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venerdì 31 gennaio 2020

TERZO POLO? SÌ MA QUALE? di Leonardo Mazzei

L'Emilia Romagna non è l'Italia, ma le elezioni di domenica almeno tre cose ce le dicono.

La prima è ovviamente la sconfitta di Salvini. Sconfitta certo non imprevedibile, ma resa più cocente dalle spacconate del diretto interessato. Il quale deve ora incassare gli effetti del secondo grave errore negli ultimi cinque mesi, dopo quello clamoroso assai dell'agosto scorso.

venerdì 27 dicembre 2019

NO AL REFERENDUM LEGHISTA di Piemme

Il 20 novembre scorso la Cassazione ha purtroppo dato il via libera al quesito referendario presentato da otto regioni a guida leghista. 

Di che si tratta? Il referendum mira a cancellare la quota proporzionale del Rosatellum estendendo i collegi uninominali al 100% del territorio nazionale. L'ultima parola,

sabato 23 novembre 2019

L'ENNESIMA PORCATA E L'INCIUCIO LEGA-PD di Piemme

[ sabato 23 novembre 2019 ]

"Lega e Pd fanno come i ladri di Pisa, che litigano di giorno e rubano assieme di notte".

CI RISIAMO.

Dopo la decisione di ridurre il numero di parlamentari —voluta dal M5S ma accettata da tutti i partiti sistemici — è in arrivo  una nuova bomba contro la Costituzione del '48.*

L'Ufficio centrale di Cassazione ha dato il primo semaforo verde al quesito referendario per l'abolizione della legge elettorale vigente ("Rosatellum"), per la precisione l'abolizione della quota proporzionale.

Si sa cosa sia il maggioritario: un meccanismo elettorale per cui una minoranza elettorale, purché arrivi prima, si prende la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, ovvero si piglia il governo. Con l'addendum che essa non solo impedisce alle minoranze fastidiose di entrare in Parlamento, ma assicura alla maggioranza relativa la facoltà di papparsi i seggi che spetterebbero alle minoranze che non riuscissero a superare lo sbarramento implicito.

Il referendum è stato proposto da otto consigli regionali di centro destra, leggi leghisti, berlusconiani e fratellastri d'Italia, come dire: il lupo perde il pelo ma non il vizio.  Architetto della nuova porcata il medesimo di quella precedente, lo sfrontato leghista Roberto Calderoli e vero e proprio demiurgo il sodale Giancarlo Giorgetti — Giorgetti che ieri, intervistato dal Corriere della Sera per tranquillizzare l'élite e non debbono avere paura di Salvini ha sottolineato l'assemso di quest'ultimo su Mario Draghi al Quirinale.

E così, mentre Salvini ha vidimato l'ennesima porcata sulla legge elettorale, subito importanti esponenti del Pd han già dato il loro assenso all'ennesima modifica imn senso maggioritario della legge elettorale. Chiaro è lo scopo: ripristinare la tirannia del bipolarismo che gli italiani han fatto a pezzi il 4 marzo del 2018. **

Lega e Pd fanno come i ladri di Pisa, che litigano di giorno e rubano assieme di notte.


Ed ecco dunque, visto che l'alleanza Pd-M5s è destinata a sfasciarsi, il pericolo dietro l'angolo di un accordo tacito tra Lega e Pd: il Pd dice sì alla legge elettorale maggioritaria in cambio di Draghi al Colle. 

* SCHEDA 1

La Costituzione del 1948 e il sistema elettorale proporzionale
«L’opzione iniziale per il metodo elettorale proporzionale non solo discendeva direttamente dalle scelte di quel periodo espresse dalla Costituente nella Costituzione “formale”, ma addirittura rappresentava un elemento essenziale della Costituzione “materiale” riconoscibile in quel momento. Era infatti comune nelle forze politiche e sociali la convinzione che questo metodo elettorale rispondesse meglio di ogni altro a rappresentare la situazione politica del Paese, oltre che a prevenire, in sede elettorale, il conseguimento di posizioni, in qualche modo dominanti, a favore di questo o quel partito, i quali tutti, per dettato costituzionale, dovevano avere una posizione paritaria di autogaranzia reciproca. Quel sistema inoltre era ritenuto più funzionale alla formazione di governi di coalizione, modello che sembrava, nonostante alcune autorevoli perplessità, il più adatto per il Paese, non tanto perché era, per così dire, “debole”, così da costituire di per sé un ostacolo ad eventuali tentazioni autoritarie (imperava allora il notissimo “complesso del tiranno”!), ma soprattutto perchè si basava in modo preminente sul principio “collegiale”. Tale principio organizzativo era considerato essenziale per la tenuta del sistema democratico, in quanto consentiva, meglio di ogni altro, la più ampia ed effettiva partecipazione dei rappresentanti delle forze politiche al reggimento della cosa pubblica». 

