[ 28 settembre 2018 ]
Malgrado sia sub iudice se Emiliano Brancaccio possa essere considerato un economista "marxista" — non pare che egli accetti la sua (di Marx) fondamentale teoria del valore, e si spiega le crisi generali in base al paradigma del sottoconsumo —, [1] continuiamo a considerarlo tra le migliori economisti del nostro Paese.
Qual è il cuore del suo predicozzo? Eccolo:
L'equazione è che tanto più progresso abbiamo, tanto più avremo "emancipazione sociale". Una fesseria che pensavamo "marxisti", anche mediamente intelligenti, avessero da tempo abbandonato. Non c'è, in regime capitalistico, alcuna correlazione tra l'uno e l'altra. Il capitale (Marx docet) non può fare a meno del "progresso", ovvero sviluppare e rivoluzionare le forze produttive e, con esse sconvolgere, assieme alla sovrastruttura, i tradizionali legami comunitari e sociali. Lo stesso Marx maturo dovette scoprire quanto priva di fondamento fosse la tesi contenuta ne Il Manifesto secondo cui il proletariato doveva sostenere l'avanzata del capitalismo in ogni sua forma (colonialismo compreso) in quanto apripista (suo malgrado) del socialismo. Dopo Marx scopriremo che più il capitale spinge all'estremo la sua evoluzione progressiva, più le catene dell'oppressione si fanno potenti; che più esso scompagina i tradizionali legami sociali e comunitari tanto più crescono l'abbrutimento, l'alienazione sociale, la barbarie, la minaccia per l'ecosistema. La verità è che la "emancipazione sociale" non è mai stata figlia del progresso capitalistico, bensì della tenace lotta delle classi subalterne. La storia ha ampiamente dimostrato che il socialismo s'afferma non dove più alto è lo sviluppo capitalistico ma ove più acuto è il conflitto sociale, dove cioè la classe subalterna è meglio cosciente e organizzata.
E qui veniamo dunque alle farneticazioni sul fascismo incombente.
Il fascismo (dittatura antiproletaria e antidemocratica dispiegata del grande capitale) non si da, ovvero la borghesia non gli cede il potere statale, se non ove ci siano circostanze eccezionali, tra cui una effettiva minaccia rivoluzionaria. Il fascismo poté salire al potere in un contesto storico-sociale straordinario: una guerra mondiale sconvolgente, la crisi inesorabile delle democrazie liberali, una crisi economica e sociale senza precedenti, l'avanzata di forze culturali e ideali vitalistiche ed antipositivistiche, ed infine, qui la condizione principale del suo affermarsi, la potente avanzata del movimento comunista.
Nel suo pistolotto Brancaccio scrive che "Militanza antifascista significa anzitutto comprensione delle cause materiali del fascismo". Il nostro ci sta in realtà dicendo: "siccome il capitalismo conosce una crisi economica strutturale, la minaccia fascista è inevitabile". Ecco qua il vizio inguaribile dell'economista, ovvero l'economicismo. Gramsci nel dimenticatoio, liquidate come inessenziali l'ideologia e le forze spirituali e morali. Ma andiamo avanti.
Brancaccio, non essendo così sprovveduto da sostenere la fesseria che fascista sia ogni forma di populismo, ne sostiene un'altra non meno sbagliata, quella secondo cui si sarebbe certamente in presenza di fascismo ove ci sia la trinità nazionalismo-autoritarismo-razzismo. Ci si ferma alle forme fenomeniche dimenticando la sostanza, col che addio teoria marxista, addio alla leniniana "analisi concreta della situazione concreta".
Passiamo pure sopra al fatto che il nostro fa sua la narrazione politicamente corretta dell'élite globalista la quale, sentendosi mancare il terreno sotto i piedi, temendo lo sfondamento dei movimenti populisti, prova a fermarli ricorrendo alla tecnica dell'hitlerizzazione.
La storia moderna è piena zeppa di movimenti razzisti e autoritari che poco o nulla hanno avuto a che fare col fascismo. Di più, proprio il liberalismo, nella sua marcia plurisecolare, è stato impregnato, in una simbiosi addirittura costitutiva, con fenomeni brutali di nazionalismo, razzismo, xenofobia e dispotismo antidemocratico (volgarmente detto autoritarismo). Consigliamo a Brancaccio di leggere la monumentale Controstoria del liberalismo del compianto Domenico Losurdo [7] che documenta in maniera inoppugnabile come il liberalismo, all'occorrenza, ha fatto strame dei suoi ideali umanitari sfornando e sostenendo forme di oppressione brutali, da cui infatti il fascismo attinse a piene mani.
