I TRE PIANI DEL DISCORSO
L’amico e
compagno di tante battaglie Giuseppe Pelazza ha svolto una dura critica a quanto da me
scritto sull’immigrazione (QUI
e QUI).
Probabilmente gli sfuggi quanto
scrissi nell’ottobre 2009, altrimenti mi avrebbe già allora tirato le orecchie.
Il suo attacco mi obbliga a precisare, spero meglio di quanto non abbiamo già fatto,
il mio pensiero.
Provando a dare un’ordine formale e
sostanziale, abbiamo che
tre sono i piani del discorso di Giuseppe. Il primo è squisitamente POLITICO,
il secondo concerne il DIRITTO, ed
il terzo è di natura FILOSOFICA.
(1) l’immigrazione di massa sarebbe funzionale alla lotta sociale di classe per emanciparci dal capitalismo e dall’imperialismo;
(2) l’accoglienza universale dei migranti —ovvero la consegna erga omnes non solo di regolari permessi di soggiorno bensì della stessa cittadinanza; ciò che implica il rifiuto di ogni possibile limite, come dell’ipotesi che sia necessaria una ragionevole regolamentazione—, sia un atto dovuto se si tiene fede allo Stato di diritto ed ai principi democratici;
(3) che questa accoglienza universale sia un obbligo morale, per essere più precisi un imperativo categorico, per tutti coloro che sulla scala diversi valori etici mettono in cima a tutti quelli della giustizia sociale e della solidarietà umana —che per essere vera deve indirizzarsi anzitutto verso i più deboli e gli oppressi.
Dico subito che
ognuno di questi assiomi è sbagliato e non regge ad un’indagine critica, sia
d’ordine teorico che fattuale.
ERRATO PARADIGMA
C’è un luogo nel
quale è depositato il baricentro politico del ragionamento di Giuseppe, eccolo
al punto 4):
«Ritornando, per finire, all’inizio, forse il nodo della questione è proprio lì: se l’immigrazione non è arrestabile se non con una rivoluzione globale, non bisognerebbe, allora, lavorare per inserire l’attuale deportazione nello scavare della vecchia talpa?». [1]
Il ragionamento di Giuseppe è con ogni evidenza insufflato
dal paradigma di certa sinistra radicale post-operaista, quello che nessuno
meglio di Toni Negri ha saputo esprimere. Lo schema di Negri è semplice: nei
luoghi e nei punti dove il capitalismo, nel suo sviluppo, tocca il suo apice,
lì si forma necessariamente il soggetto rivoluzionario, lì si danno le forme
più avanzate di scontro, a quell’altezza e solo a quella si deve condurre la
lotta. Nella fase fordista il
soggetto rivoluzionario era il mitico “operaio-massa”, oggi, dentro la
globalizzazione, sono le fantomatiche “moltitudini”. Per cui non lotta contro
la globalizzazione ma piuttosto aiutarla a dispiegare tutte le sue potenzialità;
non contrasto alla costituzione dell’Impero ma agevolarla, non lotta contro
l’Unione europea ma adoprarsi per accelerare la nascita agli Stati Uniti
d’Europa. E sull’immigrazione di massa la si deve addirittura invocare, in nome
del meticciato e di una società del melting
pot.
Se c’è un pizzico di
marxismo in questo
ragionamento, è quello biasimevole dell’economicismo e del determinismo, per
cui i luoghi dove la rivoluzione socialista è più vicina sarebbero quelli in
cui più alto è lo sviluppo delle forze produttive del capitale.
Noi veniamo da un’altra
scuola, quella che
sostiene che NON il massimo sviluppo delle forze produttive del capitale ci
avvicina al socialismo, bensì la
crisi del capitale, l’inceppamento del suo meccanismo di sviluppo. Ci
emanciperemo dal capitalismo NON grazie al pieno dispiegarsi della globalizzazione
ma solo al suo fallimento, e se sapremo approfittare delle sue congenite
contraddizioni per arrestare il suo corso.
Sì,
noi veniamo da un’altra scuola, quella che afferma che occorre combattere la
tendenza, ancor oggi dominante, quella della globalizzazione imperialistica,
una cui forma, grazie al piede di porco dell’euro, è quella alla nuova germanizzazione dell’Europa —tendenza che
conduce al declino del nostro Paese come provincia e protettorato
americano-tedesco, quindi ad uno Stato
minimo, uno Stato ridotto ad un simulacro, ad un mero esattore di tasse per
rimborsare gli squali della finanza globale, ad un guardiano notturno neoliberista a difesa di un regime politico
censuale contraddistinto dall’esclusione delle grandi masse dal gioco politico.
PRIMUM: DE-GLOBALIZZARE
Quando noi parliamo di “rivoluzione
globale” non stiamo
alludendo ad una miracolosa palingenesi dell’umanità, ad una rivoluzione che
magicamente veda sollevarsi tutti i popoli in un colpo solo.
L’avanzata
della globalizzazione non è ancora riuscita ad uniformare il mondo, ad
omogeneizzarlo facendone un’indistinta paccottiglia inanimata. Esistono diverse
civiltà, differenti popoli e nazioni con strutture sociali e culture specifici.
Il mondo, per fortuna, è ancora un poliverso, e ciò significa che ogni popolo,
ogni nazione, avendo un diverso rango e ruolo nella divisione mondiale del
lavoro, nonché storia, tessuti sociali e radici loro propri, procedono in
maniera diseguale e spesso asimmetrica. La globalizzazione imperialistica è
alle corde, ma lo “sganciamento” dei diversi paesi proseguirà ad un ritmo
diseguale. Che un giorno questo processo di sganciamento necessariamente
diseguale possa combinarsi, confluendo verso la medesima direzione, questo è il
nostro auspicio ed il compito dei rivoluzionari di ogni Paese.
C’è dunque una tendenza
oggettiva e operante
alla “de-globalizzazione”. Essa non seguirà però una direzione predeterminata,
non obbedisce ad alcuna legge di natura. L’esito è dunque incerto, ciò che sicuro
è che le forze rivoluzionarie debbono combattere e vincere ognuna in casa
propria. Noi viviamo qui in Italia, ed è qui che ci giochiamo la partita della
trasformazione sociale, il cui primo stadio è, appunto, permettere al nostro Paese
di spezzare le catene della globalizzazione imperialistica (di cui l’Unione
europea è baluardo), poiché nessuna profonda trasformazione sociale è possibile
altrimenti.
