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Manolo Monereo |
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giovedì 13 febbraio 2020
DOPO LA BREXIT, LA RUSSIA COME ALTERNATIVA? di Manolo Monereo
mercoledì 22 gennaio 2020
mercoledì 16 ottobre 2019
LA SIRIA, LA RUSSIA E IL TRAMONTO DELLA NATO di Alberto Negri
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I combattenti dell'ESL (Esercito Siriano Libero), ovvero gli ascari dell'esercito turco nella battaglia per cacciare i curdi dal Nord della Siria |
IN UNA SETTIMANA IL MONDO è CAMBIATO
di Alberto Negri
In una settimana il mondo è cambiato: è arrivato il Capo, quello vero. Questa non è una guerra come le altre: il mondo uscito dal crollo del muro di Berlino nell’89 è cambiato ancora una volta. In pochi giorni sono stati bruciati 30 anni di storia, forse li ha guadagnati Putin diventato il vero co-gestore della politica internazionale.
Mentre gli Usa rinunciavano a proteggere i curdi, la loro «fanteria» contro il Califfato. Le truppe russe ora colmano il vuoto lasciato dagli Stati uniti e fanno interposizione tra i due Raìs, Assad ed Erdogan, e i curdi. Un sincronismo quasi perfetto da apparire concordato.
LA RUSSIA vede davanti a sé un obiettivo: stabilire che niente sarà più fatto contro gli interessi di Mosca. Non ci sarà più un altro Kosovo (’99), non ci dovrà più essere neppure un’altra Libia (2011) e nemmeno rivoluzioni «colorate», Venezuela compreso. Quanto all’allargamento futuro della Nato, l’atlantismo, nemico giurato della Russia, sembra sul viale del tramonto. Il fatto più evidente è che la Turchia ha disgregato un’Alleanza che da 70 anni sembrava la più solida del mondo. Erdogan ha sbeffeggiato gli appelli di Trump, dell’Europa e del segretario Nato Stoltenberg, ormai uno stralunato e imbarazzante commesso viaggiatore. Si tratta di un evento epocale: gli americani che avevano nei curdi i loro maggiori alleati nella lotta all’Isis li hanno abbandonati per non scontrarsi con la Turchia, membro della Nato dal 1953, che ospita 24 basi e i missili puntati contro Mosca e Teheran.
UNA SITUAZIONE assurda. In queste condizioni la Nato non ha più senso, a meno che non venga radicalmente riformata.Cosa non semplice, non si può dare un calcio alla Turchia come con la finale 2020 di Champions a Istanbul, l’unica vera sanzione che forse sarà attuata davvero. La Turchia viene cooptata nel fronte occidentale negli anni Cinquanta per fare da antemurale all’Unione Sovietica, cioè a quel mondo comunista che veniva ritenuto il nemico più micidiale. E ora Erdogan, che usa i jihadisti contro curdi ma anche contro l’Occidente e ricatta l’Europa con i profughi, è diventato l’avversario più pericoloso.
NON SOLO: Putin, che con l’Iran sostiene Assad, è l’unico che può frenare Erdogan o negoziare con lui non da perdente ma da protagonista serio su cose serie come Idlib, il Rojava, il futuro della Siria, il sistema anti-missile S-400, il nucleare, il gas russo di cui Ankara è il maggiore acquirente. Certo, come scriveva lunedì sul manifesto Manlio Dinucci, è dura ammettere che si è rivoltato contro un alleato in cui la Nato ha investito 5 miliardi di dollari e che rappresenta un succulento mercato bellico occidentale.
MA TECNICAMENTE la Nato non ci serve più a niente visto gli Usa hanno rinunciato al loro ruolo di guida dell’Ovest: in poche parole Trump non solo ha abbandonato i curdi ma anche l’Europa e il Medio Oriente in mano alla Russia, l’unico stato che oggi fa vincere le guerre e non abbandona gli alleati. Tanto è vero che Putin è andato in Arabia Saudita a rassicurare Riad di fronte all’Iran, alleato di Mosca in Siria.
L’unica notizia positiva per gli americani, riportata dal Wall Street Journal, è che stanno vendendo ai sauditi delle centrali nucleari.
L’importante per Trump, in fondo, è fatturare. Per gli Usa Europa e Medio Oriente non sono più strategici: sono mercati dove vendere armi e infrastrutture militari, mercenari compresi che presto useremo anche noi al posto dei soldatini di cioccolata.
I PIÙ STUPIDI sono i sauditi del principe assassino Mohammed bin Salman cui Trump ha venduto armi per 100 miliardi di dollari e sono stati colpiti in casa da un attacco che ha ridotto di metà la produzione petrolifera. Ma queste armi non servono a nulla perché gli imbelli sauditi stanno perdendo in Yemen contro gli sciiti Houthi appoggiati da Teheran. E quindi abbracciano anche Putin.
MA AVEVATE creduto veramente che gli Stati Uniti fossero ancora disposti a morire per i curdi, gli arabi o gli europei? Dopo i fallimenti dell’Afghanistan e dell’Iraq, a Washington nessuno vuole morire per la nostra sicurezza. Non la pensa così solo Trump. Anche Obama nel 2011 si era ritirato dall’Iraq lasciando il Paese nel caos e poi in mano al Califfato. La guerra all’Isis agli americani non è costata neppure un morto Usa: sono stati uccisi invece 11mila curdi.
Se Erdogan ci ricatta, Trump ci prende in giro sanguinosamente. I jihadisti europei scappano dalla carceri curde? Se li volete andate a prenderveli, dice Trump. Più chiaro di così.
Ma i sepolcri imbiancati che governano l’Europa dicono una stupidaggine dietro l’altra. Per esempio decretano l’embargo di armi contro la Turchia. Peccato che siamo proprio noi con Leonardo-Finmeccanica a costruire le armi in Turchia: per esempio i magnifici elicotteri Mangusta dell’Agusta-Westland.
EPPURE eravamo così felici quando incassavamo dai turchi: commesse e posti di lavoro, che cosa vuoi di più? Alcuni vorrebbero mettere sanzioni ad Ankara. Ebbene il 70% dei prestiti delle aziende turche sono con banche europee e sono centinaia se non migliaia le società delocalizzate in Turchia: volete boicottare la pasta Barilla o Benetton adesso?
* Fonte: il manifesto del 16 ottobre 2019
Agli europei il Nuovo Mondo, senza una Nato vera, senza legge e senza mediazioni, ma pieno di contraddizioni e con Putin al comando, è piombato addosso come un treno in corsa. E ora il tempo è scaduto.
Agli europei il Nuovo Mondo, senza una Nato vera, senza legge e senza mediazioni, ma pieno di contraddizioni e con Putin al comando, è piombato addosso come un treno in corsa. E ora il tempo è scaduto.
venerdì 5 aprile 2019
VIA LE BASI USA E NATO DALL'ITALIA
Sabato 6 aprile (dalle ore 15), si terrà a Livorno un'assemblea contro le basi americane e Nato in Italia. L'occasione è quella del settantesimo anniversario della fondazione della Nato. L'obiettivo è il rilancio della lotta per la liberazione del territorio nazionale da queste basi, anche attraverso la costituzione di un coordinamento nazionale.
LE BASI AMERICANE IN ITALIA
PROBLEMI APERTI
LE BASI AMERICANE IN ITALIA
PROBLEMI APERTI
Assemblea
per un Coordinamento nazionale delle aree con comuni problematiche connesse alla presenza e alle attività belliche della basi USA e NATO e un Osservatorio sulla presenza statunitense in Italia
LIVORNO 6 APRILE 2019
Villa del Presidente
(per gentile concessione della Provincia di Livorno)
Via Marradi, 116 - ore 15:00-19:00
INTERVENGONO
Michel Chossudowsky (direttore di Global Research), Giorgio Cremaschi, Carlo Formenti, Fosco Giannini, Leonardo Mazzei, Davide Visigalli
e i rappresentanti dei movimenti contro le basi di
Aviano, Cagliari, Ghedi, Livorno-Pisa, Sigonella, Trieste, Vicenza
Sono invitate le istituzioni locali e regionali
Adesioni:
A.B.C.D. (Assemblea Beni Comuni Diritti) Firenze - Arci Bassa Val di Cecina - Associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba, federazione Toscana - Azione Civile coord. naz. - Ass. ITA-NICA Livorno - Comitato Amici e Parenti delle Vittime dei Veleni di Guerra Siena - Fermiamo la guerra Firenze - Medicina Democratica Livorno e provincia - NOGNN coord. naz. - P. CARC federazione Toscana - PCI federazione Toscana - Programma 101 Toscana - WILPF Italia
col patrocinio della Provincia di Livorno e della consigliera di parità
RETE CIVICA LIVORNESE
CONTRO LA NUOVA NORMALITA' DELLA GUERRA
TAVOLO PERLA PACE DELLA VAL DI CECINA
WILPF
Sostieni SOLLEVAZIONE e Programma 101
giovedì 24 gennaio 2019
«AQUISGRANA, L'ITALIA, LA N.A.T.O. E GLI U.S.A.» di Giulio Sapelli
[ 24 gennaio 2019 ]
Torniamo a parlare di cose serie, torniamo di nuovo sul Trattato o Patto di Aquisgrana tra Germania e Francia. Ieri Pasquinelli insisteva sulle implicazioni strategiche del sodalizio, sull'impatto dissolutore che esso avrà non sull'Unione europea ma sull'l'Italia.
