[ 21 settembre 2018 ]
Giorni addietro abbiamo pubblicato l'articolo LA PROSSIMA CRISI GLOBALE.
Esso segnalava come l'incipiente recessione economica, incontrando gli effetti della finanziarizzazione crescente (vedi l'aumento enorme dei debiti privati (e pubblici), va avvicinando la possibilità di l'arrivo di una super-bolla finanziaria globale. Questa previsione ha suscitato perplessità e critiche (alcune davvero astruse). Torniamo sulla questione con un articolo che ci aiuta a capire perché i meccanismi infernali del capitalismo casinò conducono l'economia-mondo verso il baratro.
Giorni addietro abbiamo pubblicato l'articolo LA PROSSIMA CRISI GLOBALE.
Esso segnalava come l'incipiente recessione economica, incontrando gli effetti della finanziarizzazione crescente (vedi l'aumento enorme dei debiti privati (e pubblici), va avvicinando la possibilità di l'arrivo di una super-bolla finanziaria globale. Questa previsione ha suscitato perplessità e critiche (alcune davvero astruse). Torniamo sulla questione con un articolo che ci aiuta a capire perché i meccanismi infernali del capitalismo casinò conducono l'economia-mondo verso il baratro.
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La montagna dei debiti privati delle imprese
sarà al centro della prossima crisi finanziaria
di Eric Toussaint
Meno di dieci anni dopo
il fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008, gli ingredienti per una
nuova importante crisi sono già riuniti. Ciò malgrado il fatto che i governi
delle principali economie del pianeta avevano promesso di ristabilire una
disciplina finanziaria che avrebbe rispettato l’interesse generale e evitato
nuove crisi dagli effetti dolorosi per la popolazione.
Questi, per difendere un sistema
capitalista che indigna buona parte dell’opinione pubblica, non hanno
risparmiato gli annunci ad effetto con il dichiarato obiettivo di riformare il
sistema per dargli un “volto umano”: tutto ciò non ha cambiato nulla nella
pratica. In realtà, la politica che i governi e i dirigenti delle banche
centrali hanno seguito, ha avuto riguardo e favorito gli interessi del grande
capitale, in special modo quello delle grandi società finanziarie. Nessuna
misura rigorosa ha seriamente obbligato i capitalisti a mettere un freno
all’assunzione di rischi, a ridurre la speculazione e a investire nella
produzione.
Le crisi fanno parte del metabolismo del
sistema capitalista ma non si assomigliano tutte tra di loro. Nel presente
articolo, non tratteremo le cause generali delle crisi capitaliste. Vogliamo
piuttosto analizzare i fattori che condurranno alla prossima crisi di larga
portata. Quando quest’ultima scoppierà, i governi, i dirigenti delle banche
centrali e la stampa dominante fingeranno come ogni volta stupore.
Per chi si oppone al sistema, è
fondamentale additare le responsabilità e mostrare il funzionamento del
capitalismo allo scopo di essere capaci di imporre un’altra logica e rompere
radicalmente con questo.
Dal 2010 in poi, approfittando della
politica di bassi tassi di interesse adottata dalle banche centrali dei paesi
industrializzati (Federal Reserve negli Stati Uniti, Banca Centrale Europea,
Banca d’Inghilterra, Banca del Giappone, Banca nazionale svizzera…), le grandi
imprese private hanno considerevolmente aumentato il loro indebitamento. Negli
Stati Uniti, per esempio, il debito delle imprese private non finanziarie è
aumentato di 78000 miliardi di dollari tra il 2010 e metà 2017.
Cosa si è fatto di questo denaro preso in
prestito? Queste imprese l’hanno investito in ricerca-sviluppo, in investimenti
produttivi, nella transizione ecologica, per la creazione di posti di lavoro
decenti, nella lotta contro il cambiamento climatico? Per niente.