La globalizzazione
imperialistica sarà
ricordata un giorno come una parentesi, una fase storica. Come l’alta marea
essa è destinata a rifluire e con ciò ritornerà alla luce il paesaggio che
temporaneamente aveva ricoperto col suo flusso, dai flutti riemergendo i corpi
solidi e ancora vivi delle civiltà, delle nazioni, dei popoli con le loro
radici antiche.
Per
chi voglia davvero cambiare il mondo questo sarà il terreno in cui dovrà
misurarsi. Saranno della partita solo quelle forze che, messesi in sintonia con
il flusso della storia, senza affatto seguirlo in maniera codista, sapranno indirizzarlo e, per indirizzarlo avranno avuto la
capacità di metter visi alla testa.
QUALE TALPA STA SCAVANDO?
Perché
mai l’immigrazione di massa aiuterebbe la “vecchia talpa! [la rivoluzione, Ndr]
a scavare la fossa al capitalismo globale? Giuseppe non lo spiega, finisce anzi
lì la sua critica, dove invece dovrebbe cominciarla.
Noi abbiamo la
certezza contraria, che l’immigrazione di massa, lungi dall’aiutare la “vecchia
talpa” nel suo scavare, gli complichi, ed in modo letale, il suo già difficile
lavoro.
Se si afferma una tesi occorre, con tutto il rispetto per il finalismo della speranza ed i condivisibili sentimenti di solidarietà,
che porti fatti ed evidenze empiriche in suo soccorso. Anche solo prendendo in
considerazione i paesi Occidentali col più alto numero di immigrati ed il loro
tasso sulla popolazione complessiva [2] è difficile trovare traccia che la “vecchia
talpa” in quei luoghi abbia scavato meglio e più che altrove. L’evidenza empirica mostra
anzi il contrario, che se c’è una talpa che anche grazie all’immigrazione di
massa scava alacremente ed ha già aperto delle vere e proprie voragini, questa
è quella dei movimenti di massa xenofobi, islamofobi, se non apertamente
neo-fascisti.
Occorre combattere e stroncare questi
movimenti? Certo che sì!
Ma un modo già collaudato per aiutarli a crescere è la posizione
autolesionistica dell’ “accogliamoli tutti”. E poi, un conto è contrastare i
sentimenti xenofobi che si annidano tra la nostra gente, un altro è combattere
le formazioni politiche neofasciste. Fare confusione tra questi due livelli
della battaglia è un errore con conseguenze tremende.
Invece di lanciare anatemi certi compagni dovrebbero chiedersi, e dunque
darsi una risposta: c’è o no una correlazione tra l’attuale immigrazione di
massa e la crescita della reazione xenofoba? Se sì da cosa questa dipende?
Dipende secondo noi dal fatto che è diventato senso comune che questa immigrazione non è sostenibile, e non a
caso questa consapevolezza si è fatta strada anzitutto tra la nostra gente, tra
gli strati sociali massacrati dalla crisi e che toccano con mano questa insostenbilità.
E’ un dato solo italiano? No, la crescita della xenofobia tra i
proletari e la piccola borghesia falcidiata dalla crisi economica e pauperizzata,
è un dato omogeneo, una costante nei diversi paesi, ciò che esprime una
tendenza, cupa e minacciosa, ma una tendenza oggettiva. Per contrastarla
occorre compiere secondo noi una mossa iniziale: separarsi dall’élite
globalista dominante, dai suoi pennivendoli, dai suoi intellettuali,
smascherando come demagogica e retorica la loro narrazione sulla bontà dell’accoglienza
universale, sui diritti umani, la solidarietà, ecc.
IL CONCETTO DI “SOSTENIBILITÀ”
Delle due l’una:
o questo senso comune (che l’accoglienza universale e
generalizzata è frutto di una “percezione distorta” —come le élite sostengono ricorrendo
a spiegazioni antropologiche che rasentano il razzismo sullo stato di minorità culturale
di chi sta in basso) oppure questa “percezione” rispecchia il fatto reale dell’insostenibilità —ed allora non va
combattuta, ma rappresentata in forme antifasciste e democratiche.
Il concetto di sostenibilità non è né innocente né neutrale. L’aristocrazia finanziaria dominante ha
una sua idea di “sostenibilità”. Per essa (al netto di tutto il ciarpame moralista
sparato a cannonate dagli intellettuali al suo servizio) l’immigrazione di
massa è sostenibile, quindi auspicabile, se si risolve in un vantaggio per
essa, se concorre a rafforzare il suo sistema.
Questo vantaggio consiste in cinque fattori
principali:
(a) contribuisce a frantumare l’identità storica e spirituale dei popoli; (b) concorre alla dissoluzione degli stati-nazione —gli spazi giuridici del demos così come si è venuto storicamante costituendo nella soria moderna; (c) agevola gli assalti neoliberisti dell’aristocrazia finanziaria globale volti a demolire le conquiste salariali, sociali e civili delle classi subalterne; (d) approfondisce la consunzione di quanto resta in piedi del movimento operaio organizzato; (e) innesca e fomenta la cosiddetta “guerra tra poveri”, alimentando xenofobia, razzismo e sciovinismo.
A rovescio: ciò che è “sostenibile” e auspicabile
per i dominanti, è quasi sempre non-sostenibile e deprecabile per le classi
proletarie come per gli altri ceti subalterni.
“Sostenibile”
dovremmo considerare un’immigrazione che:
(a) NON susciti il conflitto tra chi sta in basso; (b) NON aiuti il sistema a sfasciare ciò che resta del movimento operaio organizzato; (c) NON sia fattore di smantellamento delle conquiste sociali e democratiche; (d) NON contribuisca a demolire lo spazio giuridico dello stato-nazione; (e) NON produca lo sfaldamento dell’identità storica e spirituale del popolo.
Sostenibile
implica dunque, come
minimo, che un dato fenomeno sociale, invece di essere affidato al caso (il che
vuol dire sottoposto alle esigenze del capitale globale) venga regolato, anzi
pianificato.
I nostri critici
a questo punto opporranno due domande.
- In base a
quali criteri pianificare i flussi migratori?
- Diamo forse a
questo Stato che consideriamo un nemico, il diritto di regolare i flussi
migratori?
