI DENTRO di Anna Lami

20 gennaio


Con l’aggravarsi della crisi economica nell’area euro, in Italia è sorto un vasto e frammentato mondo associazionistico che si batte per l’uscita dalla moneta unica e dall’Unione Europea ed il recupero della sovranità nazionale. In quest’area, che in molti hanno definito “sovranista”,  è opinione piuttosto diffusa che la battaglia per la sovranità nazionale debba essere “trasversale”, quindi oltre le categorie di destra e sinistra, considerate ormai desuete, al pari della questione fascismo/antifascismo.

[Nella foto: Simone di Stefano di Casa Pound tra Adriana Polibortone vicepresidente di Fratelli d'Italia e Borghezio della Lega Nord]

Su posizioni simili, e con una cassa di risonanza decisamente più ampia rispetto agli ambienti “sovranisti”, si trova anche il Movimento 5 Stelle, che ha fatto del superamento  della dicotomia  destra/sinistra e del disinteresse per l’antifascismo un tratto significativo della propria identità politica.

Anche alcuni intellettuali di provenienza marxista, come Costanzo Preve o, quantomeno studiosi di Marx, come Diego Fusaro, hanno più volte sostenuto nei loro scritti l’esaurimento delle categorie destra/sinistra  e l’assurdità dell’antifascismo “in assenza di fascismo”. [Avevamo già avuto modo di criticare le idee di Preve e Fusaro. NdR]

Preve, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, è tornato spesso su queste questioni. Pur ritenendo “integralmente legittima la resistenza antifascista europea, ivi compresa quella italiana”,  considerava “tuttavia chiuso questo episodio storico, e non chiuso in parte, ma chiuso del tutto”. Unica vera grave pecca di Mussolini, secondo Preve, fu la politica di aggressione imperialista e colonialista: “È questo, e praticamente solo questo, che non perdono a Mussolini: l’aggressione ai popoli da colonizzare ed ai vicini che non ci minacciavano né direttamente né indirettamente.”[i] Sulla stessa lunghezza d’onda anche Diego Fusaro: “se per fascismo intendiamo il fascismo storico mussoliniano, esso si è estinto da ormai più di cinquant'anni e non ha senso, dunque, la sopravvivenza dell’-anti alla realtà cui l’-anti si contrapponeva. Se per fascismo intendiamo genericamente la violenza, oggi allora il fascismo è l’economia capitalistica (Fiscal Compact, debito, precariato, ecc.), ossia ciò che gli odierni sedicenti antifascisti accettano in silenzio”.[ii]
Effettivamente, queste argomentazioni avrebbero senso se per fascismo si volesse indicare la sola prassi politica fondata sulla violenza e sulla sopraffazione dell’altro (che si tratti di oppositori politici o popoli da sottomettere); ridurre, però, il fascismo a violenza e politica imperialista/colonialista significa non aver del tutto compreso  i termini della questione.

Di recente, Fabrizio Marchi, in un suo contributo[iii], rispondendo alle argomentazioni di Preve, ha opportunamente sottolineato che il fascismo non è solo una prassi, ma anche un’ideologia. Si tratta di una constatazione all’apparenza banale, che però tanto scontata non è.  Un po’ l’infondato timore di nobilitare il fascismo riconoscendogli una visione del mondo, un po’ la facilità del liquidare il fenomeno fascista come reazione feroce attuata da trinariciuti esecutori degli ordini del capitale, fanno si che spesso e volentieri si rinunci ad approfondire ulteriormente  la questione.


IL FASCISMO COME IDEOLOGIA

Una breve messa a punto dell’ideologia fascista è dunque utile per ragionare dell’attualità o meno dell’antifascismo con qualche elemento in più.
I lavori dello storico israeliano Zeev Sternhell "La destra rivoluzionaria. Le origini francesi del fascismo 1885-1914", "Nè Destra, nè Sinistra. L'ideologia fascista in Francia", "Nascita dell'ideologia fascista", insieme al saggio di George Mosse "Le origini culturali del Terzo Reich" sono, secondo molti storici,   i più centrati per delineare i tratti ideologici alla base dei fascismi. Queste opere dimostrano infatti come la conquista del potere da parte dei movimenti fascisti nel periodo tra le due guerre mondiali sia stata preceduta dalla formazione di un consistente corpus teorico ed ideologico, dalla nascita di una vera e propria "cultura fascista" avente radici comuni nei diversi paesi europei. 
Confrontando questi studi con "La dottrina del fascismo" scritta da Gentile e Mussolini (pubblicata per la prima volta nell'Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti del 1932), si può affermare che i punti essenziali, ed a mio avviso, sufficienti, su cui si struttura l’ideologia fascista sono principalmente tre.
1.   L’aspirazione a fondere tutto il popolo in una comunità nazionale organica e la conseguente esaltazione dei sentimenti di identità e di appartenenza “tribali” fondati sul sangue, la terra, le tradizioni.2.   La negazione del conflitto di classe e la sua sublimazione in un sistema collaborativo basato sulla solidarietà interclassista in nome dell’interesse generale della nazione.3.   L’opposizione alle concezioni antropologiche materialiste ed egualitarie in favore delle “naturali” ineguaglianze tra gli uomini ed i popoli.

