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martedì 29 ottobre 2019

UMBRIA: ROSSO A CHI? di Carlo Formenti

[ martedì 29 ottobre 2019 ]

Un brivido mi corre lungo la schiena leggendo sui giornali titoli come il crollo del fortino rosso (?) a commento della disfatta elettorale della coalizione giallo fucsia in Umbria. 

Rosso a chi? Sono più di vent'anni che questa attribuzione cromatica riferita agli eredi del Pci (non solo il Pd, ma Leu e compagnia cantante) suona come un insulto alla memoria dei movimenti operai del 900 (al pari del sottotitolo quotidiano comunista sotto la testata del Manifesto). 

Ciò detto, ieri, per una curiosa coincidenza, nel mondo si sono verificati contestualmente i seguenti eventi: secca sconfitta del candiato neoliberista Macri nelle elezioni presidenziali argentine (in quelle uruguaiane si andrà al ballottaggio ma il candidato di sinistra è in netto vantaggio), vittoria della Linke in Turingia, con i socialdemocratici che, al pari dell'M5S in Umbria, scendono sotto il 10 per cento e i democristiani sorpassati dall'estrema destra. 

Quest'utimo evento sembra fatto apposta per legittimare gli allarmi dei partiti tradizionali (coalizioni di centrosinistra di varia composizione in testa) contro la montante marea "rossobruna". In questo baccano non si sente una parola di autocritica sulle politiche economiche che alimentano la rabbia popolare e producono questi risultati (assieme alle insurrezioni in Cile ed Ecuador e ai gilet gialli francesi). 

Questo perché coloro che (almeno per ora) occupano i posti di comando non è che non vogliano, non letteralmente non possono cambiare linea politica perché gli interessi della finanza globale che li manovrano non glielo consentono. Che poi la rabbia trovi espressione nei populismi (di destra e sinistra) dipende dalla perdurante mancanza (soprattutto in Europa e ancor più in Italia) di una credibile guida politica unitaria in grado di unificare un blocco sociale anticapitalista. 

Chiudo con un accenno al dissolversi del capitale di consenso che l'M5S aveva accumulato negli anni scorsi: non so se le spallate di Paragone riusciranno prima o poi a incrinare il patto opportunistico che tiene assieme il cerchio magico che sorregge la leadership di pinnocchietto Di Maio, gli interessi della Casaleggio e gli umori ciclotimici di un Grillo che gioca a fare Joker (il quale, se davvero esistesse, gli avrebbe già fatto pagare l'insulto). Sta di fatto che, più presto avverrà, meglio sarà per il recupero dello spazio politico necessario alla costruzione di un polo alterntivo a neo lib di centrodestra e centrosinistra.

* Fonte: Carlo Formenti

lunedì 28 ottobre 2019

UMBRIA: DIETRO AL TRIONFO di Piemme

[ lunedì 28 ottobre 2019 ]

L'enorme avanzata elettorale delle destre nelle elezioni in Umbria, tanto più dato l'alto afflusso alle urne rispetto alla precedente tornata elettorale, si spiega solo a patto di di considerare che, come un'alluvione, essa è stata possibile perché alimentata da molti rivoli.

Voglio provare ad indicarli, seguendo un ordine sregolato che solo col tempo, quando l'alluvione sarà passata e avremo sotto gli occhi il paesaggio che ne verrà fuori, sarà possibile mettere in ordine per importanza. Sia come sia il dato umbro ha un rilievo che va ben oltre la portata regionale, ci dice anzi molte cose sul Paese e cosa bolle in pentola.

(1) GUERRA PER BANDE NEL PD. Lega e FdI stravincono perché una parte consistente dei notabili piddini, non solo renziani, ha voluto punire Zingaretti ed il nuovo gruppo dirigente del PD — esso, chiedendo le dimissioni della Marini, causò la caduta della giunta regionale.

(2) SUICIDIO M5S. Lega e FdI stravincono perché buona parte degli elettori pentastellati, e anzitutto dei pochi attivisti di peso rimasti, hanno voluto condannare, assieme all'alleanza col Pd — furono i 5 Stelle a sollevare contro il Pd lo scandalo di "sanitopoli" — la propria cupola dirigente nazionale.

(3) BOCCIATO IL GOVERNO CONTE. Lega e FdI stravincono perché i cittadini hanno voluto bocciare non solo il Governo Conte bis, ma la sua grottesca Legge di bilancio. 

(4) COME SI PRENDONO I VOTI. Lega e FdI stravincono perché sia Salvini che la Meloni hanno fatto una campagna elettorale vecchia maniera, martellante, generosa, esemplare, mobilitando zona per zona, comune per comune i loro militanti. Altro che facebook...


(5) VOTO DI PROTESTA. Lega e FdI stravincono perché sono riusciti ad incamerare un massiccio voto di protesta sociale e popolare degli strati più umili della popolazione, usciti massacrati da un decennio di gravissima crisi economica.

(6) SOVRANITÀ NAZIONALE. Lega e FdI stravincono perché sono apparse come forze sovraniste, dando così voce al diffuso sentimento patriottico.

(7) ODIO DELL'ÉLITE. Lega e FdI stravincono perché la maggioranza dei cittadini ha voluto così condannare l'inciucio romano che ha dato vita al Conte bis, impedendo con una brutale manovra élitaria e di palazzo le elezioni anticipate.

(8) ORDINE E SICUREZZA. Lega e FdI stravincono perché sono percepiti come destra vera, paladini di un'idea sicuritaria e autoritaria dello Stato.

(9) CENTRO-SINISTRA SENZA TESTA. Lega e FdI hanno vinto perché il candidato di Pd e 5 Stelle (Bianconi) è stato considerato dagli umbri una mezza tacca senza arte né parte,  rappresentante di interessi di classe antipopolari, con la sconfitta scritta in fronte. 

(10) CONTRO LA CORRUZIONE.  Lega e FdI hanno stravinto perché hanno incamerato il diffuso senso di schifo verso il sistema marcio, depravato e nepotistico di cui il Pd era diventato simbolo, quindi il desiderio di una classe politica pulita e onesta.

(11) LA FIGURA DEL CAPO.  Quella di ieri è anzitutto la vittoria indiscutibile di Matteo Salvini. I cittadini non soltanto apprezzano il suo stile populista e politicamente scorretto, sono ammaliati dal suo carisma.

(12) IL TRADIMENTO. Molti dei cittadini umbri hanno votato a destra pur essendo di sinistra ovvero avendo a cuore principi come l'eguaglianza sociale e ripugnanza per le classi dominanti. Col voto essi hanno voluto condannare come grandi traditori i partiti della sinistra, storica e non.