Risposta alla prima domanda: in base alle esigenze della comunità
che questi migranti deve ospitare, alla capacità effettiva del sistema sociale ospitante di
assorbirli quindi: (1) senza gettarli nell’esclusione come dei paria sociali e, (2)
senza che ciò avvenga a spese dei proletari che già abitano entro i confini della nazione. Se
proviamo a gettare lo sguardo oltre la cortina fumogena delle vicende presenti, sulla base delle proiezioni statistiche sugli ingenti flussi attesi, sappiamo che dato il contesto economico di una stagnazione di lungo periodo, ed anche date
le crepe congenite al nostro sistema di welfare,
il nostro Paese non è in grado di assorbire i flussi attesi.
AUCTORITAS ET LEX
Risposta alla
seconda domanda: sì, è allo Stato che si deve affidare il diritto-dovere di
regolare questi flussi.
Gli ultra-sinistri, più anarchici che
marxisti, faranno un
sobbalzo: “noi a questo Stato non riconosciamo alcuna legittimità, tantomeno
gli chiediamo di decidere chi abbia diritto ad entrare e risiedere entro i suoi
confini!”.
Ma scusate, nostri
cari ultra-sinistri, non chiedete anche voi di erogare pensioni dignitose? Non
gli chiedete forse di conservare la sanità gratuita e universale o d’investire
per una migliore scuola pubblica? Non vi spingete ad esigere dallo Stato un
reddito garantito per tutti? E di fornire un alloggio a chi non se lo può
permettere? Non gli chiedete anche voi l’autorizzazione ad un corteo o il
rispetto della Costituzione e dei diritti democratici da questa sanciti? Non vi
battete anche voi, fuori e dentro le aule dei tribunali, affinché gli organi
dello Stato applichino e rispettino le leggi (dello Stato non le vostre)? Non
chiedete forse proprio a questo Stato, tanto per restare in tema, di concedere
il diritto di asilo?
A chi altrimenti
spetterebbe questo dovere? Alla troika? Alle Nazioni unite? Alla Merkel? Al
Papa? All’Essere Supremo?
Forse che così facendo non riconoscete
allo Stato la sua auctoritas? Certo che sì, certo che gliela
riconoscete. La questione non è riconoscere o, come è proprio di certi anarchici, non-riconoscere questa
auctoritas, la questione è il cosa
chiediamo che faccia o non faccia.
Non riconosciamo
forse noi tutti questa auctoritas
allo Stato quando gli chiediamo di attenersi alla Costituzione, per cui lo
Stato ha il dovere di far rispettare ed anzi di promuovere i diritti sociali e
civili? Non riconosciamo forse noi tutti ai diversi organismi che fanno capo
allo Stato il potere di consegnare o non consegnare una patente di guida, una
licenza edilizia o commerciale, di perseguire, giudicare e punire chi si macchi
di crimini sociali? Forse che
abbiamo mai protestato quando la Giustizia punisce i criminali colpevoli di
stupro, o di aver ammazzato ingiustamente dei cittadini? Abbiamo forse mai protestato perche sono stati
condannati i dirigenti di TyssenKrupp per la strage sul lavoro nello
stabilimento di Torino? O i Riva per avere inquinato la città di Taranto
facendo ammalare tanti suoi cittadini di tumore? O i dirigenti della Eternit di
Casale Monferrato? Certo che non abbiamo protestato, i cittadini lo hanno anzi
fatto quanto lo Stato li ha assolti o ha lasciato cadere in prescrizione i
reati loro ascritti.
Noi non solo riconosciamo allo Stato
certi suoi poteri, gli
chiediamo il più delle volte che li eserciti a favore del popolo lavoratore,
mentre spesso, violando la legge, e per assecondare i privilegi e gli interessi
dei potenti, si rifiuta di farlo. Come a questo Stato si può e si deve chiedere
che eserciti sul nostro territorio la sua sovranità, ad esempio chiudendo le
basi militari americane o uscendo dalla NATO e dalla Ue, così chiediamo che
rispetti la Carta costituzionale difendendo i beni pubblici e ponendo fine alla
loro svendita, così possiamo e dobbiamo chiedere che si ponga fine al far west dell’immigrazione sregolata, adoprandosi per pianificare i
flussi, e quindi anche respingendo, certo nel rispetto dei loro diritti umani,
coloro ai quali il diritto di risiedere con dignità non può essere accordato.
Se solo certi compagni provassero a
smettere di lievitare nel
vuoto pneumatico del moralismo buonista converrebbero che nel senso comune popolare c’è del “buon
senso”, ovvero che per essere “sostenibili” i flussi migratori dovrebbero
essere controllati, pilotati, programmati. E’ quantomeno singolare che certa
sinistra che condanna l’anarchia capitalistica, che contesta il principio della
concorrenza mercantile, che condanna la deregulation
neoliberista, si opponga al criterio che l’immigrazione, come ogni altro
fenomeno sociale, debba essere regolato, anzi pianificato, e non lasciato alla
giungla della globalizzazione, quindi sotto un altro controllo, quello delle
oscure forze del capitalismo globale.
Che lo Stato, anzitutto lo Stato costituzionale di diritto non sia solo una “banda armata a
difesa della classe dominante” ma un organismo ben più complesso e proteiforme,
abbiamo tentato di spiegarlo (QUI
e QUI).
Con ciò siamo
giunti al secondo piano del discorso.
IMMIGRAZIONE E STATO DI DIRITTO
L’idea che per
essere coerenti con lo Stato di diritto ed il principio della solidarietà umana
occorra “accogliere tutti” è figlia di una specifica concezione
giuspositivistica del diritto (in Italia difesa dalla scuola Bobbio-Ferrajoli).