Brancaccio conclude il suo pistolotto invocando la ripresa della "Militanza antifascista". La sintonia con certa nostrana sinistra antisovranista è piena, conclamata: il nemico principale da combattere non è la classe dominante ma i movimenti populisti ("fascisti") che sono giunti al potere. Quindi avanti nella battaglia per abbattere, in nome "dei diritti di genere, della libertà e l'emancipazione sessuale", le barriere nazionali e statuali per una società "meticcia" (che se non sei per il meticciato sei razzista), contro "la superstizione per una cultura laica e progressista". Insomma, non solo contro il sovranista governo giallo-verde, ma contro la sinistra patriottica.
L'élite ringrazia ma l'antifascismo, quello vero, quello che abbiamo imparato dalla prima Resistenza (1921-22) e dalla seconda (1943-45) va a farsi friggere.
L'antifascismo è una cosa troppo seria per lasciarlo in mano ad intellettuali senza memoria, che immaginano di contrastarlo brandendo l'arma spuntata di un internazionalismo non solo astratto, ma antipatriottico ed anzi antinazionale, oramai imparentato con il cosmopolitismo dell'élite neoliberista.
Dove Brancaccio vede il "codismo" c'è invece la chiave del solo antifascismo che può avere speranza di successo, quello che strappa di mano ai fascisti "viandanti del nulla" la bandiera della sovranità nazionale, opponendo al loro nazionalismo angusto e revanscista, un patriottismo democratico e rivoluzionario.
Il fatto è che il massimalismo parolaio, di cui proprio Mussolini fu massimo esponente, è morto ma risorto, e pare sia una patologia congenita della sinistra italiana. E' tra noi sotto le mentite spoglie delle sinistre radicali e rivoluzionarie e il loro motto è proprio quello adolescenziale che così suona: "nel mondo non ci sono che due patrie: quella degli sfruttati e quella degli sfruttatori".
Malgrado sia sub iudice se Emiliano Brancaccio possa essere considerato un economista "marxista" — non pare che egli accetti la sua (di Marx) fondamentale teoria del valore, e si spiega le crisi generali in base al paradigma del sottoconsumo —, [1] continuiamo a considerarlo tra le migliori economisti del nostro Paese.
Ma un ottimo economista non è per ciò stesso un intelligente politico. Succede anzi spesso, che la competenza settoriale dell'economista di mestiere sia inversamente proporzionale alla sua politica profondità di vedute. Una conferma viene dalla lettura di quanto Brancaccio ha scritto su L'espresso on line dell'altro ieri. [2]
Egli, dopo una rituale critica a certa sinistra sistemica che ha sposato il neoliberismo, si scaglia in modo violentissimo contro una "tendenza ancora più perniciosa", quella degli "ex-compagni" che hanno capitolato alla "bruta reazione fascistoide", "all'onda nera di stampo neofascista", "... che scimmiotta maldestramente con le destre sovraniste e reazionarie nei loro più neri propositi". Di chi parla? Della sinistra patriottica.
Sorpresi da questa sua mossa francamente no, ma sbalorditi per la brutta caduta di stile con la quale il nostro lancia la scomunica arruolandosi così nel mucchio anti-rossobruno dei cretini d'ogni tendenza, questo sì.
Si spiega quindi come mai L'Espresso ospiti i suoi anatemi, essi (dimmi dove scrivi e ti dirò chi sei) sono coerenti con la linea politica della testata che ospita la sua rubrica. [3] Il settimanale, assieme alla sorella La Repubblica, per nome e per conto dei poteri forti liberisti ed eurocratici, guida la più estremistica e spudorata campagna contro il "populismo" ed il governo M5s-Lega. Chi non ne abbia contezza si legga l'ultimo numero in edicola. Decine di pagine per spiegare
che l'Italia sta sprofondando, per colpa di Salvini e del "suo" governo, nell'oscurantismo fascista:
«Vogliono abolire i diritti civili, l'aborto e il divorzio, le conquiste di genere... tornare ai tempi dell'alleanza trono-altare».Ma come può Brancaccio prestarsi a questa campagna di isterica intossicazione ideologica? Sbaglia chi ricorre a risposte dietrologiche. La ragione è invece profonda, è la prossimità, ideologica e di classe, con l'élite liberale. Il nostro in sostanza ci dice: meglio sottostare al regime dell'élite neoliberista che sostenere la rivolta populista contro l'establishment. La ragione è presto detta: egli ritiene che questa rivolta sia gravida di fascismo, che i movimenti populisti, Lega in primis, siano fascisti della peggior specie.