di Piero Alberto Capotosti 



* SCHEDA  2

Le svariate manomissioni della legge elettorale 
La legge n. 270 del 21 dicembre 2005, comunemente nota come legge Calderoli o Porcellum, era una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate che ha disciplinato l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in Italia nel 2006, 2008 e 2013. Nel gennaio 2014, con sentenza n. 1/2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale parziale della legge, annullando il premio di maggioranza e introducendo la possibilità di esprimere un voto di preferenza. La legge elettorale simil-proporzionale così risultante, soprannominata Consultellum, è rimasta in vigore, senza peraltro essere mai stata effettivamente utilizzata, per l'elezione della Camera fino alla sua sostituzione con l'Italicum a decorrere dal 1º luglio 2016, e per l'elezione del Senato fino al novembre del 2017. La legge è stata definitivamente abrogata in seguito all'entrata in vigore della Legge elettorale italiana del 2017, meglio nota come Rosatellum, con cui si è votato il 4 marzo 2018.

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lunedì 21 dicembre 2015

ELEZIONI IN SPAGNA: L'INSTABILITÀ NELLA STABILITÀ E LA SFIDA DI PODEMOS

[ 21 dicembre ]


«Pensavamo di finire come la Grecia, invece abbiamo fatto la fine dell'Italia».

In questo tweet, inviato da un cittadino spagnolo alla redazione di El País, mentre si consolidavano quelli che saranno i risultati elettorali definitivi, si descrive come meglio non si può, il quadro politico emerso dalle urne.
Partito Popolare e Partito Socialista, i due pilastri del sistema politico spagnolo, hanno perso più di 6 milioni di voti, a vantaggio delle due nuove forze politiche, Podemos e Ciudadanos.

Un terremoto non devastante, ma che potrebbe rappresentare il de profundis del regime bipolare (PP-PSOE) attraverso cui le classi dominanti, grazie anche ad una legge elettorale truffaldina, hanno esercitato la loro supremazia dalla fine del franchismo ad oggi. Usiamo il condizionale anche se in tutti i talk show delle tv spagnole, questa sera, non si fa che parlare della "fine del bipartitismo" 
È lo stesso refrain che Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha utilizzato a spoglio non ancora ultimato, in tarda serata, ai suoi sostenitori nella piazza gremita.
Che il bipartitismo spagnolo sia ormai una parentesi chiusa, ce lo dirà il prossimo futuro.
Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.

Ce lo auguriamo, ma ciò dipenderà da diversi fattori, tra i primi come si comporterà Podemos nei prossimi mesi, ovvero se finirà a fare la stampella del Partito Socialista o se, come promesso durante la campagna elettorale, respingerà qualsiasi accordo per un governo che assicuri la "governabilità". [1]

Pablo Iglesias intanto tenta di godersi la festa, vista l'avanzata di Podemos, si tratta tuttavia di un'avanzata zoppa data l'aspettativa di diventare secondo partito, come i primi exit pool, di nuovo sbagliando, attestavano.
Inizia per Podemos la sfida più difficile: fallito l'obiettivo dell'assalto al cielo, di una rapida ascesa al governo, ora si tratta di passare ad una difficile "guerra di posizione": costruire con tenacia ed intelligenza un'egemonia più ampia, un blocco sociale che possa davvero, non solo affossare il bipartitismo, ma rovesciare le oligarchie dominanti.
Podemos non ci riuscirà se non si libererà da quella che potremmo chiamare "sindrome grillina", ovvero la presunzione di autosufficienza.