Questa concezione, pur discendendo dall’ideale kantiano di
un ordine mondiale cosmopolitico pacificato e armonioso, è diventato il Cavallo di Troia con il quale
l’ideologia globalista e neoliberista ha sfondato a sinistra. Alla base di
questa concezione un preteso giudizio di fatto ed uno di valore: che lo
Stato-nazione sia necessariamente destinato, per consunzione naturale, a
miglior vita; che questa consunzione sia un fatto progressivo di per sé. Di qui
l’idea che la globalizzazione, per quanto sia oggi pilotata da forze
neoloberiste non debba essere contrastata, che essa sia una provvidenziale
anticamera al “regno della grazia”, ad un mondo giusto e buono. Di qui discende
infine la posizione che il sovraordinamento delle costituzioni nazionali da
parte di un fantomatico “diritto internazionale” sia giusto, anche ove esso,
come in effetti accade, sia la sovrapposizione di uno spazio giuridico imperiale a quelli nazionali. Manco a dirlo questa
concezione sta alla base dell’utopismo spinelliano e delle farneticazioni del
fondamentalismo europeista. [3]
Di passata: se a sinistra si è andata consolidando
l’idea che ci sia una specie di equipollenza tra la concezione cosmopolitica di
origine kantiana e la visione internazionalistica, è certo a causa della
profonda falla teorica in seno al corpus teorico marxista, e ci riferiamo
proprio alla teoria dello Stato e del Diritto. Ciò deve spingerci ad averne
finalmente una, non a sdraiarci e ad abbracciare quelle dell’avversario.
Chiamiamo cosmo-internazionalistico
questo miscuglio tra cosmopolitismo kantiano e internazionalismo di matrice
marxista.
La validità di un postulato giuspolitico dipende dalla sua attuabilità. Malgrado
il suo preteso realismo, la concezione mondialista di cui stiamo parlando, sia
nella sua versione cosmopolitica che in quella cosmo-internazionalistica, non
ha alcuna validità epistemica, è al massimo la codificazione teorica di un pio
desiderio, un wishful thinking.
Lo spazio
giuridico imperiale a guida U.S.A.
che si è venuto costituendo dopo la seconda guerra mondiale e consolidatosi
dopo la catastrofe del 1989 non amplia la democrazia, bensì la mutila; non alimenta
la forza normativa del diritto, la depotenzia; non estende la platea dei
titolari di diritti, la restringe; non assicura la garanzia giuridica
dell’esigibilità di un diritto ma le rende evanescente; non emancipa i
cittadini dai vincoli di obbedienza al potere, li accentua; non conduce al rinvigorimento dei
vincoli sociali, li annienta; non consolida il comando del politico
sull’economico, lo rovescia nel suo opposto; non aiuta i popoli ad
autodeterminarsi ma al contrario, togliendoli da sotto i piedi il terreno
stesso della nazione, li disarma.
La democrazia implica il diritto statuale, quindi lo Stato-nazione, quest’ultimo a
sua volta che sovrano è il popolo. Se metti l’impero al posto delle nazioni
sovrane non avrai una elegiaca scomparsa dello Stato ma il Moloch di super-Stato senza democrazia. Nessun impero, per sua
natura, può essere democratico, per il fatto che esso si può costituire
soltanto sulle ceneri dei demos, dove
per demos intendiamo appunto gli
spazi giuridici degli Stati-nazione, —gli spazi entro cui il popolo,
riconoscendosi come comunità, può esercitare la sua sovranità; i soli spazi
entro cui i diritti di cittadinanza possono essere effettivamente esigibili.
Giuseppe è basito dalla mia affermazione che uno Stato sovrano (sovranità che può
appunto dispiegarsi solo in un determinato uno spazio giuridico nazionale)
possa e debba stabilire “il primato dei diritti di cittadinanza su quelli genericamente
umani” e si chiede:
«Ma poi, che vuol dire “primato del diritto di cittadinanza? Che si hanno più punti per la graduatoria della casa popolare? Che solo il cittadino può accedere a certi lavori o a certi istituti scolastici?».
Col che siamo
appunto alla tripartizione dei diritti che fu posta da Thomas Marshall e quindi
alle critiche di Bobbio e Ferrajoli tra gli altri. Non abbiamo qui lo spazio
per addentrarci nella questione.
E’ evidente che gli immigrati a cui sia stato dato il permesso di
soggiornare (oltre a poter ottenere, ove lo chiedano, lo
status giuridico della cittadinanza) debbano poter godere di diritti
sociali, civili e politici al pari degli cittadini italiani.
Tuttavia una differenza deve pur essere posta tra cittadini e
non cittadini residenti. Sarà d’accordo con noi, Giuseppe, che ad un diritto
deve corrispondere un dovere. I non-cittadini non sono sottoposti ai medesimi
obblighi dei cittadini. Tanto per fare due esempi un cittadino deve accettare
le funzioni del giudice laico (di giurato o giudice in Corte d’assise); oppure
concorrere alla difesa dello Stato con il servizio militare. La chiamata alle armi in caso di conflitto, contrariamente a quanto si ritiene, non è stata affatto abolita. Le leggi recentemente approvate solo sospendono la leva obbligatoria, e non cancellano la forza giuridica dell'Art. 52 della Costituzione —che sovraordina ogni successiva legislazione e così recita: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge».[4]
Suona tanto politicamente scorretto che ad una disparità sul piano degli obblighi corrisponda una differenza in fatto di esigibilità dei diritti? Un esempio estremo: in caso (Dio non voglia) di guerra con la Romania il giovane rumeno residente in Italia con regolare permesso di soggiorno sarebbe obbligato —pena, in base alla legge marziale, condannato a molti anni di prigione e, in casi gravi, alla fucilazione; ciò che varrebbe anche per i cittadini italiani— ad arruolarsi con l'esercito dello Stato di cui è cittadino e quindi a combattere contro il nostro Paese e forse inviato da noi a compiere atti di sabotaggio oltre le linee. Ergo la domanda: può uno Stato qualsivoglia (fatte salve le disposizioni della Convenzione di Ginevra) permettersi di assicurare ad un combattente di un Paese ostile gli stessi diritti? Ovvio che no.
Suona tanto politicamente scorretto che ad una disparità sul piano degli obblighi corrisponda una differenza in fatto di esigibilità dei diritti? Un esempio estremo: in caso (Dio non voglia) di guerra con la Romania il giovane rumeno residente in Italia con regolare permesso di soggiorno sarebbe obbligato —pena, in base alla legge marziale, condannato a molti anni di prigione e, in casi gravi, alla fucilazione; ciò che varrebbe anche per i cittadini italiani— ad arruolarsi con l'esercito dello Stato di cui è cittadino e quindi a combattere contro il nostro Paese e forse inviato da noi a compiere atti di sabotaggio oltre le linee. Ergo la domanda: può uno Stato qualsivoglia (fatte salve le disposizioni della Convenzione di Ginevra) permettersi di assicurare ad un combattente di un Paese ostile gli stessi diritti? Ovvio che no.