*  *  *

Se quanto detto è corretto, se nel giustificare la vittoria delle destre concorrono così tanti fattori, generali e peculiari, serve dire che questa vittoria ha una sua intrinseca fragilità. Dentro una crisi sistemica e con la recessione in arrivo, tutto è destinato a dileguarsi ed a lasciare il posto a nuovi assestamenti.

Addendum

— Il sottoscritto ha votato Rossano Rubicondi, candidato del Partito comunista. Lo scarso radicamento sociale del partito non ha consentito una campagna elettorale capillare. Il grosso del lavoro è caduto infatti sulle spalle di Rubicondi. Non ha pagato, come noi avevamo detto, il testardo identitarismo ideologico e simbolico. Non ci sono più contadini che usano il falcetto, o operai che picchiano col martello. Non si può, come ha fatto pubblicamente Marco Rizzo, sostenere che il "socialismo" sovietico era il regno di Bengodi. Non ha pagato una campagna elettorale oltre che timida nei toni (la radicalità affidata miracolisticamente alla presunta efficacia, che non c'è più, del simbolo) di mera testimonianza.

— Quando cadde la giunta regionale con la possibilità di elezioni anticipate a stretto giro, la nostra proposta fu quella di dare vita, coi 5 Stelle (c'era ancora, anche se fibrillava il governo giallo-verde), ad un "terzo polo" popolare indipendente e opposto al centro-destra avanzante e al centro-sinistra declinante.  Come dimostrarono le elezioni comunali a Foligno, era realistico pensare di ottenere e superare il 10% e forse più. La nostra proposta cadde nel vuoto.

— L'occupazione da parte delle destre del governo regionale (dopo quelli nelle principali città) non produrrà alcun stravolgimento. I poteri forti regionali che per decenni hanno sostenuto il notabilato piddino, ora hanno scelto un referente per non cambiare nulla. Gli umbri hanno votato per il cambiamento, avranno né più e ne meno che la conservazione dell'esistente.

— L'Umbria non cessa con queste elezioni di essere un laboratorio di rilevanza nazionale. Proprio qui si deve sperimentare una nuova via. Come scritto ieri da un lettore:
«Un'opposizione potrebbe sorgere attorno a quella che chiamiamo "sinistra patriottica", nazionale-popolare. La posta in palio non è, nei prossimi anni, ricavarsi una nicchia per tirare a campare, raccattare voti nostalgici di un passato che non tornerà più, ma sfidare in campo aperto le destre, contendendo loro l'egemonia politica».
Può sembrare follia, ma è la follia, il coraggio di osare e di pensare in grande, il solo sentiero da percorrere.



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domenica 27 ottobre 2019

UMBRIA: L'ARIA CHE TIRA

[ domenica 27 ottobre 2019 ]

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


Non è, quello accanto, un fotomontaggio per dileggiare Matteo Salvini. Nient'affatto. Bastardo è il nome di un frazione di uno dei comuni più piccoli della mia regione, per la precisione Giano dell'Umbria. Fino a lì a giunto Matteo Salvini, a conferma di una campagna elettorale martellante, sistematica, debordante, tracotante.

Se il centro-destra vincerà sarà anzitutto grazie a questa capacità, sua e della Lega, di aver coperto la regione in lungo e in largo. 
Il problema non è se la coalizione di centro-destra vincerà. Avrebbe vinto anche senza lo scandalo "sanitopoli". Ce lo dicono non solo le ultime elezioni europee — Lega al 38% e centro-destra oltre il 50 % — nonché quelle recenti nei comuni — le tre principali città, Perugia, terni e Foligno già espugnate.

Il problema è la dimensione di questa vittoria.
Se il distacco tra centro-destra e centro-sinistra ricostruito (coi grillini) andrà ben oltre il 10% esso avrà un impatto sicuro a livello nazionale poiché ci dirà che il governo Conte Bis e l'inciucio Pd M5s sono due cadaveri che camminano.

Vedremo. Vada come vada, in barba al demenziale autogol di Conte — "In Umbria sono solo 700mila elettori meno che nella provincia di Lecce" — per la mia regione questo 27 ottobre 2019, sarà una data di valore simbolico e storico: crollata una delle tre roccaforti di quella che viene chiamata "sinistra". Su scala certo microscopica sarà come il crollo del muro di Berlino. Salvini lo sa e su questa chiave simbolica ha fatto campagna e giocato tutte le sue carte.  

E' da questo sentimento di vendetta tutta politica verrà la sua vittoria. Una vendetta sociale e non solo politica, visto che soprattutto la povera gente, tradita dalla sinistre (tutte, non solo il Pd) darà un voto alla destra. 

Altro che "sanitopoli" e corruzione. E' la crisi economica e sociale (-17% del Pil), la disoccupazione, la povertà crescente, la precarizzazione per chi il lavoro ce l'ha, lo sfascio del vecchio tessuto sociale e industriale (aggravato da un'immigrazione sregolata), i giovani che emigrano, l'agricoltura che boccheggia, lo spopolamento delle aree appenniniche, una ricostruzione delle zone terremotate mai iniziata davvero, un sistema dei trasporti allo sfascio. In due parole il senso di abbandono avvertito dalla maggioranza del popolo.

Questi sono i veri carburanti dello sfondamento di Salvini e della meritata e inevitabile  sconfitta storica della "sinistra". E non si pensi che questo voto di vendetta sia solo un voto per dispetto, che sia una specie di sbandamento passeggero del "popolo bue", o di cittadini disinformati e inconsapevoli. Non è affatto così. La svolta a destra è reale, viene da lontano, ha cause profonde, ha una portata ideologica, la sua onda è destinata durare a lungo. 

L'Umbria diventa a maggior ragione da domani un laboratorio politico.

Come, con che profilo, con quali uomini si costruirà l'opposizione politica e sociale al governo delle destre? Un'altra cosa che ci dice la mia regione è che la vecchia sinistra radicale, in tutte le sue articolazioni, coi suoi sepolcri imbiancati, è morta e sepolta. Guai a raccogliere il suo testimone.

Un'opposizione potrebbbe sorgere attorno a quella che chiamiamo "sinistra patriottica", nazionale-popolare. La posta in palio non è, nei prossimi anni, ricavarsi una nicchia per tirare a campare, raccattare voti nostalgici di un passato che non tornerà più, ma sfidare in campo aperto le destre, contendono loro l'egemonia politica.

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venerdì 25 ottobre 2019

UMBRIA: PER CHI VOTIAMO NOI

[ venerdì 25 ottobre 2019 ]

Gli umbri vanno al voto prima del previsto a causa delle dimissioni della Giunta di centro-sinistra, travolta da "sanitopoli".