Pablo Iglesias potrebbe ritenere, anzi sicuramente riterrà, che il fatto che Izquierda Unida abbia ottenuto il peggior risultato della sua storia, ha dato ragione al suo deciso rifiuto di ogni alleanza a sinistra. Temiamo si sbagli. Nella sua visione contano solo i movimenti sociali e non c'è posto per alleanze con settori politici ben radicati e con una lunga storia, che lui liquida come "identitari", "essenzialisti", "roba vecchia", e quindi minoritari.
Ma i movimenti vanno e vengono, la loro spinta è sussultoria quanto incostante, quindi sempre incerta, mentre anche a causa del carattere multinazionale dello stato spagnolo, anzitutto in Catalogna e nei Paesi Baschi, esistono forze politiche ben radicate e con cui non si può non fare i conti, con le quali, per dirla alla Manolo Monereo, si dovrebbe costruire un "blocco nazional-popolare".
Checchè ne dica Iglesias, Podemos è ormai un partito a tutti gli effetti e deve saper dimostrare di essere una forza antisistemica anche ove venisse a mancare la forza propulsiva dei movimenti sociali.

Vedremo già nelle prossime settimane come andranno le cose in Spagna e per Podemos.
Con un parlamento senza maggioranza sembrerebbe scontato il ricorso alle elezioni anticipate.
E' probabile che i dominanti, forti dell'appoggio delle oligarchie eurotedesche, applicheranno lo schema già sperimentato prima in Grecia e recentemente in Francia, usando la stessa narrazione e gli stessi metodi: si paventerà ai cittadini il rischio del caos per spaventare i settori popolari che si sono espressi per un profondo cambiamento, si demonizzerà chiunque parli di sovranità popolare, si richiameranno infine all'ordine i loro fantocci (PP e PSOE) per obbligarli a coalizzarsi allo scopo di tenere in piedi la traballante baracca. 

La sfida delle prossime settimane per Podemos è quindi molto più difficile di quella che si lascia alle spalle.

Il nostro augurio, malgrado tutto, è che possa vincerla.
E per vincerla dovrebbe lasciarsi alle spalle non solo le illusioni movimentiste, ma le tante ambiguità e reticenze sulla questione delle questioni: il rapporto con l'euro-Germania.
In estrema sintesi, avrà Podemos, la capacità di sfuggire alla demonizzazione, ma finalmente ponendosi come perno di un blocco ampio che ridia al Paese la sua sovranità perduta?


NOTE

[1] Iglesias ha questa notte ribadito che Podemos è disponibile solo ad un "governo di scopo" che per la riforma costituzionale. Nello specifico tre passi: (1) Inserire in Costituzione articoli che "blindino", cioè sanciscano l'universalità del welfare, quindi l'obbligo dello Stato a erogare i servizi sociali; (2) Inserire un articolo che consenta ai cittadini di esprimere, evidentemente attraverso un referendum, la "sfiducia" verso un governo che non applichi il suo programma —di fatto è il principio del vincolo di mandato o mandato imperativo; (3) Il carattere plurinazionale della Spagna. 





martedì 15 dicembre 2015

FRANCIA: LE PEN+SARKOZY+HOLLANDE. Le destre ottengono il 100x100 di Emmezeta

[ 15 dicembre ]

Sarkozy: 40,24%
Hollande: 32,12%
Le Pen: 27,10%

La dicotomia destra-sinistra non è morta affatto. Defunte sono le sinistre così che le destre non sono mai state così forti.
E' andata come previsto. Il voto "contro", esaltato dal sistema elettorale a doppio turno, ha assicurato una grigia vittoria ai "repubblicani" ed ai loro alleati. E' un voto che mette in luce i limiti dell'avanzata del Front National, che conferma un notevole spostamento a destra dell'elettorato francese, che mostra un Paese assai confuso circa le prospettive future.
Quello di domenica scorsa è un voto che viene analizzato soprattutto in vista delle presidenziali del 2017. Le uniche che contano davvero. E questo già la dice lunga sullo stato della democrazia in Francia. Roberto D'Alimonte si compiace stamattina, sulle pagine del Sole 24 Ore, di un risultato che ha mostrato un'affluenza ai seggi più alta al secondo turno rispetto al primo, di un meccanismo (il ballottaggio) che favorisce comunque i partiti "sistemici", nonché della maggiore democraticità del "suo" Italicum rispetto al sistema francese. E da nemici acerrimi della nuova legge elettorale italiana, dobbiamo senz'altro riconoscere che il sistema transalpino è per certi aspetti ancora più antidemocratico di quello con il quale Renzi punta a costruire il suo personalissimo regime qui da noi.