Ma non meniamo il can per l’aia, che il punto è questo: proprio affinché
i migranti possano godere degli stessi diritti sociali e civili dei residenti,
occorre respingere l’immigrazione massiva e regolare i flussi; occorre cioè
consegnare il permesso di soggiorno in base alla capacità effettiva dello Stato
di rendere questi diritti esigibili.
Chi si oppone a
questa regolazione, con tutto il rispetto per la di essi beata e spesso
ipocrita moralità, finisce per sostenere un sistema di apartheid sociale di cui proprio gli immigrati irregolari saranno
le prime vittime, andando ad ammucchiarsi nelle nostre degradate periferie
metropolitane, divenendo gioco-forza un fattore di degrado della vita sociale e
di decomposizione del demos, terreno
su cui poi lo Stato di diritto legittima la sua metamorfosi in Stato penale o di polizia. Altro che la “vecchia talpa!”. Non è certo consegnando
permessi di soggiorno a gogò che gli immigrati avranno lavoro, casa, cure
sanitarie, diritto all’istruzione, rispetto. Così essi saranno lasciati, come
vittime, in balia della giungla sociale neoliberista.
Quindi, come
minimo, prima di fare entrare altre centinaia di migliaia di migranti, che si
facciano uscire, quelli che già risiedono (italiani e non), dal recinto
dell’esclusione sociale e della clandestinità.
Qualcosa dovrebbe pur dire il totale fallimento dei modelli di
“integrazione” adottati nei diversi Paesi in cui i dominanti hanno consentito
l’immigrazione di massa, di quelli yankee-wasp, di quello inglese, di quello
francese ad esempio. Qualcosa dovrebbero insegnare le pur leggittime rivolte
sociali di Los Angeles, delle banlieues francesi
o, per venire a noi, quella
di Rosarno!
Quindi, come minimo, prima di vagheggiare dell’estensione
dei diritti che spetterebbero a coloro che vogliono emigrare, che quindi ancora
non sono qui, li si assicurino a quelli che qui già vivono e penano come paria e
non li hanno —e tra essi ci sono anzitutto milioni di italiani che si sentono
abbandonati e ignorati dalle autorità pubbliche. Ha forse natura razzista
questa richiesta degli strati sociali emarginati questa richiesta che lo Stato
li protegga dall’esclusione e dall’indigenza? No che non lo è! Questa richiesta
esprime anzi non solo una giusta esigenza (che lo Stato si prenda cura dei suoi
cittadini), ha un valore politico perché contesta la tendenza globalista a
smantellare gli stati e i loro sistemi di welfare.
Ma lo diventa se, con la puzza sotto il naso tipica di certi borghesucci “per
bene” che vivono nei loro quartieri puliti dove il degrado non ammorba, anche
noi che ci diciamo rivoluzionari lasciassimo soli questi proletari e “compatrioti”
marcire nei loro quartieri-ghetto, in balia delle scorribande e della
penetrazione dei rottami neofascisti e consimili—ci darete ora l’ostracismo perché
ripeschiamo questo sostantivo “nazionalista”?
Non quindi il razzista e fascitoide “prima gli italiani!”, bensì:
“I diritti dei cittadini e dei residenti, anzitutto dei proletari, coloro verso i quali lo Stato, con vincolo costituzionale, ha già contratto l’obbligo di consegnarglieli e rispettarli, prevalgono su quelli attesi di chi non c’è ancora”.
FALLACE FISOLOFIA MORALE
Siamo quindi
giunti alla fine, al terzo piano del discorso di Giuseppe Pelazza, quello
filosofico.
Francamente non
abbiamo molto da aggiungere a quanto da
noi già scritto.
Non capiremmo nulla della posizione politica dello
“accogliamoli tutti” se la privassimo del suo peculiare fondamento filosofico —per
cui non solo sarebbe un obbligo concedere il diritto d’asilo ai perseguitati politici
ed ai profughi di guerra, ma a tutti coloro che “fuggono dalla fame”, quali che
siano conseguenze e risultati. [5]
Si tratta del
combinato disposto di cristianesimo e kantismo. Beninteso, noi apprezziamo sia
l’egualitarismo solidaristico di matrice cristiana che il discorso democratico
kantiano, che del primo era una razionalizzazione liberale sul piano
filosofico-politico. Ne contestiamo l’utopismo.
Chi abbia dimestichezza col dibattito teorico dovrebbe tuttavia sapere
in che modo Marx, come del resto gran parte del pensiero politico moderno,
sulla scia di Hegel, abbiano smontato il moralismo umanitaristico kantiano.
Kant postulava che la razionalità della buona volontà potesse essere la base oggettiva
per una società armoniosa e senza conflitti, una società simile esige che i
cittadini mettano al primo posto il dovere ed il rispetto di quello che chiamò “imperativo
categorico”:
«Agisci in modo da trattare l'umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo. (…) L’imperativo categorico è [...] uno solo, ed è questo: Agisci unicamente secondo quella massima, in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una legge universale». [6]
Non rubare, non
uccidere, ama il prossimo tuo come te stesso…. Kant non fece che fornire una
base non eteronoma (cioè non fondata su prescrizioni divine) a quanto stava già
scritto nelle tavole di Mosè.
Detto che la
filosofia morale kantiana è oggigiorno la base dell’ideologia cosmopolitica e
globalista delle classi dominanti, salta agli occhi ’astrattezza metafisica di
questo discorso.
In una società basata sulla
diseguaglianza di classe
e sulla violenza che gli oppressori esercitano sugli oppressi, non è forse
giusto e legittimo che un povero rubi ad un ricco? O che la vittima di un
sopruso reagisca a chi lo compie? O che chi è minacciato di morte si difenda
fino ad uccidere il suo aggressore? Certo che è legittimo e giusto. Ma se tali
atti sono giusti va a farsi friggere l’idea che esista una morale
universalmente valida. C’è una morale loro, degli oppressori, e una morale
degli oppressi. Morali che non possono convolare a nozze.
CONCLUSIONI
Che c’entra
tutto questo con l’immigrazione? C’entra e come!
Se “noi” occidentali (notare come qui compare un NOI, come se stessimo sulla stessa barca di
chi comanda) fossimo tenuti, mossi da un cristiano senso di colpa, all’obbligo morale di tirar fuori le moltitudini
del Sud del mondo dall’estrema indigenza non dovremmo solo accettare i migranti
in arrivo —che, detto di passata, non sono affatto i più diseredati, che quelli
sono coloro che non hanno le risorse per pagarsi l’esodo.