Il denaro preso in preso è servito in
particolare per le seguenti attività:
(A) Le imprese hanno chiesto prestiti per
riacquistare le loro azioni in borsa. Ciò produce due vantaggi per i
capitalisti: 1) fa salire il prezzo delle azioni 2) permette di retribuire gli
azionisti senza che ciò implichi per quest’ultimi il pagamento di imposte sui
profitti. Per di più, in molti paesi, le plus-valenze delle azioni non vengono tassate o lo sono a un tasso molto basso
(rispetto all’imposta sul reddito o all’IVA). Già nel 2014, il riacquisto di
azioni negli Stati Uniti aveva raggiunto un ammontare mensile tra i 40 e i 50
miliardi di dollari. [1] Ma il fenomeno continua.
Sottolineiamo che avevamo assistito, ancora prima dell’ultima crisi, ad un
forte aumento dell’acquisto di azioni proprie a partire dal 2003, che aveva
raggiunto un picco nel settembre 2007 in piena crisi detta dei “subprime”. Tra
il 2010 e il 2016, le imprese nordamericane hanno acquistato le proprie azioni
in borsa per un ammontare approssimativo di 3000 miliardi di dollari. [2] Come intitolava il quotidiano finanziario belga Les
Echos, “I riacquisti di azioni record sono il
motore di Wall Street”. Una buona parte dello stato di salute delle borse, non
solo quella
degli Stati Uniti, è dovuto a questi ingenti acquisti. Cosa dunque completamente artificiale.
degli Stati Uniti, è dovuto a questi ingenti acquisti. Cosa dunque completamente artificiale.
Tabella n. 1: |
Tabella n. 2: Evoluzione dei dividenti versati agli azionisti dal 1999 al 2017 in miliardi di dollari |
Nel mondo immaginario del sistema capitalista descritto nei manuali di economia, le imprese emettono delle azioni in borsa per accumulare capitale al fine di investirlo nella produzione. Nel mondo reale, le imprese capitaliste prendono in prestito del capitale sui mercati finanziari o presso le banche centrali per comprare le loro azioni in borsa allo scopo di aumentare il capitale dei loro azionari e dare l’impressione che l’impresa scoppi di salute.
I dirigenti d’impresa, in parte pagati in
stock-options, ovvero in azioni rivendibili, hanno tutto interesse a incitare
la loro impresa a ricomprare le proprie azioni.. Nessuno sa meglio di se stesso
cosa gli interessa.
Allo stesso modo, bisogna sottolineare che
nel recente passato i dirigenti di impresa sono stati molto generosi in materia
di redistribuzione dei dividendi. Tra il 2010 e il 2016, i dividendi versati
agli azionisti statunitensi hanno raggiunto 2000 miliardi di dollari. Se si
addizionano l’acquisto di azioni proprie e la redistribuzione dei dividendi,
gli azionisti delle aziende statunitensi hanno ricevuto 5000 miliardi di
dollari tra il 2010 e il 2016.
Nel bilancio delle imprese, il lato del
passivo, la parte che si riferisce ai debiti dell’impresa cresce, mentre
diminuisce la parte che corrisponde alle azioni dell’impresa. Se i tassi di
interesse sul debito dell’impresa aumentano, il pagamento degli interessi
rischia di diventare insostenibile e di portare l’impresa al fallimento. In
modo analogo, se il corso delle azioni — che è stato artificialmente gonfiato a
causa dell’effetto combinato dei riacquisti e della bolla borsistica — si
abbassa fortemente, il fallimento è pure dietro l’angolo.
Da notare che l’acquisto massiccio di azioni
proprie, largamente praticato dalle grande imprese nord-americane come Hewlett
Packard (HP), IBM, Motorola, Xerox, Symantec o ancora JC Penney non è stato
sufficiente a migliorare il loro stato di salute.
(B) Le imprese chiedono prestiti per
comprare dei crediti. Esse comprano prodotti strutturati composti di crediti
concessi ad altre imprese o a dei privati. Comprano in particolare
obbligazioni emesse da altre imprese private o titoli pubblici. Nel 2017, l’azienda Apple deteneva da sola crediti su
altre imprese per un ammontare di 156 miliardi di dollari, ovverosia 60% del
totale dei suoi attivi. [3] Ford, General Motors e General
Electric dal canto loro comprano pure debiti di altre imprese. L’80% degli
attivi di Ebay e il 75% degli attivi di Oracle sono per esempio crediti su
altre imprese.
