[ 5 settembre 2018 ]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo breve saggio che destituisce di ogni fondamento la leggenda del "fascio-leghismo".
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo breve saggio che destituisce di ogni fondamento la leggenda del "fascio-leghismo".
Nel farlo l'autore tratteggia quelli che sono stati i tratti distintivi genetici del fascismo mussoliniano e quanto poco essi abbiano a che fare con quelli della Lega, compresa quella del nuovo corso salviniano.
Delle diverse interpretazione del fenomeno fascista, l'autore sposa sostanzialmente quella fornita dal de Felice — il fascismo come "figlio e continuatore di una certa linea risorgimentale della “sinistra” nazionalpopulista".
Ciò facendo egli dissente radicalmente da quanto scrisse mesi addietro Roberto Ferretti, su questo blog, per il quale la
Era da poco caduto il fascismo, quando il mondo intero, con i due blocchi vincitori (URSS e USA), pensava bene di denunciare la rinascita del movimento fascista italiano nella sua presunta metamorfosi: l’Argentina di Juan Domingo Peròn ed Evita. Britannici e francesi videro quindi, poco dopo, nel nasserismo egiziano una varietà di fascismo. La Russia sovietica etichettava di seguito il maoismo cinese come “nuovo fascismo”. Le sinistre mondiali denunciarono poi l’avvento del fascismo mediante l’Islam sciita rivoluzionario dell’imam Khomeini.
Bibliografia Citata
G. Parlato, Fascismo italiano, nazionalsocialismo e altri fascismi, in “Nuova storia contemporanea”, novembre dicembre 1997, Luni Editrice
Id., La sinistra fascista, Edizioni Il Mulino 2000
L. Guerci, Immagini di Robespierre nell’Italia del Novecento, Napoli Vivarium 1996
M. Gervasoni, Mussolini e i sindacalisti rivoluzionari, in AA VV “Mussolini socialista”, Edizioni Laterza 2015
R. De Felice, Intervista sul fascismo, Edizioni Laterza 1997
M. Gervasoni, La Francia in nero, Marsilio editori 2017
D. Rodono, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche d’occupazione dell’Italia fascista in Europa 1940-1943, Bollati Boringhieri 2003
«... quintessenza del regime mussolinano fu reazionaria, anti-modernistica, anti-illuministica, neo-tradizionalista e per taluni versi decisamente contro-rivoluzionaria ... una assoluta anomalia, il regime fascista, rispetto alla tradizione risorgimentale e costituzionale italiana ed un regime reazionario di ispirazione pre-risorgimentale».
Ricordiamo al lettore che, come per ogni altro contributo esterno, non necessariamente ne condividiamo ogni aspetto.
* * *
Era da poco caduto il fascismo, quando il mondo intero, con i due blocchi vincitori (URSS e USA), pensava bene di denunciare la rinascita del movimento fascista italiano nella sua presunta metamorfosi: l’Argentina di Juan Domingo Peròn ed Evita. Britannici e francesi videro quindi, poco dopo, nel nasserismo egiziano una varietà di fascismo. La Russia sovietica etichettava di seguito il maoismo cinese come “nuovo fascismo”. Le sinistre mondiali denunciarono poi l’avvento del fascismo mediante l’Islam sciita rivoluzionario dell’imam Khomeini.
Come si può comprendere, il termine fascismo è divenuto un momento di pura propaganda politica, un passepartout privo di qualsiasi legame effettivo con la sostanza stessa di ciò che il Fascismo fu davvero. Proviamo quindi ad identificare che cosa esso fu effettivamente.
Nel farlo, non possiamo che riferirci a De Felice e quegli storici che ne hanno continuato l’insegnamento. Se letto onestamente De Felice è assolutamente conciliabile con l’interpretazione più seria data dal movimento operaio del fenomeno fascista.
De Felice sostiene anzitutto che il “fascismo storico“ è terminato nell’aprile ’45 e non è più replicabile in quella forma; chiunque sostiene il contrario, non conosce il fascismo o agita uno “spettro” per fini propagandistici. A differenza di come allora lo si interpretò, soprattutto dopo l’uscita dell’Intervista sul fascismo (1975) lo storico non nega affatto quello che le più scientifiche tra le analisi “comuniste” dell’epoca stigmatizzarono, ovvero che liquidare il fascismo come mera guardia armata del capitale non era sufficiente per comprendere il fenomeno. E d’altra parte una volta che si è compreso che Pinochet non è fascista, come non lo furono Franco e i colonnelli greci, non si è comunque compreso il fenomeno nella sua interezza. De Felice ci aiuta così a comprendere se e come è possibile una rinascita del fascismo in una altra forma.