Detto questo, torniamo alla Francia. Il risultato del ballottaggio mostra i limiti del Front National, che resta però il primo partito, confermando un trend di crescita da non
sottovalutare. 



Il partito, fondato da Jean-Marie Le Pen nel 1972, sfonda elettoralmente solo alle europee del 1984, quando raggiunge un inusitato (all'epoca) 11%. Risultato confermato alle europee del 1989 (11,7%), alle legislative del 1993 (12,7%) ed a quelle del 1997 (14,9%). Si arriva dunque alle presidenziali del 2002, quando Le Pen arriva clamorosamente al ballottaggio con Chirac, fermandosi però al 16% dei voti. Seguono anni di declino, fino al passaggio delle consegne alla figlia del fondatore, Marine Le Pen, che avviene nel 2011. Inizia da quel momento una crescita elettorale che non si è ancora fermata: 17,9% alle presidenziali 2012, 24,9% alle europee 2014 (diventando così il primo partito francese), 25,2% alle elezioni dipartimentali del marzo 2015, ed infine 27,3% al primo turno delle elezioni regionali di cui ci stiamo occupando.



Questa lunga serie di dati ci è utile per inquadrare correttamente il fenomeno Front National. Un fenomeno non nuovo, presente sulla scena francese da oltre trent'anni, che ha avuto i suoi notevoli alti e bassi (un po' come la Lega da noi), ma che appare comunque in fortissima crescita da quando è scoppiata la crisi economica in cui siamo immersi. E siccome la crisi è tutt'altro che finita, e la Francia non sembra messa per niente bene, aspettiamoci pure una prosecuzione del trend favorevole al partito guidato da Marine Le Pen. 



Giustamente, commentando i risultati del primo turno, Piemme ha scritto di una «conferma per l'ennesima volta di una delle lezioni della storia europea: quando la cosiddetta sinistra scimmiotta la destra e la insegue sul terreno liberticida della "sicurezza" e dello sciovinismo nazional-imperialista, è sempre quest'ultima ad essere premiata nelle urne». Un'affermazione per nulla smentita dai risultati del ballottaggio, dato che  mentre il Front National ha comunque incrementato i propri consensi di 800mila voti, è stata la destra "repubblicana" di Sarkozy - anch'essa fortemente "securitaria" e sciovinista - a conquistare il 40% e ben 7 regioni sulle 12 in cui è stato recentemente diviso l'Esagono. Un risultato ottenuto anche grazie alla "desistenza" decisa dal Partito Socialista nelle due decisive regioni del Nord Pas de Calais - Piccardia e della Provenza - Alpi - Costa Azzurra.



Il forte spostamento a destra del primo turno è stato dunque del tutto confermato al secondo. I socialisti hanno perso ben 7 regioni, mentre la sinistra del Front de Gauche è letteralmente scomparsa, restandogli al più il ruolo di ruota di scorta del partito di Hollande. Il voto a favore dello Stato d'emergenza, dato dai parlamentari della sinistra a novembre, è stato il sigillo di un suicidio politico annunciato.



Sta anche in ciò - nell'assenza di una sinistra capace di mettere al centro una chiara posizione sulla crisi, sull'euro e sull'Europa - una delle ragioni dello sfondamento del Front National. Uno sfondamento oggi fermato grazie al voto "contro" di tutti gli altri, ma domani chissà. Dal punto di vista del calendario il 2017 è vicino, ma sarà un anno e mezzo tutt'altro che ordinario. Chi pensa (Sarkozy, ma non solo) che il risultato di domenica sia di per sé una garanzia per conquistare la presidenza sbaglia.



