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martedì 2 luglio 2019

LA STRATEGIA DI PUTIN di F.S.

[ martedì 2 luglio 2019 ]

“Vivremo finché vivrà la nostra causa, finché vivranno i nostri ideali…”.

Vladimir Putin, Financial Times


Secondo Francesco Maria Toscano Putin decreta la fine del mondo liberale; l’intervista rilasciata al Financial Times avrebbe perciò "carattere epocale". Per Toscano l’analisi di Putin, basata sulla strategia antiliberale, ricalcherebbe la via tracciata da Dughin, teorico della “Quarta teoria politica”. Per Leonid Bershidsky, viceversa, l’antiliberalismo putiniano affonderebbe il suo gene originario nella storica tradizione conservatrice dell’arte di governo russa. Lo stesso Dragosei, sul Corriere della Sera del 29 giugno 2019, sostiene che la Russia avrebbe conosciuto solo parvenze di vero e proprio liberalismo nella sua storia: ai tempi della rivoluzione del 1905 e negli anni del governo Elstin dopo lo scioglimento dell’Urss. Per Putin, come per la stragrande maggioranza dei russi, quest’ultimo periodo è indissolubilmente legato allo sfacelo del paese, con la diaspora russa e la rapina oligarchica liberista dei tesori di stato — “Una delle più grandi tragedie del secolo” secondo lo stesso Putin. Che il liberalismo sia stato, nel conflitto interimperialista che va da fine '800 ai nostri giorni, e nella logica geoeconomica stessa dello scambio ineguale, lo strumento ideologico e la storytelling con cui la frazione liberal dell’Occidente si è imposta a livello planetario pare ormai fuori discussione. E ciò con il portato di razzismo soft e imperialismo che ha caratterizzato e caratterizza la superpotenza statunitense.

Tornando alla questione dell’antiliberalismo putiniano, in realtà la realpolitik putinista è quanto mai distante dalla declinazione ideologica della visione di Heidegger e della rivoluzione conservatrice tedesca proposta da Dughin, essendo un tentativo di sintesi tra una cultura di governo imperiale di sostanza tardo sovietica e una concezione del mondo appartenente ad un filone ben preciso della destra nazionale russa, che è quella di Berdjaev e Solzenicyn. 


Quest’ultimo in più casi è stato definito da Putin il suo “padre spirituale” e tale milieu culturale, che si può considerare basato sul principio di una cultura cristiano-ortodossa fortemente politicizzata e modernizzata, è oggi ben rappresentato in Russia dalla
Tikhon, vescovo di Egor’evsk, vicario del patriarca Kirill e Putin
carismatica figura del metropolita di Pskov Tikhon per il quale la rivoluzione bolscevica sarebbe stata, almeno agli inizi, una sovversione russofoba guidata da una élite ebraica occidentalizzante e per il quale il primo avversario strategico della Russia putiniana non è affatto l’Islam ma l’ecumenismo di Roma e dell’ebraismo che mirerebbero a conquistare l’ecumene politico spirituale ortodossa, come i recenti fatti concernenti l’autocefalo scissionista Patriarcato di Kiev peraltro attesterebbero. 

Putin lancia, nell’intervista al “Financial Times”, un profondo messaggio all’Occidente che è sfuggito agli analisti; lo statista russo definisce infatti Pietro il Grande il suo modello di governatore. Apparentemente sembra prendere così le distanze dalla destra imperial-bizantina ed antioccidentale tikhonita, che ha sempre visto il petrismo “prebolscevico” come fumo negli occhi. Ma Putin, da politico pragmatico, rivolgendosi all’Occidente afferma a chiare lettere di essere il continuatore di Pietro, il modernizzatore rivoluzionario e conservatore al passo con lo “spirito del tempo” e non della tarda élite sovietica, ingabbiata in un immobilismo conservativistico fondato sulla mera stabilità giuridica e poliziesca. Putin ribadisce che la Russia parteciperà su tutta la linea alle sfide strategiche del futuro prossimo, dall’IA alle nuove tecnologie militari. Non è pero in discussione la linea neo-bizantina basata sul concetto di Stato potenza imperiale

Non a caso tutto incentrato sulla Lezione di Bisanzio è il grande insegnamento politico del “metropolita di Putin”. Alla fine di gennaio 2008 il canale di stato russo mandò in onda per la Federazione tutta, per volontà diretta di Putin, il documentario dell’allora archimandrita Tikhon: 
«La caduta di un impero. La lezione di Bisanzio». Il messaggio politico del consigliere spirituale del presidente russo, traendo spunto dalla fine dell’Impero romano d’Oriente, era assai chiaro: il nemico politico della santa Russia o Terza Roma non è ad Oriente ma si trova ad Occidente. La terza Roma non avrebbe perciò dovuto ripetere l'errore strategico della seconda Roma, ossia volgersi con volontà imitativa ed infantile alle mode politiche e sociali occidentali. Tali mode politiche sarebbero rappresentate dal liberalismo, dal capitalismo casinò privatistico ed anticomunitario, dalla dittatura culturale e amorale Lgtb — che Putin ha anche di recente definito satanocratica e quintessenza dell'europeismo arcobaleno — e così di seguito. Da Occidente sarebbe arrivato il definitivo tentativo della sovversione globale russofoba o della nuova Rivoluzione colorata contro il Cremlino, avvertiva Tikhon più di dieci anni fa. Il metropolita di Pskov, che ha fortemente criticato nel settembre 2017 l’indifferenza del Patriarca Kirill nel corso delle proiezioni del film “Matilda” che avrebbero messo in cattiva luce “San Nicola lo Zar” (1868-1918), vide nel 2016 nell’incontro tra Papa Francesco e Kirill un esempio di linea “nikodimica”. 