Partiamo dal presupposto storico che il grado di “socializzazione politica” nell’Italia fascista è difficilmente riscontrabile nelle altre realtà totalitarie, compresa la Germania nazionalsocialista, come scrive quello che è probabilmente il più dotato allievo di De Felice (G. Parlato 1997; Id. 2000). Il fascismo italiano rimanda di conseguenza, piaccia o dispiaccia, ad una tradizione nazionale democratica rivoluzionaria che va da Pisacane a Garibaldi passando per Mazzini. Su questa linea, De Felice puntualizzava che, in particolare, Mussolini con la sua tentata strategia di mobilitazione attiva delle masse, andava realizzandosi non solo come figlio e continuatore di una certa linea risorgimentale della “sinistra” nazionalpopulista, ma anche della tradizione politica rivoluzionaria francese, particolarmente di quella robespierrista. Studi recenti (L. Guerci 1996; M. Gervasoni 2015) hanno fatto ulteriore chiarezza in proposito, confermando in sostanza la visione dello storico del fascismo. Se in tal senso, il discorso delle radici del fascismo rende chiaro che una nuova forma di fascismo se mai si svilupperà, in quel preciso filone storico-politico dovrebbe comunque essere radicata, forse è meno chiaro per quale motivo Mussolini, deliberatamente, poco dopo il conflitto mondiale decise di fare la guerra al movimento proletario.
Qualche giorno fa a Viterbo...
... ve la spiegate solo come consenso xenofobo?
Partiamo dal presupposto storico che il grado di “socializzazione politica” nell’Italia fascista è difficilmente riscontrabile nelle altre realtà totalitarie, compresa la Germania nazionalsocialista, come scrive quello che è probabilmente il più dotato allievo di De Felice (G. Parlato 1997; Id. 2000). Il fascismo italiano rimanda di conseguenza, piaccia o dispiaccia, ad una tradizione nazionale democratica rivoluzionaria che va da Pisacane a Garibaldi passando per Mazzini. Su questa linea, De Felice puntualizzava che, in particolare, Mussolini con la sua tentata strategia di mobilitazione attiva delle masse, andava realizzandosi non solo come figlio e continuatore di una certa linea risorgimentale della “sinistra” nazionalpopulista, ma anche della tradizione politica rivoluzionaria francese, particolarmente di quella robespierrista. Studi recenti (L. Guerci 1996; M. Gervasoni 2015) hanno fatto ulteriore chiarezza in proposito, confermando in sostanza la visione dello storico del fascismo. Se in tal senso, il discorso delle radici del fascismo rende chiaro che una nuova forma di fascismo se mai si svilupperà, in quel preciso filone storico-politico dovrebbe comunque essere radicata, forse è meno chiaro per quale motivo Mussolini, deliberatamente, poco dopo il conflitto mondiale decise di fare la guerra al movimento proletario.
Di certo la strategia antinazionale ed anti-italiana, più che internazionalista, imposta alla base dalla dirigenza socialista, fu in quel contesto una tragedia politica e un clamoroso autogoal, è del resto vero che Mussolini, forte del consenso della massa piccolo borghese e della piccola e media impresa, arrivava a presentarsi in più casi, ormai sfiduciato su più fronti Giolitti, alla stessa borghesia come il politico della “salvezza” dal disordine che i “rossi” avrebbe causato al mondo del lavoro. Secondo il giudizio dello storico (De Felice 1997, pp. 48-49)
«Sono le piccole industrie, quelle che versano in maggiore difficoltà economiche…. che più guardano al fascismo. Molto meno la grande industria. Finanziamenti ve ne furono anche da questa parte; però non si trattò di grandi somme e hanno tutta l’aria di sovvenzioni date sporadicamente e per evitare difficoltà in fabbrica. Il piccolo industriale voleva essere appoggiato ed aiutato; il grande, sostanzialmente, voleva innanzi tutto che i fascisti non dessero luogo a disordini che aggravassero la situazione in fabbrica, e si cautelava soddisfacendo in qualche misura le loro richieste di aiuto economico. In ogni caso è da escludere che le grandi forze economiche abbiano teso a portare il fascismo al potere. Il fascismo era per loro una guardia bianca che però non doveva assumere il potere».
Come poi Mussolini abbia conquistato il potere è noto. L’uso politico della violenza, frutto del blanquismo teorico aggiornato alla luce di Sorel e Le Bon, avrebbe condotto ad una attitudine sperimentale che sfociò in una doppia strategia; piazza e Parlamento; Mussolini si poneva così come il difensore della “legalità”, della proprietà privata, della grande industria minacciata dagli scioperi, della tutela della piccola borghesia. Nonostante ciò, gli squadristi, solitamente alleati delle "forze dell'ordine" a causa di un reciproco nazionalismo bellicoso, non si fecero però scrupoli, in più casi, di spargere il sangue dei carabinieri o delle guardie regie (es. “Fatti di Sarzana” 12 luglio ‘21).
