[ 25 dicembre 2018 ]
Prima di passare al punto 13 sulla critica dell’ideologia in Marx voglio sottoporvi la fiaba del “Re Nudo” di Andersen perché ha una forza evocativa ed esplicativa meravigliosa che calza a pennello con il nostro ragionamento, non perché Marx sia il re nudo, ma re nudo sono a volte le nostre finte certezze o le nostre idee che spesso pretendono di disvelare un essere diverso da quello che siamo:
Prima parte
Seconda parte
Prima di passare al punto 13 sulla critica dell’ideologia in Marx voglio sottoporvi la fiaba del “Re Nudo” di Andersen perché ha una forza evocativa ed esplicativa meravigliosa che calza a pennello con il nostro ragionamento, non perché Marx sia il re nudo, ma re nudo sono a volte le nostre finte certezze o le nostre idee che spesso pretendono di disvelare un essere diverso da quello che siamo:
«La fiaba parla di un imperatore vanitoso, completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore, e in particolare del suo abbigliamento. Un giorno due imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni. I cortigiani inviati dal re non riescono a vederlo; ma per non essere giudicati male, riferiscono all'imperatore lodando la magnificenza del tessuto. L'imperatore, convinto, si fa preparare dagli imbroglioni un abito. Quando questo gli viene consegnato, però, l'imperatore si rende conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché; attribuendo la non visione del tessuto a una sua indegnità che egli certo conosce, e come i suoi cortigiani prima di lui, anch'egli decide di fingere e di mostrarsi estasiato per il lavoro dei tessitori. Col nuovo vestito il re sfila per le vie della città nell’acquiescenza generale, di fronte a una folla di cittadini i quali applaudono e lodano a gran voce l'eleganza del sovrano, pur non vedendo alcunché nemmeno essi e sentendosi essi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. L'incantesimo è spezzato da un bimbo che, sgranando gli occhi, grida con innocenza "Ma il re non ha niente addosso!" (o, secondo una variante, "Il re è nudo!"). Ciononostante, il sovrano continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo».Ebbene vorrei considerarmi come quel bambino della fiaba che guarda con occhi innocenti alla verità e alle complicate trame della storia umana. Ma purtroppo anche io possiedo solo un punto di vista parziale e non neutrale, non ho in tasca la verità assoluta e mi muovo con difficoltà, come un saltimbanco tra idealismo, ideologia e materialismo!
* * *
13) Marx, il più grande de-costruttore di ideologie della modernità, è a sua volta vittima di ideologia, della propria “ideologia”? Sembrerebbe di sì, proprio per i primi 12 punti da me elencati. Per Marx il tratto proprio di ogni ideologia è “la falsa coscienza”, è il tentativo della classe dominante di far passare per universale il suo punto di vista e interesse parziale (vedi imperativi categorici a priori della morale borghese, che dipingono come bene universale tutto ciò che e’ bene per i suoi interessi). E’ la naturalizzazione e ipostatizzazione di rapporti sociali e categorie economiche (come la merce e il denaro) che sono storicamente determinati ed in quanto tali transuenti!
Fin qui onore al merito al Genio di Treviri! Ma pensare che la storia è il movimento reale che partorisce il comunismo, o che il proletariato contiene in se la missione storica di abolire il capitalismo, o altresì che la rivoluzione socialista si realizzerà nei paesi a più alto sviluppo delle forze produttive, o che il capitalismo è necessariamente l’ultimo stadio della società classista oltre il quale ci può essere solo una società senza classi, o che “solo nel comunismo si riconcilia l’essenza dell’uomo con la sua esistenza”, non è a sua volta tutto questo “ideologia”? Non è nuova ipostasi? Non è far passare un punto di vista soggettivo e parziale per necessità universale? Chi può dimostrare che l’essenza umana sia necessariamente comunista (quindi anti-gerarchica e a-classista) piuttosto che semplicemente sociale e comunitaria, ma incubatrice di nuove gerarchie sociali (come la comunità delle formiche o delle Api)? Chi può dire l’ultima parola sul fatto che la specie homo sapiens sia un “ente generico universale” intrinsecamente capace di creare il paradiso in terra e il bene assoluto, piuttosto che l’inferno prodromico alla sua estinzione di massa? O che, per una strana eterogenesi dei fini, non si realizzi né l’uno né l’altro ma una cyber-society in cui il soggetto, metà uomo e metà macchinico, sconfini definitivamente in una società distopica di Matrix-memoria? Entriamo in interrogativi che fanno tremare le coscienze e i paradigmi filosofici consolidatisi in due millenni da Platone ad oggi.