Sia Emmanuel Macron sia Angela Merkel sono stelle in caduta libera e con loro il disegno di costruire una nuova Europa più integrata e unita dal punto di vista finanziario e politico sotto il duopolio franco-tedesco, come era stato reso esplicito da Macron all’atto del suo insediamento nel famoso discorso della Sorbona del 2017, dimostra tutta la difficoltà di realizzarsi. Era la stessa idea che avevano entrambi i sottoscrittori del Trattato franco-tedesco del 1963, quando quelle due grandi nazioni erano dirette da giganti come De Gaulle e Adenauer.
La mossa del cavallo francese, allora, fu quella di rendere autonoma dalla Nato la force de frappe nucleare che proiettava la Francia nell’agone mondiale della Guerra fredda aumentando il plusvalore politico dell’impegno atomico francese, mentre invece la Germania divisa altro non poteva fare che contare sulla benevolenza delle nazioni fondatrici dell’Europa per essere reintegrata nel novero delle potenze di medio raggio europeo. La caduta dell’Urss, da un lato (un processo con cui si fa i conti da molti anni ormai) e la Brexit dall’altro (un processo invece in corso e che ha al suo centro un ulteriore distacco del Regno Unito dalla potenza condivisa europea), collocano il Trattato di Aquisgrana di oggi in tutt’altra luce. La Germania, infatti, ha dal canto suo la necessità di trovare una proiezione internazionale del suo peso economico nell’arena mondiale. La Francia gli offre due strumenti, con il Trattato. Il primo: un riconoscimento in sede Onu in cui si dovrebbe condividere (questo, almeno, è l’irrealizzabile disegno) un seggio nel Consiglio di Sicurezza, sconvolgendo gli equilibri sanciti dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il secondo: porre a disposizione della forza economica tedesca l’industria degli armamenti francesi, protesa sempre più al distacco dall’anglosfera in polemica sempre più marcata con gli Usa.
Gli Usa, infatti, sono il convitato di pietra del Trattato: essi non possono che essere infastiditi da una scelta simile. Essa pone le basi per una disgregazione di fatto delle relazioni transatlantiche europee indebolendo il ruolo di comando degli Usa con grande evidenza. Il tutto, naturalmente, nasconde una finzione: l’unico interlocutore possibile delle forze armate francesi non può essere e non è la Germania, ma il Regno Unito, e questo lo sa tutto il mondo della difesa e soprattutto lo sanno i paesi dell’“oriente europeo” (come li definì Timothy Garton Ash), ossia la Polonia (dove gli Usa stanno allestendo una base Nato di impressionante potenza) e i paesi baltici e scandinavi che riconoscono nella Russia l’avversario geopolitico fondamentale. Essi da questa alleanza franco-tedesca non possono che sentirsi minacciati e isolati.
Un altro colpo, dunque, inferto all’unità europea: Francia e Germania si arroccano in una posizione di potenza invece che distribuire il peso della potenza medesima tra tutti gli interlocutori europei, contribuendo in tal modo all’ indebolimento dell’Europa su scala globale. Non parliamo delle conseguenze dell’idea della condivisione franco-tedesca del seggio nel Consiglio di Sicurezza: la Cina non può non allarmarsi temendo che ciò costituisca un passo innanzi nell’inclusione dell’India nel novero delle grandi potenze e la Russia non può che veder traditi i suoi disegni di rafforzare la sua posizione mondiale dopo la vittoria conseguita in Siria, con il suo ritorno in grande stile in un Mediterraneo sempre più contendibile. E ciò avviene non attraverso una entente cordiale europea, ma attraverso una decisa proiezione di potenza che non può non essere che anti-russa.
L’Italia, in questo rapido mutarsi dei giochi di potenza, rimane immobile, incapace di esprimere quello che Dino Grandi chiamava il “peso determinante”, ossia il grado di potenza che è in grado di produrre una nazione non abbastanza forte da decidere motu proprio la propria politica estera, ma nel contempo forte abbastanza per potersi inserire nel gioco di potenza in atto (la lezione del Conte Camillo Benso di Cavour, insuperabile maestro!) districandosi volta a volta negli equilibri esterni di potenza tra nazioni più potenti, così da perseguire i propri interessi e dar vita a un “peso determinante” nel contesto internazionale.
E’ l’ora di esprimerlo, questo “peso determinante”. E per l’Italia esso si esprime solo mantenendo fermo l’asse del rapporto transatlantico contribuendo a fare di questo rapporto un rapporto tutto europeo e non frammentato e dimidiato. Da ciò deriva la difesa calma ma risoluta dei nostri interessi strategici: nella politica per la difesa, che è al centro del Trattato di Aquisgrana, essi sono innervati in un’alleanza di lungo periodo con le nazioni dell’anglosfera e non nei rapporti troppo a noi sfavorevoli tra le potenze europee, Francia e Germania in primis. Il Trattato di Aquisgrana confligge con i nostri interessi fondamentali, il nostro ”peso determinante”.
In questo senso, infatti, il Trattato aggrava la nostra posizione internazionale perché accresce i nostri gradi di dipendenza subalterna nell’equilibrio europeo. Guai a seguire il corso degli eventi e, per esempio, nella politica per la difesa abbandonare l’asse di riferimento del Regno Unito. Scegliere la dominazione franco-tedesca come riferimento industriale sarebbe la fine della nostra politica di difesa come politica di mantenimento delle posizioni di potenza economica e diplomatica che ancora conserviamo a fatica nel Mediterraneo e nei Balcani.
Occorre uno scatto di reni e di consapevolezza diplomatica di lungo respiro. Un respiro non demagogico e affannato e non condizionato, come invece accade in Germania e in Francia, per il prossimo agone elettorale europeo.
Torniamo a parlare di cose serie, torniamo di nuovo sul Trattato o Patto di Aquisgrana tra Germania e Francia. Ieri Pasquinelli insisteva sulle implicazioni strategiche del sodalizio, sull'impatto dissolutore che esso avrà non sull'Unione europea ma sull'l'Italia.
Ci torniamo dando la parola a Giulio Sapelli, un importante boiardo di stato di sicura fede atlantista. Egli condivide che il Patto sia una minaccia per il nostro Paese e ne conclude che occorre rispondere rinsaldando la stretta alleanza con gli Stati Uniti. Un segnale che conferma il dilemma strategico e la profonda divisione in seno all'élite italiana. E il governo giallo-verde?
* * *
Italia prima vittima di Merkel-Macron,
ora Conte vada a Londra
di Giulio Sapelli
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Giulio Sapelli |
Il trattato di Aquisgranum, in latino o, in tedesco, di Aachen, oppure, in francese, di Aix-la-Chapelle e, in olandese, di Aken, avrà lo stesso effetto di quello del 1748? Quel trattato segnava la fine delle guerre di successione austriache, che sancirono il predominio della Prussia che si annesse la Slesia e iniziò in tal modo quel percorso vittorioso che la portò alla fondazione – sotto la spada degli Junker – dell’Impero Guglielmino, ovvero della Germania moderna. La Francia in quel tempo dovette rinunciare ai cosiddetti Paesi Bassi Meridionali come si denominava allora il Belgio, che ritornò sotto il dominio austriaco, mentre la Gran Bretagna ampliò i suoi domini coloniali che l’avrebbero resa la dominatrice dei mari sino alla Prima guerra mondiale. In questo Trattato franco-tedesco di Aquisgrana non pare vi sia nulla di così grandioso e foriero delle grandi trasformazioni che, invece, quel trattato settecentesco portava con sé.