Qual è il cuore del suo predicozzo? Eccolo:
«Io sono al tempo stesso politicamente inorridito e scientificamente affascinato dalla mostruosa trasformazione, degna del Dottor Jekyll di Stevenson, che alcuni ex compagni hanno subito in questi anni. Ex compagni che oggi prendono gli immigrati come capro espiatorio di ogni male economico e che prendono le distanze da fondamentali battaglie per i diritti: come quelle per l’uguaglianza di genere, per la libertà e l’emancipazione sessuale e contro ogni discriminazione, le battaglie per l’aborto, per la critica della superstizione, per una cultura laica e progressista nelle scuole.Sorvoliamo, per carità di patria, sulla chiamata in correo dei "grandi magnati della finanza globale". Il pensiero, anzi, la visione che ci propone Brancaccio, si basa su null'altro che l'ingannevole mito tanto borghese quanto logoro del "progresso"; sulla tesi, come minimo discutibile, che il movimento comunista sarebbe l'erede legittimo dell'illuminismo, quindi deputato a realizzarne la visione.
Vorrei dirlo con chiarezza anche agli esponenti della Linke, di France Insoumise e ai nostrani più o meno disorientati: cedere di un solo millimetro, compiere un solo passo verso le agende politiche delle destre reazionarie, significa rinnegare in un colpo solo una storia più grande di loro.
Una storia che parte dall’illuminismo, che passa per le grandi rivoluzioni rosse, che attraversa il secolo con l’ecologismo, con il femminismo, con la critica della famiglia borghese. E’ la storia di chi interpreta e agisce nel mondo sulle basi scientifiche del materialismo storico e della lotta di classe. Basi che sono oggi paradossalmente note e apprezzate dai grandi magnati della finanza globale, e che invece sfuggono inesorabilmente ai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo.
Questa storia eccezionale è l'unica ragione di fondo per cui, sia pure in questo tempo così cupo, si può tuttora scommettere razionalmente su un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale.
Gettare al macero questa storia straordinaria per portare avanti una strategia “codista”, al traino delle peggiori destre reazionarie, è l’idea politica più ottusa e perdente che mi sia toccato di commentare in tutta la mia vita. Confido che i fatti rivelino presto l'insulsaggine di questa idea». [4]
L'equazione è che tanto più progresso abbiamo, tanto più avremo "emancipazione sociale". Una fesseria che pensavamo "marxisti", anche mediamente intelligenti, avessero da tempo abbandonato. Non c'è, in regime capitalistico, alcuna correlazione tra l'uno e l'altra. Il capitale (Marx docet) non può fare a meno del "progresso", ovvero sviluppare e rivoluzionare le forze produttive e, con esse sconvolgere, assieme alla sovrastruttura, i tradizionali legami comunitari e sociali. Lo stesso Marx maturo dovette scoprire quanto priva di fondamento fosse la tesi contenuta ne Il Manifesto secondo cui il proletariato doveva sostenere l'avanzata del capitalismo in ogni sua forma (colonialismo compreso) in quanto apripista (suo malgrado) del socialismo. Dopo Marx scopriremo che più il capitale spinge all'estremo la sua evoluzione progressiva, più le catene dell'oppressione si fanno potenti; che più esso scompagina i tradizionali legami sociali e comunitari tanto più crescono l'abbrutimento, l'alienazione sociale, la barbarie, la minaccia per l'ecosistema. La verità è che la "emancipazione sociale" non è mai stata figlia del progresso capitalistico, bensì della tenace lotta delle classi subalterne. La storia ha ampiamente dimostrato che il socialismo s'afferma non dove più alto è lo sviluppo capitalistico ma ove più acuto è il conflitto sociale, dove cioè la classe subalterna è meglio cosciente e organizzata.