Dal punto di vista politico il 2017 è lontano. Dalle urne (e ancor prima dalla campagna elettorale) è emerso un paese stanco, grigio, senza idee sul futuro, se non quella di provare a ritrovare un'identità nella sua dimensione neo-coloniale ed imperialista. Incapace di uscire dal pantano europeo, da una crisi che è politica ancor più che economica, il governo francese ha scelto la linea della guerra all'esterno, dello stato d'emergenza permanente e dell'islamofobia all'interno. Difficile che da una simile scelta - tanto più se non contrastata a sinistra - non si avvantaggi alla lunga la forza che meglio rappresenta una spinta reazionaria così forte.



Possiamo dunque prevedere l'ingresso di Marine Le Pen all'Eliseo? Non necessariamente. Anzi, questa possibilità appare al momento assai scarsa pur se non nulla. Ma una cosa è essere sconfitti col 16% come accadde al padre, altra esserlo con il 30 o magari con il 40%. Il punto debole del Front National risiede nella scarsa attrattività verso l'elettorato degli altri partiti, ma quanto mai sono invece attrattivi questi ultimi per l'insieme della popolazione? Quanto sapranno esserlo nei prossimi anni? La verità è che la crisi politica in Francia appare assai grave, e nulla fa pensare ad una sua soluzione a breve. 

venerdì 20 febbraio 2015

IMPARIAMO DA PODEMOS di Loris Caruso*

[ 20 febbraio ] SORPRESA! c'è ancora vita a sinistra. L'autore di questo articolo, parlando di PODEMOS, afferma: 
«Que­sto par­tito usa molte delle reto­ri­che e delle parole d’ordine dei popu­li­smi (l’inattualità della divi­sione destra/sinistra, la difesa della patria, lo scon­tro popolo/élite, la lotta alla Casta, ecc.), ma è rigo­ro­sa­mente di sini­stra nel pro­filo pro­gram­ma­tico». LA SORPRESA è che esso è apparso sul quotidiano il manifesto. Merita di essere letto attentamente.

«L’azione del nuovo governo greco è il primo fatto di «grande poli­tica» all’interno dell’Unione euro­pea. Per Gram­sci, la grande poli­tica riguarda la lotta per la difesa o la tra­sfor­ma­zione di una deter­mi­nata strut­tura sociale. La pic­cola poli­tica, invece, riguarda «le que­stioni che si pon­gono nell’interno di una strut­tura già sta­bi­lita, per le lotte di pre­mi­nenza tra le diverse fra­zioni di una stessa classe poli­tica. È grande poli­tica, per­tanto, anche il ten­tare di esclu­dere la grande poli­tica dalla vita sta­tale, e ridurre tutto a pic­cola politica».

L’Unione euro­pea è stata, finora, l’elemento di grande poli­tica che ha ridotto ogni poli­tica nazio­nale a pic­cola poli­tica, cioè a tat­tica, mano­vra par­la­men­tare, chiac­chiera media­tica, avven­tura elet­to­ra­li­stica, cele­bra­zione lea­de­ri­stica, insieme di auto­ma­ti­smi di cui si può cam­biare la forma ma non la sostanza. Il governo Tsi­pras inverte per la prima volta que­sto pro­cesso, e dimo­stra come possa essere ancora fon­da­men­tale la lotta per la con­qui­sta del potere poli­tico, come possa spo­stare equilibri.
Il fatto che negli ultimi vent’anni la poli­tica – la poli­tica di parte, quella capace di intro­durre con­flitto e dibat­tito – sia stata neu­tra­liz­zata dall’Ue, dal neo­li­be­ri­smo, dall’austerità, ha costruito, per rea­zione, un campo poli­tico carat­te­riz­zato dalla frat­tura sto­rica tra popolo ed élite, tra basso e alto della società. Un campo per­fetto per i popu­li­smi e le nuove destre.