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La mossa del cavallo francese, allora, fu quella di rendere autonoma dalla Nato la force de frappe nucleare che proiettava la Francia nell’agone mondiale della Guerra fredda aumentando il plusvalore politico dell’impegno atomico francese, mentre invece la Germania divisa altro non poteva fare che contare sulla benevolenza delle nazioni fondatrici dell’Europa per essere reintegrata nel novero delle potenze di medio raggio europeo. La caduta dell’Urss, da un lato (un processo con cui si fa i conti da molti anni ormai) e la Brexit dall’altro (un processo invece in corso e che ha al suo centro un ulteriore distacco del Regno Unito dalla potenza condivisa europea), collocano il Trattato di Aquisgrana di oggi in tutt’altra luce. La Germania, infatti, ha dal canto suo la necessità di trovare una proiezione internazionale del suo peso economico nell’arena mondiale. La Francia gli offre due strumenti, con il Trattato. Il primo: un riconoscimento in sede Onu in cui si dovrebbe condividere (questo, almeno, è l’irrealizzabile disegno) un seggio nel Consiglio di Sicurezza, sconvolgendo gli equilibri sanciti dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il secondo: porre a disposizione della forza economica tedesca l’industria degli armamenti francesi, protesa sempre più al distacco dall’anglosfera in polemica sempre più marcata con gli Usa.
Gli Usa, infatti, sono il convitato di pietra del Trattato: essi non possono che essere infastiditi da una scelta simile. Essa pone le basi per una disgregazione di fatto delle relazioni transatlantiche europee indebolendo il ruolo di comando degli Usa con grande evidenza. Il tutto, naturalmente, nasconde una finzione: l’unico interlocutore possibile delle forze armate francesi non può essere e non è la Germania, ma il Regno Unito, e questo lo sa tutto il mondo della difesa e soprattutto lo sanno i paesi dell’“oriente europeo” (come li definì Timothy Garton Ash), ossia la Polonia (dove gli Usa stanno allestendo una base Nato di impressionante potenza) e i paesi baltici e scandinavi che riconoscono nella Russia l’avversario geopolitico fondamentale. Essi da questa alleanza franco-tedesca non possono che sentirsi minacciati e isolati.
Un altro colpo, dunque, inferto all’unità europea: Francia e Germania si arroccano in una posizione di potenza invece che distribuire il peso della potenza medesima tra tutti gli interlocutori europei, contribuendo in tal modo all’ indebolimento dell’Europa su scala globale. Non parliamo delle conseguenze dell’idea della condivisione franco-tedesca del seggio nel Consiglio di Sicurezza: la Cina non può non allarmarsi temendo che ciò costituisca un passo innanzi nell’inclusione dell’India nel novero delle grandi potenze e la Russia non può che veder traditi i suoi disegni di rafforzare la sua posizione mondiale dopo la vittoria conseguita in Siria, con il suo ritorno in grande stile in un Mediterraneo sempre più contendibile. E ciò avviene non attraverso una entente cordiale europea, ma attraverso una decisa proiezione di potenza che non può non essere che anti-russa.
L’Italia, in questo rapido mutarsi dei giochi di potenza, rimane immobile, incapace di esprimere quello che Dino Grandi chiamava il “peso determinante”, ossia il grado di potenza che è in grado di produrre una nazione non abbastanza forte da decidere motu proprio la propria politica estera, ma nel contempo forte abbastanza per potersi inserire nel gioco di potenza in atto (la lezione del Conte Camillo Benso di Cavour, insuperabile maestro!) districandosi volta a volta negli equilibri esterni di potenza tra nazioni più potenti, così da perseguire i propri interessi e dar vita a un “peso determinante” nel contesto internazionale.
E’ l’ora di esprimerlo, questo “peso determinante”. E per l’Italia esso si esprime solo mantenendo fermo l’asse del rapporto transatlantico contribuendo a fare di questo rapporto un rapporto tutto europeo e non frammentato e dimidiato. Da ciò deriva la difesa calma ma risoluta dei nostri interessi strategici: nella politica per la difesa, che è al centro del Trattato di Aquisgrana, essi sono innervati in un’alleanza di lungo periodo con le nazioni dell’anglosfera e non nei rapporti troppo a noi sfavorevoli tra le potenze europee, Francia e Germania in primis. Il Trattato di Aquisgrana confligge con i nostri interessi fondamentali, il nostro ”peso determinante”.
In questo senso, infatti, il Trattato aggrava la nostra posizione internazionale perché accresce i nostri gradi di dipendenza subalterna nell’equilibrio europeo. Guai a seguire il corso degli eventi e, per esempio, nella politica per la difesa abbandonare l’asse di riferimento del Regno Unito. Scegliere la dominazione franco-tedesca come riferimento industriale sarebbe la fine della nostra politica di difesa come politica di mantenimento delle posizioni di potenza economica e diplomatica che ancora conserviamo a fatica nel Mediterraneo e nei Balcani.
Occorre uno scatto di reni e di consapevolezza diplomatica di lungo respiro. Un respiro non demagogico e affannato e non condizionato, come invece accade in Germania e in Francia, per il prossimo agone elettorale europeo.
* Fonte: il sussidiario
martedì 27 marzo 2018
FERMARE L’ATTACCO ALLA RUSSIA di P.101
[ 28 marzo 2018 ]
Comunicato n. 4 - 2018
Comunicato n. 4 - 2018
di Programma 101
«A motivo dell’avvelenamento di una ex spia russa della NATO e di sua figlia, il Regno Unito ha chiesto e ottenuto che Stati Uniti e Unione Europea attuassero di concerto una provocazione senza precedenti. Come ha affermato il Ministro degli esteri britannico Boris Johnson : "La straordinaria risposta internazionale dei nostri alleati rappresenta la più grande espulsione collettiva di agenti dell'intelligence russa”, ovvero, fino a prova contraria, di personale diplomatico.
Un atto ostile che conferma la natura imperialistica della NATO, di cui l’Unione europea è protesi e avamposto in funzione anti-russa.
Un atto che risponde ad un preciso disegno strategico, l’accerchiamento della Russia, e che giunge infatti a coronamento dell’allargamento unilaterale della NATO verso est.
Condanniamo questo gravissimo atto politico, associandoci a chi chiede che venga annullato assieme alle pesanti sanzioni anti-russe decise dalla Unione europea nel 2016.
Tale inaudita provocazione, che riporta il mondo alle cupe tensioni della Guerra fredda, giunge dopo il colpo di Stato di piazza Majdàn a Kiev, appoggiato e sostenuto dagli USA, dall'UE e dalla Nato, che portò al potere le attuali forze del governo ucraino costituito da formazioni apertamente nazifasciste, le quali rivendicano con orgoglio il loro passato storico di collaborazionisti del Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale, e che hanno attaccato e cercato di reprimere con ogni atrocità la resistenza della popolazione russofona del Donbass».
«A motivo dell’avvelenamento di una ex spia russa della NATO e di sua figlia, il Regno Unito ha chiesto e ottenuto che Stati Uniti e Unione Europea attuassero di concerto una provocazione senza precedenti. Come ha affermato il Ministro degli esteri britannico Boris Johnson : "La straordinaria risposta internazionale dei nostri alleati rappresenta la più grande espulsione collettiva di agenti dell'intelligence russa”, ovvero, fino a prova contraria, di personale diplomatico.
Un atto ostile che conferma la natura imperialistica della NATO, di cui l’Unione europea è protesi e avamposto in funzione anti-russa.
Un atto che risponde ad un preciso disegno strategico, l’accerchiamento della Russia, e che giunge infatti a coronamento dell’allargamento unilaterale della NATO verso est.
Condanniamo questo gravissimo atto politico, associandoci a chi chiede che venga annullato assieme alle pesanti sanzioni anti-russe decise dalla Unione europea nel 2016.
Tale inaudita provocazione, che riporta il mondo alle cupe tensioni della Guerra fredda, giunge dopo il colpo di Stato di piazza Majdàn a Kiev, appoggiato e sostenuto dagli USA, dall'UE e dalla Nato, che portò al potere le attuali forze del governo ucraino costituito da formazioni apertamente nazifasciste, le quali rivendicano con orgoglio il loro passato storico di collaborazionisti del Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale, e che hanno attaccato e cercato di reprimere con ogni atrocità la resistenza della popolazione russofona del Donbass».