Non è difficile prevedere, anche visto com'è andata in diverse elezioni comunali, la vittoria del centro-destra a trazione leghista. 
Il tracollo della improbabile coalizione tra PD e 5 Stelle è quindi certo. Si tratta semmai di vedere quanto esso sarà grande.

Come sezione Umbra del Movimento Popolare di Liberazione - Programma 101 la nostra indicazione di voto è per Rossano Rubicondi, candidato Presidente del Partito Comunista. Decisione avvenuta dopo un incontro svolto con Rossano ed il segretario regionale del Pc.

Le ragioni sono presto dette.

(1) Rossano Rubicondi non è figlio di nessuno. Elemento di punta dell'opposizione interna alla CGIL, è stato protagonista di tante battaglie in difesa dei diritti dei lavoratori, e non solo di quelle. Mai colluso col corrotto sistema di potere del Pd. Rossano è quindi un simbolo, un simbolo della lotta per la giustizia sociale, di chi non ha tradito le proprie radici ideali. Per questo, malgrado le differenze, noi lo consideriamo non solo un compagno ma anche un fratello.

(2) Rossano è il candidato del Partito comunista. Per quante critiche si possano fare a questo Partito, esso è il solo, di quel che resta della sinistra, che ha il coraggio di rivendicare l'uscita dalla gabbia dell'Unione europea, dall'euro come pure dalla NATO.

(3) Tenendo conto del sistema istituzionale brutalmente presidenzialista, rafforzato da una legge elettorale ultra maggioritaria (voluta dal Pd), scarse sono le possibilità, per una forza popolare rivoluzionaria, di entrare nel Consiglio regionale. Per quanto appesa ad un filo, questa possibilità tuttavia esiste e va quindi perseguita con forza. Superare l'alto sbarramento elettorale sarebbe una grande vittoria, non solo per il Partito comunista, ma per tutta l'opposizione, sociale e patriottica della nostra regione. In vista del futuro c'è bisogno come il pane di un risultato positivo che attesti che c'è una minoranza consapevole che non ha portato la testa all'ammasso.

Sulla scheda gli umbri troveranno anche la lista del Fronte Sovranista Italiano con Martina Carletti candidata alla Presidenza della regione. Auguriamo agli amici del FSI un risultato dignitoso, ma per come stanno le cose e per l'estrema debolezza del gruppo, ciò è altamente improbabile. Si tratta di una candidatura di bandiera destinata all'irrilevanza. Non ci sono ragioni per cui noi, in questa fase in cui c'è invece bisogno di far fare passi avanti all'opposizione democratica e patriottica, si debba condividere una scelta minoritaria destinata alla sconfitta.


I compagni umbri del Movimento Popolare di Liberazione - Programma 101




domenica 11 agosto 2019

VERSO IL "GOVERNO URSULA"? di Leonardo Mazzei

[ lunedì 12 agosto 2019 ]
Non so se nel misero pollaio della politica italiana Renzi sia il più intelligente, ma di sicuro è il più svelto di tutti. Preso atto della mossa agostana di Salvini, la sua contromossa è arrivata fulminea già nelle ventiquattrore successive. Una risposta che, smentendo senza indugi tutti i precedenti veti anti-M5S, ha discrete possibilità di successo.
La fine del governo giallo-verde segna un’indubbia vittoria dell’oligarchia eurista. Vero (e lo avevamo ampiamente segnalato) che questa fine politica si era già consumata a luglio, ma il modo in cui la Lega ha alla fine staccato la spina peggiore non poteva essere. Una rottura motivata male assai (il partito del sì contro quello del no, ed altre simili amenità), con un attacco tutto rivolto ai Cinque Stelle anziché alla Quinta Colonna mattarelliana, vera responsabile della svolta eurista del governo. Ma soprattutto una rottura sbagliata nei tempi, se davvero Salvini vuole le elezioni.


Quest’ultimo punto è decisivo. Una richiesta di elezioni dopo le europee sarebbe apparsa sensata. I tempi ci sarebbero stati tutti e Mattarella non avrebbe avuto troppi pretesti per mettersi di mezzo. Adesso è tutto il contrario. Chi scrive sa bene che rimandare la Legge di Bilancio di due mesi non sarebbe un dramma, ma perché dare questo argomento agli avversari ed all’intera canea mediatica?

Prima gli italiani o prima i clan leghisti del nord?


Conte non si è ancora dimesso, le sue comunicazioni al parlamento devono ancora essere calendarizzate, Mattarella non ha ancora preso in mano l’iter delle consultazioni, ma già quelle elezione date troppo frettolosamente per certe appaiono ora ben più lontane di tre giorni fa. Tutto ciò avviene per un motivo semplicissimo: tre dei quattro principali partiti non hanno alcun interesse ad andare a votare. Detto in altre parole, Salvini aveva una maggioranza ed ha deciso di mettersi in minoranza. Certo, lo ha fatto chiedendo che la parola torni agli elettori. Il che dal punto di vista democratico va certamente bene. Ma egli non può far finta di non sapere che, ove davvero si votasse, potrebbe forse ottenere la maggioranza dei seggi (grazie al maggioritario), non certo quella dei voti, che aveva invece in alleanza con M5S nel governo gialloverde. Piano dunque a parlare in nome degli italiani…

Ecco, aver buttato a mare quella maggioranza, confermata alle europee sia pure a parti invertite, è la responsabilità più grave che si è assunta Salvini. In quella maggioranza c’era infatti la spinta popolare al cambiamento. Una spinta confusa e contraddittoria quanto si vuole, ma pur sempre una spinta vera.

Ma, la domanda sorge davvero spontanea, qual è il cambiamento che vuole la Lega? E’ quello che passa attraverso la liberazione dal cappio eurista o è il ritorno riverniciato solo un po’ alle origini liberiste, mercatiste e soprattutto padane dell’era Bossi?

Ora, se davvero il “prima gli italiani” di Salvini voleva significare in primo luogo la liberazione dall’euro-Germania, egli avrebbe dovuto agire ben diversamente da quel che ha fatto. In primo luogo avrebbe dovuto mettere costantemente al centro i temi economici, non la sicurezza e i migranti. In secondo luogo avrebbe dovuto togliere di mezzo la pretesa del “regionalismo differenziato”, altro non fosse perché una battaglia contro Bruxelles esige la massima unità del Paese. In terzo luogo, avrebbe dovuto curare i rapporti con i Cinque Stelle, evitare di attaccarli ogni giorno, mantenere la compattezza dell’alleanza sulla base della lotta al nemico principale che sta a Bruxelles.

