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domenica 14 aprile 2019

SE LO DICE (ANCHE) LUI.....

[ 14 aprile 2019 ]

Confessiamo di essere rimasti stupiti dal leggere sul Corriere della Sera — ovvero nel massimo organo dell'élite europeista —, una critica, certo politicamente corretta, ma pungente dell'élite medesima. Giovanni Belardelli [nella foto], docente universitario a Perugia, è uno storico che ha scritto diversi volumi in particolare sull'Italia dal risorgimento ad oggi. Raccomandiamo la lettura di "Miti e storia dell'Italia Unita" e "Mazzini", come pure "Il ventennio degli intellettuali".





Non regalare ai sovranisti il concetto di nazione



La contrapposizione con gli europeisti rischia di ignorare che la Ue costituisce uno spazio che è sì di collaborazione ma allo stesso tempo di concorrenza


Possiamo regalare la nazione ai sovranisti? Penso che non dovremmo, ma penso anche che è esattamente questo che sta accadendo in Italia, dove il dibattito politico si è ormai polarizzato intorno alla contrapposizione sovranisti-europeisti. Negli ultimi decenni sono stati in molti a prefigurare una democrazia postnazionale, una cittadinanza cosmopolita, nella convinzione che ogni riferimento alla nazione fosse diventato obsoleto nel quadro della globalizzazione. In realtà la crisi economica mondiale iniziata nel 2007-08 ha mutato sensibilmente le cose, favorendo la diffusione — nei ceti medio-bassi più che nelle élite — di paure, ansie, richieste di protezione rivolte anzitutto al proprio Stato-comunità, alla propria nazione intesa in modo elementare come il «noi» del quale facciamo parte per dati linguistici, culturali, geografici, perfino per abitudini alimentari. Il governo gialloverde ha intercettato questi sentimenti e queste domande, con una divisione dei compiti forse non programmata ma evidente: alla domanda di sicurezza di fronte alla «minaccia» dell’immigrazione ha pensato la Lega, al disagio sociale di chi si sente lasciato ai margini dall’economia globalizzata ha pensato il M5S con il «reddito di cittadinanza». Qui non si tratta di valutare positivamente le misure del governo in questi ambiti, cosa che sarebbe ben difficile, ma di capire come questa politica abbia dato a molti italiani l’impressione che i gialloverdi si occupano di loro, prendono sul serio le loro paure e richieste di aiuto.

Credo sia anche per questo che il governo gode ancora di un’approvazione che è stimata attorno al 60%. Oltre naturalmente al fatto che la principale forza di opposizione, il Pd, sembra da tempo vittima di un blocco culturale, che gli impedisce di capire che esiste anche un sentimento nazionale del tutto conciliabile con la democrazia e con la collaborazione con gli altri popoli a cominciare dai partner europei. E che la nazione dunque svolge una funzione ancora importante su due fronti: da una parte alimenta un senso di solidarietà e vicinanza in società che hanno assicurato un gran numero di diritti e libertà individuali, generando però un rischio di solitudine per cospicue minoranze; dall’altra, rende più facilmente abitabile il mondo, radunando i cittadini secondo criteri di prossimità e comunanza, piuttosto che farli vivere in un ipotetico spazio globale, in una specie di immenso loft planetario. Quello che, secondo alcuni studiosi, sta rinascendo in Europa e negli Stati Uniti è un sentimento collettivo fatto di simboli, gesti quotidiani, usi in comune che sono specificamente nazionali in un senso elementare e senza che spesso ne siamo consapevoli. Le tasse che paghiamo, le pensioni che milioni di italiani e italiane percepiscono non contengono forse un riferimento alla nazione così implicito che neppure vi facciamo più caso? Perfino le nostre previsioni meteorologiche non definiscono un «qui» che coincide con lo Stato nazionale? Sono, questi e molti altri, i segni di un «nazionalismo banale», come lo ha definito l’inglese Michael Billig (il suo libro, con questo titolo, è stato pubblicato in Italia da Rubbettino), che è parte integrante della vita di una società democratica.

Accettare, e anzi enfatizzare, la contrapposizione irriducibile tra sovranisti ed europeisti significa invece ignorare questo sentimento di appartenenza nazionale più immediato e sotterraneo; significa lasciare tutto ciò che riguarda la nazione ai partiti cosiddetti populisti, nella convinzione che del nazionalismo si possa avere solo l’accezione aggressiva, bellicista, razzista che ha prodotto molti degli orrori del ‘900. Ma la contrapposizione tra sovranisti ed europeisti rischia di ignorare anche un dato che è sotto gli occhi di tutti: l’Unione europea costituisce uno spazio che è sì di collaborazione ma al contempo anche di concorrenza tra gli Stati che ne fanno parte, dalle misure di politica economica alle iniziative di politica estera (come dimostra la crisi libica, nella quale Italia e Francia hanno seguito linee divergenti). La posizione gialloverde, anzi soprattutto leghista, nei confronti dell’Europa non va oltre un muscolarismo parolaio e controproducente. Ma ci sarebbe da preoccuparsi se l’alternativa fosse soltanto quella racchiusa in slogan come «più Europa» o «siamo europei», che rischiano di parlare soprattutto alle élite e finiscono col regalare ai cosiddetti sovranisti (o dare l’impressione di regalare, ciò che a fini elettorali è lo stesso) la difesa dell’interesse nazionale.

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mercoledì 10 maggio 2017

STRATEGIA E TATTICA: LE LEZIONI CHE CI VENGONO DALLA FRANCIA di Mimmo Porcaro

[ 10 maggio 2017 ]

Una riflessione, questa di Mimmo Porcaro, ad alta densità politica e teorica. La condividiamo in larghissima parte. Ci auguriamo che serva a far aprire gli occhi a sinistra, come anche a spingere ad un'autocritica gli amici che hanno sostenuto la Le Pen "senza sé e senza ma".