Nikodim Rotov
Il nikodimismo prende il nome dal metropolita Nikodim Rotov, che misteriosamente passò a miglior vita proprio nel corso di un’udienza con Giovanni Paolo I nel 1978. Nikodim avviò una politica di collaborazione con Roma e con il Gran Rabbinato israeliano in epoca krusheviana sovietica.

Nikodimismo, nel lessico politico della destra imperialista neo-bizantina, significa perciò non ortodossia o vera e propria eresia in quanto l’essenza della teologia patristica sarebbe appunto anti-ecumenista ed antigiudaica. Gli antinikodimisti evocano lo spirito dell’Anticristo, che avanzerebbe mediante sionismo, ecumenismo, europeismo occidentale per il quale laicismo non significa legittima separazione tra sfera religiosa e politica, che lo stesso tikhonismo rivendica per la Russia, ma soppressione di ogni anelito spirituale e sacrale. 

Circa un mese dopo l’incontro cubano tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill del 12 febbraio 2016, la frazione maggioritaria del Patriarcato di Mosca emanò un «Messaggio dei cittadini ortodossi russi agli organi di potere statale e alla gerarchia ecclesiastica con la richiesta di ripristinare legge e ordine». Il messaggio, di evidente ispirazione tikhonita, attaccò frontalmente la dichiarazione congiunta siglata dal Patriarca di Mosca e dal Papa durante l’incontro a L’Avana, in quanto non avrebbe rispettato il vero insegnamento ortodosso e sarebbe stata una apologia dell’eresia ecumenista, progettata per legittimare il movimento ecumenico al Sinodo pan-ortodosso che si sarebbe tenuto mesi dopo a Creta. L’attacco fu poi apertamente diretto contro Kirill, colpevole di aver firmato a nome di tutta la Chiesa ortodossa, di cui si sarebbe illegittimamente appropriato, una dichiarazione con il capo del Vaticano, riconoscendo di fatto una sorta di uguaglianza canonica con il Pontefice e delegittimando perciò stesso la definizione, di origine patristica, del “papismo” come eresia. 

Va comunque precisato che ogni paragone di presunta affinità ideologica tra la prassi politica reazionaria e antimodernista di un K.P. Pobedonoscev (1827-1907) e il tikhonismo sarebbe fuori luogo. Il metropolita Tikhon non è infatti un reazionario né uno zarista stricto sensu. Per quanto anti-bolscevico che rivendica la storia di martirio e sofferenza dell’Ortodossia panrussa nel corso del XX secolo, egli, da buon realista, coglie nelle sue analisi i limiti strategici e politici del monarchismo zarista. Tikhon è infatti un bizantino moderno, che comprende la necessità di una dottrina strategica e di una prassi politica basata sulla tutela di un grande blocco imperiale di radice panrussista. 

Putin si è sempre mosso, con saggia circospezione e prudenza, ricalcando questa visione politica e geopolitica di natura modernistico-bizantina tikhonita, non quella tutto sommato occidentalistica e germanofila, oltre che profondamente impolitica, di Dughin. 

La democrazia sovrana tikhonita ha un ispiratore nell’imperatore bizantino Basilio II (958-1025), colui che realizzò il potere verticale e organico colpendo ribelli sovversivi e oligarchi accumulatori. Tikhon ama ripetere la frase di Alessandro II (1818-1881) che recita che «governare la Russia è molto facile, ma inutile»: ciò sottintende che il destino della Russia sarebbe nelle mani della “santa Vergine” e poco possono fare gli uomini al riguardo. 

Lo stesso Solzenicyn stupì l’Occidente nel corso di una pubblica conferenza americana affermando: «Signori, la madre di Dio ha nel cuore la santa Russia» e concludendo così una sessione universitaria, che doveva durare almeno due ore… A differenza di Solzenicyn, lo starec solitario premiato da Putin con la croce di S. Andrea, il metropolita di Pskov è stato però capace di tradurre in realismo politico la visione del mondo basata sulla centralità assoluta della ”idea Russa”. L’organicismo antiliberale e democratico-ortodosso di Tikhon, piaccia o meno, si è inverato come mito politico del putinismo di governo. Nella concezione tikhonita, la riconquista ortodossa di Gerusalemme è un programma politico-strategico, da sviluppare diplomaticamente, come è ovvio, non militarmente, ma tale simbolicamente rimane. La visione del metropolita, tenuta in buona considerazione dal presidente, chiama alla battaglia per la sopravvivenza strategica panrussa con l’Occidente, anche cattolico, ed Israele, molto più che con l’Islam, che è ormai una componente fondamentale della Federazione. E' un mito politico, potenzialmente universalistico, assai più adeguato dunque alla nuova fase strategica e al conflitto imperialistico globale del tradizionalismo metafisico ed impolitico di Dughin. La chiave di volta per la comprensione della geopolitica e della storia contemporanea risiede soprattutto sul fatto che — quelle che seguono sono sue parole — 
«l'odio vendicativo dell'Occidente nei confronti di Bisanzio e dei suoi eredi... continua tuttora. Senza capire questo stupefacente ma indubbio fatto politico, rischiamo di non capire molte cose della storia passata e contemporanea».


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martedì 25 giugno 2019

L'ISLAM CHE SALVA IL CRISTIANESIMO di Eos

[ martedì 25 giugno 2019 ]


Soldati di Hezbollah pregano nella chiesa cristiana
dopo la liberazione di Ma'loula, in Syria, 15 luglio 2017

Il notevole articolo, di alto spessore storico-politico, di Andrea Riccardi — Il Mediterraneo del papa: dialogo, pace, convivenza —, già tra le altre cariche fondatore della “Comunità di San Egidio” e ministro per la cooperazione e l’integrazione nel Governo Monti, sviluppa due concetti, di netta sostanza geopolitica, di stringente importanza. 