E’ avvenuto invece l’esatto contrario. Ora, è vero che M5S si è assunto la responsabilità del voto alla Von der Leyen. Un atto gravissimo. «Con noi avete chiuso», così P101 intitolava il suo comunicato del 18 luglio rivolgendosi ai pentastellati. Detto questo bisogna però chiedersi cos’è che in sei mesi ha fatto passare M5S dall’incontro con i gilet gialli (gennaio) all’alleanza con Macron (luglio). Certo, vi sarà più di un motivo in quanto avvenuto, ma come non vedere come sia stata proprio l’offensiva salviniana (l’idea di un’autosufficienza che talvolta sconfina nel delirio) a spingere Di Maio e gli altri verso il blocco eurista e lo stesso Pd?

Elezioni o nuovo governo?


Quanto detto sulla Lega non assolve neanche un po’ i Cinque Stelle. Dopo tanti discorsi contro la casta, i pentastellati appaiono di fatto i più incollati alla poltrona. Le troppe figurette rimediate — ultima la pagliacciata sul Tav — non hanno bisogno di alcun commento. Ma è la svolta eurista il vero snodo decisivo di un’involuzione normalizzatrice di cui non si vede la fine. Adesso è arrivato pure Grillo a benedire l’alleanza de facto con Renzi, e tutto ciò basta e avanza.

Andremo dunque ad elezioni od avremo invece un nuovo governo? Pur non avendo la sfera di cristallo, la seconda possibilità appare di gran lunga come la più probabile. Ma se M5S è pronto a nuove nozze, cosa farà il Pd?

Ecco che torniamo così al punto da cui siamo partiti. In teoria il Pd ha un segretario, peccato che sia del tutto evanescente. Un segretario tafazziano, che chiede elezioni pur sapendo che si risolverebbero in una discreta legnata per la ditta.  Al contrario, nel momento decisivo, è invece riapparso l’ex segretario, il quale un piano sembra averlo. Un piano che va incontro alle esigenze di M5S, oltre che agli interessi della propria nutrita pattuglia di parlamentari.

In cosa consista questo piano è presto detto: 
1) Evitare le elezioni facendo nascere un nuovo governo, da denominare in qualche modo (istituzionale, transitorio, del presidente, eccetera) per nascondere la nuova alleanza  politica. 2) Affidargli il compito di fare la Legge di Bilancio, bloccando l’aumento dell’IVA. 3) Far passare il taglio dei parlamentari voluto dai Cinque Stelle.
Messa così la cosa potrebbe andar bene anche a Salvini, il cui piano b sarebbe quello di denunciare  l’inciucio ed i nuovi attesi sacrifici, lanciandosi in una campagna elettorale permanente in attesa delle elezioni nella prossima primavera. 

Non credo però che andrà così. Intanto, la fine dell’anomalia giallo-verde potrebbe spingere Bruxelles alla concessione di più ampi spazi (per quanto sempre temporanei) di flessibilità, proprio come fece per facilitare l’ascesa di Renzi. In secondo luogo, il taglio dei parlamentari condurrebbe alla possibile richiesta di un referendum costituzionale, o —  nel caso nessuno lo richieda — alla necessità di ridisegnare i collegi elettorali, con la conseguenza di rendere assai difficile il voto anticipato nella primavera 2020. 

Ma c’è di più. Superato lo scoglio della Legge di Bilancio, si può esser certi che la nuova maggioranza non avrebbe fretta alcuna di arrivare al voto. Non solo. Poiché il taglio dei parlamentari determinerebbe sbarramenti impliciti altissimi per l’attribuzione dei seggi senatoriali nelle regioni più piccole, ecco che vi sarebbe il motivo per rivedere la legge elettorale. Si vorrà a quel punto tagliare le unghie a Salvini? Semplice, basterà abolire i collegi uninominali del Rosatellum. La qualcosa, da un punto di vista democratico, male non sarebbe di certo. Peccato solo che si continuerebbe così la solita prassi dei cambiamenti della legge elettorale in base ai prevalenti interessi del momento.

Tirando le somme di quanto abbiamo scritto, si sarà capito che un nuovo governo è più probabile delle elezioni in autunno. Sempre ricordando, però, che probabile non vuol dire certo.

Un no chiaro al “Governo Ursula”


Se davvero andrà così, le idee dovranno essere chiare.
La sera del 12 novembre 2011, mentre mezza Italia festeggiava la cacciata del Buffone d’Arcore, da lì a breve sostituito dal Killer dei mercati Mario Monti, scrivevamo un breve articolo dal titolo assai eloquente: «Quanto è stupido l’“antiberlusconismo”». Spero non ci sarà bisogno, stavolta, di scriverne uno analogo sulla stupidità di certo “antisalvinismo”.

Detto in altre parole, se di Salvini è legittimo pensare tutto il male possibile, sulla nuova operazione del blocco eurista che si profila all’orizzonte non si dovrà certo essere teneri. Al contrario, si dovrà essere rigorosi ed inflessibili. 

Se quel governo nascerà, esso potrà farlo solo in nome dell’Europa, cioè dell’UE, dell’euro e delle sue regole strangola-popoli. La cosa è così evidente che qualcuno già lo chiama “governo Ursula”, dal nome dell’aristocratica tedesca Ursula Von der Leyen messa dalla Merkel (e votata da Pd, M5S e Forza Italia) a capo della Commissione europea. 

Un marchio di fabbrica più che sufficiente a far capire la portata della vittoria dell’oligarchia eurista da un lato, l’urgenza di una rinnovata opposizione che sappia guardare alla necessità di liberare l’Italia dall’altro.


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LA CAZZATA DI SALVINI

[ domenica 11 agosto 2019 ]


Subito abbiamo detto che la mossa di Salvini era un autogol. Ha fatto cadere il governo certo di avere elezioni in autunno per ottenere uno strepitoso successo. Non avrà l'uno, difficilmente  l'altro, visto che i tempi, in politica, contano molto.

Se con l'auspicio dell'élite eurocratica e la regia del Quirinale, nascerà un governo (non importa come lo chiameranno) incardinato sull'asse M5s-Pd, Salvini uscirà sconfitto a causa del suo stesso azzardato rilancio. Ha fatto malissimo i conti: ha sopravvalutato sé stesso, e sottovalutato le forze degli avversari. Un errore gravissimo per uno che si atteggia a stratega e nuovo salvatore della Patria. L'immagine del decisionista sempre vincente ne esce fortemente mutilata — fattore psicologico rilevante per la massa fluttuante che gli sta andando dietro.