1. Mezzi fascisti e falsi antifascisti

In Francia è andata come doveva andare, secondo i pronostici e soprattutto secondo la logica. La trappola dell’antifascismo in assenza di fascismo è scattata alla perfezione e, anche se non è stata questa la causa principale della vittoria di Macron, è comunque il caso di parlarne, non foss’altro per le castronerie che si sono udite, al proposito, anche da questa parte delle Alpi.
Va ricordato, prima di tutto, che l’europeismo padronale di cui Macron è al momento l’eroe riconosciuto, ha da tempo messo in atto con efficacia una precisa strategia di dissoluzione de iure e de facto delle Costituzioni antifasciste, lavoriste e semi-socialiste che vigevano prima della sublime invenzione della “governance multilivello” dell’Ue. Tale europeismo ha consapevolmente dissolto la sostanza e la forma della democrazia parlamentare sia togliendo potere ai parlamenti nazionali sia traslando questo potere ad organismi non-parlamentari posti scientemente “al riparo dal processo elettorale”. Ha usato ed usa volutamente, come efficace sostituto del terrore politico, la sottooccupazione, la spirale del debito, l’assalto speculativo in risposta alle decisioni politiche sgradite, in una parola il terrore economico
Che gli autori di questo coacervo di politiche antidemocratiche possano essere visti come antagonisti del fascismo è cosa che la dice lunga sulla presunta “cultura” dell’elettore “colto” che più di altri ha fatto proprio l’appello all’Union Sacrée: e non perché, come pure con qualche ragione si dice, questo “antifascismo” non potrà che aprire le porte al fascismo vero, ma piuttosto perché questo “antifascismo” è, oggi, il miglior sostituto funzionale del fascismo stesso, in quanto dissolve l’autonomia delle classi lavoratrici, pone lo stato sotto il comando del grande capitale, sottomette l’intera società ad una discipline ferrea, e lo fa ricorrendo non al manganello ma soprattutto a quella che Marx chiamava la “silenziosa coazione dei rapporti economici”. Che poi tanto silenziosa non è, dato il frastuono mediatico che sempre l’accompagna, ma senz’altro non è l’esercizio di una visibile violenza politica. Ed oltre ad imporre sotto il manto delle esigenze di mercato quegli interessi di classe che il fascismo impose sotto il manto del nazionalismo, l’”antifascismo” europeista (in particolare quello francese) esercita la stessa violenza imperialista del fascismo storico, gabellandola per missione umanitaria ed universalista. E’ proprio il caso di “far fronte” con gente del genere? E contro chi, poi?
E infatti: se questo è l’antifascismo, il fascismo dov’è? Semplicemente non c’è: potrebbe esserci domani o dopo, ma al momento non c’è, e riconoscere questa semplice verità non significa abbassare le armi, ma difendersi con maggior efficacia da un ricatto frontista che, altrimenti, sarebbe sempre vincente, giacché tutto èsempre meglio del fascismo. Il Front National, la Lega e partiti consimili non sono partiti fascisti perché ad essi per ora manca: 1) una milizia attiva, espressione di corpose dinamiche sociali (di tipo, per intenderci, “combattentistico”) strategicamente orientata alla distruzione delle organizzazioni dei lavoratori; 2) un deciso progetto di eversione delle strutture istituzionali e politiche della democrazia; 3) rapporti stretti e preferenziali con gli alti vertici degli apparati di stato in funzione del suddetto progetto e, soprattutto, 4) l’appoggio aperto della frazione dominante del capitale, ossia l’elemento che realmente diede il via libera a Mussolini e ad Hitler. E se domani un tale appoggio dovesse venire servirebbe probabilmente più a smussare il protezionismo dei “fascisti” che a limitare il globalismo dei padroni.
Quanto sopra non vuole però legittimare l’idea, che pure ogni tanto viene sostenuta o accennata, che in fondo Le Pen e Salvini sono “un po’ di sinistra”, o comunque “più di sinistra” dei vari Renzi, D’Alema, Bersani e via elencando. Chi in un modo chi nell’altro, tutti sembriamo dimenticare o non aver mai compreso che cosa è veramente un partito o movimento di destra protezionista e autoritaria (abbia esso tratti pienamente fascisti o meno). Si tratta dell’organismo politico della frazione più debole del capitale, una frazione che ha come unica garanzia di sopravvivenza una più piena condivisione del potere di stato (e, in certi casi, il monopolio di quel potere) e che per raggiungere questo scopo è disposta a far proprie, strumentalmente, tutte le possibili parole d’ordine, anche perché deve assolutamente tentare di conquistare un numero rilevante di elettori popolari inserendo nel proprio programma provvedimenti di protezione del lavoro e della piccola impresa familiare. Per questo ha poco senso “spulciare” il programma di queste forze e soppesarne gli elementi di sinistra e quelli di destra. Bisogna piuttosto chiedersi quali interessi stanno dietro a queste forze (quale ne è la base sociale prima ancora della base di consenso di massa) e contro chiesse si scagliano. Se dietro queste forze c’è il capitale protezionista e se esse si scagliano genericamente contro le banche e gli speculatori, ma poi soprattutto contro una parte dei lavoratori, si tratta puramente e semplicemente di forze di destra. E qui bisogna sottolineare che la xenofobia che accomuna tutti i partiti di cui stiamo parlando non è semplicemente un odioso espediente per raccogliere con poca spesa il massimo consenso possibile. 
Essa viene piuttosto incontro alla specifica esigenza di una parte del capitale, che non è già quella di avere una nazione priva di immigrati (tutti sanno che questo non è possibile), ma piuttosto quella di avere una nazione piena di immigrati clandestini, e quindi più facilmente sfruttabili.
Basterebbe solo questo a farci capire che la giusta indignazione contro i Macron non può annebbiarci la vista al punto di non vedere cosa sia la Le Pen (e Salvini) e di attribuire una qualche valenza latamente costituzionale e di sinistra a chi persegue come scopo primario la dualizzazione rigida del mercato del lavoro. E che in cambio non ci porta nemmeno una coerente posizione anti-euro.