Vedremo poi, nel corso delle riflessioni conclusive, per quale motivo la visione della sicurezza sociale di Matteo Salvini è di natura "proletaria" mentre quella mussoliniana fu tutta declinata in senso anti-proletario e piccolo-industrialista, elemento tipico anche questo del robespierrismo, come sottolinea De Felice.
Certamente il contesto di guerra civile, che Mussolini aveva se non addirittura predeterminato, comunque sapientemente contribuito a infiammare, differenzia in modo netto quelle vicende storiche dal contesto di più stretta attualità. Che poi, il movimento neo-giacobino si trasformi rapidamente (come già avvenne con Crispi, che vantava la medesima affinità originaria con il movimento democratico-sociale italiano) in Stato imperialista e Stato potenza con la strategia del primato italiano mondiale, è un discorso realistico che ci condurrebbe però ora in altri lidi, fuori dall’analisi concreta proposta. Possiamo perciò identificare, in termini di immediata attualità, taluni momenti di netta discontinuità con il quadro appena accennato.
Certamente il contesto di guerra civile, che Mussolini aveva se non addirittura predeterminato, comunque sapientemente contribuito a infiammare, differenzia in modo netto quelle vicende storiche dal contesto di più stretta attualità. Che poi, il movimento neo-giacobino si trasformi rapidamente (come già avvenne con Crispi, che vantava la medesima affinità originaria con il movimento democratico-sociale italiano) in Stato imperialista e Stato potenza con la strategia del primato italiano mondiale, è un discorso realistico che ci condurrebbe però ora in altri lidi, fuori dall’analisi concreta proposta. Possiamo perciò identificare, in termini di immediata attualità, taluni momenti di netta discontinuità con il quadro appena accennato.
Anzitutto, Matteo Salvini non ci pare, in tutta sincerità, il sovversivo del contesto politico attuale, il blanquista di giorni nostri; il leader leghista incarna ideologicamente, invece, il frontismo nazional-conservatore e la sua proposta sociale assolutamente liberista sembra rimandare ben più ad una certa tradizione della destra occidentale (da Nixon a Trump) che a Mussolini artefice dello Stato etico gentiliano o dello Stato forte di A. Rocco (1875-1935).
Spesso si attribuisce, nelle analisi meno sconclusionate, a Salvini una rimembranza fascista a causa della sua strategia lepenista. Anche in tal caso, si deve fare chiarezza e usare con rigore la terminologia politica. Ebbene, il lepenismo originario è sostanzialmente un figliastro politico del conservatorismo cattolico liberista, non del fascismo defeliciano (Gervasoni 2017). La successiva linea “nazional-repubblicana” incarnata, nella dialettica frontista, da Marine Le Pen forgerà poi un “neo-gollismo sociale”, con sue interessanti caratteristiche. De Gaulle fu anche lui, in effetti, tacciato di essere un fascista ma né il blocco sociale gollista (che non fu primariamente la piccola e media industria, a differenza del fascismo, ma la casta dei boiardi di stato), né l’ideologia gollista (che fu una sorta di sovranismo democratico-presidenziale, nazionalista ma non un imperialismo assoluto fondato sullo Stato etico come quello fascista) possono a rigor di logica essere considerati fascisti.
Spesso si attribuisce, nelle analisi meno sconclusionate, a Salvini una rimembranza fascista a causa della sua strategia lepenista. Anche in tal caso, si deve fare chiarezza e usare con rigore la terminologia politica. Ebbene, il lepenismo originario è sostanzialmente un figliastro politico del conservatorismo cattolico liberista, non del fascismo defeliciano (Gervasoni 2017). La successiva linea “nazional-repubblicana” incarnata, nella dialettica frontista, da Marine Le Pen forgerà poi un “neo-gollismo sociale”, con sue interessanti caratteristiche. De Gaulle fu anche lui, in effetti, tacciato di essere un fascista ma né il blocco sociale gollista (che non fu primariamente la piccola e media industria, a differenza del fascismo, ma la casta dei boiardi di stato), né l’ideologia gollista (che fu una sorta di sovranismo democratico-presidenziale, nazionalista ma non un imperialismo assoluto fondato sullo Stato etico come quello fascista) possono a rigor di logica essere considerati fascisti.
Negli scorsi mesi è emerso da vari organi di stampa che fu Lorenzo Fontana, attuale Ministro della famiglia, a promuovere anni fa in prima persona, sul modello lepenista, il nuovo corso nazionale della Lega; anche riguardo al caso di Lorenzo Fontana, però, nonostante i pietosi, mendaci editoriali dei vari quotidiani, più che al fascismo occorrerebbe riferirsi ideologicamente al cattolicesimo tradizionale, a quel cattolicesimo di “destra”, dunque, che ha sempre preso le distanze, in tutte le sue componenti, dal fascismo mussoliniano, proprio perché quest’ultimo sarebbe un legittimo figlio della tradizione sociale e politica nazionalista robespierrista e di quella risorgimentale, tradizione, invece, che un certo mondo cattolico considera come il fumo negli occhi.