Alle ultime ele­zioni euro­pee, aste­nuti e anti-europeisti hanno costi­tuito il 70% dell’elettorato. I mec­ca­ni­smi dell’alternanza centrosinistra/centrodestra si sono con­su­mati. Ovun­que in Europa nascono “terze forze” – di destra e di sini­stra — che la sfi­dano e la incri­nano. Se da una parte c’è la tec­no­cra­zia, dall’altra è cre­sciuta, per rea­zione, la costru­zione di «popoli» imma­gi­nari, la defi­ni­zione di nemici esterni, la volontà di ripor­tare la sovra­nità den­tro i con­fini nazio­nali (cioè, di riap­pro­priar­sene), e paral­le­la­mente la richie­sta di essere pro­tetti dal mercato.

Tutte que­ste rea­zioni rap­pre­sen­tano, in forme diverse, la richie­sta pres­sante di un ritorno del Poli­tico, di ciò che è stato rimosso. I popu­li­smi offrono pro­te­zione sociale, iden­tità, pro­ta­go­ni­smo imma­gi­na­rio, senso di appar­te­nenza, la pro­messa di riap­pro­priarsi del pro­prio destino. Di fronte allo sca­te­narsi della crisi e al seque­stro della poli­tica, gli atteg­gia­menti più dif­fusi delle popo­la­zioni euro­pee sono diven­tati un insieme con­trad­dit­to­rio: volontà di par­te­ci­pa­zione diretta, affi­da­mento al Capo, radi­ca­li­smo, ribel­li­smo, ideale della demo­cra­zia diretta, favore per la ridu­zione della demo­cra­zia e per l’eliminazione dei par­titi, e quindi per la costru­zione di uno Stato forte che possa pro­teg­gere i cit­ta­dini dalle con­se­guenze più deva­stanti del mer­cato glo­bale. Ten­denze con­tra­stanti, che pos­sono essere pre­senti anche all’interno di uno stesso movi­mento poli­tico e per­fino nei sin­goli individui.

Il capo­la­voro di Syriza, così come quello che Pode­mos sta poten­zial­mente costruendo in Spa­gna, è aver agito all’interno di que­sto insieme di con­trad­di­zioni, senza sno­bi­smi, valo­riz­zan­done gli aspetti più pro­gres­si­sti e cer­cando di legarli tra loro. In que­sto con­te­sto, il caso di Pode­mos è par­ti­co­lar­mente inte­res­sante. Que­sto par­tito usa molte delle reto­ri­che e delle parole d’ordine dei popu­li­smi (l’inattualità della divi­sione destra/sinistra, la difesa della patria, lo scon­tro popolo/élite, la lotta alla Casta, ecc.), ma è rigo­ro­sa­mente di sini­stra nel pro­filo pro­gram­ma­tico. Usa tat­ti­ca­mente il lin­guag­gio che ritiene più effi­cace per accu­mu­lare con­senso, cer­cando poi di usare que­sto con­senso per affer­mare nella società un pro­filo eco­no­mico e sociale di sini­stra radi­cale. Con­si­dera quel lin­guag­gio l’unico stru­mento pos­si­bile per affer­mare quel pro­gramma. Ha stu­diato i governi boli­va­riani dell’America Latina ma anche il suc­cesso del Movi­mento 5 Stelle. La spe­ranza, in que­sto caso, è che i lea­der di Pode­mos non si iden­ti­fi­chino troppo, nel tempo, con il loro stesso lin­guag­gio, rima­nendo intrap­po­lati nello schema di una feroce rin­corsa al con­senso elet­to­rale che li obbliga a porre in primo piano l’elemento della comu­ni­ca­zione e del mar­ke­ting poli­tico. Per ora, però, il loro ten­ta­tivo è efficacissimo.
Europee 2014: i risultati di PODEMOS nelle diverse regioni spagnole