Il primo è il saggio riconoscimento dell’identità spiritualmente non mediterranea della tradizione cattolico-romana. Il cattolicesimo fu da sempre “minoranza nel Sud” mediterraneo, salvo i maroniti, fulcro dello Stato libanese dal 1920; il cattolicesimo del Nord del Mediterraneo è stato estraneo alla vicende della riva Sud. 
La quintessenza politica del grande cattolicesimo tradizionale fu perciò quella, almeno sino alla metà dello scorso secolo, che l’ecumene del Sacro romano impero aveva incarnato, in modo ora più ora meno conforme all’intentio (per usare un termine scolastico) del Pontefice di turno. La caduta dell’impero asburgico fu in tal senso, per Roma cattolica, un trauma anche superiore all’affermazione del “nazionalismo” a trazione mediterranea del partito di Camillo Benso conte di Cavour. 

Il secondo importante concetto è che Riccardi vede una svolta nella strategia storica apertasi con il Concilio vaticano II: la Chiesa maturerebbe una visione mediterranea all’insegna dell’ecumenismo e dell’incontro con le altre religioni. Gli attori sarebbero i Papi: Giovanni XXIII, che visse a lungo a Istanbul, Paolo VI, che aprì al dialogo con islam e ebraismo, Giovanni Paolo II e infine Papa Francesco, che non solo ha ricevuto Peres e Abbas, ma ha anche cercato interlocutori islamici credibili come il grande imam di Al Azhar Al Tayyeb, con cui ha firmato nel febbraio scorso ad Abu Dhabi il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. 


Ritengo che se il primo concetto espresso da Riccardi colga assolutamente nel segno, il secondo meriti delle precisazioni. Mi sono già occupato della questione in questo blog QUI, e QUI

In sostanza, con il Concilio vaticano II non vi fu nessuna svolta mediterranea. L’ideale strategico del cattolicesimo “progressista” fu il medesimo praticato in secoli di storia politica, fu perciò l’ideale che ho definito euroccidentalismo allargato, per evidenti ragioni, al mondo americano. Philippe Chenaux, D. Menozzi e lo stesso Riccardi, meglio di ogni altro, con dovizia di fonti e dati, hanno mostrato nei loro studi la strategia intimamente europeistica e occidentalistica di tutti i Papi conciliari (Ratzinger compreso). Non stupisce quindi che il riferimento mediterraneista del cattolicesimo conciliare sia, per Riccardi, Giorgio La Pira — il sindaco di Firenze così importante non solo nella propagazione di un concetto teologicamente ambiguo e addirittura errato come quello di “giudeo-cristianesimo” quale progenie spirituale dell’occidente intero ma addirittura, per quanto ecumenista di certo non arabofobo, evidentemente sionista su basi metafisiche e religiose (Cfr. Ritornare a Israele. Giorgio La Pira, gli ebrei, la Terra Santa, a cura di Maria Chiara Rioli, Edizioni della Normale). 

Non può allora nemmeno stupire che migliaia e migliaia di cattolici mediorientali abbiano sostituito i ritratti di Vladimir Putin, Bashar Asad e del Patriarca Kirill a quelli tradizionali dei Papi cattolici. Sbaglia, Riccardi, a identificare nell’islamofobia la visione e la prassi di una sempre più nutrita schiera di cristiani (ortodossi o cattolici o di altra confessione) mediterranei e mediorientali che, come nota nel suo articolo, va prendendo le distanze dal Vaticano. 

La presa di distanza dal Vaticano è la presa di distanza da una potenza politica globale, quale è quella guidata da Papa Francesco, che questi “fratelli traditi e oppressi” (come li definisce Gian Micalessin) vedono quasi totalmente collusa, ancor prima ed ancor più che con l’Islam radicale sunnita contro cui si battono, con l’Occidente e con i sionisti. 

Probabilmente sbagliano; sicuramente esagerano; ma vi è qualcosa, o forse molto, che non quadra nella strategia mediterranea di Papa Francesco se coloro ai quali ci si vorrebbe primariamente rivolgere finiscono per rispedire al mittente il messaggio. Sbaglia, Riccardi: i cristiani mediorientali non sono sciocchi né carne da macello per la politica imperialista occidentale. 

I cristiani del Mediterraneo sanno bene che c’è un Islam che salva il cristianesimo. E’ l’Islam dell’Hezbollah: i soldati del “partito di Dio” ovunque arrivino a liberare monasteri e chiese, dove in molti casi si parla ancora l’aramaico, issano la bandiera gialla e verde del movimento sciita. Nel Vicino Oriente quella bandiera ha un solo universale significato: resistenza totale all’imperialismo sionista.

Per il Patriarca della Chiesa ortodossa russa
Kirill quella siriana è una "guerra santa"
 
Ma non è solo l’Islam del “partito di Dio” che accorre a salvare il cristianesimo. E’ anche l’Islam del generale persiano Qassem Soleimani, e tutti i cristiani del Vicino Oriente ben sanno che un numero assai elevato di giovani volontari iraniani e pasdaran, prima dell’intervento russo, andarono in Siria a morire non solo per difendere sciiti e alawiti, ma anche i cristiani. E’l’Islam di Mamhud Ahmadinejad che a ogni sacra ricorrenza cristiana si reca devotamente nella chiesa cattolica di Tehran.

Di fronte a tutto questo tornano in mente le parole del Goethe, il genio geopolitico e geospirituale che ci ha lasciato il Divano occidentale-orientale, secondo cui gli ultimi fedeli cristiani rimasti sulla terra avrebbero spiritualmente militato sotto le insegne di Muhammad e avrebbero recitato il “tawhid”


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domenica 9 giugno 2019

UNIVERSALISMO CATTOLICO E OCCIDENTALISMO IMPERIALISTA di F.f.