Roma, 27 marzo 2018
martedì 30 maggio 2017
LA GRANDE GERMANIA MERKELIANA, GLI STATI UNITI D'AMERICA E IL NOSTRO DESTINO di Moreno Pasquinelli
[ 30 maggio 2017 ]
RIFLESSIONI SUL FALLIMENTO DEL G7 DI TAORMINA E LE SUE CONSEGUENZE GEOPOLITICHE
Ricordo una delle diatribe che divideva negli anni '70 e '80 i trotskysti buoni da quelli cattivi.
«Su un punto Donald Trump e Angela Merkel si sono trovati d’accordo alla fine del vertice delle sette grandi economie avanzate a Taormina: non era il caso di parlare oltre. Per la prima volta da quando esiste il G7, un presidente Usa e un cancelliere tedesco se ne sono andati entrambi senza accettare domande in pubblico.
Ciò che avevano già detto era già abbastanza. Durante la cena dell’Alleanza atlantica a Bruxelles giovedì sera Trump aveva descritto «i tedeschi» così: «Sono pessimi. Guardate quanti milioni di auto ci vendono negli Stati Uniti. È tremendo. Fermeremo questa storia».
A Taormina Merkel ha definito la polemica «fuori luogo» e si è limitata a sottolineare come la qualità dei prodotti tedeschi li renda ricercati all’estero. Poi però ieri, rientrata in Germania, ha avuto qualcosa da aggiungere: «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono finiti, come ho potuto toccare con mano negli ultimi giorni — ha detto —. Noi europei dobbiamo davvero prendere il destino nelle nostre mani».
Merkel dunque non dimenticherà. E il fatto stesso che la polemica si sia consumata a Taormina rimanda simbolicamente agli italiani una verità scomoda: comunque vada a finire, sarà decisiva anche per noi. Lo sarà sia che prevalga lo status quo, sia che davvero Trump riesca a gettare sabbia negli ingranaggi degli scambi fra le economie avanzate.
Chiunque governi in Italia nei prossimi mesi, dovrà chiedersi da che parte sta. E se non è possibile farlo sulla base dei valori, in Paese profondamente diviso, allora diventa inevitabile scegliere una posizione sulla base dei fatturati e degli interessi. Questi dicono che l’Italia oggi sta con la Germania, quali che siano i giudizi dei singoli su Merkel e le idee diverse di Roma e Berlino sul futuro dell’euro. Sulla base delle realtà commerciali di questa fase, l’interesse italiano nei confronti degli Stati Uniti è molto simile all’interesse tedesco. E ogni passo indietro del made in Germany nel primo mercato del mondo rischierebbe di diventare presto un passo indietro anche per il made in Italy .
La dinamica dell’export di beni verso gli Stati Uniti segnala che la seconda economia manifatturiera d’Europa potrebbe addirittura avere qualcosa in più da perdere della prima, se gli scambi internazionali rallentassero. Dal 2010 al 2016 l’export di beni italiani in America è cresciuto del 59% in dollari correnti, secondo lo US Census Bureau: un’accelerazione superiore a quella della Germania (39%) e di altre grandi economie manifatturiere. Anche il surplus commerciale bilaterale dell’Italia con gli Stati Uniti è simile a quello tedesco, proporzione alle dimensioni dei due Paesi: arriva all’1,8% del reddito nazionale tedesco a all’1,5% di quello italiano.
Naturalmente i volumi restano diversi. L’anno scorso il made in Germany ha fatturato negli Stati Uniti beni per 114 miliardi di dollari, contro acquisti tedeschi di prodotti industriali americani per soli 49 miliardi. Il made in Italy ha venduto per 45 miliardi, mentre gli italiani hanno comprato beni manufatti statunitensi per appena 16. Si tratta in ogni caso di dimensioni sistemiche: l’America ormai è il secondo mercato per l’export italiano dopo la Germania e la sua quota di mercato in quel Paese è molto simile a quelle di Francia e Gran Bretagna.
In altri termini, il governo di Roma potenzialmente è esposto alle stesse accuse di Donald Trump che hanno già coinvolto Angela Merkel. Lo è a maggior ragione perché l’Italia e la Germania sono le due sole grandi economie a non aver aumentato gli ordini di beni americani dopo la Grande recessione. Con un dettaglio in più: l’export di componenti auto made in Italy vale oggi oltre dieci miliardi di euro l’anno ed è diretto soprattutto ai grandi marchi di Stoccarda e della Baviera, che poi rivendono molto negli Usa.
Dunque è inutile chiedersi per chi suona la campana, se e quando davvero Trump riuscirà a intralciare il commercio tedesco: essa suona (anche) per noi».
RIFLESSIONI SUL FALLIMENTO DEL G7 DI TAORMINA E LE SUE CONSEGUENZE GEOPOLITICHE
Ricordo una delle diatribe che divideva negli anni '70 e '80 i trotskysti buoni da quelli cattivi.
I cattivi erano favorevoli alla riunificazione delle due germanie, anche ove fosse avvenuta sotto l'egida di quella occidentale.
I buoni, invece, erano contrari, e per tre ottimi motivi, uno sociale e due di natura geopolitica. La riunificazione su basi capitalistiche avrebbe necessariamente distrutto il tessuto economico collettivistico della DDR causando la sua mezzogiornificazione. Le due ragioni geopolitiche son presto dette: la riunificazione sotto l'egida della Germania occidentale avrebbe sferrato un colpo micidiale immediato all'Unione sovietica (ciò che è avvenuto dopo un paio d'anni) e, sul medio periodo, portato ineluttabilmente alla rinascita di un potente imperialismo tedesco. E questo, in effetti, sta avvenendo sotto i nostri occhi.
Questa rinascita, qui sta il punto, è avvenuta sotto traccia, è proceduta per piccoli passi, camuffandosi sotto le mentite spoglie dell'Unione europea, crescendo sotto l'ombrello della NATO. C'è una connessione causale evidente tra la riunificazione tedesca (1989-90) e il passaggio dalla Comunità all'Unione europea (1992-93). Senza la riunificazione prima e la fondazione dell'Unione dopo, la Germania non avrebbe mai potuto assurgere al rango che oggi occupa, quello di prima potenza europea. E' diventata così forte che a giusto titolo si deve parlare, come facciamo da anni, di €uro-Germania. Berlino ha saputo utilizzare il cataclisma della grande crisi venuta da oltre oceano per trasformare l'Unione europea in una sua dependance. Ad eccezione della Francia, socio in affari, la grande crisi ha spinto tutti gli stati a cedere quote decisive di sovranità, diventando essi dei protettorati. Di qui, sia detto en passant per i finti sordi ed i finti ciechi, la centralità ed i nuovi termini della questione nazionale per questi Paesi, tra cui il nostro.
I fatti sono lì a dimostrare che una volta risorta la Grande Germania avremmo dovuto fare nuovamente i conti con il Grande Imperialismo Tedesco. Ma che tipo di imperialismo è quello tedesco odierno? Lenin segnalò cinque principali contrassegni del fenomeno dell'imperialismo:
1. La concentrazione della produzione e del capitale, che è cresciuta al punto di creare i monopoli;
2. La fusione del capitale bancario con il capitale industriale, con la formazione del “capitale finanziario”;
3. La maggiore importanza dell’esportazione di capitali rispetto all’esportazione di merci;
4. Il sorgere di associazioni monopolistiche di capitalisti che si spartiscono il mondo;
5. La ripartizione della terra fra grandi potenze capitalistiche.
Il grado di concentrazione del sistema economico tedesco, la potenza del suo sistema industriale e finanziario, la dimensione enorme della sua penetrazione economica all'estero, fanno appunto della Germania la di gran lunga principale potenza imperialistica europea. Il fatto che questa penetrazione non sia avvenuta in Asia o in Africa, a spese delle periferie "arretrate", ma anzitutto parassitando l'Europa e gli stessi Stati Uniti è la novità rispetto ai tempi di Lenin,
quando le potenze imperialistiche si combattevano per ripartirsi su basi neo-colonialistiche il mondo.
quando le potenze imperialistiche si combattevano per ripartirsi su basi neo-colonialistiche il mondo.
Qui sta il punto, a proposito del fallimento del G7 di Taormina. La Merkel ha trovato in Trump —gli altri capi di stato e di governo sono quasi tutti ai suoi piedi— un muro che non ha alcuna speranza di varcare. La portata della contesa e del dissidio tra la Grande Germania merkeliana e gli Stati Uniti d'America di Trump è ben espressa dall'articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera di ieri, 29 maggio. Raccomando di leggerlo con attenzione, per questo lo riporto integralmente più sotto.