Natu­ral­mente que­sti pro­cessi hanno ria­perto la discus­sione sulla sini­stra ita­liana. Ci sono novità impor­tanti, ma non è ancora chiaro come si evol­ve­ranno. Come si intrec­ce­ranno il per­corso dell’Altra Europa e il coor­di­na­mento delle sini­stre pro­po­sto da Ven­dola? Sel con­si­dera defi­ni­ti­va­mente tra­mon­tato il centro-sinistra? Que­sti per­corsi sapranno inclu­dere reti e domande sociali, o reste­ranno interni ai con­fini della poli­tica già esi­stente? Quanto tempo si dedi­cherà alla defi­ni­zione di orga­ni­grammi fun­zio­nali a man­te­nere deli­cati equi­li­bri interni, e quanto, invece, alla costru­zione di effi­caci ini­zia­tive poli­ti­che? Si aspet­terà ancora per molto di capire cosa farà Godot, cioè le mino­ranze della mino­ranza Pd? I nostri prodi avranno il corag­gio di uscire da quel par­tito? E vale dav­vero la pena di aspet­tare que­sto Godot? Il Pd è quello che è da quando è nato. Renzi ne ha radi­ca­liz­zato la natura, non l’ha cam­biata: è un Vel­troni estre­mi­sta. Chi è ancora in quel par­tito spesso ha con­di­viso le sue scelte (com­preso il fatto di man­dare Renzi a Palazzo Chigi) e la sua cul­tura poli­tica, e ne è stato maggioranza.

Natu­ral­mente il con­te­sto spa­gnolo e quello greco sono diversi tra loro e sono diversi da quello ita­liano. Però può essere utile anche per noi vedere che cosa Syriza a Pode­mos hanno in comune. Entrambi hanno un’ottica ege­mo­nica: si rivol­gono alla mag­gio­ranza della popo­la­zione. Pola­riz­zano il campo della poli­tica con mes­saggi netti. Si sono posti in con­tra­sto con la quasi inte­rezza dei loro sistemi poli­tici ma soprat­tutto, con una forza pole­mica priva di distin­guo, con i par­titi popo­lari e socialisti.
Appa­iono come ele­mento di novità radi­cale, ener­gico, di rot­tura, alter­na­tivo a tutto quello che esi­ste. Una novità che riguarda i pro­grammi, i con­te­nuti e la forma dell’azione poli­tica, le lea­der­ship, il lin­guag­gio, sem­pre anco­rando que­sta novità, però, alla «tra­di­zione» della difesa dei biso­gni popo­lari. Offrono nuove forme di pro­te­zione sociale, un riscatto con­tro l’impoverimento, la ridu­zione al silen­zio, l’angoscia col­let­tiva. Incar­nano in diversi modi la frat­tura tra popolo ed élite, riu­scendo a porsi come rap­pre­sen­tanti del primo con­tro la seconda.

Pur essendo euro­pei­sti, par­lano di difesa della patria con­tri i suoi “tra­di­tori”, di nazione, di sovra­nità. Sono orga­niz­zati in modo ori­gi­nale, tenendo insieme mobi­li­ta­zione sociale, azione politico-elettorale e un’ottica (auto­noma) di governo, inte­grando tra loro l’orizzontalità di una par­te­ci­pa­zione estesa e la ver­ti­ca­lità della strut­tura poli­tica. Ecco, fatte tutte le dif­fe­renze, potreb­bero essere ele­menti utili anche da noi».

* Fonte: il manifesto del 18 febbraio

giovedì 14 marzo 2013

SI VOTA A GIUGNO?

Imbrigliare M5S, cancellare la volontà popolare

di Emmezeta 


Se un governissimo è escluso, un governicchio è altamente improbabile. Emmezeta, segnalando il disorientamento che regna in seno alle élite dominanti, ritene che nuove elezioni politiche (forse addirittura a giugno) siano uno sbocco quasi obbligato.

sabato 9 giugno 2012

MPL (27): DOPO LA SCOSSA DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE



AFFONDARE LA LORO ZATTERA!

di Leonardo Mazzei


Se fino a ieri si trattava di indebolire il sistema politico, oggi è possibile osare di più, puntando alla sua completa destrutturazione

sabato 3 marzo 2012

FUORI DAL BIPOLARISMO

Fiorenzo Fraioli
Si parva licet componere magnis

Elezioni amministrative a Frosinone: perché sono contrario ad ogni ipotesi di alleanza o accordo con il centrosinistra

di Fiorenzo Fraioli*

Volentieri pubblichiamo questo intervento dell'amico Fiorenzo Fraioli, frosinate, animatore di Eco della rete ed uno dei promotori del tentativo, in quella città, di presentare una lista alternativa e indipendente. Come dire: nel particolare, spesso, c'è l'universale.

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