Ci perdoneranno i nostri lettori se pubblichiamo per intero l'intervista rilasciata da Matteo Renzi al Corriere della Sera in edicola oggi. Da leggere, anche perché indica sotto quale bandiera si potrebbero compattare i poteri forti.
*  *  *

Intervista a Renzi

«Folle votare subito, prima governo istituzionale e taglio dei parlamentari»

L’ex premier: la priorità è evitare l’aumento dell’Iva. Il Pd? C’è chi vuole le urne per cambiare i renziani...

di Maria Tresa Meli

D. Senatore Renzi, ha capito perché Salvini ha rotto?
R. «Per me Salvini ha paura e non sta bene. Lo si capisce guardandolo in spiaggia, e ascoltandone le farneticanti parole: “Italiani, datemi pieni poteri”. Sembra Badoglio».


Vuole fissare le elezioni al posto del capo dello Stato?
«Vuole convocare il Parlamento al posto dei presidenti. Vuole decidere tutto ma non fa nulla. E mentre è in spiaggia a ballare, a Roma si spara nei parchi pubblici. Ma chi si occupa di sicurezza se non chi lavora al Viminale? Salvini non ha mai avuto il senso delle istituzioni ma ora ha perso anche il senso della misura. Fortunatamente tra poco non sarà più ministro dell’Interno e finirà la disastrosa esperienza del governo Conte».

Addirittura disastrosa?
«Un fallimento. Dicevano: governeremo 30 anni, hanno fallito in pochi mesi. Hanno azzerato il Pil, alzato le tasse e fatto schizzare lo spread. Ma il disastro economico non è la cosa peggiore. Ancora peggio è lasciare un Paese incattivito dall’odio. Mi domando come si possa tacere quando in uno stabilimento balneare del Nord viene impedito l’ingresso a un ragazzo italiano di colore. O quando si sdogana la rabbia verso il volontariato. Salvini ha diffuso il rancore, il sospetto verso l’associazionismo, l’odio contro il diverso».

E ora?
«Andremo in Senato e ci confronteremo. E qui è in gioco l’Italia, non le correnti dei partiti. Chiederò di parlare e dirò che votare subito è folle per tre motivi».

Il primo?
«La priorità è evitare l’aumento dell’Iva. Vanno trovati 23 miliardi di euro. Perché un commerciante deve pagare la recessione che l’aumento dell’Iva comporterà? Che colpa ne ha quel commerciante se Salvini si è stancato di Toninelli? Che Toninelli sia incapace noi lo diciamo da anni. Salvini se ne è accorto solo adesso? Se votiamo subito l’Iva va dal 22 al 25%? Prima togliamo le clausole e poi si vota. Ieri abbiamo bruciato 15 miliardi, lo spread è alto, i risparmiatori soffrono. E con Salvini che chiede “pieni poteri”, i mercati temono l’uscita dall’euro. Si andrà a votare, certo. Ma prima vengono i risparmi degli italiani, poi le ambizioni di Capitan Fracassa».

Servirà una manovra dura.
«No. Presenteremo in Senato le misure che evitino l’aumento dell’Iva, ne ho già parlato con i miei. Essere opposizione non significa solo dire no, ma fare proposte concrete. E il successo della fatturazione elettronica permetterà di recuperare anche sul 2020: la strada per evitare l’austerity c’è».

Il secondo?
«Salvini deve lasciare il Viminale, Conte deve lasciare palazzo Chigi. I due saranno i leader di Lega e Cinque Stelle alle elezioni? Auguri. Ma, sfiduciati, non possono essere loro i garanti elettorali. Facciano la campagna, ma lascino gli uffici pubblici: si trovino un altro modo per pagare i loro mastodontici staff. Si voti con un governo di garanzia elettorale, non con questo».

Il Movimento 5 Stelle vuole prima votare il taglio dei parlamentari.
«E questo è il terzo punto. Considero la riduzione dei parlamentari una riforma incompleta e demagogica. La nostra riforma modificava il bicameralismo, garantiva efficienza, assicurava stabilità. Tuttavia i cittadini hanno deciso, noi abbiamo perso e io mi inchino davanti alla democrazia. Oggi la cosa è semplice: i 5 Stelle hanno scommesso molto su questa riforma. A me non piace. Ma devo ammettere che hanno ragione loro quando dicono che sarebbe un assurdo fermarsi adesso, a un passo dal traguardo. Si voti in Aula in quarta lettura e si vada al referendum: siano gli italiani a decidere».

Diranno che volete allungare il brodo per non mollare le poltrone.
«Votare a novembre con mille parlamentari è più comodo per salvare le poltrone che votare dopo la riduzione. Facciamo politica, non populismo. Qui non stiamo tutelando qualche poltrona, ma i risparmi e le regole».

Ma Salvini...
«Salvini ha accelerato per motivi che noi non sappiamo, ma lui sa benissimo, certo che li sa. Forse i 49 milioni di euro che la Lega ha sottratto agli italiani, forse i rubli chiesti dai leghisti alla Russia come tangente, forse ha finito i soldi per la sua macchina da propaganda sui social. Per questo va sfidato culturalmente, politicamente e elettoralmente. Ma le regole si decidono insieme: non può fare il giocatore, l’arbitro e l’ultrà. Anche perché gli riesce fare solo l’ultrà».

Renzi, proprio lei sta aprendo ai 5 Stelle.
«No. Faccio un appello a tutti. Dalla Lega ai 5 Stelle, da Forza Italia alla sinistra radicale, dalle Autonomie ai sovranisti fino ai gruppi parlamentari del Pd, della cui tenuta non dubito. A tutti. Ci vuole un governo istituzionale che permetta agli italiani di votare il referendum sulla riduzione dei parlamentari, che eviti l’aumento dell’Iva, che gestisca le elezioni senza strumentalizzazioni. Penso che quando Mattarella inizierà le consultazioni una parte dei parlamentari dovrà aver già espresso la propria adesione a questo disegno. Così il presidente potrà valutare l’eventuale incarico a un premier autorevole. A lui toccheranno le scelte: noi dobbiamo consegnargli una ipotesi concreta».

Senatore Renzi, come si spiega l’atteggiamento di Salvini?
«Non me lo spiego. Perché vuol correre? Deve nominare il suo amico Savoini all’Eni? Possibile che nessuno fiati sulla richiesta di tangenti? Salvini deve querelare Savoini: perché non lo fa? Ha paura che vuoti il sacco? Vuole scegliersi il cda di Eni per i rapporti russi? Vuole nominare i vertici di servizi e forze armate? La polizia non è il suo corpo armato personale. Ho difeso il figlio di Salvini perché un ragazzo non merita di essere attaccato per una scelta del padre. Restiamo umani, per favore: quel ragazzo non ha alcuna responsabilità. Ma l’atteggiamento di alcuni agenti con i giornalisti non mi ha convinto: lo ha spiegato benissimo il capo della polizia Gabrielli, che si conferma assieme ad altri una colonna delle istituzioni democratiche. I costituzionalisti sono ancora in ferie, probabilmente: si emozionavano solo ai tempi dell’abolizione del Cnel, oggi stanno zitti. Ma c’è qualcosa di strano in questa ansia da voto di Salvini. E non capisco perché il Parlamento dovrebbe assecondarla».