Cosa c'è oltre questa contesa? Oltre questo muro?
C'è la necessità della Germania di sganciarsi dalla sudditanza strategica e militare rispetto agli Stati Uniti. C'è la strada lunga e insidiosa del riarmo. Sullo sfondo questa strada conduce ad un inevitabile e devastante conflitto militare. Un conflitto che rischia di sfociare giocoforza su due fronti, a Ovest contro gli Stati Uniti e ad Est contro l'orso russo. E quindi la Grande Germania andrebbe inesorabilmente incontro ad una terza e più devastante sconfitta.
Non lo sa la Merkel? Oh sì che lo sa, come lo sanno al Pentagono e al Cremlino.
E allora? E allora addio sogni di gloria, l'imperialismo tedesco dovrà accettare la sua posizione di nano politico e militare, a meno che il latente suprematismo nazionalista tedesco, giungendo al potere a Berlino, non trasformerà l'ordoliberismo in un Quarto Reich. E non sarà certo la Force de frappe francese a fare da scudo alle sue smanie espansionistiche. Non basta alla Germania il predominio nella Ue, gli servirebbe conquistare quello nello schieramento della NATO. Cosa teoricamente possibile, ma solo ad una condizione, un veloce declino della supremazia mondiale degli Stati Uniti. La qual cosa non mi pare sia alle porte. E comunque l'elezione di Donald Trump è il segno netto che l'America venderà cara la pelle e non cederà il comando senza combattere. Tutte cose che a Berlino sanno bene, per questo puntano ad un'affrancamento dagli USA a dosi omeopatiche, ciò che comunque implica la condivisione di questo disegno strategico dei principali paesi europei, tra cui l'Italia.
E qui veniamo finalmente a noi.
Sappiamo quanto sia forte anche nel nostro disgraziato Paese quello che abbiamo chiamato "Partito tedesco". Ci riferiamo a quella frazione del grande capitalismo che ha sposato la causa della saldatura definitiva con la Germania. I caporioni di questo partito li si riconosce facilmente, sono gli euristi-estremisti, quelli per cui, parafrasando Mao Zedong, "anche le scoregge dei tedeschi profumano". Sono i milionari annidati nel mondo bancario e della finanza, della grande industria globalizzata e di quella media e piccola che si allattano alle mammelle tedesche. Sono i politicanti ed i pennivendoli al loro servizio (di cui, per inciso, fa parte anche Fubini), che pullulano al centro, a sinistra e a destra. Sono gli ordoliberisti per cui l'austerità auto-inflitta è la sola terapia salvifica. Sono gli ascari che non vogliono ammettere che un'Europa unita non nascerà mai, men che meno sotto comando tedesco, sono i ciechi che confondono il predominio con l'egemonia — e la Germania è stata sempre maestra nel dominare, e sempre incapace di esercitare egemonia.
Tuttavia nell'establishment c'è lotta, c'è dissidio, poiché c'è anche il "Partito americano". Una parte della nostra élite ha chiara consapevolezza che il sodalizio con la Germania, quindi la distopia di un'Europa rafforzata, relegherebbe il nostro Paese a protettorato tedesco, ad un inesorabile declino, alla crescita del divario tra Nord e Sud, quindi ad un inevitabile marasma sociale. Non che quelli del "Partito americano" siano stinchi di santo, men che meno dei patrioti, tuttavia la loro ritrosia a servire la Grande Germania fa gioco alla causa sovranista, nazionale e popolare. Non solo è bene che i nostri nemici siano divisi e si combattano. Vale la massima di Sun Zu per cui un nemico lontano è preferibile ad uno vicino.
Come andrà a finire lo vedremo nei prossimi decenni. Sarà pure come disse Confucio che "L'esperienza è una lanterna appesa dietro la schiena, che illumina solo il cammino già percorso", la storia, la storia europea in particolare, comunque qualcosa insegna. E cosa c'insegna di importante? Che l'Italia, potenza mediterranea, proprio perché costretta a guardare a Nord, mai accetterà di diventare provincia tedesca. Di esempi ce ne sarebbero tanti nella storia millenaria europea, ce ne bastano due, quelli del primo e del secondo conflitto mondiale. L'Italia monarchica e poi quella fascista, quindi sotto la spinta, la trama e le congiure del "partito tedesco", nel primo caso ruppe la "Intesa" che legava il paese alla Germania all'ultimo momento, nel secondo entrò in guerra come alleata di Berlino, ma la concluse come nemica.
Ipsa historia repetit ...
* * *
Tutti i numeri di uno scontro (che ci riguarda)
di Federico Fubini
«Su un punto Donald Trump e Angela Merkel si sono trovati d’accordo alla fine del vertice delle sette grandi economie avanzate a Taormina: non era il caso di parlare oltre. Per la prima volta da quando esiste il G7, un presidente Usa e un cancelliere tedesco se ne sono andati entrambi senza accettare domande in pubblico.
Ciò che avevano già detto era già abbastanza. Durante la cena dell’Alleanza atlantica a Bruxelles giovedì sera Trump aveva descritto «i tedeschi» così: «Sono pessimi. Guardate quanti milioni di auto ci vendono negli Stati Uniti. È tremendo. Fermeremo questa storia».
A Taormina Merkel ha definito la polemica «fuori luogo» e si è limitata a sottolineare come la qualità dei prodotti tedeschi li renda ricercati all’estero. Poi però ieri, rientrata in Germania, ha avuto qualcosa da aggiungere: «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono finiti, come ho potuto toccare con mano negli ultimi giorni — ha detto —. Noi europei dobbiamo davvero prendere il destino nelle nostre mani».
Merkel dunque non dimenticherà. E il fatto stesso che la polemica si sia consumata a Taormina rimanda simbolicamente agli italiani una verità scomoda: comunque vada a finire, sarà decisiva anche per noi. Lo sarà sia che prevalga lo status quo, sia che davvero Trump riesca a gettare sabbia negli ingranaggi degli scambi fra le economie avanzate.
Chiunque governi in Italia nei prossimi mesi, dovrà chiedersi da che parte sta. E se non è possibile farlo sulla base dei valori, in Paese profondamente diviso, allora diventa inevitabile scegliere una posizione sulla base dei fatturati e degli interessi. Questi dicono che l’Italia oggi sta con la Germania, quali che siano i giudizi dei singoli su Merkel e le idee diverse di Roma e Berlino sul futuro dell’euro. Sulla base delle realtà commerciali di questa fase, l’interesse italiano nei confronti degli Stati Uniti è molto simile all’interesse tedesco. E ogni passo indietro del made in Germany nel primo mercato del mondo rischierebbe di diventare presto un passo indietro anche per il made in Italy .
La dinamica dell’export di beni verso gli Stati Uniti segnala che la seconda economia manifatturiera d’Europa potrebbe addirittura avere qualcosa in più da perdere della prima, se gli scambi internazionali rallentassero. Dal 2010 al 2016 l’export di beni italiani in America è cresciuto del 59% in dollari correnti, secondo lo US Census Bureau: un’accelerazione superiore a quella della Germania (39%) e di altre grandi economie manifatturiere. Anche il surplus commerciale bilaterale dell’Italia con gli Stati Uniti è simile a quello tedesco, proporzione alle dimensioni dei due Paesi: arriva all’1,8% del reddito nazionale tedesco a all’1,5% di quello italiano.
Naturalmente i volumi restano diversi. L’anno scorso il made in Germany ha fatturato negli Stati Uniti beni per 114 miliardi di dollari, contro acquisti tedeschi di prodotti industriali americani per soli 49 miliardi. Il made in Italy ha venduto per 45 miliardi, mentre gli italiani hanno comprato beni manufatti statunitensi per appena 16. Si tratta in ogni caso di dimensioni sistemiche: l’America ormai è il secondo mercato per l’export italiano dopo la Germania e la sua quota di mercato in quel Paese è molto simile a quelle di Francia e Gran Bretagna.
In altri termini, il governo di Roma potenzialmente è esposto alle stesse accuse di Donald Trump che hanno già coinvolto Angela Merkel. Lo è a maggior ragione perché l’Italia e la Germania sono le due sole grandi economie a non aver aumentato gli ordini di beni americani dopo la Grande recessione. Con un dettaglio in più: l’export di componenti auto made in Italy vale oggi oltre dieci miliardi di euro l’anno ed è diretto soprattutto ai grandi marchi di Stoccarda e della Baviera, che poi rivendono molto negli Usa.