1. Sulla concezione della comunità organica e del nazionalismo tribale Sternhell, nella sua opera “La destra rivoluzionaria", mostra come tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX secolo, i settori dell'estremismo di destra più avanzati e radicali compresero che, per incidere sulla moderna società di massa, dovevano in qualche modo rinnovarsi e cercare un rapporto con il popolo. Con precisione puntuale, Sternhell ha descritto questa metamorfosi culturale dall’estrema destra tradizionale ottocentesca al nazionalismo "rivoluzionario" e populista del novecento.
Secondo lo storico israeliano: "il nuovo nazionalismo esprime bene, sin dalla fine dell'ottocento, il diffuso senso di rivolta contro lo spirito della rivoluzione francese. Il fossato che separa Corradini da Mazzini, oppure Barrès, Drumont, Maurras da Michelet, dà la misura della distanza che intercorre tra il nazionalismo giacobino e quello "della terra e dei morti", secondo la definizione di Barrès, formula sovrapponibile alla versione tedesca "blut und boden", sangue e suolo."[iv]  
Sternhell accenna solo alla Germania, ma chi volesse approfondire e verificare che anche nel contesto tedesco si assiste nello stesso periodo ad un fenomeno analogo, con la diffusione dell'etno-nazionalismo volkisch, può consultare il già citato "Le origini culturali del Terzo Reich" di George Mosse. Si era, quindi, in presenza di un fenomeno generale su scala europea: la diffusione di un nuovo nazionalismo, agli antipodi di quello che aveva tentato, dalla rivoluzione dell’89 alla Comune, una sintesi tra la “religione della patria” e la “religione dell’umanità”, che considerava la nazione come una comunità organica fondata su criteri di appartenenza tribali e non più una collettività di liberi individui.

2. Ma se è il popolo la sostanza vitale della comunità nazionale fondata sui vincoli del sangue e della tradizione, questo tipo di nazionalismo non può accettare che resti senza soluzione la questione sociale.
Secondo Sternhell, Barrès è uno dei primi a comprendere che un movimento nazionale può esistere solo se è in grado di assicurare l’integrazione di tutti gli strati sociali nel corpo organico della nazione. Marxismo e liberalismo sono movimenti che alimentano il conflitto sociale e favoriscono così la disgregazione dell’unità e della concordia nazionale: non sarebbero quindi altro che due aspetti dello stesso male. È così che fa la sua apparizione quell’ossimoro politico che è il socialismo nazionale.
Come Barrès, che lo precede di vent’anni, anche in Italia Corradini, nel 1910, assume il termine di socialismo nazionale nell’ottica della “solidarietà familiare fra tutte le classi della nazione italiana”.[v]
Pochi anni dopo la nozione di socialismo nazionale emerge con forza nelle elaborazioni teoriche della Konservative Revolution, il possente movimento politico e culturale di orientamento comunitarista, antiprogressista ed antimaterialista che svolse un ruolo importante nella delegittimazione della Repubblica di Weimar.

Nelle ricerche di Sternhell, emerge con estrema chiarezza un tratto fondamentale della nuova sintesi ideologica che condurrà al fascismo: la tendenza di queste componenti della destra radicale a "socializzarsi". A mutuare forme organizzative, linguaggio, programmi, dall’avversario sociale (il movimento operaio), la sua tendenza a confluire ideologicamente, e per alcuni aspetti anche politicamente, con il proprio antagonista speculare, la sinistra radicale.