Noi minoranza attiva, nell’attraversare il mare tempestoso della storia dobbiamo fare il nostro compito, batterci per la libertà e la giustizia sociale, anche se questo si rivelerà un sogno utopico. Anche se non c’e’ alcuna garanzia assoluta, scientificamente accertabile con le lenti del materialismo storico, che arriveremo all’approdo vincenti, che agiremo con il vento in poppa, che le forze della storia ci spingano necessariamente in questa direzione piuttosto che verso il naufragio.
Osservando la fine tragica dei Socrate, dei Giovanni Battista, dei Gesù Cristo, dei Giordano Bruno, dei Simon Bolivar, dei Trotsky, dei Che Guevara, dei comunardi, dei boscevichi, degli anarchici spagnoli, qualche dubbio sorge; sembra proprio che la speranza sia ridotta al lumicino! Tuttavia lottiamo, Spes contra spem, come lotta un malato terminale per la propria sopravvivenza, o un naufrago che vede lontano il proprio approdo!
Marx aveva invece una certezza apodittica: le forze della storia spingono nella direzione dell’emancipazione e l’essenza dell’uomo è nella ricerca della libertà e dell’uguaglianza. Se ciò non fosse vero si ricadrebbe nell’utopismo e quindi nella fallacia idealista di giustapporre i pii desideri filantropici al movimento reale della storia. Ma esagerando alcune contraddizioni materiali del capitalismo, distorcendo la capacità delle forze sociali, feticizzando la facoltà provvidenziale delle forze produttive di scardinare i rapporti ha finito ahimé per rendere meno scientifico e più utopico il suo socialismo.
14) La certezza apodittica di Marx sull’avvento del comunismo deriva proprio dal suo idealismo hegeliano, che pretendeva di aver superato, ma in realtà operava segretamente negli interstizi della sua filosofia della storia. Per quanto si sia sforzato di rendere scientifica la sua concezione della storia e della società — e nessuno più di lui ci è riuscito — rimane il fatto che il suo materialismo è contaminato fortemente di filosofia della storia, di storicismo. Una filosofia che trae linfa vitale proprio dall’idealismo classico tedesco.
Hegel credeva in uno spirito nascosto che è all’opera nell’universo e nella storia e che anima il suo divenire verso la perfettibilità. Pur tra incidenti e ricadute esiste una “astuzia della ragione” che collabora nella marcia trionfante e universale del progresso! Marx pretendeva di aver messo la dialettica di Hegel a testa in su ma ha solo sostituito la materia allo spirito, attribuendo ad essa ciò che è l’essenza stessa dello spirito: l’aspirazione perenne al meglio e alla perfezione! Più che Darwin sembra all’opera Lamarck, anche egli permeato come Hegel del clima culturale illuministico e che vedeva il progresso all’opera persino nella natura, attraverso la legge dell’adattamento. Celebre e proverbiale il suo assunto (poi smentito da Darwin) che la giraffa ha il collo lungo per adattare il suo corpo a piante altissime!! Ebbene Marx prima sostituisce la materia allo spirito e poi le forze produttive alla materia attribuendo ad esse la virtù segreta e magica di superare tutti gli ostacoli frapposti dai rapporti di produzione, e farsi strada verso uno sviluppo illimitato. Ma questo moto incessante è un postulato a-priori, un assioma che non ha nulla di scientifico e deve a sua volta essere dimostrato.