Dunque è inutile chiedersi per chi suona la campana, se e quando davvero Trump riuscirà a intralciare il commercio tedesco: essa suona (anche) per noi».
lunedì 6 febbraio 2017
NON CAMBIO IDEA A CAUSA DELLA LE PEN di Giorgio Cremaschi
[ 6 febbraio ]
La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli USA in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l'Italia dalla NATO, fuori la NATO dall'Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marie Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi.
Il no alla NATO in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l'Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro.
Lo stesso – anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà – avveniva contro l'Euro e la sua creatura: l'Unione Europea. Nel 1979 il PCI di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la DC, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l'istituzione dello SME, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l'Euro, e l'installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l'Unione Sovietica.
Le motivazioni con le quali allora i comunisti italiani rifiutarono quelle due scelte potrebbero essere usate oggi contro i guasti della moneta unica e contro la folle decisione della NATO di espandersi aggressivamente fino ai confini della Russia. A tale scopo finanziando anche la guerra al popolo del Donbass da parte del governo Ucraino infarcito di ministri nazifascisti.
Quegli argomenti di allora sono ancora più validi oggi, ma ora non sono più sostenuti dalla maggioranza della sinistra, ma, in Francia soprattutto, dalla nuova destra populista. Che è sempre stata euroscettica, ma spesso, e in contrapposizione alla UE, Natofanatica.
Oggi invece gran parte di ciò che ufficialmente è sinistra in Europa sostiene la NATO, l'Euro e l'Unione Europea. E non perché queste istituzioni siano cambiate, né tantomeno migliorate, ma perché è la sinistra stessa che è cambiata.. e per questo sta scomparendo. Le socialdemocrazie di governo sono state conquistate dalle politiche liberiste, se ne sono fatte complici e le hanno amministrate assieme alla vecchia destra conservatrice e liberale, di cui alla fine sono diventate una variante. Variante sul piano dei diritti civili, non di quelli sociali. Giusto battersi per il diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, ma perché contemporaneamente distruggere il diritto al lavoro e la tutela contro i licenziamenti ingiusti? Bene l'Erasmus, per chi può permetterselo, ma perché strangolare finanziariamente la scuola pubblica? E perché privatizzare la sanità e finanziare le banche? La sinistra di governo, proprio quando questa tornava ad essere al centro di tutto, ha abbandonato la questione sociale, che è stata così occupata dalla nuova destra, che nel frattempo rompeva con la sua anima liberale e di governo.
Non c'è stata sinora simmetria. Mentre la nuova destra faceva sue antiche parole d'ordine della sinistra radicale – ovviamente storpiandole dentro il suo contenitore di sempre: dio, patria, famiglia – quest'ultima si rifugiava in astratti principi di buona volontà. La resa di Tsipras e Siryza alla Troika e alla NATO ha poi tolto dal campo europeo la possibilità che la rottura a destra avesse il suo immediato corrispondente a sinistra. Podemos in Spagna e il M5S in Italia, seppur partendo da collocazioni differenti, sinora son giunti alla medesima conclusione di non misurarsi esplicitamente con la rottura con Euro, UE, NATO. Rottura che così oggi è diventata ufficialmente un obiettivo della nuova destra. Che pare aver rovesciato a suo favore l'antica parola d'ordine della politica comunista dei fronti popolari antifascisti del secolo scorso: raccogliere, dal fango in cui era stata gettata dalla borghesia, la bandiera della democrazia e della indipendenza nazionale.
L'Unione Europea muove scandalo per Trump che vuol concludere il muro contro i migranti iniziato da Clinton, ma poi subappalta quello stesso muro al governo fantoccio libico e a quello autoritario di Erdogan. La delocalizzazione delle fabbriche è seguita da quella degli assassinii di massa dei migranti, restaurando la così più pura tradizione coloniale del vecchio continente.
Di fronte alla crisi economica permanente del sistema Euro, la Germania propone l'Unione a due velocità, una per sé una per le colonie del Sud Europa, e il governo italiano acconsente. Intanto tutti i parlamenti europei tranne uno, quello tedesco, sono sottoposti ai diktat e agli arbitri della tecnoburocrazia comunitaria.
Trump chiede agli europei di pagarsi la NATO, cioè di accrescere le spese e gli interventi militari mentre si distrugge lo stato sociale, e la destra e la sinistra liberale fanno improvvisamente di quell'alleanza militare un baluardo dei diritti umani.
Alla base di questi sconvolgimenti politici sta la crisi irreversibile della globalizzazione, non a caso dichiarata dai governi dei due paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti, che quaranta anni fa avevano dato ad essa il massimo impulso. Crisi che in Europa sta finora proponendo solo due alternative, quella della rottura da destra e quella della conservazione ipocrita dello statu quoda parte delle vecchie élites e della loro doppia morale.
Un'alternativa progressista oggi non è in campo perché gran parte della sinistra è stata condotta in un binario morto da gruppi dirigenti o venduti, o subalterni alla globalizzazione liberista. Persino nell'antagonismo radicale è comparso improvvisamente l'amore per la UE e speriamo che ora ci sia risparmiato almeno quello per la NATO.
La sinistra comunista e anticapitalista, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione, deve prima di tutto riprendersi i suoi obiettivi. Fuori dalla NATO, dall'Euro e dalla UE dunque, con ancora maggiore convinzione oggi che questi stessi obiettivi vengono riproposti dalla parte opposta. Solo così la sinistra può ridare attualità al socialismo e competere con, e smascherare il, nazional-liberismo della nuova destra.
La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli USA in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l'Italia dalla NATO, fuori la NATO dall'Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marie Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi.
Il no alla NATO in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l'Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro.
Lo stesso – anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà – avveniva contro l'Euro e la sua creatura: l'Unione Europea. Nel 1979 il PCI di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la DC, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l'istituzione dello SME, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l'Euro, e l'installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l'Unione Sovietica.
Le motivazioni con le quali allora i comunisti italiani rifiutarono quelle due scelte potrebbero essere usate oggi contro i guasti della moneta unica e contro la folle decisione della NATO di espandersi aggressivamente fino ai confini della Russia. A tale scopo finanziando anche la guerra al popolo del Donbass da parte del governo Ucraino infarcito di ministri nazifascisti.
Quegli argomenti di allora sono ancora più validi oggi, ma ora non sono più sostenuti dalla maggioranza della sinistra, ma, in Francia soprattutto, dalla nuova destra populista. Che è sempre stata euroscettica, ma spesso, e in contrapposizione alla UE, Natofanatica.
Oggi invece gran parte di ciò che ufficialmente è sinistra in Europa sostiene la NATO, l'Euro e l'Unione Europea. E non perché queste istituzioni siano cambiate, né tantomeno migliorate, ma perché è la sinistra stessa che è cambiata.. e per questo sta scomparendo. Le socialdemocrazie di governo sono state conquistate dalle politiche liberiste, se ne sono fatte complici e le hanno amministrate assieme alla vecchia destra conservatrice e liberale, di cui alla fine sono diventate una variante. Variante sul piano dei diritti civili, non di quelli sociali. Giusto battersi per il diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, ma perché contemporaneamente distruggere il diritto al lavoro e la tutela contro i licenziamenti ingiusti? Bene l'Erasmus, per chi può permetterselo, ma perché strangolare finanziariamente la scuola pubblica? E perché privatizzare la sanità e finanziare le banche? La sinistra di governo, proprio quando questa tornava ad essere al centro di tutto, ha abbandonato la questione sociale, che è stata così occupata dalla nuova destra, che nel frattempo rompeva con la sua anima liberale e di governo.
Non c'è stata sinora simmetria. Mentre la nuova destra faceva sue antiche parole d'ordine della sinistra radicale – ovviamente storpiandole dentro il suo contenitore di sempre: dio, patria, famiglia – quest'ultima si rifugiava in astratti principi di buona volontà. La resa di Tsipras e Siryza alla Troika e alla NATO ha poi tolto dal campo europeo la possibilità che la rottura a destra avesse il suo immediato corrispondente a sinistra. Podemos in Spagna e il M5S in Italia, seppur partendo da collocazioni differenti, sinora son giunti alla medesima conclusione di non misurarsi esplicitamente con la rottura con Euro, UE, NATO. Rottura che così oggi è diventata ufficialmente un obiettivo della nuova destra. Che pare aver rovesciato a suo favore l'antica parola d'ordine della politica comunista dei fronti popolari antifascisti del secolo scorso: raccogliere, dal fango in cui era stata gettata dalla borghesia, la bandiera della democrazia e della indipendenza nazionale.