Le trenta più grandi imprese non
finanziarie degli Stati Uniti attive sul mercato dei debiti detengono insieme
423 miliardi di dollari di debiti di imprese private (Corporate debt and
commercial paper securities), 369 miliardi di dollari di debiti pubblici e
40 milliardi di dollari di prodotti strutturati (Asset Backed Securities e
Mortgage Backed Securities).
Nella misura in cui le imprese cercano di
massimizzare i profitti che traggono dai crediti su altre imprese, esse sono
spinte a comprare dei debiti emessi da imprese meno solide disposte a ripagare
i prestatori più di altre. Il mercato dei debiti rischia di crescere dunque.
Se le imprese debitrici incontrano
difficoltà nel pagamento, le imprese creditrici si ritroveranno pure in
difficoltà. Nel 2016, Apple ha dichiarato alle autorità americane che un
aumento dell’1% dei tassi di interesse poteva portare ad una perdita di 4,9
miliardi di dollari. [4] Tanto più che, per finanziare
questi acquisti di debiti, Apple, come altre imprese hanno dovuto chiedere altri
prestiti. Per esempio, nel 2017, Apple ha chiesto in prestito 28 miliardi di
dollari. Il suo debito finanziario totale oggi ammonta a circa 75 miliardi di
dollari. Grazie al cosiddetto effetto domino, negli Stati Uniti potrebbe
riprodursi una crisi di entità simile a quella del 2007-2008.
Bisogna pure sapere che quando i tassi di
interesse aumentano, il valore dei titoli di debito delle imprese diminuisce.
Più i crediti (ovvero i titoli di debito emessi sotto forma di obbligazioni
dalle imprese private) rappresentano una parte importante degli attivi delle
imprese, più la caduta del valore può avere un impatto negativo sulla salute
dei creditori. Quest’ultimi rischiano dunque di mancare di fondi propri per
compensare la svalutazione o la diminuzione del valore dei crediti posseduti.
Tabella n.5: l'impatto delle due grandi crisi in Italia |
La situazione descritta corrisponde ad una
nuova progressione della finanziarizzazione del capitale: le grandi imprese non
finanziarie sviluppano sempre più i loro investimenti finanziari. Apple, Oracle, General Electric, Ptizer, Ford o
General Motors rafforzano i loro dipartimenti “Finanze” e prendono sempre più
rischi per aumentare i profitti. Mentre prima prestavano il 60 % delle loro
liquidità a degli intermediari, in special modo ai money market funds,
oggi ne affidano solo il 50% e prendono esse stesse direttamente il rischio al
fine di massimizzare i rendimenti.
Per giunta, una buona parte dei crediti
detenuti su altre imprese passano per dei paradisi fiscali, ciò che aumenta
l’opacità delle operazioni realizzate e in taluni casi anche il rischio. Le
isole Bermuda e l’Irlanda sono tra i principali paradisi fiscali utilizzati
dalle grandi imprese statunitensi che contano sull’ottimizzazione fiscale.
Ciò che è stato descritto riguarda
l’insieme del mondo capitalista anche se i dati presentati si riferiscono
all’economia degli Stati Uniti.
La montagna di debiti privati delle
imprese sarà al centro della prossima crisi finanziaria. Crisi o no, i
comportamenti descritti giustificano ampiamente l’azione di tutti coloro che
lottano per la fine del capitalismo e del sistema debito.
* Traduzione: Chiara Filoni
* Fonte: : http://www.cadtm.org/La-montagne-de-dettes-privees-des
NOTE
1 Financial Times, “Return of the buyback extends US rally”, 5 décembre 2014.
2 Financial Times, “Buyback outlook darkens for US stocks”, 22 juin 2017.
3 Financial Times, “Debt collectors”, 16-17 septembre 2017.
4 Financial Times, “Patcy disclosure gives investors little to chew on”, 28 septembre 2017.
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