Ilya Glazunov, La Russia eterna, 1988

[ domenica 9 giugno 2019 ]

Nel mio precedente articolo dedicato al pontificato bergogliano, ritenevo che si dovesse identificare la strategia del Pontefice, oltre i fuochi fatui apocalittici, in un solido machiavellismo tutto politicistico di “nera” scuola gesuitica. Un grande machiavellismo, degno di analisi e osservazione, da cui imparare prima di accettare o condannare. 


Non condivido la maggior parte dei commenti ricevuti, secondo i quali questo grande politico, che è comunque sintesi mediatrice della logica da curia, in un momento storico eccezionale, che sarà comunque, in qualsiasi senso, di trapasso, si possa ridurre al “papa di Soros” o al papa eretico e blasfemo. 

Mi ero anche soffermato, en passant, sull’azione “ideologica” di Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, laureato in filosofia e specializzato in teologia, autore dell’importante saggio (Marsilio 2018): “Il nuovo mondo di Francesco. Come il Vaticano sta cambiando la politica globale”. Scrivevo in definitiva che la presente tattica di fondo, in questa epoca di trapasso, fosse quella di accompagnare, da parte dell’ideologia “nera” machiavellica e neo-gesuitica, la strategia fondamentale dell’imperialismo d’Occidente:

ovvero la Russofobia. La solita secolare marcia verso Est, declinata in modo differente e asimettrica, ma forse nemmeno troppo, alla luce dello scisma ucraino e della guerra contro i russofoni in Ucraina. 

Pare, uso il condizionale, che a luglio Putin sarà ospite d’onore in Italia e sarà ricevuto anche dal Pontefice, nonostante il parere contrario in merito del patriarca di Mosca e dello stesso padre spirituale di Putin, il metropolita di Pskov Tikhov, per il quale l’attuale elite gesuita dominante al soglio di Pietro sarebbe un alleato fondamentale dei nemici storici di Mosca. Nonostante questo, proprio due giorni fa Spadaro, nemmeno a farlo apposta, ha tratto spunto dallo “sbarco” italiano di Dughin  — non poteva certo sfuggire ai sionisti — per sfoggiare di nuovo l’endemica Russofobia razzista e imperialista dell’ordine nero.


A Spadaro, grande politico come il suo maestro, naturalmente non interessa in realtà nulla di Dughin. Spadaro sa bene che Dughin non è il Rasputin di Putin, così come sa altrettanto bene che Putin non è un eurasiatista o almeno non lo è nel senso dughinista. Basta leggere una volta “La Civiltà cattolica” per rendersi ben conto di un livello qualitativo politico e geopolitico pure superiore a quello di riviste di intelligence del settore. Il punto è qui un altro. La strategia politica e ideologica neo-gesuitica sta fallendo in quanto Francesco, fedele tutto sommato al tradizionale approccio pragmatico pacelliano, ben al di là del falso cliché messo in giro basato sul presunto papa apocalittico e rivoluzionario, ha sposato su tutta la linea, oltre gli infingimenti, la linea franco-tedesca. Lo ha fatto tatticamente, è vero, ma si trova di fatto sullo stesso fronte. La linea neo-gesuitica, ne sono convinto, è propriamente euromediterranea: la storica dichiarazione su “pace, libertà, diritti delle donne” nel documento firmato da Francesco e Al–Tayyib (febbraio 2019), dà comunque l’idea del modello di civilizzazione neo-gesuitico a cui aspira il clan elitario Bergoglio-Spadaro. L’Islam occidentalizzato, addomesticato, inglobato nel disegno pseudoumanitario e pseudoliberal neo-gesuita è il sogno strategico del clan imperialista nero. Questo sta a indicare il logo del viaggio bergogliano nel Marocco arabofobo, tradizionalmente filosionista e filoatlantico: la Croce sulla mezzaluna.

Non si tratta certamente, infatti, di una linea mediterranea pura ed antioccidentale, antisionista, filoaraba, come fu la linea geopolitica prima fascista, poi, seppur in termini più soft, in sostanziale continuità con la stessa, fanfaniana e socialista craxiana; ma non è nemmeno la linea europeistica ortodossa euroatlantista (De Gasperi, Einaudi, Prodi) o “kerneuropeista” (Monti, Bonino). La lettura tattica del fondamentale nodo bergogliano di civiltà, quello dei migranti, è oggettivamente diversa da quella che ne danno ordoliberisti e neo-gollisti francesi alla Macron, per i quali i migranti sono poco altro che carne da macello del capitalismo casinò europeista.


Ciò non toglie però che i rappresentanti politici immediati del partito nero imperialista gesuita, se proprio vogliamo vederli, sono certamente Merkel-Macron. Come è tuttora Matteo Renzi, in Italia. Nelle premesse originarie dell’universalismo dell’elite gesuita del clan Bergoglio-Spadaro vi era proprio l’analisi geopolitica fondata sulla contesa tra il tradizionale “clero occidentalizzato” e una Terza Chiesa militante fra Nord e Sud del mondo. La formazione geopolitica di tale clan rimanda infatti alla filosofa A. Podetti, ermeneuta dell’hegelismo, certa di una missione speciale globale latino-americana ed a Alberto Methol Ferrè. Bergoglio recuperò, immediatamente, (24 novembre 2013) il concetto di milizia politica: “La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, poiché cerca il bene comune”. Si sbaglierebbe qualora si sottovalutasse l’universo culturale dell’hegeliano Bergoglio, figlio esplicito della visione del mondo di Gaston Fessard, ma nonostante questo il pontificato gesuita si sta distinguendo certamente per la centralità assoluta assegnata, appunto, all’elemento tattico politico. Nella contesa globale in atto, il partito di Spadaro ha scelto perciò di sposare su tutta la linea la causa del subimperialismo franco-tedesco. Desta ancora rammarico, e profonda tristezza, l’assordante silenzio bergogliano sul dramma del numero incalcolabile di bambini “ortodossi” greci uccisi o mutilati dalla politica austeritaria del grande nazionalismo sciovinista franco-tedesco, come sul fatto che Atene sia stata definita la città delle siringhe e dei bambini abbandonati. Tale azione è in continuità con la posizione euroatlantista di Giovanni Paolo II di assoluto sostegno all’aggressione