L'Unione Europea muove scandalo per Trump che vuol concludere il muro contro i migranti iniziato da Clinton, ma poi subappalta quello stesso muro al governo fantoccio libico e a quello autoritario di Erdogan. La delocalizzazione delle fabbriche è seguita da quella degli assassinii di massa dei migranti, restaurando la così più pura tradizione coloniale del vecchio continente.
Di fronte alla crisi economica permanente del sistema Euro, la Germania propone l'Unione a due velocità, una per sé una per le colonie del Sud Europa, e il governo italiano acconsente. Intanto tutti i parlamenti europei tranne uno, quello tedesco, sono sottoposti ai diktat e agli arbitri della tecnoburocrazia comunitaria.
Trump chiede agli europei di pagarsi la NATO, cioè di accrescere le spese e gli interventi militari mentre si distrugge lo stato sociale, e la destra e la sinistra liberale fanno improvvisamente di quell'alleanza militare un baluardo dei diritti umani.
Alla base di questi sconvolgimenti politici sta la crisi irreversibile della globalizzazione, non a caso dichiarata dai governi dei due paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti, che quaranta anni fa avevano dato ad essa il massimo impulso. Crisi che in Europa sta finora proponendo solo due alternative, quella della rottura da destra e quella della conservazione ipocrita dello statu quoda parte delle vecchie élites e della loro doppia morale.
Un'alternativa progressista oggi non è in campo perché gran parte della sinistra è stata condotta in un binario morto da gruppi dirigenti o venduti, o subalterni alla globalizzazione liberista. Persino nell'antagonismo radicale è comparso improvvisamente l'amore per la UE e speriamo che ora ci sia risparmiato almeno quello per la NATO.
La sinistra comunista e anticapitalista, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione, deve prima di tutto riprendersi i suoi obiettivi. Fuori dalla NATO, dall'Euro e dalla UE dunque, con ancora maggiore convinzione oggi che questi stessi obiettivi vengono riproposti dalla parte opposta. Solo così la sinistra può ridare attualità al socialismo e competere con, e smascherare il, nazional-liberismo della nuova destra.
domenica 15 gennaio 2017
TESI PER LA RIPARTENZA DI EUROSTOP di Giorgio Cremaschi
[ 15 gennaio ]
Si è tenuta ieri a Roma la riunione nazionale di Eurostop, in
preparazione dell'assemblea
del 28 gennaio e della manifestazione del 25 marzo contro il vertice
dell'Unione Europea. L'incontro è stato anche l'occasione per fare il punto sulle
prospettive politiche di Eurostop. A questo proposito pubblichiamo di seguito
il breve testo per punti presentato da Giorgio Cremaschi.
1) La scelta della rottura con Euro
Ue e Nato non è finora stata una discriminante della politica italiana. Questo
ha determinato un vuoto politico, coperto da altre posizioni o da altre forze politiche. La
destra populista si dichiara contro l'Euro e non contro la UE né tantomeno
contro la NATO. La sinistra radicale è contro la NATO non contro l'euro e la UE. Il PD e Forza Italia sono a favore di tutto, il M5S con le sue ultime scelte
di collocazione europea, poi saltate, non pare avere posizioni definite. Un No
coerente e comune a Euro UE NATO continua ad essere assente dalla scena
politica italiana come dimensione organizzata.
2) Le lotte ed i movimenti sociali
non hanno mai assunto coerentemente sinora questi tre NO, euro UE NATO, nella
migliore delle ipotesi li hanno dati per scontati come premessa o come
conseguenze dei conflitti, ma non li hanno mai assunti direttamente. Questo ha
spesso reso più deboli i movimenti nella individuazione dell'avversario. Che
invece ha sempre manovrato a tutto campo, usando tutta la filiera del potere
per affermare i propri interessi e la propria egemonia. Il fatto che ogni lotta
importante ad un certo punto si misuri con la rigidità di un sistema che non
ammette mediazioni e che ogni volta si trincera dietro l'impossibilità delle
alternative, finora ha permesso al sistema stesso di vincere i conflitti o di
isolare le resistenze più tenaci e forti.
3) Il referendum costituzionale per
la prima volta da molto tempo ha portato
alla sconfitta l'establisment sul tema sul quale in Italia finora aveva sempre
vinto: quello delle riforme liberiste. La vittoria del No alla controriforma
della costituzione mostra che anche in Italia ha acquisito forza la cosiddetta
onda populista, cioè il rigetto della globalizzazione, dei suoi effetti sociali
e il rifiuto delle elités che dalla globalizzazione traggono profitto e potere.
Il No è stato una domanda di giustizia sociale che per ora non ha alcuna
risposta, anzi alla quale le risposte finora date sono tutte fondate sulla
riconferma delle politiche della globalizzazione liberista.
4) Per la prima volta da tempo
esistono lo spazio oggettivo e le condizioni soggettive perché la rottura con
Euro UE e NATO, intese come rotture con la forma specifica assunta dal dominio
della globalizzazione sulle classi subalterne del nostro paese, possano
acquisire un consenso di massa. Lo stesso schieramento di tutte le istituzioni
europee ed occidentali per il Si al referendum, con il suo scarso peso nel
voto, dimostra che questo spazio oggi esiste, anche se non è detto che duri per
sempre.
5) La gravità e la durata della crisi
economica hanno indebolito tutte le risposte dirette ai suoi effetti. Siamo
stati abituati alla coerenza tra modo di pensare delle classi subalterne e loro
modo d'agire. Cioè quando queste classi non lottavano esprimevano anche un
certo consenso al sistema, mentre quando contestavano direttamente la loro
condizione assumevano anche un punto di
vista critico più generale. Oggi non è così. La crisi costringe ad
accettare condizioni di sfruttamento e
di oppressione sociale, di perdita di libertà, senza che queste siano condivise
sul piano generale. Anzi proprio la rabbia per la condizione materiale che si
subisce alimenta il rifiuto, ma solo a livello politico generale, del sistema.
Questo apre lo spazio anche a forze ambigue o apertamente reazionarie, che
possono trarre vantaggio dalla passività sociale delle masse.
6) Siamo quindi di fronte ad un
rifiuto distorto e contraddittorio del sistema da parte di classi subalterne che
in gran parte ne subiscono ed accettano gli effetti sulla vita quotidiana, ma
che allo stesso tempo investono appena possono nella speranza di un
rovesciamento politico che cambi le cose. Questo è il terreno sul quale fanno presa le forze che propongono facili e
brutali soluzioni, o affidando tutto ad un leader, o proclamando la lotta alla
corruzione e alla casta politica come soluzione di tutti i mali, o dirottando la rabbia sociale verso i migranti
e per questa via alle istituzioni europee e sovranazionali.
7) Di fronte a questa crescente
critica e al rifiuto politico del sistema le risposte delle sinistre e del
mondo sindacale confederale sono inesistenti o negative. Le sinistre
socialdemocratiche hanno accettato l'impianto ideologico liberale della
globalizzazione, pensando di condizionarlo ed ora ne sono assorbite, non a caso
vengono identificate come parte dell'establishment. I grandi sindacati
confederali, pur critici a parole della globalizzazione, ne sono complici con
la pratica concreta della propria azione, con la politica della collaborazione
con le imprese e della riduzione del danno. Pratiche che alimentano la
passività sociale e quindi, il
dislocarsi del mondo del lavoro, degli operai in primo luogo, nel campo della
protesta politica senza dimensione sociale.
8) Le sinistre radicali e di
tradizione comunista in Europa non sono riuscite sinora a costruire
un'alternativa a quelle socialdemocratiche e alla fine vengono coinvolte e
travolte dal loro fallimento. La resa di
Tsipras e di Syriza alla Troika è stata la distruzione di una occasione storica
della sinistra radicale di costruire un'alternativa alla socialdemocrazia in
grado di competere con il populismo di destra. Ora le sinistre radicali europee
nella loro maggioranza stanno rifluendo verso un sostegno critico alle
socialdemocrazie, cioè marciano verso la propria ininfluenza nell'ambito di un
fallimento. Altre forze invece rifiutano di accodarsi alle socialdemocrazie, ma
fuggono dalla realtà della politica rifugiandosi nella predicazione della
rivoluzione mondiale come unica soluzione. Questa fuga nella palingenesi totale
a volte poi copre opportunismi molto concreti nella pratica quotidiana.
