[ 21 marzo 2019 ]
L'arresto per corruzione del Presidente del consiglio comunale di Roma Marcello De Vito, dopo quelli di Raffaele Marra e Luca Lanzalone, mentre fa tremare la giunta capitolina, colpisce al cuore il Movimento 5 stelle tutto, per la precisione la sua immagine di movimento che ha fatto dell'onestà il proprio imperativo categorico.
Ben consapevole del danno, Di Maio, senza nemmeno leggere con la dovuta attenzione le carte dell'inchiesta, violando le stesse regole interne che affiderebbero ai probiviri l'eventuale decisione, ha immediatamente espulso il De Vito.
Un atto d'imperio grave, che crea un inquietante precedente, assieme a quello di prendere per oro colato le accuse dei pubblici ministeri, di consegnare di fatto alla magistratura l'ultima parola su chi debba o meno fare parte del Movimento. Una decisione, quella di Di Maio, che mentre conferma il "manettarismo" che contraddistingue i cinque stelle, si pone in aperto contrasto col principio di non colpevolezza dello stesso codice di procedura penale per cui un imputato è innocente fino a prova contraria, principio sancito dalla stessa Costituzione (art.27, comma 2) per cui "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva".
Può darsi che il De Vito abbia preso mazzette. Può darsi... Ad una prima lettura infatti, le carte non lo dimostrano, al massimo suggeriscono il sospetto. La stessa Florenza Sarzanini, notoriamente ammanicata con le Procure, deve ammettere, Corriere della sera in edicola, che non c'è prova che il De Vito abbia preso soldi, che le intercettazioni dimostrerebbero solo "la vicinanza" con la cosca dei costruttori. "La vicinanza", la vicinanza non solo diventa reato, ma motivo sufficiente per giustificare l'arresto e la sua spettacolarizzazione.
Va da sé che tutta questa vicenda è perfidamente utilizzata dai media di regime, tutti facenti capo all'élite liberista, per attaccare il Movimento 5 stelle, spaventare e ricattare il suo gruppo dirigente al fine di normalizzarlo, con l'obbiettivo di spingerlo definitivamente nell'alveo sistemico.
Questa, a ben vedere, è la vera posta in palio dietro alla torbida vicenda capitolina e se questo è il gioco dei poteri forti, non conviene certo a noi che la manovra vada in porto.
Si potrebbe pensare che la durissima e fulminea reazione di Di Maio vada appunto nel senso di ribadire la propria alterità. Che sia così, che sia la mossa giusta, io ne dubito. La magistratura non è, contrariamente a quanto pensano gli stolti, un organismo terzo, imparziale, è invece, e da molto tempo, non solo un attore politico, ma un pezzo decisivo del sistema. Un Movimento che voglia davvero cambiare l'ordine delle cose non dovrebbe ubbidire bensì disobbedire ai ricatti del potere, quale che sia la sua frazione.
Farsi dettare dalla magistratura, assieme all'agenda, violazioni del proprio stesso regolamento interno, rivela che chi dirige il Movimento è sotto scopa, anzi nel panico, e quando si è nel panico si rischia di inanellare mosse sbagliate.
L'arresto per corruzione del Presidente del consiglio comunale di Roma Marcello De Vito, dopo quelli di Raffaele Marra e Luca Lanzalone, mentre fa tremare la giunta capitolina, colpisce al cuore il Movimento 5 stelle tutto, per la precisione la sua immagine di movimento che ha fatto dell'onestà il proprio imperativo categorico.
Ben consapevole del danno, Di Maio, senza nemmeno leggere con la dovuta attenzione le carte dell'inchiesta, violando le stesse regole interne che affiderebbero ai probiviri l'eventuale decisione, ha immediatamente espulso il De Vito.
Un atto d'imperio grave, che crea un inquietante precedente, assieme a quello di prendere per oro colato le accuse dei pubblici ministeri, di consegnare di fatto alla magistratura l'ultima parola su chi debba o meno fare parte del Movimento. Una decisione, quella di Di Maio, che mentre conferma il "manettarismo" che contraddistingue i cinque stelle, si pone in aperto contrasto col principio di non colpevolezza dello stesso codice di procedura penale per cui un imputato è innocente fino a prova contraria, principio sancito dalla stessa Costituzione (art.27, comma 2) per cui "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva".
Può darsi che il De Vito abbia preso mazzette. Può darsi... Ad una prima lettura infatti, le carte non lo dimostrano, al massimo suggeriscono il sospetto. La stessa Florenza Sarzanini, notoriamente ammanicata con le Procure, deve ammettere, Corriere della sera in edicola, che non c'è prova che il De Vito abbia preso soldi, che le intercettazioni dimostrerebbero solo "la vicinanza" con la cosca dei costruttori. "La vicinanza", la vicinanza non solo diventa reato, ma motivo sufficiente per giustificare l'arresto e la sua spettacolarizzazione.
Va da sé che tutta questa vicenda è perfidamente utilizzata dai media di regime, tutti facenti capo all'élite liberista, per attaccare il Movimento 5 stelle, spaventare e ricattare il suo gruppo dirigente al fine di normalizzarlo, con l'obbiettivo di spingerlo definitivamente nell'alveo sistemico.
Questa, a ben vedere, è la vera posta in palio dietro alla torbida vicenda capitolina e se questo è il gioco dei poteri forti, non conviene certo a noi che la manovra vada in porto.
Si potrebbe pensare che la durissima e fulminea reazione di Di Maio vada appunto nel senso di ribadire la propria alterità. Che sia così, che sia la mossa giusta, io ne dubito. La magistratura non è, contrariamente a quanto pensano gli stolti, un organismo terzo, imparziale, è invece, e da molto tempo, non solo un attore politico, ma un pezzo decisivo del sistema. Un Movimento che voglia davvero cambiare l'ordine delle cose non dovrebbe ubbidire bensì disobbedire ai ricatti del potere, quale che sia la sua frazione.
Farsi dettare dalla magistratura, assieme all'agenda, violazioni del proprio stesso regolamento interno, rivela che chi dirige il Movimento è sotto scopa, anzi nel panico, e quando si è nel panico si rischia di inanellare mosse sbagliate.
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