2. Estetica delle alleanze

Insomma, i Macron e le Le Pen, e ciò che essi rappresentano, per noi pari sono: se proprio vogliamo semplificare, sono destra tecnocratica e destra populista. E se proprio dobbiamo stabilire una gerarchia possiamo tranquillamente dire che i primi, per la loro potenza di fuoco e la loro riconosciuta capacità di corrompere tutta la sinistra, sono al momento gli avversari più pericolosi. Il che non autorizza, ovviamente, ad appoggiare automaticamente il “meno peggio”, ma serve a ricordarci che le alleanze tattiche, le convergenze obiettive, le giuste e necessarie manovre che una degna forza politica popolare, se mai ci fosse, dovrebbe porre in essere (in particolare in una situazione di crisi) non possono essere bloccate fin dall’inizio da una serie di “mai con Tizio”, “mai con Caio”. Fare politica – è imbarazzante doverlo ricordare – significa anche fare alleanze oggi col diavolo, domani con l’acquasanta e dopodomani con entrambi. E dopodomani l’altro romperle tutte. Rifiutarsi di ammetterlo non è più, ormai, un atto di primitivismo politico dettato da una nobile posizione etica, giacché il primitivismo sarebbe comunque uno stadio evolutivo, ed una matura posizione etica potrebbe comunque trovare il modo di risolvere la difficile mediazione con la politica. Qui siamo piuttosto di fronte a ben altro: poiché la massima parte della sinistra, sulle questioni essenziali, non è più capace di distinguersi veramente dal discorso dominante, alza la voce sulle questioni secondarie. 

Poiché non è più in grado di articolare una qualche pur pallida politica, riduce il tutto all’autoaffermazione narcisistica, dentro i flussi dei media, di sé e della propria pretesa differenza. La politica è così sostituita da una specie di selfiepermanente e l’estetica (altro che l’etica!) domina su tutto: una miserevole estetica le cui forme sono, appunto, già formattate dall’industria della comunicazione. Per altro, e su questo chiudo, il rifiuto pseudo-etico delle alleanze con questo o con quello è soprattutto un atto ipocrita e imprudente. Ipocrita perché le convergenze spurie sono tutt’altro che rare, e soprattutto in parlamento. Imprudente perché a tutti può capitare di dover inevitabilmente accettare alleanze sgradite. Qualcuno ricorda cosa fece Tsipras per formare il suo primo governo? Qualcuno degli attuali pseudo-antifascisti ebbe qualcosa da eccepire? Giustamente no. Nessuno che abbia un minimo di buonsenso politico rimprovera a Tsipras di essersi alleato con la destra nazionalista per andare al governo. Piuttosto gli va rimproverato di essersi alleato con la destra globalista per restarci.

3. Dopo la destra tocca alla sinistra?

Passiamo al resto, ossia alle cose più importanti. Il risultato della lotta per l’Eliseo segna la fine del primo “ciclo” dell’antieuropeismo di destra. Prima l’Olanda, poi la Francia. In Germania l’Afd è messa in difficoltà dal finto duello tra Schulz e Merkel. In Italia, pur sfruttando al massimo la questione dei migranti e pur usando intelligentemente i social media, Salvini non sembra essere in grado di preparare sorprese, anche a seguito della sconfitta di Marine. A dispetto degli “antifascisti” di cui sopra, la risposta della destra a questa situazione molto probabilmente non sarà quella della radicalizzazione, ma quella della moderazione: in questo senso già giungono esplicite dichiarazioni dall’interno del Front National e si può presumere che la Lega metterà in riga le intemperanze antieuropeiste del suo leader (per la verità ultimamente assai meno accentuate) ed opterà per un accordo con Berlusconi su basi certamente diverse da quelle che precedentemente ipotizzate. Se tutto questo sia un astuto camuffamento o (cosa che mi pare più probabile) il segno della mancanza di autonomia strategica del piccolo capitale rispetto al grande, è cosa che dirà il tempo (che magari ci regalerà qualche riedizione in peius dell’alleanza Renzi-Berlusconi, glorioso compimento di decenni di battaglia frontista contro il fascismo di Mediaset).
Così come il tempo dirà il senso dell’altro fenomeno che si rafforza con le elezioni francesi, ossia la ripresa della sinistra “alternativa”. La cosa non è episodica, e designa ormai una tendenza . Prima di tutto Syriza sulle ceneri del Pasok. Poi Sanders, (l’evento in prospettiva più importante);
Mélenchon: la svolta sovranista della sinistra francese
poi la radicalizzazione di Corbyn e di Podemos, ed ora Mélenchon. Si tratta in buona misura di una tendenza che nasceby default, ossia a causa delle difficoltà dei democratici americani e del volatilizzarsi del partito socialista europeo in tutte o quasi le sue varianti. Se è vero che la rivoluzione mangia i propri figli, è forse altrettanto vero che la controrivoluzione mangia i propri padri: come Renzi ha mangiato D’Alema e Bersani così Macron ha mangiato Hollande e nessuno più sente il bisogno di coprire con una blanda retorica socialista la realtà di un neoliberismo che si racconta ormai facilmente da solo : individualismo, libertà, progresso, meritocrazia, competizione…. Ma siccome un generico spazio socialista esiste pur sempre nello scenario politico europeo, ed anzi viene ampliato dal persistere della crisi, ecco che esso viene fisiologicamente riempito da chi in questi anni si è presentato come “più di sinistra” dei vari PS. Al riguardo non è lecito farsi soverchie illusioni: nonostante le innovazioni organizzative (Syriza, Podemos) e comunicative (ancora Podemos e poi Mélenchon), sulle questioni essenziali le idee non sono affatto sufficientemente chiare, a dispetto dei relativi progressi rappresentati, appunto, da Mélenchon. L’esito delle vicende greche è davanti a tutti, ma nessuno sembra averne tratto fino in fondo la più seria lezione, e ancora ci si illude sulla possibilità di trasformare l’Europa. 
E’ pur vero, però, che la durezza delle contraddizioni in campo non rende così facile ripetere ad infinitum i mantra dell’europeismo critico e che – a differenza del passato – la possibilità di una rottura dell’Unione e dell’euro non è più vista come una iattura o come un peccato mortale. E soprattutto, se una sinistra radicale entrerà davvero in campo come sostituto di quella moderata, se quindi essa sarà costretta finalmente a scelte reali e non meramente ipotetiche, è probabile che si accentuino sia la tendenza Tsipras che la tendenza Mélenchon e che il loro scontro, in presenza di un’iniziativa politica da parte di quella (pochissima) sinistra che ha maggiormente compreso la posta in gioco, potrebbe produrre spostamenti interessanti. Che comunque non basteranno.