Arrivando alle riflessioni conclusive, ci dobbiamo chiedere facendo uno sforzo di fantasia politica, se oggi Mussolini, alla guida del suo Partito nazionalista, agirebbe come sta facendo Matteo Salvini. La domanda delle domande è: anche il leader fascista baserebbe la sua azione politica, nell'Italia del 2018, sulla primaria volontà di risolvere la potenziale catastrofe di civiltà rappresentata dalla Questione Migratoria? Questa domanda finisce per essere la sostanza politica di tutta la retorica e la disinformazione di questi anni. In primo luogo, possiamo dire con estrema sicurezza, senza possibilità di smentita, che Mussolini mai avrebbe detto nemmeno con finalità propagandistiche: "Popolo contro Elite" come ha fatto invece Matteo Salvini (22.05.18), indicando quest’ultimo, in questo proposito politico, la sua direttiva strategica dei tempi a venire. Il leader fascista, di contro, di formazione politico-culturale "elitista", blanquista e paretiana, direbbe oggi: "Élite e Popolo"; e poi "Élite contro Élite", nel senso di piegare le masse popolari al servizio di una Élite italianista e ultra-nazionalista in guerra tattica con le altre elite strategiche.
Veniamo così al discorso sulla finalità politica, che ci permette di identificare la rispettiva natura sociale. Il partito di Salvini è oggi l'ultima trincea di difesa del proletariato e del mondo del lavoro autoctono di fronte all' "invasione-sostituzione" che è forse anche una crociata religiosa (come sostengono con solide motivazioni vari ambienti cattolico-conservatori, assai vicini alla Lega o organici alla stessa) ma è sicuramente soprattutto un assalto sociale mondiale e mondialista al proletariato e al lavoratore autoctono. Credevamo che la natura sociale operaia del trumpismo avrebbe aperto gli occhi alla sinistra occidentale liberal e globalista, costringendola a modificare se non altro taluni orizzonti; nulla, invece, non è stato così. Purtroppo.
L'ipotetico Partito nazionale di Benito Mussolini sarebbe invece, a differenza di ciò che la Lega socialmente incarna, il partito della industria (di stato o oligopolistica), della piccola industria, sarebbe un partito elitista e machiavellico tutto finalizzato, ideologicamente, a rivendicare la necessità storica e geopolitica di un nuovo Imperialismo italianista, di "un nuovo ordine mediterraneo" (D. Rodogno 2003); un partito-principe che spenderebbe così tutte le risorse al fine della nuova Italia superpotenza globale e globalista in competizione tattica o addirittura strategica con il Club delle Superpotenze: Usa, Russia, Israele, Cina.
Il partito di Salvini si caratterizza invece per una ideologia "etnoliberista” nel quadro dell’appartenenza alla famiglia politica del conservatorismo cattolico occidentale. Ad una attenta osservazione la categoria stessa del populismo non riteniamo sia puntuale nel caso del leader leghista; dovrebbe essere applicata anche al nixonismo e al reaganismo, allora. Il trumpismo, senza dubbio sulla scia di Nixon e Reagan, ha però sue proprie caratteristiche a causa di un differente contesto sociale e internazionale che vede gli USA primariamente coinvolti. La manovra economica della “flat tax”, in un contesto geo- economico come quello odierno, rischia però nel nostro paese di essere più un incentivo alla “multinazionalizzazione” della Patria che al mondo del lavoro salariato. Niente a che vedere, dunque, con il corporativismo dello Stato etico patrimoniale e con la “democrazia totalitaria” mussoliniana, che, è vero, per molti teorici della Sinistra fascista dell’epoca, come per lo stesso Giovanni Gentile, fu gravata dai pesanti compromessi del regime ma che nondimeno ebbe modo di esprimersi nella sua originale declinazione storica.
Il patriottismo salviniano (non è per ora nemmeno corretto parlare di nazionalismo salviniano) si basa su una visione esclusivistica della comunità nazionale come comunità lavoristica, produttivistica. A tal fine, per conquistare coerenza pragmatica politica, Salvini dovrebbe aggiornare il suo liberismo in più spinto “liberismo sociale”, sul modello orbaniano. Non deve stupire che il voto proletario si associ oggi, in Occidente, a partiti o movimenti ideologicamente conservatori.
Non sfugga peraltro che il flusso di voto del mondo del lavoro salariato andava, nel corso della Prima Repubblica, in quota paritaria, a DC e PCI; fatto interessante però, nelle fasi elettorali più calde, finiva per rivelarsi elemento decisivo per il predominio politico della DC.