Infatti, argomenta Sternhell, “sul piano dell’ideologia, il fascismo rappresenta la sintesi di un nazionalismo organico e tribale con quella revisione volontaristica e anti-materialistica del marxismo iniziata, alla fine del XIX° secolo, da Georges Sorel e dai sorelisti di Francia e d’Italia. Alla nuova sintesi socialista-nazionale, i seguaci di Sorel apportano anche elementi tratti da Proudhon: il culto della guerra, naturalmente, ma anche quello della famiglia (in cui Proudhon vede un’istituzione mistica), dell’indissolubilità del matrimonio, del rispetto della proprietà privata frutto del lavoro” [vi]
Da questa sintesi, che vede confluire nei movimenti fascisti tanto nazionalisti, razzisti, futuristi quanto repubblicani, sindacalisti rivoluzionari ed ex- socialisti massimalisti, deriva la difficoltà di incasellare il fenomeno fascista nelle tradizionale classificazione destra-sinistra. Non a caso la maggioranza dei movimenti della destra radicale hanno quasi sempre rifiutato la collocazione a destra nello scacchiere politico, rivendicando il superamento di destra e sinistra.

3. Per quanto mi riguarda continuo ad essere convinta della collocazione a destra dei fascismi.
Come affermato negli anni trenta dal giurista fascista Carlo Costamagna, direttore durante il regime mussoliniano della rivista "Lo Stato",la nazione intesa in senso organico non è un tutto indifferenziato, ma una totalità che ha un alto e un basso in senso qualitativo.[vii] Il che, va da sè, implica una differenza "naturale" tra gli uomini che compongono la nazione stessa ed una conseguente gerarchia sociale. Secondo Sternhell erano queste le idee di Mussolini fin dal 1918: "il regime che il socialismo nazionale intende instaurare non sarà affatto un regime egualitario, e non darà luogo ad alcuna socializzazione della proprietà. Soltanto un regime fortemente gerarchizzato, che permetta a una potente elite di guidare la società, può rivelarsi capace di condurre la nazione sulla via dello sviluppo. In Italia come in Francia, i soreliani predicavano da tempo dottrine niente affatto dissimili."[viii]
Insomma i fascismi, anche quelli con maggiori velleità sociali, sono profondamente permeati da una concezione antiegualitaria e gerarchica, quindi di destra. Come spiegato in un mio precedente articolo, reputo la discriminante eguaglianza/diseguaglianza fondamentale per stabilire ciò che sta a destra e ciò che sta a sinistra e per ribadire la validità di queste categorie. 


I NEO-FASCISTI E LA SVOLTA LEPENISTA DELLA LEGA NORD

Quanto il nazionalismo tribale, una visione "sociale" contraria al conflitto di classe e l'antiegualitarismo, caratterizzino ancora i movimenti apertamente neofascisti e neonazisti come l'NPD tedesco, Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, Svoboda in Ucraina è evidente. Già di per sé questo dovrebbe essere sufficiente per comprendere che l'antifascismo non può proprio considerarsi superato.

Ma siamo poi così sicuri che solo le formazioni politiche sopracitate possono qualificarsi come fasciste?  Non necessariamente i movimenti classificabili come tali rivendicano apertamente l’eredità del fascismo storico, anche perché, nei paesi dell’Europa occidentale, sarebbe politicamente castrante.
In questo senso è emblematico il fenomeno della Nouvelle Droite di Alain de Benoist, ripreso in Italia dai giovani missini del Fronte della Gioventù raccolti attorno a Marco Tarchi. Nei documenti del tempo si possono leggere queste affermazioni: “dobbiamo essere fautori della logica del superamento, basta con anticomunismo ed antifascismo, con le vecchie contrapposizioni che fanno il gioco del sistema. Né destra né sinistra, ma innovatori non inquadrati né inquadrabili in vecchi e logori schemi ideologici[ix]
"Uscire dal tunnel del fascismo" e superare le categorie di destra e sinistra erano le parole d'ordine della nuova destra dei primi anni ottanta, tant'è che gli atti del convegno del 1982 a Cison di Valmarino, che sancisce il battesimo ufficiale di quella corrente di pensiero in Italia dopo l’espulsione di Tarchi dal Msi, vengono raccolti in un volume intitolato "Al di là della destra e della sinistra".[x]


Anche sulla questione immigrazione-razzismo Alain de Bonoist ha  indirettamente fornito i migliori argomenti ai movimenti populisti di destra, con l'invenzione del "differenzialismo". In pratica, sostiene il principale teorico della nuova destra, si tratta di difendere le differenze tra i popoli contro un mondo che la globalizzazione ha ridotto ad un unico immenso mercato, cancellando le specificità storiche e le tradizioni culturali. Secondo Pierre Taguieff, in realtà, questo “differenzialismo” nasconde il volto del "razzismo postmoderno": “non si è mai capito che la norma del rispetto delle differenze, lungi dall’incarnare quel fondamentale diritto dell’uomo che è il diritto all’alterità, serve soprattutto a rendere presentabile, se non addirittura rispettabile, l’ossessione del contatto, la fobia della mescolanza, che costituisce il cuore del razzismo. Conservare la distanza culturale significa in primo luogo evitare ogni meticciato, minaccia suprema, presunto motore di un irreversibile declino” .[xi] E ancora, “nell’era attuale, il razzismo si è ricomposto attorno all’elogio della differenza culturale, del culto delle radici e delle identità tradizionali. L’assolutizzazione delle identità culturali si è posta alla base degli appelli all’esclusione dei presunti inassimilabili”.[xii]