Perché lasciare
che si consegnino nelle mani dei “mercanti di morte”? Dovremmo far si che centinaia
di milioni di reietti che non hanno un soldo vengano presi in consegna dai
luoghi dove risiedono, sostenendone dunque le spese di viaggio, nonché l’ospitalità
da “noi” sine die. Oppure, volendo
evitare l’esodo, potremmo, “noi” cittadini occidentali, auto-infliggerci una
tassa di solidarietà universale per assistere i diseredati del Sud del mondo?
Chissà quanti se ne sfamerebbero.
Perché accettare quei profughi siriani che già sono accolti come tali in
Turchia, o in Libano, o in Giordania? La cosiddetta “comunità internazionale”
non dovrebbe assisterli in modo degno dove hanno già trovato rifugio? E dei
tantissimi che restano nell’inferno siriano e che crepano sotto le bombe di
Assad o sotto quelle dell’ISIS che ne facciamo? Sono forse figli di un Dio minore?
Abbiamo così che accogliere chi ha i mezzi per venire in Europa finisce per
diventare un atto ingiusto e discriminatorio verso coloro che quei mezzi non li
hanno. [7]
E poi, se questa
emigrazione è auspicabile, perché i paladini dell’accoglienza universale
parlano anche loro di “tratta degli schiavi” o di “mercanti di morte”?
Dovrebbero invece chiedere che sia data a questi mercanti, in quanto consentono
a tanti esseri umani di spostarsi dall’inferno al paradiso, una medaglia al
valore civile.
Il pietistico combinato disposto di
cristianesimo e kantismo,
come si vede, non porta da nessuna parte, se non all’assurdo teorico e, se fatto proprio dai rivoluziunari e dai demicratici, al suicidio politico.
Giuseppe Pelazza
sembra infine scandalizzato dalla mia affermazione che chi fugge da un Paese
desertificato dalla globalizzazione o dalla guerra è considerabile un “ignavo”
o un “disertore”. Che l’emigrazione costituisca un gravissimo vulnus per
paesi di provenienza —quindi funzionale
alle potenze neocolonialistiche predatrici—, su questo non c’è discussione
possibile.
Che siano
“disertori” coloro che scappano dalle guerre che insanguinano i loro paesi, lo
si chieda ai palestinesi dei campi profughi, agli abitanti della Cisgiordania o
di Gaza. L’emigrazione di massa dei palestinesi in un altrove lontano è proprio
il disegno strategico recondito dei sionisti.
O lo si chieda
ai diversi fronti che si combattono in Siria. Quel che pensino i combattenti
dell’ISIS è noto: peccato
grave, anzi gravissimo. Ma lo si chieda pure alla minoranza alawita che
combatte strenuamente per tenere in piedi il regine di Assad. Non c’è famiglia
alawita che non abbia già perso uno, se non due giovani in questa guerra
fratricida. Un contribuito di sangue altissimo. Andate a chiedergli cosa
penserebbero se loro compatrioti cercassero di darsela,a gambe per fuggire in Occidente a cercare la "bella vita" e immaginatevi la risposta.
Giuseppe
conclude la sua critica con un autgol, tirando in ballo Frantz Fanon, grande antimperialista,
eroe della guerra algerina di liberazione contro il colonialismo francese. Sarà
bene dire, per restare in tema, che il Fronte nazionale di liberazione
algerino, di cui Fanon era uno dei portavoce, nelle zone liberate, non
ammetteva alcuna defezione migratoria , tanto meno in Francia (dove semmai si inviavano militanti a combattere), ed imponeva
l’obbligo di arruolarsi nella resistenza, pena la morte e l'ostracismo eterno. Come psichiatra, oltre che come militante rivoluzionario, la condanna di Fanon
dell’emigrazione Sud-Nord era ancora più radicale, estrema, ontologica.
«In “Pelle nera e maschere bianche” Fanon affronta il tema delle psicopatologie degli africani immigrati in Francia; nota come il corpo diventa spesso il luogo dell’aggressione della mente. Riprende la “Fenomenologia della percezione “ di Merleau-Ponty sul “corpo vissuto” e il “corpo percepito”; c’è il “corpo vissuto” dal migrante che rispecchia il “corpo percepito” dalla società francese. Quello che rimanda la società francese all’immigrato africano è la “bruttezza” del proprio corpo”, la sua immagine negativa. Questo meccanismo mentale frutto della situazione sociale e relazionale che vive il migrante provoca in lui un enorme complesso d’inferiorità che annulla la sua capacità di decidere e soprattutto di essere se stesso. Fanon analizza molto i processi di mimetizzazione cioè i tentativi che fa il migrante di essere come il francese». [8]
E qui mi fermo,
poiché sono stato prolisso oltremodo.
NOTE
[1] Notare la
contraddizione: al punto 1) Giuseppe bolla come “un abbandono della lotta per
il sovvertimento dello stato di cose presenti” —in quanto sospetta sposterebbe
in un futuro indeterminato questo sovvertimento— la tesi che per porre fine
alla deportazione in massa dei migranti occorra una “rivoluzione globale”,
mentre qui, al punto 4) egli conviene con la tesi stessa, facendo tuttavia
intendere che l’emigrazione di massa in Occidente sarebbe utile, funzionale,
anzi necessaria al sovvertimento globale del sistema.
[2] Canada: 7,3 milioni di immigrati, per
una percentuale sulla popolazione complessiva del 20,7%;
Stati Uniti:
45,8 milioni, 14,3%, Regno Unito: 7,8
milioni, 12,4%, Germania: 9,8
milioni, 11,9%
[3] Una delle radici di questo pensiero
cosmopolitico è la credenza fasulla che le due guerre mondiali vennero causate
dagli stati-nazione. Invece, non gli stati-nazione produssero le due
carneficine, furono invece le spinte imperialistiche, neo-colonialistiche e
fasciste degli stati capitalistici più avanzati. La rimozione della categoria
di imperialismo è infatti una delle caratteristiche dei paladini di sinistra
della globalizzazione, che altro non è se non la forma ideologiche più recente
dell’imperialismo stesso.
[4] «Le Forze Armate italiane sono strutturate per un impiego asimmetrico oppure in concerto con gli altri paesi membri della NATO. Esse non sono affatto sufficienti ad affrontare una guerra simmetrica a largo spettro, con l'impiego di armi strategiche e contrapposizione di truppe su vasti territori.
