[ 13 settembre ]
Qui di seguito l'intervento che Stefano Fassina [nella foto] ha svolto all'incontro svoltosi ieri a Parigi (di cui davamo conto l'11 settembre) ed al quale hanno partecipato Oskar Lafontaine, Jean-Luc Mélenchon e Yanis Varoufakis.
Qui di seguito l'intervento che Stefano Fassina [nella foto] ha svolto all'incontro svoltosi ieri a Parigi (di cui davamo conto l'11 settembre) ed al quale hanno partecipato Oskar Lafontaine, Jean-Luc Mélenchon e Yanis Varoufakis.
Un intervento molto significativo poiché Fassina, oltre a ribadire che la moneta unica ha fallito, conferma la sua ferma condanna della capitolazione di Tsipras —su quali basi egli si è imbarcato nell'impresa di dare vita qui da noi ad un nuovo partito arcobalenico con i sinistrati altreuropeisti che difendono sia l'euro che la capitolazione di Tsipras... questo chiedetelo a lui.
Intervento doppiamente significativo poiché Fassina mette finalmente in chiaro la sua posizione strategica, il suo "Piano B". Eccolo qua in due punti: (1) dissoluzione concordata della moneta unica —no a rotture unilaterali dunque; (2) salvare l'Unione europea per evitare "rischi di rotture nazionalistiche e xenofobe".
Condannata la gabbia dell'euro, si resta prigionieri del recinto ideologico europeista e antisovranitario, proprio quel recinto in cui la sinistra sta marcendo.
Cosa abbiamo da dire, nello specifico, di questo "Piano B", della "dissoluzione concordata"?
Questo "piano", come del resto andiamo segnalando da un paio d'anni, ha tre difetti, uno peggiore dell'altro: (1) una separazione armoniosa e consensuale tra 19 stati tanto diversi tra loro è velleitario —anche solo il sentore di uno smontamento dell'eurozona scatenerebbe un disordinato fuggi fuggi, oguno nel tentativo di limitare i danni, e causerebbe anche la fine dell'Unione; (2) la "dissoluzione concordata", ove riuscisse a funzionare, ciò sarebbe il segno che il processo avverrebbe sotto l'egida e la ferrea guida dell'eurocrazia medesima, quindi per nome e per conto della potenza egemone, la Germania e, sullo sfondo degli Stati Uniti —in breve: questo "Piano B" è proprio quello di chi oggi comanda; (3) l'idea di un'Unione armoniosa dopo l'espianto della moneta unica è una pia illusione, la tendenza oggettiva dominante è infatti quella alla rinazionalizzazione degli assetti europei, ovvero ogni stato, a seconda del suo rango, che sia dominante o "periferico", tenderà a proteggersi dal marasma, mettendo dunque in atto politiche pro domo sua o di tipo protezionistico.
Ora l'intervento di Fassina.
«La bruciante vicenda greca ha un significato politico generale. La mia sensazione è che siamo qui oggi, a causa della capitolazione del governo greco nella drammatica notte dello scorso 12 luglio a Bruxelles. Quella notte, secondo la mia lettura degli eventi, ha segnato un punto di svolta. Si è trattato di una logica conseguenza: il taboo dell’irreversibilità dell’euro era stato apertamente violato. Il governo tedesco aveva messo sul tavolo la proposta di Grexit, leggermente ammorbidita dall’aggettivo “temporanea”. Non si è trattato solo di una manovra tattica, ma di un’opzione strategica per affrontare le profonde lacune e le contraddizioni della “costituzione” dell’Eurozona e dell’agenda politica: alcuni giorni dopo, la possibilità di abbandonare la moneta unica è stata presentata in un report del Comitato degli Esperti Economici, il più importante comitato consultivo del governo tedesco, come possibilità di risolvere le contraddizioni presenti nei Trattati: l’impossibilità di un taglio del debito.
Che lezione possiamo trarre dalla vicenda greca? Alexis Tsipras, Syriza e il popolo greco hanno l’innegabile merito storico di aver strappato il velo della retorica europeista e dell’obiettività tecnica finalizzata a mascherare le dinamiche in eurozona. Ora è possibile vedere la politica di potere ed il conflitto sociale tra l’aristocrazia finanziaria e le classi medie: la Germania, incapace di essere egemone, domina l’euro zona e persegue un ordine economico funzionale al proprio interesse nazionale e a quello della grande finanza.