4. Centristi, centrali, eccentrici

A spingermi a dire che non basteranno è una riflessione sui motivi che rendono così difficile un’efficace espressione politica del grave malessere sociale europeo. C’entrano, certamente, fattori come la leggera ripresa dell’economia mondiale, la svalutazione dell’euro, la politica della Bce, il basso prezzo del petrolio. C’entra l’ormai leggendario “diportamento scaricabarilistico” (come l’avrebbe chiamato il Gadda) della governance europea, che è nata proprio per scaricare le responsabilità ora sui governi nazionali, ora sulla Commissione, poi sui ministri dell’economia, poi sul Consiglio d’Europa o su quello europeo, in modo che alla fine, “signora mia, qui non si sa più a chi dare la colpa”. Ma tutto ciò non può comunque nascondere le dure e crescenti contraddizioni dell’Unione: la polarizzazione tra economie nazionali e tra classi procede, e se la continua diminuzione dei redditi che ne consegue non si trasforma in protesta organizzata di massa ciò si deve forse non soltanto alla difficoltà, da parte degli elettori, di articolare con precisione la domanda politica, ma anche all’assenza un’offerta politica adeguata.
La grande manifestazione del 8 Maggio a Parigi promossa
dal "Fronte Sociale". Il declino di Pcf e trotskysti, lascia al sindacalismo
movimentista il sopravvento nell'estrema sinistra francese



La domanda politica è inevitabilmente frammentata, proprio come effetto voluto delle politiche liberiste ed europeiste di questi decenni: chi è disposto a qualunque lavoro e chi vuole solo il lavoro creativo, chi vuole più sicurezza e chi più libertà, chi vuole protezione e chi autonomia, chi si vive come consumatore gratificato dal web e chi come produttore che dal web è “uberizzato”. Per ricomporre il mosaico sarebbe necessario un programma capace di rilanciare la piena occupazione e nel contempo la riduzione degli orari di lavoro, di riproporre il welfare e nel contempo di includervi realmente le figure diverse dal lavoratore stabile e garantito, di ricostruire la proprietà pubblica e attraverso questa di stabilire rapporti positivi con le PMI, di sanare la frammentazione del lavoro (fonte di debolezza politica e di inefficienza produttiva) promuovendo direttamente o incentivando la reinternalizzazione delle funzioni sia nell’apparato di stato che nel settore privato. Un programma e una cultura capaci di promuovere le libertà individuali e nel contempo di tutelare le forme comunitarie liberamente scelte, di valorizzare senza paura la funzione unificante dell’appartenenza nazionale (in quanto appartenenza ad una comunità politica fondata sui diritti dei lavoratori) e nel contempo di promuovere rapporti paritari con le altre nazioni. Né la destra estrema né la sinistra radicale sono attualmente in grado di proporre un programma del genere. In entrambi i casi la ristrettezza della base sociale (il piccolo imprenditore da un lato, il lavoratore garantito e/o qualificato dall’altro) ostacola l’espansione verso altre classi. Certo, la sinistra potrebbe avere nel proprio arsenale la memoria politica e le risorse teoriche necessarie per attuare un’operazione del genere, ma anche ammesso che, superando la cultura radical e neoanarchica che la contraddistingue, riuscisse a ricordarsene, si troverebbe di fronte al muro che anni di liberismo da un lato e di libertarismo spiccio dall’altro hanno alzato tra la sinistra (in tutte le sue espressioni)
In Francia risorgono anarchismo ed estremismo di sinistra...
e i cittadini più colpiti dalla crisi. Insomma, né la destra né la sinistra sembrano oggi in grado di riuscire nell’invasione del territorio elettorale altrui, ossia nell’unica operazione che consentirebbe di costruire la larga maggioranza popolare necessaria a gestire il complesso passaggio sociale e geopolitico che incombe su tutti. Se all’epoca del bipolarismo l’essenziale era mantenere i voti propri e conquistare quelli del centro “moderato”, oggi, e soprattutto per noi, l’essenziale è conquistare i voti popolari che gravitano verso il polo opposto. E superare in tal modo l’artificiosa divisione dei lavoratori tra una destra ed una sinistra entrambe capitaliste. Può sembrare una posizione centrista: in realtà è una posizione eccentrica rispetto a tutto ciò che la sinistra ha lambiccato dalla “presa di Mosca” da parte del capitale ad oggi. Ed aspira a divenire una posizione centrale negli equilibri politici delle nazioni europee.

5. Figlie del ’17 (quello vero)

Proprio perché il disagio sociale europeo è assai vasto ed attraversa ceti popolari molto diversi tra loro, una simile operazione può essere condotta in porto soltanto da una forza che, in ogni singola nazione, si richiami essenzialmente, prima che alla sinistra o alla destra, allo spirito delle Costituzioni, al loro carattere lavorista, alla sicurezza sociale che esse hanno negli anni cercato di tutelare. Non si tratta affatto di rinunciare ai valori della sinistra. Anzi, è assolutamente necessario che nascano ovunque una o più forze radicalmente socialiste: ma tali forze devono poi trasformarsi in qualcosa che le trascenda, oppure dar vita ad una coalizione costituzionale che in ogni caso faccia appello non alle pregresse appartenenze ma ai migliori e più diffusi valori civili e sociali. So che molti rivoluzionari storceranno il naso: eppure se c’è un lascito duraturo dell’Ottobre, se l’onda lunga del movimento proletario del novecento ha lasciato un segno reale nella storia europea, questo è proprio l’insieme del pensiero sociale costituzionale e della prassi conseguente. E se è vero che sia le Costituzioni che il welfare che ne è scaturito sono stati usati per cooptare il movimento operaio e le sue organizzazioni nello stato capitalistico, è altrettanto vero che alla prima occasione quello stato ha dismesso il welfare ed ha stracciato le Costituzioni, cosicché oggi un ritorno al passato è possibile soltanto costruendo rapporti sociali nuovi, nuovi anche rispetto a quelli che hanno sostenuto il precedente compromesso “fordista”: ossia rapporti tendenzialmente socialisti. La Costituzione, in quanto formalizzazione dei diritti dei cittadini come lavoratori, è il punto in cui si raggiunge il mix ottimale tra il massimo di radicalismo ed il massimo di consenso possibile, ed una forza costituzionale è l’unica in grado di raccogliere consensi ovunque. In fondo, nonostante la sua polemica contro il presidenzialismo della Costituzione francese, è stato proprio lo spirito nazional-costituzionale a costituire la base del successo di Mélenchon. I comizi di Mélenchon ve li potete vedere sul web: un tripudio di tricolori. Ve la vedete la sinistra radicale italiana a sventolare il tricolore? Io no.