Proprio per questo motivo la leva obbligatoria è stata solamente sospesa e non abolita, può essere ripristinata in caso di guerra o grave crisi internazionale così come previsto dall'articolo 1929 del D.lgs. 66/2010 alias "Codice dell'ordinamento Militare":
Art. 1929 (Sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino):
"1. Le chiamate per lo svolgimento del servizio obbligatorio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005.
2. Il servizio di leva e' ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio e' insufficiente e non e' possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di mobilitazione, mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non piu' di cinque anni, nei seguenti casi:
a) se e' deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'articolo 78 della Costituzione;
b) se una grave crisi internazionale nella quale l'Italia e' coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.
3. Nei casi di cui al comma 2, al fine di colmare le vacanze di organico, non possono essere richiamati in servizio gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco."
La difesa della Patria è, e rimane, un obbligo costituzionale di ogni cittadino... a tal scopo sono soggetti a mobilitazione tutti gli individui di sesso maschile dai 17 anni (ovvero dall'inclusione nelle liste di leva) sino ai 45 anni d'età (ovvero sino al 31 dicembre dell'anno del raggiungimento dell'età), così come disposto dall'art.1950 D.Lgs.66/2010.
Alla chiamata sono interessati tutti i cittadini italiani, compresi gli apolidi che hanno eletto residenza in Italia e chi "obiettori di coscienza" (per compiti secondari) e ovviamente anche chi ha optato per il servizio civile.
Gli "obiettori di coscienza" sono tenuti alla difesa, seppur privi di armi.
Il servizio obbligatorio potrebbe essere ripristinato, non solo in caso di guerra, ma anche per colmare le carenze organiche delle Forze Armate in caso di non sufficiente reclutamento volontario.
Attualmente nessuna legge prevede il servizio militare obbligatorio per le donne nemmeno in caso di guerra....il personale militare femminile in servizio, invece, é tenuto a esercitare i compiti di difesa sanciti con il giuramento alla Repubblica Italiana.
Sottolineo, inoltre, che il congedo a domanda é subordinato all'accettazione da parte del Ministero della Difesa che, ovviamente, respingerebbe già all'approssimarsi di una crisi (come la chiusura preventiva delle frontiere).
L'intero Libro Ottavo del D.Lgs 66/2010 succitato, ovvero quello relativo al ripristino del servizio militare obbligatorio in caso di guerra o grave crisi internazionale, impone che i comuni siano tenuti all'aggiornamento delle liste di leva a cadenza annuale (in base agli artt.14 e 54 del D.Lgs 267/2000), interessando solo i giovani di sesso maschile che nell'anno compiono 17 anni».
[5] Sulle reali cause delle migrazioni di massa dal Sud del mondo vale quanto precisato da Piemme:
Proprio per questo motivo la leva obbligatoria è stata solamente sospesa e non abolita, può essere ripristinata in caso di guerra o grave crisi internazionale così come previsto dall'articolo 1929 del D.lgs. 66/2010 alias "Codice dell'ordinamento Militare":
Art. 1929 (Sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino):
"1. Le chiamate per lo svolgimento del servizio obbligatorio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005.
2. Il servizio di leva e' ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio e' insufficiente e non e' possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di mobilitazione, mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non piu' di cinque anni, nei seguenti casi:
a) se e' deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'articolo 78 della Costituzione;
b) se una grave crisi internazionale nella quale l'Italia e' coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.
3. Nei casi di cui al comma 2, al fine di colmare le vacanze di organico, non possono essere richiamati in servizio gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco."
La difesa della Patria è, e rimane, un obbligo costituzionale di ogni cittadino... a tal scopo sono soggetti a mobilitazione tutti gli individui di sesso maschile dai 17 anni (ovvero dall'inclusione nelle liste di leva) sino ai 45 anni d'età (ovvero sino al 31 dicembre dell'anno del raggiungimento dell'età), così come disposto dall'art.1950 D.Lgs.66/2010.
Alla chiamata sono interessati tutti i cittadini italiani, compresi gli apolidi che hanno eletto residenza in Italia e chi "obiettori di coscienza" (per compiti secondari) e ovviamente anche chi ha optato per il servizio civile.
Gli "obiettori di coscienza" sono tenuti alla difesa, seppur privi di armi.
Il servizio obbligatorio potrebbe essere ripristinato, non solo in caso di guerra, ma anche per colmare le carenze organiche delle Forze Armate in caso di non sufficiente reclutamento volontario.
Attualmente nessuna legge prevede il servizio militare obbligatorio per le donne nemmeno in caso di guerra....il personale militare femminile in servizio, invece, é tenuto a esercitare i compiti di difesa sanciti con il giuramento alla Repubblica Italiana.
Sottolineo, inoltre, che il congedo a domanda é subordinato all'accettazione da parte del Ministero della Difesa che, ovviamente, respingerebbe già all'approssimarsi di una crisi (come la chiusura preventiva delle frontiere).
L'intero Libro Ottavo del D.Lgs 66/2010 succitato, ovvero quello relativo al ripristino del servizio militare obbligatorio in caso di guerra o grave crisi internazionale, impone che i comuni siano tenuti all'aggiornamento delle liste di leva a cadenza annuale (in base agli artt.14 e 54 del D.Lgs 267/2000), interessando solo i giovani di sesso maschile che nell'anno compiono 17 anni».
[5] Sulle reali cause delle migrazioni di massa dal Sud del mondo vale quanto precisato da Piemme:
«Occorre quindi correggere un errore pacchiano nel ragionamento degli “integralisti dell’accoglienza”. Il primo fattore che causa l’emigrazione di massa Sud-Nord, Est-Ovest, e Sud-Sud, non consiste affatto nelle guerre imperialistiche o fratricide (come quella che coinvolge il mondo islamico), e nemmeno nel carattere tirannico di certi regimi politici.