E il Pd? Zingaretti vuole il voto.
«Nell’ultima settimana sono stato attaccato più volte dai membri della segreteria. Leggo che il gruppo dirigente vorrebbe votare subito perché almeno si cambiano i parlamentari renziani: sono pronti a dare cinque anni di governo a Salvini pur di prendersi i gruppi parlamentari d’opposizione. Nobile motivazione, per carità, ma riduttiva. Stanno ancora una volta attaccando il Matteo sbagliato. Zingaretti dice: Renzi ci dia una mano. Accolgo volentieri l’appello, ma per me la mano va data al Paese più che alla Ditta».

Qual è la cosa di Salvini che l’ha convinta meno?
«Mi ha fatto male vedere la strumentalizzazione della Madonna sul decreto Sicurezza. Nessuno può essere così cinico da speculare sulla fede. Salvini lo è. Anche per questo credo vada sfidato: siamo una democrazia parlamentare, andiamo in Parlamento e vediamo se ci sono i numeri per governare».

Non teme le polemiche per il rinvio del voto?
«Se temessi le polemiche, farei altro. Ma credo sia giusto restituire Salvini ai suoi mojito. E restituire un governo decente agli italiani. Poi si andrà a votare e vincerà il migliore. Ma solo dopo aver evitato l’aumento Iva, ridotto il numero dei parlamentari, garantita la tenuta istituzionale del Paese».

venerdì 9 agosto 2019

TANTO TUONÒ CHE PIOVVE

[ venerdì 9 agosto 2019 ]

In altri tempi si sarebbe chiamata "crisi balneare". Invece la cosa è molto più seria.
Siamo ad una nuova puntata di una crisi che è sistemica ("organica" avrebbe detto Gramsci): economica, sociale, politica e istituzionale. Che il governo fosse "in coma", per la precisione un governo-zombi, lo avevamo scritto un mese fa, come avevamo detto che approfittando del marasma tra i due litiganti il terzo (leggi: la Quinta colonna mattarelliana Conte-Tria) fosse quello che godeva. Prima il Def, poi l'accordo con Bruxelles per evitare la cosiddetta "procedura d'infrazione", quindi il passaggio dei 5 stelle nel campo eurista col voto alla Von Der Leyen. Morale: il governo giallo-verde era stato addomesticato dai poteri forti.

Tuttavia questi stessi poteri oggi tirano un sospiro di sollievo. Per quanto siano riusciti a tagliare le unghie ai "populisti", per quante siano le incognite future e deboli le loro protesi politiche (Pd anzitutto), la morte del governo è per essi una sostanziale vittoria; fa premio alla loro campagna di opposizione e denigrazione sistematica dei "populisti" come inaffidabili, incapaci a governare il Paese. Tanto più essi gongolano per il modo farsesco con cui questo governo "del cambiamento" si è autoaffondato. Faranno quindi salti di gioia anche a Bruxelles, Berlino e Parigi: muore il primo governo che nell'Unione europea non era sorto sotto i loro auspici.

Il "capitano" Matteo Salvini chiede che la parola passi ai cittadini, convinto che presto ci saranno elezioni anticipate che lo incoroneranno nuovo Duce.* Non sappiamo se egli c'è o ci fa. Con il suo atto di forza, infatti, egli passa la palla al Quirinale, a Mattarella, che esperirà ogni possibile tentativo per evitare che si torni alle urne in autunno. Egli tenterà di far nascere un governo "di transizione" o "ponte" che approvi la legge di bilancio — "ce lo chiede l'Europa" — per promettere di votare in primavera. Ma la primavera è lontana e il governo "ponte", fatta la legge di bilancio, potrebbe dare il tempo che serve ai poteri forti per compattarsi e calare il loro asso nella manica. Un asso che potrebbe avere un nome e un cognome: Mario Draghi — se non lui qualcuno di pari spessore. Solo dopo semmai si andrebbe alle urne. Come andrà a finire lo scontro tra l'esercito eurista con capo Draghi e la paccottiglia guidata da Salvini? Sono aperte le scommesse. La crisi sistemica è come un Moloch implacabile che divora chi sale alla ribalta. E' toccato a Grillo, a Renzi, a Di Maio. Salvini ha appeso il suo destino al filo di elezioni immediate. Ha in mano un assegno che potrebbe andare protestato ove non gli fosse permesso di portarlo subito all'incasso.

Il nostro, nel suo delirio di onnipotenza, immagina di essere Napoleone, ma non ne ha né la stoffa né la visione strategica. Ha scelto di staccare la spina ad agosto, scoprirà che ha fatto un clamoroso errore politico. Lo abbiamo detto: per votare a settembre avrebbe dovuto staccare la spina a giugno, massimo a luglio. Quello era il momento giusto anche perché avrebbe potuto giustificare la rottura con motivazioni potenti: il rifiuto di sottostare ai diktat eurocratici, facendo dunque appello al sempre più diffuso sentimento patriottico che monta nel Paese. Non lo ha fatto, anche perché, ammesso che la mossa gli sia balenata in testa, non glielo avrebbe permesso la Lega nordista ed eurista che, per nome e per conto della borghesia padana, se non lo tiene in pugno, condiziona ogni suo passo.


In questo contesto che fine fa la manifestazione del 12 ottobre?

Essa diventa ancora più necessaria. Comunque vada a finire non c'è nulla di buono all'orizzonte per i cittadini. I poteri forti, l'Unione europea, approfitteranno del disastro del governo giallo-verde per imporci nuovamente il cammino dell'austerità, tanto più mentre è in arrivo una recessione internazionale con il rischio fortissimo di una devastante bolla finanziaria. Non ci sono alternative alla mobilitazione dal basso, alla protesta popolare ferma e consapevole, per aiutare il nostro Paese a riconquistare la sua sovranità nazionale.



* Nel discorso di Pescara che ha aperto de facto la crisi di governo, Salvini le ha sparate grosse mostrando a quale livello sia giunto il suo delirio di onnipotenza. Ha chiesto di vincere per "avere pieni poteri". Ha detto che "l'Italia ha bisogno di regole, ordine e disciplina". Quindi ha ringraziato "Dio per non essere nato comunista. O magari di esserlo nato e di aver avuto modo di cambiare"; Quindi giù con l'invocazione della vergine Madonna...