6. La questione concreta



L’ora della sinistra alternativa (forse l’ora dell’inizio di un ciclo che potrebbe concludersi con la sua definitiva scomparsa o con la sua rilegittimazione storica) è scoccata in gran parte d’Europa, ma non in Italia. E non solo per i paurosi limiti della nostra gauche. Il fatto è che qui da noi lo spazio della forza
costituzionale che potrebbe convogliare al meglio le residue energie della gauche è momentaneamente (ma saldamente) presidiato da una forza politica che, però, non sa o non può svolgere veramente questo ruolo: il M5S. Il M5S sta al posto giusto, ma non nel modo giusto. Questa collocazione ne fa il punto archimedico della situazione politica italiana, molto più di quanto non lo siano il PD, il centrodestra la Lega: il futuro di questo paese è in mano al M5S oppure a chi lo sconfigge, a chi lo fa evolvere, a chi ne raccoglie, eventualmente, gli aspetti e le forze migliori. Chiunque, partendo da una posizione di sinistra classista, cerchi di costruire un credibile progetto di rottura dell’Ue e di nuova cooperazione internazionale in funzione di un diverso modello economico-sociale, non può assolutamente evitare di chiarire la propria posizione rispetto al M5S ed alla prossima (quanto prossima?) scadenza elettorale. Scadenza che, mentre si addensano conflitti sociali che per fortuna qualcuno organizza e tenta di indirizzare nel verso giusto (Alitalia, ma non solo), rappresenterà in ogni caso l’epicentro dello scontro politico italiano. Ci sarà modo di riparlarne.
* Fonte: Socialismo 2017

lunedì 3 aprile 2017

LA DESTRA NO-EURO E IL SODALIZIO SALVINI-MELONI di Piemme

[ 3 aprile ]

Il 22 marzo scorso firmavo un articolo dal titolo LA FINE DI MATTEO SALVINI nel quale scrivevo:
«Non abbiamo mai fatto mistero che a noi Matteo Salvini non piace. Va a suo merito che sia contro l'euro (a favore dell'Unione però, come M5S e certi altri amici di sinistra, e senza dire che occorre uscire dal neoliberismo), ma se andate sui siti dell'universo salviniano, compresa al sua pagina Facebook, è un autentica valanga di pregiudizi razzisti e sicuritari. La stragrande maggioranza dei messaggi è contro immigrati stupratori, zingari scassinatori, quindi inni a favore di chi ha sparato addosso ai delinquenti facendosi giustizia da sé. Per dire che NON è il "no euro" che ci dice quale sia la visione del mondo e la natura della Lega salviniana ma tutto il resto, ovvero un miscuglio di xenofobia e neoliberismo —del resto è Armando Siri il vero suggeritore di Salvini. E dato che parliamo di Armando Siri si sappia che lui è un acceso sostenitore dell'alleanza tra la Lega salviniana con Berlusconi e Forza Italia».
Un articolo nel quale ritenevo altamente probabile che, alla fin fine, avremmo avuto un listone elettorale unico del centro-destra, con la Lega Nord (Salvini compreso) al suo interno. 

Ieri però il quotidiano LIBERO se n'è uscito con una notizia: Salvini e Meloni starebbero 
«... pensando a una fusione tra i due partiti in vista delle elezioni politiche. Ci sarebbe già una bozza di simbolo, che contiene entrambi i cognomi e un richiamo al tricolore. Secondo un retroscena svelato dal Giornale verrebbero eliminati i simboli di Fdi e Lega per il voto nazionale puntando così al Nord su Salvini e al Sud su Meloni».
La cosa, mi hanno segnalato già ieri sera un paio di amici, mi darebbe "clamorosamente torto". 

Mi viene da dire, come San Tommaso, che non ci credo finché non lo vedo. E' presto, cari amici, per stabilire se mi sono sbagliato ovvero se, come sostiene LIBERO, Salvini e Meloni fanno sul serio oppure se bluffano per alzare il prezzo dell'alleanza elettorale con i berluscones e frattaglie sparse.

E comunque, ammesso che vada a finire come prevede la soffiata pubblicata dal LIBERO —che di bufale ne ha raccontate tante e che non nasconde la sua simpatia per l'operazione politica che sponsorizza— l'articolo NON ci dice la Lega Nord sarebbe il perno di una lista no-euro assieme a Fratelli d'Italia, bensì Noi con Salvini (cioè il partito ombra che questi si è costituito). Una differenza non da poco. Significa che Salvini per fare l'eventuale mossa ne dovrebbe fare prima un'altra, molto dolorosa, cioè spaccare la Lega Nord (nella quale non ha infatti la maggioranza e di cui non può disporre del simbolo —proprietà, com'è noto, di Silvio Berlusconi).

E' possibile che Salvini si decida a scindere? Sì, è possibile, ma egli sa bene che dovrebbe non solo, ed a passo di corsa, metter su e strutturare il suo partito (per adesso Noi con Salvini non è che un movimento ombra tra le pieghe del padanismo) ed una macchina elettorale. Egli sa meglio di chiunque altro che se rompe la Lega dovrà pagare un prezzo salato sul piano a cui più tiene: quello elettorale.

Per cui salta agli occhi quanto fallace sia la previsione di LIBERO:
«Tradotto in seggi parlamentari, il piano di Meloni e Salvini punta alla scelta diretta di 100 deputati. Del resto i sondaggi danno la Lega tra il 12 e il 14 per cento e Fratelli d'Italia tra il 4 e 5 per cento: una lista Meloni-Salvini farebbe sbarcare in Parlamento una pattuglia di 115/120 deputati».
Se facesse il killer della Lega Nord, se affondasse il mito identitario padanista rimpiazzandolo opposto nazionalista italiano, sarà difficile che il suo partito personale pigli quello che ADESSO i sondaggi gli attribuiscono, ovvero il 12/14 per cento.
Facciamo la metà?