imperialista al popolo serbo. Popolo “ortodosso”, non a caso. Arriva ora l’attacco di Spadaro a Dughin. Non è solo l’attacco di un europeista ma è l’attacco politico e teologico di un russofobo. La furiosa russofobia militante dell’imperialismo nero-gesuita ha di mira proprio questa ortodossia politico-religiosa che Dughin, prendendo le distanze dal tradizionalismo evoliano delle destre radicali occidentali, qui ben riassume:



«Evola tende a identificare la tradizione cristiana con la tradizione giudeo-cristiana cosa che è esatta solo in parte e storicamente si applica soprattutto all’origine e alla particolarità della tradizione propriamente cattolica, tanto che la Chiesa orientale (o le Chiese Orientali) deve essere qualificata elleno-cristianesimo. (Un’analisi eccellente di questa differenza fondamentale si trova tra gli autori russi come Nikolaev “V poiskah sa Bojestvom”, V.Lossky “Theologie mystique” et plus recemment chez les auteurs francais Jean Bies “Voyage au monte Athos” et Michel Fromaget “Corps, ame, esprit”). La tradizione della devozione passiva, della ricerca della salvezza individuale, l’egalitarismo postumo, etc., non caratterizzano l’essenza della Tradizione Cristiana contrariamente alle affermazioni di pagani occidentali... Agli occhi dei cristiani orientali questo aspetto della critica di Evola non solo non è accettabile, ma resta poco comprensibile, perché i motivi propriamente giudeo-cristiani sono assai marginali nell’Ortodossia. La Chiesa bizantina e dopo la sua caduta la Chiesa russa hanno ereditato la parte più sublime della tradizione ellenica incorporandola nell’insieme armonico della Rivelazione evangelica. Nella Chiesa orientale gli apostoli “gnostici” e controgiudaici sono particolarmente venerati – si tratta di S.Paolo, di Giovanni apostolo, di Andrea (patrono della Chiesa russa), etc. Al contrario, S.Pietro o S.Giacomo (i poli giudeo-cristiani del cristianesimo delle origini) hanno dei ruoli secondari. Lo spirito della Chiesa orientale resta molto caratterizzato dal marcionismo o monofisismo implicito [1]. Il Cristo qui è soprattutto Pantakrator e lo Zar, il Dio della Seconda Venuta terribile e onnipotente. E' anche lo spirito aristocratico e ascetico attivo ed eroico. Il punto culminante dell’affermazione cosciente di questa natura della Chiesa orientale era la santificazione di S.Gregorio di Palama, l’eminente esoterista cristiano la cui dottrina esicastica della Luce Increata e della deificazione ha scandalizzato tanto i cattolici che il settore filocattolico dell’Ortodossia. Questo stesso esicasmo è proprio alla maggioranza dei santi russi — S.Serge di Radohej, S.Nil Sorsky etc, fino agli artisti delle icone — Andrei Rubliev recentemente canonizzato come santo dal concilio della Chiesa Ortodossa russa».
Come sostengono perciò le più nutrite e militanti correnti dell’ortodossia russa, cattolicesimo e cristianesimo “orientale” esprimono, teologicamente, liturgicamente, politicamente, due modalità di ortoprassi non omogenee e per molti versi anche antitetiche. I gesuiti sono, pare ormai chiaro, occidentalisti a tutti gli effetti e intruppati, pur con un loro disegno autonomo, nel partito della UE. Gli ortodossi, oggi più che mai, sono impegnati nel difendere la “santa Russia” dall’ennesima aggressione occidentale in corso, come ha detto Putin il 7 giugno alla presenza dello statista cinese Xi Jinping. 

L’elite gesuita di Spadaro-Bergoglio, oltre la maschera ad uso del gregge ben addomesticato, esprime una tendenza strategica assolutamente conservatrice ed occidentalista di continuità con il pragmatismo euroatlantista sia montiniano sia di Giovanni Paolo II. Se Bergoglio fosse stato veramente un rivoluzionario e antimperialista, come Spadaro e i suoi vogliono farci credere, lo ricorderemmo oggi come ricordiamo Giovanni Paolo I (1912-1978).

NOTE

[1] Al di là del discutibile accostamento tra il dualismo marcionita e il monofisismo —probabilmente Dughin vuole sottolineare come comune l'idea della rottura radicale tra Antico e Nuovo testamento —, la teologia mistica e esicastica russa non è affatto di radice gnostica e marcionita bensì Dionisiana (Dionigi l'Aeropagita). Di conseguenza il Patriarcato di Mosca non privilegia la sostanza divina del Cristo su quella umana, ma ritiene vi sia una perfetta omogeneità tra sostanza divina cosmica e sostanza umana pura nel "Redentore": consustanzazione come è nel Credo Niceano (325 d.c.). 

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domenica 2 giugno 2019

TEOLOGIA E GEOPOLITICA DELLA CHIESA DI BERGOGLIO di F.f

[ domenica 2 giugno 2019 ]


«Quella è Roma, e neppure tutta Roma — ho sbagliato… Quelli sono i peggiori tra i cattolici, sono gli Inquisitori, sono i Gesuiti». 

Dostoevskij (Alioscia nella Leggenda del Santo Inquisitore)


Che cosa è il “neo-francescanesimo” di Bergoglio?