Sembra di essere difronte ad una nuova religione che ha per meta il comunismo e come forza provvidenziale le forze produttive. Marx rischia cosi di ricadere nel feticismo che demistificava nella merce! Precisamente nel feticismo delle forze produttive che egli santifica al pari dei capitalisti anche se da punti di vista opposti. Uguale l’inversione di soggetto e oggetto (non sono più gli uomini in carne ed ossa, poveri mortali, ma le forze che si servono degli uomini o lo spirito che lui attribuisce agli uomini a fare la storia) e cosi anche in questo caso, come nell’ideologia capitalista, i rapporti tra le persone prendono le sembianze di rapporti tra cose, o di proiezioni soggettive di questi rapporti.
Questa religione delle forze produttive, che io chiamo tecno-scientismo, in nome della quale il capitale ha oppresso e schiacciato intere generazioni ha spinto lo stesso Lenin ad esaltare il taylorismo come fosse una tecnologia neutra, piegabile sia agli interessi del capitale che del lavoro. Oggi non sfugga, che l’officiante principale di questa nuova religione è Tony Negri ma questo sarà tema di un prossimo punto sul “General Intellect”.
Chiudo questa riflessione con due corollari ed alcuni alcuni interrogativi che mi auguro servano a scuotere le coscienze di chi legge:
1) primo corollario: i rapporti di produzione non hanno solo sconfitto le forze produttive come ho scritto al punto uno. Le forze deviate e sconfitte dal Capitale hanno cambiato i rapporti tra gli uomini
2) secondo corollario: la tecnica che prima era uno strumento che mediava i rapporti tra gli uomini diventa il totem esclusivo e significante con cui l’uomo entra in rapporto.
Gli interrogativi:
Noi minoranza attiva, nell’attraversare il mare tempestoso della storia dobbiamo fare il nostro compito, batterci per la libertà e la giustizia sociale, anche se questo si rivelerà un sogno utopico. Anche se non c’e’ alcuna garanzia assoluta, scientificamente accertabile con le lenti del materialismo storico, che arriveremo all’approdo vincenti, che agiremo con il vento in poppa, che le forze della storia ci spingano necessariamente in questa direzione piuttosto che verso il naufragio.
Osservando la fine tragica dei Socrate, dei Giovanni Battista, dei Gesù Cristo, dei Giordano Bruno, dei Simon Bolivar, dei Trotsky, dei Che Guevara, dei comunardi, dei boscevichi, degli anarchici spagnoli, qualche dubbio sorge; sembra proprio che la speranza sia ridotta al lumicino! Tuttavia lottiamo, Spes contra spem, come lotta un malato terminale per la propria sopravvivenza, o un naufrago che vede lontano il proprio approdo!
Marx aveva invece una certezza apodittica: le forze della storia spingono nella direzione dell’emancipazione e l’essenza dell’uomo è nella ricerca della libertà e dell’uguaglianza. Se ciò non fosse vero si ricadrebbe nell’utopismo e quindi nella fallacia idealista di giustapporre i pii desideri filantropici al movimento reale della storia. Ma esagerando alcune contraddizioni materiali del capitalismo, distorcendo la capacità delle forze sociali, feticizzando la facoltà provvidenziale delle forze produttive di scardinare i rapporti ha finito ahimé per rendere meno scientifico e più utopico il suo socialismo.
14) La certezza apodittica di Marx sull’avvento del comunismo deriva proprio dal suo idealismo hegeliano, che pretendeva di aver superato, ma in realtà operava segretamente negli interstizi della sua filosofia della storia. Per quanto si sia sforzato di rendere scientifica la sua concezione della storia e della società — e nessuno più di lui ci è riuscito — rimane il fatto che il suo materialismo è contaminato fortemente di filosofia della storia, di storicismo. Una filosofia che trae linfa vitale proprio dall’idealismo classico tedesco.