Il partito ipotetico di Mussolini sarebbe oggi, invece, il partito dell'austerità, del sacrificio, del “terrore” politico (non etnico o religioso o sociale) e della mobilitazione attiva su fondamento ideologico, del decisionismo della sovranità politica dell'élite (non del popolo...), dell’anti classismo “corporativo” aggiornato, modernizzato (non della “flat tax”) e dello stato di eccezione giustificato dal motivo ricorrente e ossessivo che una Nazione come quella italiana che non si proietta strategicamente alla pianificazione della conquista e della probabilità storica e geopolitica incentrata sulla supremazia planetaria è destinata a perire. La disillusione mussoliniana sul proletariato nasceva già nel 1911; Marx si sbagliava, il proletario era una classe conservatrice, non sovversiva, iniziava a riflettere il futuro leader fascista di fronte ai fallimenti insurrezionalisti di cui avrebbe fatto in quegli anni collezione; nel corso della Grande Guerra iniziava a maturare la visione del fronte dei combattenti e dei produttori, fonte sempre guidato da una “minoranza attiva”, da una autentica élite capace di saper fare grande politica sullo scenario globale. Non a caso quando fonda nel novembre del 1914 “Il popolo d’Italia”, compare a lato della testata la citazione di Auguste Blanqui (1805-1881): “Chi ha del ferro ha del pane”.
Solo con immenso sforzo di retorica e disinformazione, dunque, si può far passare un democratico-costituzionale ed un convinto liberista come Salvini per un nuovo imperialista “mistico” e “africanista”, smanioso di rigenerare la romanità fascista, lo Stato etico e un “nuovo ordine mediterraneo”, destabilizzando il quadro costituzionale e sovvertendo i rapporti di forza mondiali.
Veniamo così al discorso sulla finalità politica, che ci permette di identificare la rispettiva natura sociale. Il partito di Salvini è oggi l'ultima trincea di difesa del proletariato e del mondo del lavoro autoctono di fronte all' "invasione-sostituzione" che è forse anche una crociata religiosa (come sostengono con solide motivazioni vari ambienti cattolico-conservatori, assai vicini alla Lega o organici alla stessa) ma è sicuramente soprattutto un assalto sociale mondiale e mondialista al proletariato e al lavoratore autoctono. Credevamo che la natura sociale operaia del trumpismo avrebbe aperto gli occhi alla sinistra occidentale liberal e globalista, costringendola a modificare se non altro taluni orizzonti; nulla, invece, non è stato così. Purtroppo.
L'ipotetico Partito nazionale di Benito Mussolini sarebbe invece, a differenza di ciò che la Lega socialmente incarna, il partito della industria (di stato o oligopolistica), della piccola industria, sarebbe un partito elitista e machiavellico tutto finalizzato, ideologicamente, a rivendicare la necessità storica e geopolitica di un nuovo Imperialismo italianista, di "un nuovo ordine mediterraneo" (D. Rodogno 2003); un partito-principe che spenderebbe così tutte le risorse al fine della nuova Italia superpotenza globale e globalista in competizione tattica o addirittura strategica con il Club delle Superpotenze: Usa, Russia, Israele, Cina.
Il partito di Salvini si caratterizza invece per una ideologia "etnoliberista” nel quadro dell’appartenenza alla famiglia politica del conservatorismo cattolico occidentale. Ad una attenta osservazione la categoria stessa del populismo non riteniamo sia puntuale nel caso del leader leghista; dovrebbe essere applicata anche al nixonismo e al reaganismo, allora. Il trumpismo, senza dubbio sulla scia di Nixon e Reagan, ha però sue proprie caratteristiche a causa di un differente contesto sociale e internazionale che vede gli USA primariamente coinvolti. La manovra economica della “flat tax”, in un contesto geo- economico come quello odierno, rischia però nel nostro paese di essere più un incentivo alla “multinazionalizzazione” della Patria che al mondo del lavoro salariato. Niente a che vedere, dunque, con il corporativismo dello Stato etico patrimoniale e con la “democrazia totalitaria” mussoliniana, che, è vero, per molti teorici della Sinistra fascista dell’epoca, come per lo stesso Giovanni Gentile, fu gravata dai pesanti compromessi del regime ma che nondimeno ebbe modo di esprimersi nella sua originale declinazione storica.
Il patriottismo salviniano (non è per ora nemmeno corretto parlare di nazionalismo salviniano) si basa su una visione esclusivistica della comunità nazionale come comunità lavoristica, produttivistica. A tal fine, per conquistare coerenza pragmatica politica, Salvini dovrebbe aggiornare il suo liberismo in più spinto “liberismo sociale”, sul modello orbaniano. Non deve stupire che il voto proletario si associ oggi, in Occidente, a partiti o movimenti ideologicamente conservatori.