Non condivido la tesi liberale (ben sintetizzata da Loris Zanatta) secondo cui Bergoglio, a causa di un presunto passato militante peronista, sarebbe oggi il portavoce universale della tradizione nazional-cattolica e populista. Non la condivido in quanto il peronismo, che traduce istanze politiche di “sinistra fascista” in America Latina [Cfr. ad es. G. F. Benedini, Il Peronismo. La democrazia totalitaria in Argentina, Riuniti 2009], rappresentò, anche nella sua fazione evitista (da Evita Peròn), un processo di totale rottura con la tradizione politica cattolica e gesuitica latino-americana. 

La storia argentina insegna che, nelle fasi decisive, l’imperialismo nordamericano poté proprio usufruire della calda e “neocoloniale” accoglienza del locale clero, progressista o tradizionalista, per contrastare e seppellire la rivoluzione politica peronista. I teologi della liberazione, nel paese laboratorio politico per eccellenza dell’America latina, ossia l’Argentina, furono significativamente sempre marginali e minoritari; questo permette anche di depotenziare il ruolo geopolitico complessivo della Teologia della liberazione al quale Zanatta dà un peso ed una rilevanza eccessive. 

Non condivido però nemmeno la tesi di talune fazioni della Nuova destra occidentalista bannoniana secondo cui egli sarebbe il “papa di Soros”. 

In alcuni ambienti cattolici conservatori, Bergoglio è l'Anticristo...
La odierna declinazione del Gesuitismo sul piano globale operata dal pontefice presenta solo ad una osservazione superficiale una coincidenza finalistica, strategica, con la sponda di “sinistra” della globalizzazione rappresentata dal partito di Soros. Papa Francesco è infatti, come sostiene proprio il massimo ideologo del bergoglismo, ossia il padre gesuita Antonio Spadaro, “un apocalittico”. Il pontefice ritiene non a caso che il suo simbolico avvento “neo-francescano” corrisponda ad una definitiva accelerazione del senso della catastrofe possibile e dell’azione definitiva delle forze del male, il cui fine nascosto sarebbe quello di risvegliare la fiducia unica nel mistero di Dio. 
L’accettazione di tale futuro escatologico si basa sulla consapevolezza che il mondo non è diviso tra buoni e cattivi, puri e impuri, santo e profano [Cfr. A. Spadaro, M. Figueroa, Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo, “La Civiltà cattolica”, III, 2017, pp. 105-113]. 

Di conseguenza, la strategia “neo-francescana” finisce per dileguarsi tutta in due cardini operativi e sperimentali. Il primo si fonda sulla negazione assoluta dell’azione del pontificato quale “potere che frena” (katèchon) l’assalto dell’Anticristo; il pontificato del futuro escatologico confida in Dio solo, ed in Gesù uomo umano tra gli umani, e chiuderebbe definitivamente ad ogni “illusione” di “sacro impero” e ad ogni politicizzazione del sacro. Ateismo? Secolarizzazione? No, rivelazione del principio cosmologico secondo cui “Gesù si è fatto diavolo e serpente per noi” (4 aprile 2017).

La pratica dell’ “integrazione”, totale e totalitaria, non esistendo in assoluto il male o il cattivo, sarebbe la via maestra per condurre gli uomini sulla via del bene pur nella “tentazione del mondo”. L’unica via politica contemplata da tale strategia del “futuro escatologico” dovrebbe quindi essere quella fondata sulla “diplomazia delle ginocchie”, cioè quella retta dalla virtù taumaturgica della preghiera e dei loyolani (da Ignazio di Loyola) Esercizi spirituali

A tale diplomazia, Francesco ha accompagnato l’esercizio della parresia [franchezza e sincerità nel dire le cose, Ndr], soprattutto con il costante riferimento a quello che nella sua rappresentazione “geopolitica” sarebbe il “nodo politico globale” (Cit.,febbraio 2017) ovvero “la tragedia dei migranti”. Dunque, strategia fondata sulla negazione del potere costituito politico e diplomatico: in tale contesto, di contro al grande statista machiavellico cinese, Xi Jinping, secondo il New York Times papa Francesco emerge globalmente nella sua statura di “anti-uomo forte” (Cfr 24/03/2018). 

Per quanto, dunque, vi sia o vi possa essere coincidenza tattica con il partito mondiale della sinistra di Soros, l’anarchismo mistico e millenaristico di papa Francesco non è assolutamente conciliabile con l’oligarcato mondialista del sionismo liberale di Soros. 

Francesco ha effettivamente tentato di spogliare il potere spirituale dei suoi panni temporali, non indossa più il rosso, colore associato alla tradizione imperiale espressione dell’imitatio imperii del romano vescovo ed il suo abito bianco vorrebbe ricondurre il “gregge” alla purezza delle origini. Ma dopo appena sei anni dall’elezione di papa Francesco si può osservare come il bergoglismo escatologico si sia rivelato un mito incapacitante. Non solo il male non è propriamente quell’astratto bene sotto altra forma che si voleva fosse ma probabilmente una precisa forza cosmica, come lo stesso Bergoglio notò di ritorno dalla Corea del Sud (agosto 2014, mese di furiosi bombardamenti ebraici sul popolo palestinese), facendo una parziale marcia indietro, comunque notevole, rispetto all’ideologia bergogliana originaria: 
«Siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, la terza guerra mondiale è iniziata ma a pezzetti. Nel mondo c'è un livello di crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria. Sì, un aggressore 'ingiusto' deve essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra».
 Ma l’Escatahon gesuitico-bergogliano è sempre più spostato avanti in un futuro astratto e forse non più rappresentabile nemmeno con gli occhi della fede, come si vedrà più avanti nelle riflessioni conclusive. Il bergoglismo originario nacque annunciando il superamento dei fronti strategici e politici. Ma a cosa ci ha portato in concreto?