Non è un caso, quindi, che il nuovo corso della Lega sia iniziato proprio con una conferenza di Matteo Salvini (allora candidato alle primarie del partito, ma non ancora segretario) con Alain de Benoist, il 2 dicembre 2013 a Milano, dal titolo “La fine della Sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli”. Una conferenza in cui "De Benoist attacca senz’altro il Turbocapitalismo, alla pari di molte persone di sinistra, ma lo fa arrivando a dire che questo fenomeno è “sconnesso dall’economia reale” e per superarlo suggerisce di tornare alle comunità locali – suscitando il plauso del pubblico leghista– e ridare potere alle comunità interclassiste di ‘produttori’ (perché è questa, in centoni, la soluzione auspicata dalla Nouvelle Droite). Soluzione che non può che interessare il pubblico leghista, composto da piccoli imprenditori spaventati per gli squilibri creati dalla globalizzazione, e che rivela la natura classista del suo pensiero, che in teoria – con il desiderio di creare una ‘terza via’ tramite nuove sintesi fra valori di destra e di sinistra – supera idealmente le due categorie, ma in concreto si sposta a destra, dal momento che, oltre ad appellarsi a valori ancestrali e tradizionali (...), fa altresì leva su un pubblico radicato in una zona d’Italia (il Nord-Est) composto da un forte  tessuto economico-sociale di piccole e medie imprese che, con l’appoggio alla Lega, inizia a percepire la regione come ‘comunità d’interesse dei produttori padani’ (in senso propriamente interclassista) e come ‘comunità etno-culturale’ (una “comunità di lavoro etnicamente coesa”) ".[xiii]

La conferenza Salvini-De Benoist è stata organizzata da il Talebano, un centro culturale che
si propone esplicitamente di essere il think-tank della svolta lepenista della Lega. Animatori del "Talebano” sono Vincenzo Sofo, già responsabile giovanile della Destra di Storace e ora consigliere di zona del Carroccio a Milano, e Fabrizio Fratus, ex dirigente del Fronte della Gioventù e della Fiamma Tricolore, autore del libro "Fascisti su Milano" (un'apologia delle gesta neofasciste milanesi degli anni '90), da sempre legato agli ex di Avanguardia Nazionale Mimmo Magnetta, Adriano Tilgher e Stefano Delle Chiaie.  Anche Diego Fusaro ha partecipato ad un incontro con Fratus dall’eloquente titolo “Oltre la destra e la sinistra. Superare le divisioni amiche del sistema”, organizzato sempre da Il Talebano. In realtà non ci siamo mai definiti di Destra, anzi, noi crediamo in un superamento della dicotomia destra-sinistra.“ ha rivendicato Vincenzo Sofo, ricalcando esattamente le stesse argomentazioni che i neofascisti più avanzati usavano già quarant’anni fa.

Non sorprende, quindi, che nel programma politico della Lega Nord per le elezioni europee 2014 si trovino affermazioni di questo tipo: “Il mondo è cambiato e con esso il senso della sfida politica. Le vecchie ideologie (“destra” e “sinistra”) ormai sono sorpassate e fuorvianti. La dicotomia oggi è tra mondialismo e identità. Fra gli attori del mondialismo inseriamo con convinzione l'Unione Europea. Questa, in nome di un egualitarismo spacciato per uguaglianza, sta portando avanti una omologazione degli usi e dei costumi, dei modelli sociali, della comunicazione e dei valori, con lo scopo di slegare l’uomo dalla sua comunità, dal popolo di cui è parte. (..)”.[xiv]