9) Tutte queste tendenze stanno
maturando una condizione politica per cui in Europa, e negli Stati Uniti, il conflitto e l'alternanza di governo siano
sempre di più tra due destre, quella tecnocratico finanziaria liberale e quella
populista reazionaria. Gran parte della sinistra è oramai assorbita nella dialettica
e nel conflitto tra queste due destre, cioè non esiste più come forza realmente
indipendente. Questo non è solo un danno per le forze e le persone che ancora
ancor alla sinistra si richiamano, ma per le stesse prospettive delle nostre
società, dal cui confronto politico sono
cancellate l'eguaglianza sociale ed il
socialismo. Nella storia umana recente questa catastrofe della sinistra ha un
solo precedente: la resa e l'appoggio delle socialdemocrazie europee alla prima
guerra mondiale.
10) Siamo quindi di fronte alla
contraddizione tra la domanda si massa di immediato cambiamento e il fatto che tutte le risposte politicamente
fruibili nell'immediato siano in realtà interne al sistema. Questo produce il
meccanismo della delusione di massa periodica e ricorrente, con il progressivo
logorarsi delle stesse basi della democrazia liberale. Che così viene
sottoposta al doppio stress della sua sottomissione da parte dei meccanismi e
del potere dell'ordoliberismo e della contestazione da parte di forze
apertamente reazionarie. Il rischio è quello
di una continua regressione in senso autoritario, col continuo rafforzamento
delle diseguaglianze sociali, contrastata da rivolte democratiche che la interrompono per un
momento, ma poi non la fermano.
11) Il riformismo positivo, il
gradualismo nei miglioramenti è morto. Oggi riformismo è solo adattamento al
peggioramento. Per questa ragione o si
costruisce una concreta alternativa e una rottura di sistema, o la regressione
continuerà. Costruire questa rottura e questa alternativa è il solo compito che
giustifichi e dia senso ad una rinnovata sinistra anticapitalista sociale e
politica. Ogni altra scelta significa o condannarsi ad un ruolo da Testimoni di
Geova del socialismo, o all'assorbimento nel riformismo complice delle destre.
12) la rottura deve avere obiettivi
politici determinati, come sempre è stato per ogni cambiamento e processo
rivoluzionario. Quindi la rottura con Euro UE NATO non è solo costituente di
una posizione politica, ma un obiettivo reale che bisogna avere il coraggio di dichiarare
non solo necessario, ma possibile. Occorre cioè pensare alla rottura come
obiettivo di transizione, come passaggio verso un nuovo sistema economico e
politico, che non è ancora socialista, ma che non è più quello ordoliberista.
La rottura punta alla regressione della
globalizzaIone, per far avanzare di nuovo una democrazia fondata sulla
eguaglianza sociale. Nel referendum costituzionale abbiamo misurato il
contrasto strategico tra la Costituzione del 1948 e la governance europea e
occidentale. Bisogna agire su questo
contrasto e trasformarlo in rottura politica : o la Costituzione o la UE e la
Nato.
13) Non bisogna aver paura di
affermare che la rottura punta alla sovranità democratica e popolare del nostro
paese. All conquista del potere per realizzare politiche economiche
progressiste usando tutti i poteri pubblici a tale scopo rafforzati e
democratizzati. A chi obietta sui rischi di nazionalismo bisogna rispondere che
ogni comunità corre questo rischio, che va combattuto con l'ampliamento della
democrazia e della eguaglianza. Se la comunità della Valle Susa ha il
sacrosanto diritto di poter decidere sul proprio territorio, perché il popolo
italiano, le classi sfruttate, non dovrebbero avere questo diritto sul proprio
paese? La rottura è riconquista di democrazia e potere popolare.
14) La scelta della rottura con Euro,
UE, NATO e con tutte le forze che le sostengono è la premessa costituente di un
programma progressista che riapra la via al socialismo. Essa quindi deve
diventare il punto di partenza comune di tutte le forze che concorreranno a
formate un fronte sociale e politico. Una volta assunta questa rottura, la
costruzione e la pratica realizzazione del fronte e del programma sarà fondata sul confronto e sullo spirito
unitario. Ogni settarismo tra forze che abbiano acquisito questo comune punto
di partenza è dannoso e per questo andrà contrastato ovunque con la massima
fermezza.
15) Bisogna coniugare ed incrociare
il conflitto di classe con quello contro l'esclusione prodotta dall'ordoliberismo.
Costruire il fronte sociale degli sfruttati e degli esclusi, un fronte
potenzialmente maggioritario, deve
essere l'obiettivo. Questo fronte ha una prima dimensione immediata, quella
delle lotte sociali nei luoghi di lavoro e nel territorio, ma deve anche collegare queste lotte alla loro
dimensione politica.
La rottura con Euro UE NATO finora ha
vissuto solo nel confronto e nel dibattito politico di una parte dei militanti
della sinistra di classe e antagonista, ora deve entrare nella dimensione delle
lotte reali, deve essere una campagna permanente e di massa che giunga a porre
l'obiettivo della rottura all'ordine del giorno di tutti i conflitti.
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(103)
Stefano Fassina
(97)
islam
(97)
Grillo
(94)
Sandokan
(94)
elezioni 2018
(94)
berlusconismo
(91)
proletariato
(91)
geopolitica
(88)
Carlo Formenti
(86)
Germania
(86)
Alberto Bagnai
(83)
Emiliano Brancaccio
(83)
austerità
(80)
bce
(80)
Medio oriente
(79)
Coordinamento nazionale della Sinistra contro l’euro
(78)
sindacato
(77)
Podemos
(76)
Stati Uniti D'America
(75)
referendum costituzionale 2016
(74)
sinistra anti-nazionale
(73)
Mario Monti
(72)
guerra
(72)
capitalismo
(70)
Libia
(66)
Russia
(65)
capitalismo casinò
(63)
Sergio Cesaratto
(62)
Rivoluzione Democratica
(61)
rifondazione
(61)
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(60)
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(60)
liberiamo l'Italia
(60)
CLN
(59)
Siria
(59)
CONFEDERAZIONE per la LIBERAZIONE NAZIONALE
(57)
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(57)
immigrati
(57)
Sicilia
(56)
Alexis Tsipras
(55)
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(54)
cinque stelle
(54)
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(54)
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(53)
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(53)
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(52)
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(52)
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(52)
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(51)
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(51)
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(48)
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ambiente
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uscita di sinistra dall'euro
(35)
III. Forum internazionale no-euro
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Luigi Di Maio
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USA
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nazionalismi
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silvio berlusconi
(26)
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(25)
Comitato centrale P101
(25)
Forum europeo
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Nato
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elezioni siciliane 2017
(25)
religione
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scuola
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Europa
(24)
Movimento 5 Stelle
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Quantitative easing
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Venezuela
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finanziarizzazione
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Aldo Giannuli
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Lavoro
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Stato di diritto
(23)
antifascismo
(23)
manifestazione 12 ottobre 2019
(23)
ora-costituente
(23)
razzismo
(23)
repressione
(23)
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(22)
Esm
(22)
Roma
(22)
emigrazione
(22)
keynes
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nazionalismo
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Chianciano Terme
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Simone Boemio
(21)
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(21)
Unità Popolare
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etica
(21)
Conte bis
(20)
Emmanuel Macron
(20)
Foligno
(20)
Laikí Enótita
(20)
Marcia della Dignità
(20)
Regno Unito
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Vladimiro Giacchè
(20)
coordinamento no-euro europeo
(20)
crisi di governo
(20)
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Tunisia
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F.S.
(18)
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(18)
Noi siciliani con Busalacchi
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lotta di classe
(18)
pace
(18)
senso comune
(18)
Assisi
(17)
Costanzo Preve
(17)
Forum europeo delle forze di sinistra e popolari anti-Unione europea
(17)
Jacques Sapir
(17)
Paolo Savona
(17)
Perugia
(17)
Pier Carlo Padoan
(17)
chiesa
(17)
complottismo
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cosmopolitismo
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euro-germania
(17)
media
(17)
piano B
(17)
Enrico Letta
(16)
Forum di Atene
(16)
Luciano B. Caracciolo
(16)
Marco Mori
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Prc
(16)
Reddito di cittadinanza
(16)
Renzi
(16)
Tonguessy
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appello
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casa pound
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internazionalismo
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vendola
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(15)
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(15)
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clima
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diritto
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