Ci sono due punti da affrontare qui. Il primo: il mercantilismo neo-liberista dettato da Berlino e ivi incentrato è insostenibile. La svalutazione del lavoro in alternativa alla svalutazione della valuta nazionale, come via principale per aggiustamenti “reali”, comporta una cronica insufficienza di domanda aggregata, disoccupazione persistentemente elevata, deflazione e esplosione dei debiti pubblici. In un tale contesto, al di là dei confini dello stato-nazione dominante, l’euro porta ad uno svuotamento della democrazia, trasformando la politica in amministrazione per conto terzi e spettacolo.
Questo è il punto. Non è un punto economico ma politico. Il significato di democrazia nel XXI secolo. Esiste un conflitto sempre più evidente tra il rispetto dei Trattati e delle regole fiscali da una parte e i principi di solidarietà e democrazia iscritti nelle nostre costituzioni nazionali dall’altra. Fatemi essere estremamente chiaro su questo: la moneta unica di per se stessa non è la causa della svalutazione della democrazia ma ne è sicuramente un fattore peggiorativo. L’euro, secondo l’ingenuo piano progressista, avrebbe dovuto rappresentare una protezione contro la svalutazione del lavoro e della democrazia, generata dalla globalizzazione economica SREGOLATA. In realtà l’euro è stato realizzato come un mezzo per aiutare la grande impresa ad indebolire i diritti dei lavoratori e a debilitare le istituzioni dello stato sociale. Dobbiamo ammetterlo: l’euro è stato un errore.
Questa rotta è reversibile? Questo è il secondo punto. È difficile rispondere “si”. Sfortunatamente, le necessarie correzioni per rendere l’euro sostenibile appaiono non percorribili per ragioni culturali, storiche e politiche. La strada per completare l’unione politica al fine di “democratizzare” la moneta comune richiede molto più di un’operazione di ingegneria istituzionale calata dall’alto. Richiede un livello di solidarietà economica tra i popoli europei che al momento manca. Le opinioni pubbliche nazionali hanno punti di vista divergenti e posizioni conflittuali, rese ancora più distanti dall’agenda dominante in eurozona dopo il 2008.
Inoltre, dati gli attuali squilibri di potere tra Stati membri, tra debitori e creditori, il proseguire lungo la rotta di una maggiore integrazione politica è molto probabile che si risolverà in un consolidamento delle attuali asimmetrie.
I primi due punti dell’analisi portano ad una verità sconfortante: dobbiamo essere consapevoli che l’euro è stato un errore di prospettiva politica. Dobbiamo ammettere che nella gabbia neo-liberista dell’euro, la sinistra perde la propria funzione storica ed è morta come forza impegnata a dare dignità e rilevanza politica al lavoro e ad perseguire l’affermazione della cittadinanza sociale quale veicolo di democrazia effettiva. L’ irrilevanza o la connivenza dei partiti della famiglia socialista europea è manifesta. Senza il nostro Piano B, continuare ad invocare, come si sta facendo, gli “Stati Uniti d’Europa” o una “riscrittura pro-lavoro” dei Trattati è un esercizio virtuale che porta a una continua perdita di credibilità politica.
Cosa dovrebbe essere fatto? Siamo ad un crocevia della storia. Da una parte, il sentiero della continuità legata all’euro, che è accettazione della fine della democrazia delle classi medie e dello stato sociale: un equilibrio precario di sotto-occupazione e rabbia sociale, minacciato da alti rischi di rotture nazionalistiche e xenofobe. Dall’altra, una decisione condivisa, senza atti unilaterali, del nostro Piano B per superare la moneta unica ed il connesso quadro istituzionale, e soprattutto per aggiustare la accountability democratica della politica monetaria: una soluzione reciprocamente benefica, nonostante il percorso difficile ed incerto e il rischio di conseguenze pesanti almeno nel periodo iniziale.
La strada della continuità è l’opzione esplicita delle “grand coalition” a trazione conservatrice e esecutivi “socialisti” (in Francia ed Italia per esempio). La strada della discontinuità può essere l’unica per tentare di salvare l’unione europea, rivitalizzare le democrazie delle classi medie e invertire il trend della svalutazione del lavoro. Per rendere il Piano B un’opzione possibile ed un effettivo asset negoziale, dobbiamo costruire un’ampia alleanza delle forze progressiste in euro zona e in UE. Il tempo a disposizione è sempre di meno».