Il “neo-francescanesimo” bergogliano senza maschera: mito incapacitante e Russofobia razzista


La narrazione bergogliana e spadariana ha finito così per mostrare i suoi punti deboli. Il punto di partenza era probabilmente giusto: il teologo gesuita al quale Francesco si ispira, Erich Przywara, ha ragione nel descrivere la fine storica dell’epoca costantiniana e dell’esperimento di Carlo Magno. L’europeismo globalista gesuitico teorizza allora la legittimità costituente europeistica. 


Papa Francesco non è il “papa del Sud” e non è il papa dei poveri: è il papa del Nord imperialista ed occidentalista, medesimi i mantra ideologici, medesimo il campo di appartenenza. A un salariato con famiglia che perde il lavoro proponi il mantra dell’ambiente e dei diritti umani? E dove sarebbe il grande respiro escatologico? Nei discorsi di Greta Thunberg, intrisi di neo-darwinismo antiumanistico (l’uomo come specie animale) e di utilitarismo puro, accolta con i tappetti rossi dal papa gesuita a Roma?

Bergoglio, "Papa comunista" per certo cattolicesimo conservatore...
Dunque, la dialettica politica e sociale di papa Francesco, nonostante l’utilitaristico patto tattico con quello stesso Xi Jinping che manda migliaia di cristiani nei “Laogai”, è comunque tutta interna al disegno strategico imperialista ed occidentalista.

Seconda riflessione è che l’attuale pontefice, nonostante la intima dimensione escatologica e postcostantiniana che nessuno, va comunque ribadito, che sia un onesto osservatore gli può negare, non è però quel pontefice della “diplomazia delle ginocchia” che i suoi ideologi amano proporci, o almeno non è solo quello. Il papa che ormai in ogni suo quotidiano sermone, sino ad annoiarci, vede bene di attaccare frontalmente le forze populiste e sovraniste, è il medesimo papa gesuita che ha più volte rivendicato (Cfr. La Croix marzo 2019, maggio 2019) l’intimo europeismo del suo pontificato, è quello stesso che ha del tutto silenziato la questione greca, tra i più grandi “genocidi capitalistico-finanziari” dei nostri tempi, con migliaia di bambini fatti morire o mutilati a vita, è quindi il medesimo pontefice che assiste con sostanziale indifferenza al genocidio del popolo palestinese e che, infatti, si è apertamente schierato con i golpisti sionisti e gli imperialisti nella lotta che a Caracas li vede contro il legittimo Governo democratico del presidente Maduro. 
Dove è la escatologia del futuro in questo vile e neo-doroteo appiattimento politicistico? Non c’è nemmeno qua. Classico politicismo gesuitico.

Ora la terza ed ultima riflessione. Nonostante le iniziali riserve, i gesuiti sono tra quelli cattolici, infatti, storicamente e dottrinariamente l’ordine più russofobo e imperialista uniatista, il patriarca russo Kirill finì poi per considerare papa Francesco un valido interlocutore. Lo storico incontro dell’Avana (2016) fu certamente un grande evento, raggiunto al prezzo di una sofferta vittoria interna su ferme (e alla luce attuale forse ben più che giustificate) resistenze antigesuitiche del clero ortodosso russo. Il punto di incontro tra i due religiosi fu rappresentato dal motivo dell’Ucraina quale nodo decisivo per le due chiese, la cattolica e la russa ortodossa, ma ben più, come è evidente, per la seconda. Fu espressa appunto la consapevolezza della necessità di elaborare una nuova concezione del mondo e del cristianesimo, che sapesse andare oltre l’eurocentrismo razzista ed imperialista, come precisò in più casi il metropolita Ilarion, ovvero colui che preparò lo storico incontro.
Viceversa, secondo una fazione del clero ortodosso vi sarebbe stata di recente l’attesa svolta russofoba e imperialista dei “neo-francescani” Gesuiti.
Tale svolta ben svelerebbe allora, agli occhi guardinghi di Mosca, la trama politica Gesuita. E’ la trama di sempre, quella tradizionale: circondare la Russia, assaltare la Russia, conquistarla sino a privarla del suo cuore spirituale, l’Ortodossia. Tale fazione, analizzando lo scisma ucraino tragicamente consumatosi con il poco oculato strappo del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, ha puntato il dito non solo contro l’interferenza americana ma anche contro quella gesuita. I gesuiti sono infatti in tali zone strategiche, storicamente, un tutt’uno con la comunità greco-cattolica ucraina, invitata da papa Bergoglio a Roma. Invitare in tale contesto a Roma la comunità greco-cattolica significa chiaramente sposare la causa dell’uniatismo imperialista russofobo, almeno agli occhi del clero ortodosso russo. Dopo l’ottobre 2018, Ilarion, il quale era solito incontrarsi cordialmente con papa Francesco, avrebbe deciso unilateralmente di interrompere le visite. In due casi, di recente, lo stesso patriarca Kirill avrebbe, come il lettore noterà si usa il condizionale, declinato gli inviti del papa gesuita.

Anche il viaggio in terra ortodossa romena del papa Francesco non favorisce di certo la distensione, il patriarcato romeno, infatti, non è solo il più distante da Mosca ma è anche assai vicino alla fazione scismatica di Kiev. Vari motivi e fatti, questi portati, che danno bene l’idea di come il pontificato gesuitico, più che neofrancescano, per quanto escatologico, sia assai cattolico, romano e machiavellico. Nessuno di più di un gesuita, per riprendere le parole di Machiavelli, sa che occorre politicamente procedere “con la qualità dei tempi effettuali”. Ma non può allora stupire che fazioni consistenti del patriarcato russo indichino ai fedeli esempi concreti e positivo di cristianesimo “orientale” come punti fermi in una presunta lotta di civiltà con il gesuitismo occidentale: dai siriani ortodossi nell’eroica resistenza del monastero Malooula alla diffusione interna di documenti teologici, di provenienza athonita [del Monastero del monte Athos, in Grecia, NdR], in cui si afferma che il Papa cattolico è “degli ebrei, dei rabbini, dei massoni, dei dittatori, dell'America, dell'ecumenismo e del “nuovo ordine mondiale”. Un tale Papa avrebbe, a detta di tali fazioni, “esonerato il popolo ebraico dalla cosmologica responsabilità per la crocifissione di Gesù”; motivo ricorrente di questa propaganda politico-religiosa russofila è che questo papato Gesuita, in odor di eresia, non può avere nulla da offrire agli ortodossi, sarebbe anzi il maggior pericolo che potesse capitare ai russi in tale contesto storico.