Non sfugga peraltro che il flusso di voto del mondo del lavoro salariato andava, nel corso della Prima Repubblica, in quota paritaria, a DC e PCI; fatto interessante però, nelle fasi elettorali più calde, finiva per rivelarsi elemento decisivo per il predominio politico della DC.
Il partito ipotetico di Mussolini sarebbe oggi, invece, il partito dell'austerità, del sacrificio, del “terrore” politico (non etnico o religioso o sociale) e della mobilitazione attiva su fondamento ideologico, del decisionismo della sovranità politica dell'élite (non del popolo...), dell’anti classismo “corporativo” aggiornato, modernizzato (non della “flat tax”) e dello stato di eccezione giustificato dal motivo ricorrente e ossessivo che una Nazione come quella italiana che non si proietta strategicamente alla pianificazione della conquista e della probabilità storica e geopolitica incentrata sulla supremazia planetaria è destinata a perire. La disillusione mussoliniana sul proletariato nasceva già nel 1911; Marx si sbagliava, il proletario era una classe conservatrice, non sovversiva, iniziava a riflettere il futuro leader fascista di fronte ai fallimenti insurrezionalisti di cui avrebbe fatto in quegli anni collezione; nel corso della Grande Guerra iniziava a maturare la visione del fronte dei combattenti e dei produttori, fonte sempre guidato da una “minoranza attiva”, da una autentica élite capace di saper fare grande politica sullo scenario globale. Non a caso quando fonda nel novembre del 1914 “Il popolo d’Italia”, compare a lato della testata la citazione di Auguste Blanqui (1805-1881): “Chi ha del ferro ha del pane”.
Solo con immenso sforzo di retorica e disinformazione, dunque, si può far passare un democratico-costituzionale ed un convinto liberista come Salvini per un nuovo imperialista “mistico” e “africanista”, smanioso di rigenerare la romanità fascista, lo Stato etico e un “nuovo ordine mediterraneo”, destabilizzando il quadro costituzionale e sovvertendo i rapporti di forza mondiali.
Bibliografia Citata
G. Parlato, Fascismo italiano, nazionalsocialismo e altri fascismi, in “Nuova storia contemporanea”, novembre dicembre 1997, Luni Editrice
Id., La sinistra fascista, Edizioni Il Mulino 2000
L. Guerci, Immagini di Robespierre nell’Italia del Novecento, Napoli Vivarium 1996
M. Gervasoni, Mussolini e i sindacalisti rivoluzionari, in AA VV “Mussolini socialista”, Edizioni Laterza 2015
R. De Felice, Intervista sul fascismo, Edizioni Laterza 1997
M. Gervasoni, La Francia in nero, Marsilio editori 2017
D. Rodono, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche d’occupazione dell’Italia fascista in Europa 1940-1943, Bollati Boringhieri 2003
21 commenti:
"Matteo Salvini non ci pare, in tutta sincerità, il sovversivo del contesto politico attuale, il blanquista di giorni nostri; il leader leghista incarna ideologicamente, invece, il frontismo nazional-conservatore e la sua proposta sociale assolutamente liberista"
Dunque che cosa è Matteo Salvini in realtà?
Quando il vecchio centrismo incarnato nel compromesso del pentapartito è diventato inadatto e si è logorato un nuovo centrismo non meno insidioso lo sostituì, quello del bipolarismo centrodestra-centrosinistra. Nato in forma embrionale al suo interno e venendo alla luce, in un parto travagliato o meglio ancora come la larva di alien, quando le circostanze storiche hanno decretato che era arrivato il suo momento. Un cambiamento gattopardesco.
Ora che la situazione mondiale è cambiata è quel centrismo ad essere logoro ed inadeguato ed altre forme, come la larva di alien, lo consumano al suo interno per rinascere a nuova vita in una mutata situazione storica.
E' la continua ricerca della classe dirigente italiana (qualcuno la chiama GFeID, grande finanza ed industria decotta) di tirare a campare preparandosi alla svolta quando sarà necessario. E se "Pinochet non è fascista, come non lo furono Franco e i colonnelli greci" vuol dire che una eventuale svolta autoritaria potrebbe esserci, se la contingenza storica lo richiederà, pur senza essere fascisti.
Si blandisce il diffuso malcontento ma alla fine si proporranno le solite politiche sociali improntate al più insipido minimalismo.
I socialisti in tutto questo neppure si vedono, o peggio ancora seguono la solita linea dell'accodarsi, fra tatticismi e solite piccole battaglie sindacalesi. Finiscono trascinati mentre si fumano la solita proverbiale ultima sigaretta come Zeno Cosini.
Dunque che cos'è Salvini? E' il solito centrismo che vuol rinascere dalle suo ceneri come l'araba fenice (o il più nostrano gattopardo).
Cosa accadrà nell'immediato? Forse quello che scrivono i militant: il governo d'opposizione.