A ben vedere infine, ove Salvini rompesse con la Lega Nord per rompere con Berlusconi, non avrei avuto "clamorosamente torto" ma ragione a metà. 


sabato 28 gennaio 2017

ITALIA SOVRANA? ITALIA PUTTANA! di Piemme

[ 28 gennaio ]

25 mila, saranno stati al massimo 5 mila. Parliamo dell'odierna manifestazione promossa da Fratelli d'Italia, ospiti di primo piano, Matteo Salvini e alcuni esponenti di spicco di Forza Italia, come Toti, Brunetta, Tremonti e la Santanchè.
In effetti, fossero stati 25 mila, col cazzo che sarebbero stati contenuti in P.zza San Silvestro, non bastava Piazza del Popolo, almeno cinque volte più grande. I numeri hanno la loro importanza, a noi pare, ed essi dimostrano che malgrado il vento della Brexit, della Le Pen e di Trump, non c'è alcuna valanga delle cosiddette "destre sovraniste" —tanto più tenendo conto che la destra ex-missina considera Roma una sua roccaforte. Senza i voti nordisti della Lega Nord, questa "destra sovranista", che è stata governista per vent'anni, agevolando la svendita della sovranità italiana, è ben poca cosa.

Resta quindi un fatto come minimo pittoresco che proprio l'asse portante di questa destra, che inneggia a Trump, sia incardinata ad un movimento che al primo punto del suo statuto rivendica la secessione della "Padania" dall'Italia.

E' vero che Brunetta è stato fischiato (per nome del Cavaliere ha raccontato la barzelletta che prima di andare alle urne occorre "armonizzare i meccanismi elettorali di Camera e Senato), ma se lui è stato invitato è perché, come hanno ripetuto sia la Meloni che Salvini, il loro auspicio è quello di primarie del centro-destra, ovvero di riunire il centro destra, quindi nuovamente assieme a Berlusconi —visto che senza il suo sostegno di quattrini e di voti lo strombazzato 40% Lorsignori se lo sognano.

Che il centro-destra ritorni unito, tuttavia, è altamente improbabile. E allora perché sia la Meloni che Salvini ripetono il loro appello unitario a Berlusconi? Certo è tattica, ma questa tattica rivela quale sia la loro area di pesca: i berluscones; e quale sia la loro anima profonda: un reazionarismo su tutta la linea. Altro che "Italia sovrana", Italia puttana. 

Certo essi debbono camuffarsi, e per strappare consensi usano linguaggi, slogan e pratiche apertamente populisti. Un populismo identitario smaccatamente di destra. Si dice che le categorie di destra e sinistra non esistono più, che non sono più valide (e lo dicono spesso pure Meloni e Salvini), ma proprio la sfilata di oggi, per simboli e contenuti, dimostra che la destra esiste, eccome. Ovvero, la sinistra sistemica fa sì schifo, ma tirerà a campare, ahinoi, ancora a lungo finché esisterà questa destra qui. Una destra che parla di "sovranità" (dopo averla svenduta), ma che declina questa "sovranità" in modo sciovinista, becero, razzista e reazionario.

Non sottovalutiamo affatto questo populismo di destra. Se non sorgerà un polo politico populista di sinistra, ovvero sovranista e patriottico, costituzionale e democratico, prima o poi la destra sfonderà. 

Siamo ancora in tempo. Che l'Italia riconquisti la sua sovranità nazionale è inevitabile. Chi ci sarà alla testa di questa liberazione? E cosa ci faremo con la sovranità riottenuta?
Questo è il punto.

venerdì 5 agosto 2016

DOVE VA LA LEGA NORD DI MATTEO SALVINI? di Piemme

[ 5 agosto ]

Le agenzie battono la notizia che Matteo Salvini incontrerà presto Silvio Berlusconi. Facile immaginare l'oggetto dell'incontro. Avremo un'altra puntata della stucchevole telenovela della "ricostruzione del centro-destra", questa volta magari con Stefano Parisi leader il quale, pare, ha ricevuto l'incoronazione del Cavaliere.
Come andrà a finire?

In un nulla di fatto. Se ci sarà una nuova alleanza tra Forza Italia e Lega Nord non lo sapremo fino a quando non sarà definitivamente chiaro con quale legge elettorale si andrà a votare. In altre parole non lo sapremo prima del referendum costituzionale, in base ai cui risultati conosceremo le sorti dell'Italicum e di Matteo Renzi.

Salvini rimanda il momento decisivo della scelta, ma prima o poi, trovandosi al bivio, dovrà sciogliere il nodo gordiano: ritornare all'ovile berlusconiano o proseguire sulla strada di un polo indipendente di tipo lepenista con Fratelli d'Italia, quindi concorrente a quello berlusconiano. Beh, per la verità da quell'ovile la Lega salviniana non è mai uscita, se si vede ai governi di regioni com Lombardia, Liguria e veneto.

Non è questione di lana caprina, bensì di scelta strategica. Di mezzo assieme alla sua coerenza e credibilità politica, c'è la scelta di campo anti-euro. Non ci stupiremmo, ove l'Italicum venisse seppellito e la nuova legge elettorale premiasse le coalizioni, che Salvini se ne esca fuori dicendo "Scusate scherzavo, per battere il Pd occorre una nuova alleanza con Berlusconi". Se poi, invece, terrà la sua posizione "lepenista" non escludiamo affatto che Salvini "esca fuori", ma dalla Lega Nord stessa, tornata in mano ai vecchi notabili come Bossi e Maroni. E' da vedere, infatti, se Salvini vincerà con sicurezza il prossimo congresso leghista.


Nel frattempo tuttavia Salvini pare tenere la barra dritta: chiede l'uscita dall'euro, urla contro gli immigrati e... insiste per la Flat Tax, ovvero il meccanismo tributario che è il simbolo stesso del neoliberismo. Si tratta infatti di un sistema di tassazione che prevede un'aliquota unica per tutti i redditi, familiari o d'impresa. Tipo: tu guadagni 100 milioni, ti tasso per il 15%, il tuo reddito è di mille euro, anche tu darai al fisco il 15%. Non a caso la Flat Tax fu proposta per primo, sin dagli anni '50 dal Papa dei neoliberisti Milton Friedman e più recentemente da economisti reaganiani come Alvin Rabushka — quest'ultimo tra gli ospiti d'onore dell'ultimo congresso della Lega del dicembre 2014.