La prima causa è la globalizzazione, il libero-scambismo dispiegato, le politiche neoliberiste adottate a scala mondiale, non solo dalle classi dominanti dei paesi "avanzati" ma pure dai regimi fantoccio dei paesi "arretrati". La globalizzazione, la supremazia della sfera finanziario-predatoria —questo si che è un fenomeno epocale— non ha prodotto profondi sconvolgimenti nelle strutture sociali dei paesi imperialistici, ha prodotto mutamenti ancor più devastanti nei paesi che venivano definiti "in via di sviluppo" o del "terzo mondo", una delle conseguenze è appunto l'emigrazione di massa.Cosa è cambiato con la globalizzazione nei paesi del Su del mondo?In estrema sintesi: (1) gli stati nazionali sono stati progressivamente disarticolati, fino addirittura ad essere smembrati, ombre di ciò che essi furono. Tranne rarissime eccezioni le corrotte classi dominanti autoctone, convertitesi al neoliberismo, hanno smantellato le già deboli barriere difensive statuali, lasciando che i capitali stranieri potessero compiere le loro scorribande, ovvero la loro politica di rapina; (2) la penetrazione massiccia di capitali e investimenti stranieri ha causato la distruzione del tessuto economico e sociale tradizionale di questi paesi il quale, per quanto capitalisticamente arretrato, consentiva alle comunità, anzitutto quelle rurali, la possibilità di sopravvivere. La ricchezza prodotta era modesta, ma il grosso non veniva accaparrato da un'esigua minoranza. (3) Non occorre tuttavia pensare che la globalizzazione abbia accentuato il "sottosviluppo" capitalistico. Al contrario! la gran parte dei paesi del Sud del mondo (Africa compresa) conoscono da un quindicennio tassi di sviluppo economico, in alcuni casi notevoli se paragonati alla stagnazione dei paesi del Nord. Per cui, se con il "sottosviluppo" si mangiava poco ma si mangiava tutti, con lo "sviluppo" ci sono ceti e classi che sono alla fame, mentre altri, gli strati compradores che sono gli intermediari della rapina delle multinazionali, raggiungono livelli di vita quasi occidentali.Non è affatto una "trovata", quindi, affermare che per bloccare l'emigrazione di massa il primo passo è porre fine alla globalizzazione. La soluzione è la de-globalizzazione, a Nord come a Sud, ad est come ad Ovest».
[6] Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, Laterza 2012, Ottava edizione
[7] Sulla catastrofica guerra civile in Siria e la tragedia dei rifugiati ecco qual'è la situazione:
«I rifugiati che hanno lasciato la Siria sono oltre quattro milioni. Il 95 per cento di essi si trova in soli cinque paesi: Libano (1.200.000, un quinto della popolazione totale del paese), Giordania (650.000, un decimo della popolazione totale del paese), Turchia (1.900.000), Egitto (132.375) e Iraq (249.463 - in questo paese negli ultimi 18 mesi si sono registrati oltre tre milioni di sfollati). L'appello umanitario per i rifugiati siriani, lanciato dalle Nazioni Unite, risulta finanziato solo per il 40 per cento. Di conseguenza, i rifugiati in Libano ricevono meno di mezzo dollaro al giorno e l'80 per cento dei rifugiati in Giordania vive sotto la soglia della povertà.
Il conflitto in Siria ha causato la morte di 220.000 persone e ha reso 12.800.000 persone fortemente dipendenti dall'assistenza umanitaria.
Oltre il 50 per cento della popolazione siriana è ormai sfollata.
Dall'inizio della crisi siriana, il mondo ha messo a disposizione dei rifugiati siriani 104.410 posti per il reinsediamento, ossia solo il 2,6 per cento del totale dei rifugiati siriani presenti in Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Iraq.
Secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, 400.000 persone attualmente rifugiate presenti in Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Iraq devono essere reinsediate.
I paesi del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar ecc.) e altri paesi ricchi che ne avrebbero le possibilità (Corea del Sud, Giappone, Russia, Singapore ecc. hanno messo a disposizione zero posti per il reinsediamento.
La Germania si è impegnata a mettere a disposizione 35.000 posti per il reinsediamento, il 75 per cento di quelli su cui si è impegnata l'intera Unione europea. Gli altri 26 paesi dell'Unione europea hanno messo a disposizione 8700 posti, l'equivalente dello 0,02 per cento dei rifugiati siriani presenti in Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Iraq.
Germania e Svezia, da sole, hanno ricevuto il 47 per cento delle richieste di asilo presentate dai rifugiati siriani nei paesi dell'Unione europea da aprile 2011 a luglio 2015».
[Dal rapporto di Amnesty International del 7 settembre 2015]
3 commenti:
Caro Pasquinelli lei ha perfettamente ragione. Se a sinistra fossero tutti come lei l'Italia sarebbe un paese migliore. Ha fatto un'analisi perfetta. Sono d'accordo con tutte le sue osservazioni. Continui così. Mi dispiace soltanto che sia una mosca bianca. Purtroppo la sinistra italiana è fatta per la maggior parte da PDdioti che non capiscono un beato cazzo.
Cordiali saluti
Buon articolo, che scorre anche bene. E centra il punto: il regresso alla versione originaria e prepolitica, evangelico-kantiana, della religione umanista, è tipico dei marxisti rifluiti o in corso di riflusso sulle spiagge della normalità borghese. Così ci si può pascere compiaciuti delle proprie buone (?) intenzioni nella pacifica assunzione dei tempi lunghissimi e indefiniti sottesi alla promessa millennaria di riscatto, magari facendo conferenze colte e pubblicando trattati infiorettati, senza dover rischiare il c... nell'agone del politico.
Moreno centra anche lo strumentario concettuale che, lungo tutta la parabola di socialdemocratizzazione del marxismo, è stato utilizzato per abbandonare il marxismo nei fatti servendolo nella lettera: la teoria delle condizioni oggettive. Siccome l'Avvento deve realizzarsi in suo tempore, i tentativi di accelerarne la venuta sono denunziati non soltanto come inutili, ma perniciosi. Bisogna anzi agevolare la crescita e il dispiegamento del capitalismo (ricevendone per l'occasione le dovute prebende) in modo che giunga al suo punto di rovesciamento dialettico. Lo diceva (se non sbaglio) anche Kautsky quando rimproverava a Lenin di aver fatto la rivoluzione anziché aiutare il capitalismo russo a crescere - davvero una bella prospettiva per un rivoluzionario! Mutatis mutandis, oggi è il discorso che fanno i vari Negri e compagnia bella.
Moreno ha capito bene che necessità storiche non ce ne sono e bisogna sfruttare l'occasione storica della crisi. Gli altri pascolano, belano e mettono bastoni fra le ruote.
Ti corigo: Moreno, casomai, è una mosca rossa!
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