"Viene generalmente sottovalutata, infatti, la capacità del populismo di restare all’opposizione anche quando sale al governo, addossando a questo o quel nemico “esterno al popolo” l’impossibilità di realizzare quanto aveva promesso, sia esso una multinazionale, un’agenzia di rating o qualche disperato su un barcone nel mediterraneo", ed all'unione europea aggiungerei io.
Il resto ... lo si può sempre rinviare a poi nel tempi di mai.
Giovanni
E dimenticavo (il commento è venuto fuori lungo). Il corporativismo ha avuto molti aspetti negativi ma certamente non è il "male assoluto". La critica anche giusta al corporativismo nei suoi aspetti negativi, senza un concreto progetto socialista (per questo ho scritto che "I socialisti in tutto questo neppure si vedono") finirà dritta dritta fra le braccia del nuovo centrismo liberale nascente, dritta dritta nelle fauci di alien.
Giovanni
Ottimo contributo con analisi difficilmente superabili grazie a Sollevazione. Vorrei ora una risposta all'articolo di estremisti di sinistra tipo Roberto Ferretti o altri che mettono oggi l'antifascismo avanti al resto.
Compagni di militant: basta canne! fanno male!
Io ho scritto tempo fa un commento su come la penso su fascisti e fascismo. Mi sovviene Carlo Levi che individuava giustamente l'eterno fascismo italiano nella piccola media borghesia, falsa e ipocrita e cattolica, mentre la grande borghesia è falsa ed ipocrita. E l'Italia è un paes di borghesia piccola emedia. Certo sarebbe "bello" che ci fosse ancora il saluto romano, il me ne frego, l'eia eia alalà,e tutto sarebbe più facile.
Ma non basta che qui in Veneto gli imprenditori, la borghesia media e piccola, tutti evasori fiscali e disonesti coi dipendenti, è leghista?
Manlio Padovan
De Felice, nato trotzkista, che come tutti sanno sono gli anticomunisti più feoci, era un mediocre cattedratico di provincia, e anche lì raccomandato dal liberale e anticomunista di ferro Rosario Romeo, la cui reazionaria interpretazione del fascismo per 10 anni fu quasi ignorata, fino a quando fu sdoganata dalla psy-op dell'intervista sul fascismo rilasciata, non a caso, al nazista neocon Ledeen (se non sapete chi è, non parlate nè di fascismo, nè di Salvini, nè di nulla altro, per manifesto analfabetismo), per iniziae quell'opera di sdoganamento del fascismo che in meno di 20 anni avrebbe portato il MSI e la P2 al potere (non a caso, e coerentemente, De Felice era una presenza fissa sul Giornale berlusconiano). Grazie al c...o che sosteneva che il fascismo era morto nel '45, così qualsiasi partito o movimento consustanzialmente fascista poteva essere difeso a priori con lo pseudoargomento che non si era più nel '45. Del resto, uno "storico" che in 6000 pagine di biografia di Mussolini dedica UNA SOLA RIGA all'uso sistematico dei bombardamenti chimici in Libia ed Etiopia e che praticamente non usa fonti tedesche nel periodo dal '38 al '45 (e si capisce perchè, è dura rivalutare lo sciuscià di Hitler) si commenta da solo e così chi lo prende sul serio.
De Felice non era trotzkista e i trotzkisti non sono gli anticomunisti più feroci, come gli stalinisti che han ucciso milioni di operai socialisti e comunisti....che dici?
De Felice fu raccomandato dal marxista Cantimori (PCI) non da Romeo.
Parla eccome dei bombardamenti chimici e critica moltissimo Mussolini nei suoi libri di guerra, ma considera che oggi c'è una storiografia militare come Pierluigi Romeo di Colloredo che dice che non è vero che furono usati gas chimici.
Dimenticavo...
De Felice era osteggiato dal MSI di vertice perchè portava troppo a "sinistra" Mussolini e non aveva alcun tipo di rapporto con i neofascisti, esistono scritti critici al riguardo da parte di neofascisti. Tutto noto. Furono Craxi, Minoli, Bocca ecc in realtà a sdoganare il Mussolini di sinistra "socialista" e il fascismo non i neofascisti.
Non c’e Nessuna riabilitazione di Mussolini in De Felice, ma lo avete mai letto? Nessuna riabilitazione del fascismo tutt’altro,
Non c’e Nessuna riabilitazione di Mussolini in De Felice, ma lo avete mai letto? Nessuna riabilitazione del fascismo tutt’altro,
Chiedo alla Redazione, se è vero il contenuto qui esposto che sembra valido, perché Salvini spesso nei post o in interviste si atteggia a mussoliniano o filofascista?