Come ognuno capisce (ma ci sono sempre quelli che fanno finta di non capire), e sorvoliamo sulla sostenibilità di un simile sistema fiscale, si tratta di una vera e propria manna per i ricchi. Una manna che contraddice apertamente la Costituzione italiana che prescrive che chi più guadagna più deve dare alla collettività. L'Art. 53 infatti recita: 
«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.Ed aggiunge: Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Non si tratta di un quisquilia, dietro c'è una concezione della società, nonché dello Stato, chiamato a svolgere una funzione decisiva di redistribuzione della ricchezza per evitare troppo forti disparità sociali. Che è appunto quella funzione cardinale che tutti i liberisti vogliono demolire.  
Salvini e Armando Siri

Non uno qualsiasi, bensì il principale consigliere economico di Salvini, che non è, come si pensa Borghi Aquilini, ma il liberista Armando Siri non perde occasione per segnalare che la Flat Tax oltre che la panacea ai mali dell'Italia (non quindi l'uscita dalla moneta unica, si badi) è la bandiera della Lega salviniana ed anche la base dell'accordo auspicato con i berlusconiani. Ed in effetti è proprio così, visto che Berlusconi non ha mai fatto mistero che è d'accordo con la "tassa piatta", ma con l'aliquota al 20%.


Che la lega Nord sia nel fronte per il NO al prossimo referendum costituzionale, l'abbiamo già detto, è un fatto positivo. Dio ce ne scampi se un eventuale governo a trazione leghista dovesse mettere mano alla Costituzione per stravolgere l'Art. 53. Sarebbe da ricordare ai leghisti che una difesa sincera della Costituzione implica la difesa del modello sociale in essa scolpito nella prima parte. E non a caso i costituenti hanno incastonato l'Art. 53 proprio nella prima parte.

Il pensiero corre verso alcuni nostri amici, combattenti sinceri per la sovranità popolare e paladini della Costituzione, che tendono a sottovalutare i segnali politici inquietanti che giungono dalla Lega. Non parliamo solo dell'isteria xenofoba, ma, appunto della Flat Tax. Questi nostri amici si scagliano, e giustamente, contro le manomissioni renziane della Costituzione, ma sorvolano sulle proposte leghiste.

Il da noi stimato Marco Mori ad esempio scrive: "Il programma di salvezza nazionale è semplice, basta studiare la Costituzione e dentro ci sono le risposte a tutto".

Questa frase lapidaria è tuttavia preceduta da un'altra: "La lega Nord ha ottime posizione sull'euro ed in più credo proprio abbiano capito il problema liberista".

Singolare strabismo. La Lega ha capito il problema liberista? Oh sì, talmente bene che non ne fa un problema, bensì un'opzione e, come abbiamo visto, con la proposta programmatica della Flat Tax, una  ... visione del mondo.


Consigliamo la lettura di un nostro vecchio articolo:
IL NAZIONAL-LIBERISMO DELLA LEGA di Lorenzo Dorato










domenica 27 settembre 2015

ALLA FINE ANDRANNO ASSIEME di Piemme

[ 27 settembre ]

Abbiamo scritto più volte della Lega salvianiana, spesso in polemica con certi sovranisti all'amatriciana (folgorati sulla Via di Salvini che ha fatto del no-euro il cavallo di battaglia alle elezioni europee della primavera del 2014). 

Per questi, Salvini, malgrado la sua alleanza coi fascisti, nonostante tutti i crimini politici della Lega Nord, malgrado la flat tax ultra-liberista, doveva essere il "nostro principale alleato". E noi a dirgli: "Guardate che il no-euro di Salvini è ingannevole! Guardate che rischiate di ritrovarvi in compagnia dei neo-fascisti e di Berlusconi! ".

Come volevasi dimostrare. 
Ha detto ieri Berlusconi alla kermesse di Fratelli d'Italia:
«"Ha portato la Lega dal 4 al 14 per cento: chapeau. Chapeau al modo in cui sa parlare alla pancia della gente". Salvini è "molto utile al centrodestra". Così Silvio Berlusconi». [Il Sole 24 Ore del 27 settembre]
Sì, Salvini è infatti molto utile al centro-destra, un elemento prezioso, indispensabile per la riorganizzazione delle destre in vista delle prossime elezioni: guadagna consensi con una demagogia anti-sistema ed anti-euro, per poi ricondurre il tutto all'ovile, nell'alveo sistemico, nuovamente in alleanza col puttaniere di Arcore. 

Siamo prevenuti? La nostra denuncia è preconcetta? 
Rinfreschiamo la memoria ai sovranisti all'amatriciana. Diceva Salvini un mese fa:
«Se non si inventano il quarto esecutivo non eletto, l'anno prossimo si vota. Il Pd, dopo la caduta del governo, sarà in macerie. E noi non possiamo fare più errori: serve l'unità del centrodestra». Dopo settimane, se non mesi, in cui il leader del Carroccio si è guardato bene dal dare il suo placet ufficiale a una rinnovata intesa con Berlusconi, Matteo Salvini , in un'intervista su “Panorama” in edicola domani rilancia il ticket con il Cavaliere, per «mandare a casa Renzi». E rilancia l’alleanza tra Lega e Forza Italia, che «si fonda su basi solide, visto che i contenuti del programma sono già concordati, mancano da definire solo i punti relativi all'Europa, sui quali dobbiamo ancora accordarci». Così come fa parte della strategia di ricucitura con Berlusconi il “congelamento” delle primarie per le prossime amministrative». [Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2015]

lunedì 9 febbraio 2015

METTI UNA SERA A CENA... la Lega di Salvini di nuovo con Berlusconi

[ 9 febbraio ]

Non sta fermo un attimo, il Matteo Salvini. 
Dopo il flop di Palermo è volato alla corte di Arcore, per incontrare Silvio Berlusconi. Si è discusso anche delle alleanze in vista delle prossime elezioni regionali. Si voterà (pare a maggio) in Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Umbria e Puglia.
Saltato il "Patto del Nazzareno", pare che l'accordo tra Forza Italia e Lega Nord per andare appaiati sia cosa fatta.