CONCLUSIONI

Ricapitolando: 1. identitarismo tribale (e xenofobo) mascherato da difesa delle differenze etno-culturali; 2. elogio della "comunità dei produttori" interclassista insieme a qualche battaglia "sociale" (ad esempio il referendum per l'abolizione della riforma Fornero o il presidio di Salvini al fianco della Fiom per difendere gli operai della Tosi a Legnano); 3. rifiuto dell'egualitarismo. Aggiungeteci in sovrappiù le pulsioni securitarie ed autoritarie e chiedetevi se tutto questo non vi ricorda "qualcosa". Ai dirigenti di Casa Pound evidentemente "qualcosa" ricorda, tant'è che dopo aver incontrato Salvini, hanno avviato una collaborazione ufficiale con la Lega, prima con il sostegno militante alla candidatura di Borghezio alle scorse europee, poi partecipando con un proprio spezzone al corteo anti-immigrati organizzato dalla Lega il 18 ottobre scorso a Milano, infine fondando “Sovranità”, “un’associazione per chi ama la Nazione e vuole sostenere attivamente le idee di Matteo Salvini”, con l’intento dichiarato di agire nelle prossime tornate elettorali insieme alla Lega al nord e a “Noi con Salvini” al centro-sud.[xv]

Intanto in Francia, “il Front di Marine, cavalcando la crisi dei socialisti e del Front de gauche, coniuga senza alcun problema nazionalismo e ‘socialità’, una forte attenzione alle problematiche sociali e al mondo del lavoro (in chiave ovviamente interclassista) e una critica al mondialismo, che genera squilibri come l’odierna crisi e l’immigrazione, e ha iniziato a puntare tutto, come la Nouvelle Droite, su un nuovo approccio alla definizione di se stessi con slogan “Ni droite, ni gauche, Français!” [xvi]

Insomma, dietro l'ossessione della trasversalità e del superamento di destra e sinistra quasi sempre si nascondono le posizioni della destra più radicale.

Se si considera che il Front National è risultato il partito più votato in Francia alle ultime europee e che la Lega in Italia è data in costante crescita, a me pare proprio di poter affermare che l'antifascismo sia tutt'altro che un residuato storico.

La sola discriminante “costituzionale” che per alcuni sovranisti sarebbe sufficiente per risolvere la questione risulta, invece, troppo debole ed, infatti, non ha impedito che persone ed ambienti che pure si riconoscevano in essa dessero indicazione di voto per la Lega e simpatizzassero per la Le Pen. Peraltro, anche i gruppi che teorizzano un razzismo piuttosto esplicito, come il gruppo di Ar fondato dall'ideologo neonazista Franco Giorgio Freda, sostengono che la battaglia in difesa delle differenze "razziali" dei popoli "non è anticostituzionale, nè contraria alla dichiarazione dei diritti dell'uomo: affermare che i popoli sono differenti significa semplicemente evidenziare la dignità di tutte le razze e il diritto a preservare le loro specificità".[xvii] 

Dunque, fatta eccezione per qualche sparuto gruppo nostalgico, anche gli ambienti più radicali della destra non respingono dichiaratamente la Costituzione, pertanto, per evitare che il sovranismo resti vittima di ambiguità e di nefaste commistioni, la discriminante dirimente resta quella esplicitamente antifascista.





[i] http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=70200&highlight
[ii] http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/il-paradosso-dellodierno-antifascismo-16147.html
[iii] http://www.linterferenza.info/editoriali/il-mio-antifascismo/
[iv] Z. Sternhell, La destra rivoluzionaria. Le origini francesi del fascismo 1885-1914, Corbaccio, Milano, 1997, p. 42.
[v]  In Z. Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista, Baldini e Castoldi, Milano, 2002, p. 23.
[vi] Ivi, p. 19.
[vii] Cfr. C. Costamagna, La dottrina del fascismo, Edizioni di Ar, Padova, vol.1, Padova, 1982, p.106
[viii] Z. Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista, p. 303.
[ix] A. Amorese, Fronte della Gioventù. La destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata, Eclettica Edizioni, Firenze, 2013, p. 73.
[x] Cfr. Al di là della destra e della sinistra. Atti del convegno «Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale», Lede, Roma, 1982.
[xi] P.Taguieff, Sulla nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2003, p. 126.
[xii]  Ivi, p. 34.
[xiii] http://www.rivistapaginauno.it/nuova-destra-lega-nord.php
[xv] http://www.huffingtonpost.it/2015/01/13/sovranita-casa-pound-matteo-salvini_n_6462966.html
[xvi] http://www.rivistapaginauno.it/nuova-destra-front-national.php. Per approfondire i tratti fascisti del programma del Front National  rimando, inoltre a questo documento del Front de Gauche: http://www.gauchemip.org/spip.php?article16191
[xvii] F: Ingravalle, L’automa della legge, Edizioni di Ar, Padova, 1999, p. 55.


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