Vero è che certi intellettuali di sinistra, negli anni '70, condannarono il lavoro di De Felice, come indulgente se non assolutorio, del fascismo. Per capire un giudizio tanto severo occorre tener conto del clima di quegli anni e delle battaglie nelle piazze, con tanti do morti, che vedevano i fascisti schierati in servizio permanente effettivo nella crociata anticomunista.
Detto questo a me pare che (flat tax e federalismo docet) proprio sui capisaldi identitari il salvinismo non sia equiparabile al fascismo, fenomeno statalistico e centralistico duro. D'altra parte come rispose Mussolini alla grande crisi del '29? rafforzando appunto le prerogative dello Stato in campo economico e finananziario.
Salvini? Vedremo in futuro gli sviluppi del suo populismo, che sviluppi ne avrà.
Per ora egli non rompe con la gabbia della concezione federalista-liberista che ha ereditato dalla Lega bossiana.
Giusta osservazione di Pasquinelli, assolutamente,
"la concezione federalista-liberista" è ancora la guardia alta della Lega contro lo statalismo romanocentrico...
Il Duce era un socialista .
L’articolo è assai interessante e meriterebbe ulteriori approfondimenti ma quello che considerate un liberismo federale di Salvini non mi convince, a mio modesto parere la sua svolta è stata sincera, parla ora di liberismo perché è oggi che nell’immediato potrebbe dare risultati, ma alla lunga egli punta a fare non una destra centrista conservatrice ma una nuova destra sociale tipo Msi. Non direi sia orban dipendente o trumpiano, l’Italia è un modello storico con caratteristiche diversificate e guardate poi le sue uscite e i suoi morti, riprende continuamente frasi di Mussolini e slogan classici dei neofascisti”da Prima gli italiani a tutti gli altri. Vi invito a riflettere su questo senza parlare delle connessioni tra la Lega e molti neofascisti
Il "DUCE" ERA SOCIALISTA?
«Socialismo Nel senso storicamente più vasto, ogni dottrina, teoria o ideologia che postuli una riorganizzazione della società su basi collettivistiche e secondo principi di uguaglianza sostanziale, contrapponendosi alle concezioni individualistiche della vita umana.
In senso più stretto, e in epoca moderna, sistema generalizzato di idee, valori e credenze, finalizzato a guidare i comportamenti collettivi – e i movimenti, i gruppi, i partiti che li organizzano – verso l’obiettivo di un nuovo ordine politico in grado di eliminare o almeno ridurre le disuguaglianze sociali attraverso una qualche forma di socializzazione dei mezzi di produzione e correttivi applicati al meccanismo di distribuzione delle risorse economiche».
dalla Treccani
Ora dimmi tu se Mussoloni ha mai anche solo tentato di socializzare i mezzi di produzione e di scambio (socialismo, appunto).
Al contrario!
Egli considerava che il capitalismo avrebbe avuto lunga vita, e che fosse giusto così. Propose al massimo il corporativismo, ovvero un capitalismo alla ennesima potenza, in cui gli operai venivano trasformati essi stessi in pseudo-capitalisti.
Non direi fosse socialista ma si tratta di intendersi anche in tal caso sul significato politico dottrinario. Socialismo è la missione salvifica del proletariato; Mussolini non vi credeva già da quando fu guida degli "intransigenti" del Psi; si faceva chiamare il Marat dei ribelli o il Robespierre degli stessi non il Marx. Anche a Salò, il ricorso al socialismo è retorico e di tattica politica; il suo orizzonte rimane quello del colpo di forza elitista borghese o piccolo-borghese, tipico della rivoluzione francese o al massimo della Repubblica popolare giacobina italiana. Mi chiedo anche se il bolscevismo fu concretamente socialista in questa logica politica o non dicesse, anche qui oltre la retorica ufficiale, il vero Stalin quando confidò a Gilas che lenin non era socialista ma leninista....
Tra l'altro se non ricordo male Stalin commentava così con Gilas proprioa quando stava formulano i Problemi economici del socialismo!
Secondo me non era socialista nemmeno da guida intransigenti del Partito socialista che amava identificarsi in Marat o SaintJust, non in Marx o Engels; il socialismo è la missione salvifica mondiale del proletariato e Mussolini non vi ha mai creduto; il suo orizzonte è quello elitista politico della borghesia rivoluzionaria o della piccola borghesia in ascesa, quindi quello della repubblica popolare giacobina italiana, protosocialista non socialista
https://www.corriere.it/lodicoalcorriere/index/08-09-2018/index.shtml?refresh_ce-cp
Questo articolo molto serio e equilibrato, che non fa antifascismo dozzinale a la repubblica, andrebbe divulgato in più parti a sinistra, ma non toglie però che moltissimi fascisti di mia non diretta ma indiretta conoscenza hanno votato Salvini o sono militanti della Lega. Io parlo della Toscana ma il fenomeno è diffuso, soprattutto nel sud Italia da quel che possiamo sapere, l'esito quale sarà..?
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