Noi avevamo pochi dubbi che, gira che ti rigira, il vecchio e marcio connubio sarebbe risorto. Avevamo messo in guardia certi "sovranisti" che, presisi la cotta per Salvini in virtù del suo "Basta Euro", si sono messi al suo servizio. Alcuni ci hanno già lasciato le penne, gli altri seguiranno lo stesso destino.

Le ragioni di questo riavvicinamento sono diverse, e di certo non sono nobili. 
Berlusconi ha bisogno di Salvini per non essere spazzato via da Renzi, ma Salvini non ha meno bisogno dell'ex-Cavaliere.

Forse non tutti sanno che quando fallì Credieuronord, la banca della Lega, fu Berlusconi che tappò i buchi facendo da intermediario con Gianpiero Fiorani, che intervenne attraverso la sua banca, la Popolare di Lodi, che stava diventando una delle più grandi in Italia attraverso
traffici..."discutibili", e sponde con l'allora governatore della Banca d'Italia Fazio. Vicenda poi venuta a galla con lo scandalo dei furbetti dei quartierino. [http://it.wikipedia.org/wiki/Credieuronord]

I legaioli accettarono per non finire tutti al gabbio, ed era chiaro già dal 2000 che sarebbe andata a finire così se nessuno avesse iniettato capitali nella loro banca che permettessero di chiuderla rapidamente senza che finissero tutti al banco degli imputati per bancarotta fraudolenta.
Ma intanto che ci metteva i soldi per tappare i buchi della banca della lega in bancarotta, il cavaliere si comprava anche la fedeltà politica della lega rilevando la proprietà del logo. [http://www.bergamonews.it/politica/simbolo-della-lega-berlusconi-padrone-ecco-laccordo-segreto-159087]

Salvini aspirera a comandare nel centrodestra, ma ha due problemi: 

1) dopo il precedente scandalo finanziario, quello degli smeraldi nascosti in Tanzania e di Belsito che ha saccheggiato le casse del partito, nella nega come struttura politica non è rimasto NIENTE.
La Lega era un partito vero, oggi è solo Salvini ed il suo personale entourage, più il residuale entourage di Maroni e quello di Tosi e della Liga Veneta  —Tosi gioca un'altra partita, già nota nel 2013: http://www.lettera43.it/politica/tosi-e-il-programma-per-il-suo-centrodestra_43675110697.htm. Notare che erano già segnalati anche gli agganci con Passera, anche se quest'ultimo ha "fatto il partito" solo 2 settimane fa. 

2) se non cambia nome e logo al partito difficilmente potrà diventare un movimento nazionale, ma soprattutto non ha le mani politicamente libere.
Perchè la destra ha bisogno di seppellire la carogna del politicamente morto Berlusconi.
Ma è Berlusconi a decidere il posizionamento politico della Lega Nord: in fondo è direttamente lui il proprietario direttamente del logo.

giovedì 4 dicembre 2014

PSEUDO-PATRIOTI, LADRI E MEZZE TACCHE

4 dicembre

Nella foto accanto i tre leader delle destre no-euro. Tre paraculi. Dopo avere assunto responsabilità di prima grandezza per aver portato allo sfascio il Paese, dopo aver accettato ogni sorta di porcate in nome dell'Europa, dopo aver fatto parte per vent'anni della corte dei miracoli di Silvio Berlusconi; hanno pensato bene, sentita l'aria, di sventolare la bandiera della sovranità monetaria.
Meglio tardi che mai, ci si dirà. E' un fatto certamente positivo che il fianco destro del fronte eurista si sia diviso. Meglio che il nemico sia diviso piuttosto che compatto, che si siano aperte in quella zona delle crepe.

Simili risposizionamenti, del resto, sono in atto anche sul fianco sinistra del fronte eurista. 

Non mettiamo in discussione che questi ripensamenti abbiano effetti salutari. E nemmeno la sincerità di questi ripensamenti. Quel che mettiamo in discussione è la credibilità di certi personaggi, la loro affidabilità politica.

I lettori converranno che non si giudica mai un esponente politico da quel che dice di se stesso. da che si giudica allora? Se il passato ha la sua importanza, ce l'ha non di meno la visione del mondo di questo o quel leader. Poi è decisivo vedere, accanto al No all'euro, quale sia la politica economica che propone. Infine, come si suol dire: "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei". 

Sia la Lega Nord che Fratelli d'Italia, come si è visto nelle recenti elezioni in Emilia-Romagna, hanno ribadito il loro patto indecente con Silvio Berlusconi e Forza Italia. La qual cosa ci dice che Salvini, Alemanno e Meloni sono solo dei furbastri, che cavalcano opportunisticamente il crescente disamore degli italiani per la moneta unica e l'Unione europea, con lo scopo primario di restare a galla e di preservare... le loro ditte.

Già questa loro scelta di campo con il milionario puttaniere di Arcore spiega perché sarebbe folle affidare il destino del Paese, tanto più nel caso del terremoto economico e geopolitico conseguente alla rottura dell'eurozona, a codesti paraculi e mezze tacche.

Di che pasta siano fatti questi signori lo confermano le ultime vicende.

Il Matteo Salvini che si fa immortalare "desnudo" dal settimanale di gossip OGGI. Un'autentica e colossale buffonata. Una mossa da vero statista, un gesto che la dice lunga sul personaggio. Ve la immaginate la Le Pen che fa una simile puttanata?

Quel che è capitato a Gianni Alemanno è invece su un altro piano. Indagato per "associazione mafiosa" nel contesto di un'inchiesta che fa raccaponare la pelle e che mostra quanto putrido sia il sistema politico e marci i suoi partiti (Pd e del Pdl anzitutto).

E che certi anti-euro che alle recenti elezioni europee hanno votato per la Lega e Fratelli d'Italia non ci vengano a dire che..."corruzione e casta non sono un problema".

Lo sono e come! 

Qui non è solo questione che dall'euro si può uscire con politiche di destra o politiche di sinistra.

Coloro che ci dicono che "l'importante è uscire punto e basta", e che in nome di questo mantra hanno sostenuto e han detto che sosterranno partiti guidati da simili leader, ci devono spiegare se la pensano ancora alla stessa maniera, se cioè pensano che dobbiamo mettere il futuro del Paese nelle mani di pseudo-patrioti, che si sono mostrati anche cialtroni, mezze tacche e ladri.



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