Hegel credeva in uno spirito nascosto che è all’opera nell’universo e nella storia e che anima il suo divenire verso la perfettibilità. Pur tra incidenti e ricadute esiste una “astuzia della ragione” che collabora nella marcia trionfante e universale del progresso! Marx pretendeva di aver messo la dialettica di Hegel a testa in su ma ha solo sostituito la materia allo spirito, attribuendo ad essa ciò che è l’essenza stessa dello spirito: l’aspirazione perenne al meglio e alla perfezione! Più che Darwin sembra all’opera Lamarck, anche egli permeato come Hegel del clima culturale illuministico e che vedeva il progresso all’opera persino nella natura, attraverso la legge dell’adattamento. Celebre e proverbiale il suo assunto (poi smentito da Darwin) che la giraffa ha il collo lungo per adattare il suo corpo a piante altissime!! Ebbene Marx prima sostituisce la materia allo spirito e poi le forze produttive alla materia attribuendo ad esse la virtù segreta e magica di superare tutti gli ostacoli frapposti dai rapporti di produzione, e farsi strada verso uno sviluppo illimitato. Ma questo moto incessante è un postulato a-priori, un assioma che non ha nulla di scientifico e deve a sua volta essere dimostrato.
Sembra di essere difronte ad una nuova religione che ha per meta il comunismo e come forza provvidenziale le forze produttive. Marx rischia cosi di ricadere nel feticismo che demistificava nella merce! Precisamente nel feticismo delle forze produttive che egli santifica al pari dei capitalisti anche se da punti di vista opposti. Uguale l’inversione di soggetto e oggetto (non sono più gli uomini in carne ed ossa, poveri mortali, ma le forze che si servono degli uomini o lo spirito che lui attribuisce agli uomini a fare la storia) e cosi anche in questo caso, come nell’ideologia capitalista, i rapporti tra le persone prendono le sembianze di rapporti tra cose, o di proiezioni soggettive di questi rapporti.
Questa religione delle forze produttive, che io chiamo tecno-scientismo, in nome della quale il capitale ha oppresso e schiacciato intere generazioni ha spinto lo stesso Lenin ad esaltare il taylorismo come fosse una tecnologia neutra, piegabile sia agli interessi del capitale che del lavoro. Oggi non sfugga, che l’officiante principale di questa nuova religione è Tony Negri ma questo sarà tema di un prossimo punto sul “General Intellect”.
Chiudo questa riflessione con due corollari ed alcuni alcuni interrogativi che mi auguro servano a scuotere le coscienze di chi legge:
1) primo corollario: i rapporti di produzione non hanno solo sconfitto le forze produttive come ho scritto al punto uno. Le forze deviate e sconfitte dal Capitale hanno cambiato i rapporti tra gli uomini
2) secondo corollario: la tecnica che prima era uno strumento che mediava i rapporti tra gli uomini diventa il totem esclusivo e significante con cui l’uomo entra in rapporto.
Gli interrogativi:
lo sviluppo delle forze produttive non si è rovesciato nel suo opposto (un de-sviluppo) prima di aver scardinato i rapporti capitalistici di produzione?
Non ha cambiato l’antropologia umana creando soggettività iper-specializzate, individualiste, solipsiste, iper-cretine ed inservibili per un salto quantico verso una società di giusti ed eguali?
La tecnica non è diventata disvelamento definitivo di una umanià’ dedita oramai alla religione cinica del calcolo, che vede in madre natura solo una materia prima da estrarre e da depredare (ma anche una pattumiera) e negli altri uomini dei sgabelli su cui salire per mero calcolo di interesse ?
E l’uomo non è stato cosi sopravanzato dalla tecnica stessa (come temeva Gunther Anders) da diventare antiquato?
E la sua posizione di soggetto non è stata presa dalla tecnica dalla quale dipende oramai l’essere e il non essere dell’umanità, il senso che diamo alle nostre vite?
Io non ho la risposta.
Ma se le risposte a queste domande sono affermative allora bisogna prendere atto di essere entrati in una nuova era post-umana, in piena epoca distopica dove il solo parlare di filosofia, di emancipazione e di comunismo rischia di farci passare non per marxisti ma per marziani.
(fine)
Seconda parte