Ideologia del potere politico universalistico



Da qualunque parte si osservi la questione, in conclusione, ciò che emerge è che, nonostante la strategia escatologica, il bergoglismo è una ideologia di volontà di potenza e potere politico come tutte le altre. Forse, dato il suo presentarsi in veste da agnellino, più di tutte le altre.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale.

In tal senso, l’ideologia Gesuita del futuro escatologico e della diplomazia delle ginocchie è sì un mito incapacitante, già fallito e foriero di ulteriori fallimenti, ma anche un disegno di potere universalistico che cavalca le istanze del globalismo finanziario di sinistra, perché certo di avere ragione di queste, ragionando come suo solito non sui tempi lunghi ma su quelli lunghissimi.

In definitiva, passati i vari Soros e Bannon, i Trump e gli Obama, tutti incerti se avremo ancora un globalismo americanistico a dettare la linea, avremo di certo qui a Roma ben saldo il prossimo Bergoglio del caso. Dunque, cercare di comprendere la “mentalità politica” di un pontefice significa comprendere la portata e la missione universalistica che tale carica e funzione millenaria porta con se stessa. 

Alla luce di tale missione e funzione possono essere meglio comprese molte svolte strategiche e prese di posizione che accompagnano l’ideologia politica cattolica-gesuitica. Il Vaticano è sempre stato uno stato universalistico e “antinazionale”, che ha giocato una sua partita strategica utilizzando sistematicamente la sua ragion di stato. Viene in mente solo la Cina di Xi che oggi abbia un orizzonte universalistico di tale potenza e ambizione; la Cina è però sì Impero ma anche, al tempo stesso, Stato nazione.
Il patriarcato di Mosca, con ogni probabilità, non sarà comunque la vittima sacrificale di questo gioco geopolitico caratterizzato da legittime ambizioni universalistiche ma anche da antichi e mai sopiti pregiudizi eurocentrici Russofobi e razzisti, per quanto abilmente mascherati da motivi liturgici e teologici.

giovedì 15 ottobre 2015

«L'AIUTINO» DI TSIPRAS ALLA CHIESA GRECA

[ 15 ottobre ]

«I greci possono attendere. La Chiesa no. 

Il governo Tsipras-bis ha iniziato il suo secondo mandato con una decisione che ha scatenato le polemiche sotto il Partenone: allentare i controlli dei capitali. 
Non per i comuni cittadini però (per loro il limite ai prelievi resta di 60 euro al giorno) ma per il clero ortodosso, che ha la necessità —come hanno spiegato i metropoliti— “di continuare a far funzionare le sue attività sociali e di beneficenza”. Le nuove norme firmate dal ministero delle finanze prevedono che le singole arcidiocesi possano ritirare 10mila euro al mese (contro i 1.280 circa previste) e quella di Atene —vista la complessità del territorio da assistere— fino a 20mila. “Si tratta di un provvedimento valido per tutte le realtà religiose e non solo per quella ortodossa —ha precisato l’esecutivo— e che riguarda solo l’istituzione e non i singoli preti per cui i limiti restano in vigore”.

L’aiutino di Tsipras conferma il suo rapporto pragmatico con la Chiesa ellenica i cui interventi di welfare —va detto— sono stati uno degli ammortizzatori sociali più efficaci negli ultimi cinque anni di crisi. Il premier è stato il primo presidente del Consiglio a non prestare giuramento religioso, i suoi figli non sono battezzati. Al di là dei gesti simbolici, però, quando ci sono stati di mezzo gli interessi più concreti (leggi i quattrini) il governo Syriza non se l’è sentita di rompere i ponti con il potere ecclesiastico cui tra l’altro è legato a doppio filo il partner di governo Panos Kammenos, leader della destra di Anel. Molti degli antichi privilegi del clero sono rimasti intatti: lo Stato continua regolarmente a pagare lo stipendio (circa 220 milioni l’anno) a 10mila preti. Nelle misure lacrime e sangue imposte dalla Troika – tagli a stipendi e pensioni e aumenti di tasse a pioggia – nessuno ad Atene ha mai avuto la tentazione di inserire un giro di vite fiscale sul patrimonio della Chiesa, un miliardo di beni su cui vengono pagati 2,5 milioni di imposte circa, sfuggito finora ai morsi dell’austerity.

La realpolitik di Tsipras ha però pagato: l’arcivescovo Ieronimos è arrivato a offrire il reddito delle proprietà ortodosse per ridurre l’esposizione della Grecia. Il Sacro Sinodo —
quando il Primo ministro combatteva muro contro muro con Ue, Bce e Fmi— l’aveva sostenuto a spada tratta definendo la Troika una “forza d’invasione straniera”. Quando Syriza è stata costretta a firmare l’armistizio con i creditori, anche i vertici del clero si sono allineati ai nuovi toni più soft, concentrando gli sforzi su un’accorata richiesta di riduzione del debito. I santi in paradiso, si sa, possono sempre aiutare. Ma un amico al governo, in tempi di controllo dei capitali, ancora di più».

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