* Fonte: Stefano Fassina
4 commenti:
Uno dei motivi comprensibili (escludo quì quelli disonesti, di convenienza, di legami di interessi ecc. che sono senz'altro rilevanti) per i quali la sinistra (tutta, fino a molti eurocritici) è riluttante all' uscita da Euro e Unione Europea è che non comprende come un sistema di monete nazionali indipendenti possa essere un sistema collaborativo. In realtà, come sappiamo, è il contrario: un sistema di valuta unica con libera circoilazione di capitali è il sistema più anticooperativo che esista: in tale sistema l'unico elemento di competizione fra sistemi diversi resta il costo del lavoro per unità di prodotto espresso in valuta forte (comprensivo di salario indiretto o welfare e di salario differito o pensioni).
Per capire come un sistema di libero scambio di merci(N.B.: DI MERCI: per servizi, capitali e persone il principio non vale affatto...!) possa essere un sistema cooperativo occorre andare a Ricardo e alla sua teoria dei Costi Comparati. Con tale teoria Ricardo dimostra come, ipotizzando un sistema di due paesi con due merci e lo scambio via baratto, il livello di costi assoluti è DEL TUTTO irrilevante (N.B.: DEL TUTTO, non "in parte"). In altri termini, se in Portogallo il vino costasse un milione di ore di lavoro per ettolitro e il tessuto 3 milioni di ore per ettometro, e in Inghilterra il primo 3 ore di lavoro e il secondo una, il Portogallo esporterebbe vino contro tessuti e il vantaggio sarebbe di entrambi i paesi.
Il discorso non cambia estendendo tale ragionamento a n merci e a n paesi; sostituendo però necessariamente l'ipotesi di baratto con quella di monete a circolazione forzosa, o fiat come è di moda dire oggi.
Il sistema diverrebbe perciò un sistema estremamente cooperativo fra diversi paesi. Che d'altronde è quanto sapeva anche Marx quando diceva che "il piano della SOLA circolazione delle merci sarebbe un Eden dei diritti naturali"; e che spiegò il suo impegno a favore dell'abolizione delle leggi protezionistiche sul grano del 1846 in Inghilterra.
Certo, non è che così finisce la competizione fra sistemi: per intenderci, se in Portogallo avessero bisogno di un milione di ore di lavoro per produrre un ettolitro di vino morirebbero assretati e nudi.. Però diverrebbe un problema interno, e la competizione si sposterebbe sul piano filosofico, dei valori ecc., e la produzione portoghese non verrebbe spazzata via solo perché i suoi costi sono "dell'1% superiori" a quelli internazionali come è invece ora.
A.C. (Siena)
"Esiste un conflitto sempre più evidente tra il rispetto dei Trattati UE e delle regole fiscali da una parte e i principi di solidarietà e democrazia iscritti nelle nostre costituzioni nazionali dall’altra."
Questa frase del discorso di Fassina è emblematica e riassume in ristretta sintesi il pensiero del parlamentare circa la situazione politico-economica dell'UE.
In pratica i trattati UE sono contraddittori e potenzialmente distruttivi delle filosofie nazionali dei componenti e della loro stessa ragione di essere storica.
In nuce la realtà UE svolge un programma dissolutore delle sovranità nazionali dando in cambio solamente svantaggi, non solo, ma è la negazione della loro natura storica anche recentissima.
Tutte le critiche a Fassina sono fondate ma resta il fatto che il fronte sovranista rimane orgogliosanente diviso in innocui pezzettini.
Non si riescono a mettere insieme non dico mpl con ARS, che rifiutano il recinto della sinistra, ma neanche con quelli della rete dei comunisti.
Tra l'altro anche il progetto ORA, a giudicare dagli aggiornamenti del sito, pare nato morto.
A.o.
Mi permetto di non essere d'accordo interamente: la dissoluzione dell'euro significherebbe anche la fine di questo tipo di unione europea che si è andata costruendo molto prima di Maastricht e della effettiva introduzione della moneta unica, con la creazione nel 1979 (non a caso lo stesso anno delle prime elezioni continentali) dello sme a tutti gli effetti un pre euro. La Ue si è costruita nel cammino verso l'unità monetaria (e i suoi presupposti ideologici) per cui il venir meno di questo elemento significa di fatto smantellare l'unione. Tanto questo è vero che i trattati firmati dopo l'affermarsi della crisi finanziaria e il timopre per la tenuta della moneta unica sono in realtà trattati fra stati che non fanno formalmente parte dei patti della Ue, ma ne sono una surfetazione che permarrebbe anche a Unione sciolta. Dunque insistere sulla dissoluzione europea anche oltre la moneta unica sarebbe da una parte superfluo dall'altra insufficiente e comunque tatticamente poco producente. Vista la situazione mi pare il caso di insistere sui minimi comun denominatori piuttosto che sui massimi comun divisori.
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