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giovedì 1 agosto 2019

UNA TRAPPOLA PER SALVINI di Piemme

[ giovedì 1 agosto 2019 ]

Mai sottovalutare il nemico, mai sopravvalutare se stessi: una regola basilare nella lotta, anche quella politica.

A me pare che Salvini, causa vertigini del successo indotte dai sondaggi, questa regola l'abbia violata. Da una parte ha sottostimato la forza (e le trame) dei poteri forti euristi — che hanno nel Quirinale il garante dei loro interessi. Dall'altra considerando la sua ascesa come crescente e inarrestabile.

Dopo una mossa giusta, quella di stipulare un accordo di governo con i 5 Stelle, una catena di errori piccoli e grandi, il primo dei quali è stato quello di subire il veto di Mattarella su Paolo Savona a ministro dell'Economia, accettando quindi al suo posto il Cavallo di Tr(o)ia

Nasceva così, il 1 giugno dell'anno scorso, un governo meticcio, incatenato, che difficilmente avrebbe potuto attuare la svolta attesa dalla maggioranza dei cittadini, e non solo perché il principale Ministero restava nelle mani del cosca eurocratica quanto perché veniva sancito, appunto, che il decisore di ultima istanza sulle questioni essenziali, sarebbe stato il Mattarella.

Si tenga conto che davanti al veto di Mattarella Di Maio lanciò la richiesta di impeachment contro il Presidente della Repubblica. Salvini, invece di sostenerla, la condannò, facilitando così il passo indietro del suo alleato. A caldo dicemmo che grazie all'onda di consenso popolare che accompagnò l'accordo M5s-Lega, si poteva e si doveva rovesciare il banco e andare ad elezioni anticipate, affinché il blocco giallo-verde avesse pieno mandato a governare, senza quindi la "quinta colonna" mattarelliana. 

Un errore grave, dal quale necessariamente discenderanno tutti gli altri tra i quali, il più grande di tutti, fu di accettare il compromesso con la commissione Ue in occasione della legge di bilancio 2019.

Si può parlare di mancanza di coraggio di Salvini? Sì, si può e si deve. Che poi questa insipienza sia dovuta al freno di Giorgetti — che non nasconde di stare in permanente contatto don Mattarella, Draghi ecc. — non c'è nemmeno bisogno di dirlo.

Invece di puntare ad un consolidamento dell'asse con i 5 Stelle per fare muro contro i poteri forti, Salvini ha inseguito anzitutto il successo momentaneo proprio, compiendo gesti simbolici su questioni inessenziali (sicurezza, immigrazione), gesti che hanno finito per mettere in difficoltà, proprio l'alleato di governo — spingendolo così nelle mani dei poteri forti. 

Questo modo di procedere — tutta tattica a spese della strategia, prima viene l'avanzata della Lega, in subordine la questione del governo del Paese — ha portato Salvini sempre più in alto nei sondaggi, ha nascosto i dissidi con l'ala nordista ed eurista della Lega, ma ha contribuito ad indebolire il governo.

E siamo all'oggi, con un Salvini nella situazione che i francesi definirebbero cul de sac. Non può più sostenere il governo ma non può nemmeno farlo cadere. Dopo che in giugno Tr(o)ia e Conte hanno accettato le compatibilità eurocratiche — a conferma che finché le si rispetta non c'è speranza per il Paese —, dopo che a luglio i 5 stelle hanno salvato la Von Der Leyen, Salvini aveva il pallino in mano, e poteva far cadere il governo, ha invece temporeggiato facendo passare la cosiddetta "finestra elettorale".

Ora non solo la situazione è pregiudicata, non solo il governo è uno zombi, ora il pallino in mano lui non ce lo ha più.

In queste condizioni pare egli si sia deciso a far fare la finanziaria ad altri, uscendo perciò dal governo. E convinto che i poteri forti gli concederanno di andare alle urne in primavera permettendogli di portare all'incasso il suo grande patrimonio di consensi.

Ma, c'è un ma. Dove sta scritto che Mattarella scioglierà le camere? Non sta scritto da nessuna parte. Tranne Salvini tutti gli altri partiti sono in affanno e le faranno di tutti i colori pur di non andare ad elezioni anticipate e di tenere Salvini al palo. Tanto... ci pensa il "pilota automatico" Ue-Bce a mandare avanti la baracca.

Nessuna ascesa è inarrestabile.



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lunedì 8 luglio 2019

LA COMMEDIA GRECA

[ lunedì 8 luglio 2019 ]

In attesa che i nostri compagni greci ci inviino un giudizio ragionato sull'esito delle elezioni, poche e brevi note.

(1) La storia si ripete, lo ripetiamo. Quando la sinistra al governo applica politiche antipopolari lascia spazio al ritorno al potere della destra.
In questo caso la stessa Nuova Democrazia che è stata la prima ad accettare, prima di Tsipras, le politiche austeritarie ed i diktat dell'Unione europea. Non sembri un paradosso che l'attuale leader di Nuova democrazia abbia promesso aumento di salari e pensioni, la diminuzione delle tasse, investimenti... In poche parole: la fine dell'austerità di Tsipras. Ovviamente non accadrà, ma i cittadini, tanto più se spinti alla disperazione, si aggrappano a qualsiasi (minimamente realistica) speranza.

(2) Tuttavia Tsipras non è schiantato e tiene botta, avendo preso il posto del vecchio PASOK. Dopo tanto casino sembra risorgere in Grecia il tradizionale bipolarismo, con una fetta importante di borghesia che non ha voltato le spalle a Tsipras ed anzi l'ha apertamente sostenuto. Ciò che spiega in gran parte la sua tenuta elettorale.

(3) All'estrema sinistra, tre sono i fatti salienti: (a) il partito comunista greco (KKE) conserva il suo (inutile) 5,5%; (b)  il movimento di Varoufakis (Mera 25), col suo 4% supera in slancio  lo sbarramento ed entra in Parlamento — si tenga conto che al di là del suo altreuropeismo Varoufakis è percepito pubblicamente come un acerrimo nemico di Tsipras; (c) la conferma dell'insignificanza delle liste di sinistra rivoluzionaria (Antarsya 0,7%) e il vero e proprio schianto di Unità Popolare (Lae) di Lafazanis (0,4%). Dopo questo ennesimo tonfo riusciranno i gruppi dell'estrema sinistra ad evitare il suicidio collettivo? A capire che occorre un cambiamento politico profondo?

(4) Sul fianco destro è addirittura sorprendente la catastrofe capitata ai neo-nazisti di Alba Dorata, che  sono piombati dal 7% al 2,93% non riuscendo quindi a superare lo sbarramento. Uno schianto che smentisce tutti gli allarmismi sulla "minaccia fascista" nel paese ellenico e che in parte ha premiato il raggruppamento nazionalista Soluzione Greca, impostasi al pubblico mesi addietro per la sua opposizione patriottica all'accordo imposto da Ue e NATO sulla cosiddetta "Macedonia del Nord". 

Per concludere: con la rinascita del tradizionale bipolarismo tra due partiti borghesi ed entrambi europeisti, quella che era stata chiamata "tragedia greca" è diventata una commedia, per quanto triste essa sia.

A maggior ragione diventa decisivo quanto accadrà qui da noi, nel  "laboratorio Italia".



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venerdì 17 maggio 2019

ELEZIONI IN PIEMONTE: SAPEVATELO di Leonardo Mazzei

[ 17 maggio 2019 ]


Alcune significative indicazioni dalle presenze, dalle assenze e dagli schieramenti in campo alle elezioni regionali del Piemonte
Come noto, il 26 maggio non si voterà solo per il parlamento europeo. Mentre oltre 16 milioni di cittadini voteranno per il rinnovo dei consigli di oltre 3.800 comuni, un test decisamente politico sarà rappresentato pure dalle elezioni regionali in Piemonte. 

Al momento i sondaggi danno in testa il candidato della destra, Alberto Cirio. Ma il suo vantaggio sull'uscente Sergio Chiamparino (Pd + cespugli vari) appare davvero risicato. Più staccato, come sempre nelle regionali, il candidato di M5s Giorgio Bertola, il quale corre anche qui senza alleanza alcuna. Tra i voti di lista è prevista ovviamente l'avanzata della Lega, che sembrerebbe però al di sotto del 30%. Se verrà confermato nelle urne, un risultato non troppo buono in una regione del Nord.

Dati significativi dunque, ma che andranno verificati il 26 maggio. Già adesso è invece possibile dire qualcosa di certo sulle indicazioni che ci vengono dal quadro delle liste presenti (e da quelle assenti) in questa competizione. 

Mentre a destra la figuretta di CasaPound è stata comica assai — prima il roboante annuncio che le firme erano ormai raccolte, poi il tentativo di presentarsi grazie ad un cavillo (ma senza firme), infine la bocciatura della lista da parte della Corte d'Appello, confermata poi sia dal Tar che dal Consiglio di Stato — a sinistra le cose sono andate anche peggio. Una vera cartina al tornasole dello stato penoso dell'intera sinistra sinistrata.

Un primo clamoroso dato è che in Piemonte non vi sarà nessuna lista a sinistra della coalizione che sostiene Chiamparino. Un secondo dato è che l'unica lista No-Tav (nella regione della grande  opposizione al Tav) sarà quella dei Cinque Stelle. Un terzo dato, ma questo è tutto fuorché sorprendente, è che la sola lista della sinistra sinistrata presente correrà nello stesso schieramento del Pd. 

Partiamo da quest'ultimo fatterello. Il nome della lista è geniale, una roba da marketing dei deficienti: Liberi Uguali Verdi. Lo so, ogni persona normale stenterà a crederci, ma il nome è proprio quello. L'acronimo è LUV, un pezzo di un certo interesse per i collezionisti delle continue boiate di questa "sinistra". Dentro questa accozzaglia ci sono ovviamente gli eredi di Vendola, rappresentati da quella Sinistra Italiana che alle europee ha fatto invece blocco con Rifondazione Comunista. Al di là del significato più generale — chi scrive non ha dubbio alcuno sul fatto che costoro finiranno di nuovo in coalizione col Pd se vi saranno elezioni politiche anticipate — il bello è che Sinistra Italiana si professa No-Tav, ma sta in coalizione non solo con il filo-Tav Pd, ma pure con una lista che già nel nome gli obbrobri ha deciso di unirli tutti: +Europa Sì Tav. Insomma, viva la coerenza! 

Detto dei presenti, diamo ora uno sguardo agli assenti. Rifondazione Comunista, Potere al popolo, Pc di Rizzo: nessuna di queste forze sarà sulla scheda piemontese. Certo, le firme da raccogliere (circa 10mila) non erano poche, e questo ha messo subito fuori combattimento Rizzo. Ma le altre due realtà (Prc e Pap) con quale credibilità pensano ancora di potersi presentare come forze nazionali se, dopo aver "bucato" la presenza in quasi tutte le elezioni regionali dell'ultimo anno, saranno assenti pure nel ben più importante Piemonte? 

Diecimila firme sono tante, ma per raccoglierle c'erano comunque 6 mesi, dunque ne sarebbero bastate 1.700 al mese, non proprio un'impresa titanica. Il fatto è che in questi sei mesi sia Prc che Pap erano in tutt'altre faccende affaccendati. Presi prima dalle loro fratture, poi dal fallimento del caravanserraglio che doveva essere guidato da Giggino, Prc e Pap hanno mancato in pieno l'occasione piemontese.

Di tutto ciò si lamenta Sinistra Anticapitalista
«Abbiamo dovuto constatare che non è stato possibile andare avanti in maniera determinata anche perché gli interlocutori incontrati avevano interessi tattici diversi, condizionati da equilibri sia locali che nazionali. Ha pesato anche l’orientamento del PRC di legare il percorso piemontese a quello della costruzione della lista per le elezioni europee, volendo mutuare in Piemonte il simbolo che si sarebbe scelto nazionalmente». 
Insomma, le solite cose della sinistra sinistrata, un campo del quale peraltro anche Sinistra Anticapitalista fa parte a pieno titolo.

Se Pap tace, ed il suo sito piemontese è semplicemente muto sul tema, segno anche di una notevole debolezza in quella regione, che si dice su questa débâcle dalle parti di Rifondazione? L'annuncio della disfatta è in questo dimesso comunicato del comitato regionale del Prc, il cui senso è così riassumibile: non ce l'abbiamo fatta perché non ce l'abbiamo fatta. In realtà, in Piemonte, il Prc ha un duplice problema, visto che alla sua assenza si contrappone invece la presenza a fianco del Pd della lista che include anche Sinistra Italiana, cioè l'alleato con il quale si vanno a chiedere voti "per cambiare l'Europa".

Ma non preoccupiamoci: quella lista per le europee — "la Sinistra" — non ha lo scopo di contrastare il Pd, bensì proprio quello di lavorare alle nuove future alleanze con il partito di Zingaretti. Dunque, alla fine, tutto torna. Ed il caso piemontese è proprio la giusta cartina al tornasole dello stato di comatosa subalternità dell'intera sinistra sinistrata.


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