E qui veniamo dunque alle farneticazioni sul fascismo incombente.
Il fascismo (dittatura antiproletaria e antidemocratica dispiegata del grande capitale) non si da, ovvero la borghesia non gli cede il potere statale, se non ove ci siano circostanze eccezionali, tra cui una effettiva minaccia rivoluzionaria. Il fascismo poté salire al potere in un contesto storico-sociale straordinario: una guerra mondiale sconvolgente, la crisi inesorabile delle democrazie liberali, una crisi economica e sociale senza precedenti, l'avanzata di forze culturali e ideali vitalistiche ed antipositivistiche, ed infine, qui la condizione principale del suo affermarsi, la potente avanzata del movimento comunista.
«L'avvenimento più importante del ventesimo secolo e quello che ebbe una maggiore influenza sui fatti che accaddero nell'immediato futuro. Esso non fu tanto la vittoria o la sconfitta delle potenze europee alla fine del 1918, bensì la violenta presa del potere rivoluzionaria, verificatasi l'anno precedente, di un partito marxista in Russia, lo Stato più grande del mondo per estensione». [5]La borghesia, per la precisione i grandi monopoli capitalistici — che con l'economia di guerra erano diventati pienamente dominanti — portarono Mussolini al potere perché lo ritennero l'ultimo baluardo contro la minaccia bolscevica venuta avanti con la Rivoluzione d'Ottobre. Minaccia che seminò un vero e proprio panico in seno alle classi dominanti europee nell'estate del 1918
«... quando si delineò in Russia un fenomeno che persino nella rivolzione francese fu solo accennato, ovvero l'annientamento sociale, e in buona parte anche fisico del bourgeois, l'imprendtiore privato, o anche kulak». [6]Esistono forse nel nostro Paese circostanze simili? E' evidente che no, anzitutto perché, ammesso e non concesso che i populismi siano fascismi, essi avanzano non già grazie all'appoggio della grande borghesia, ma senza ed anzi contro essa. In base a quali criteri, dunque, affermare che c'è una fascistizzazione della società? Quali sarebbero dunque i parametri per sostenere che l'Italia si va fascistizzando pur in assenza di una minaccia rivoluzionaria? Per sostenere che M5s e Lega sarebbero i vettori del fascismo?
Nel suo pistolotto Brancaccio scrive che "Militanza antifascista significa anzitutto comprensione delle cause materiali del fascismo". Il nostro ci sta in realtà dicendo: "siccome il capitalismo conosce una crisi economica strutturale, la minaccia fascista è inevitabile". Ecco qua il vizio inguaribile dell'economista, ovvero l'economicismo. Gramsci nel dimenticatoio, liquidate come inessenziali l'ideologia e le forze spirituali e morali. Ma andiamo avanti.
Brancaccio, non essendo così sprovveduto da sostenere la fesseria che fascista sia ogni forma di populismo, ne sostiene un'altra non meno sbagliata, quella secondo cui si sarebbe certamente in presenza di fascismo ove ci sia la trinità nazionalismo-autoritarismo-razzismo. Ci si ferma alle forme fenomeniche dimenticando la sostanza, col che addio teoria marxista, addio alla leniniana "analisi concreta della situazione concreta".
Passiamo pure sopra al fatto che il nostro fa sua la narrazione politicamente corretta dell'élite globalista la quale, sentendosi mancare il terreno sotto i piedi, temendo lo sfondamento dei movimenti populisti, prova a fermarli ricorrendo alla tecnica dell'hitlerizzazione.
La storia moderna è piena zeppa di movimenti razzisti e autoritari che poco o nulla hanno avuto a che fare col fascismo. Di più, proprio il liberalismo, nella sua marcia plurisecolare, è stato impregnato, in una simbiosi addirittura costitutiva, con fenomeni brutali di nazionalismo, razzismo, xenofobia e dispotismo antidemocratico (volgarmente detto autoritarismo). Consigliamo a Brancaccio di leggere la monumentale Controstoria del liberalismo del compianto Domenico Losurdo [7] che documenta in maniera inoppugnabile come il liberalismo, all'occorrenza, ha fatto strame dei suoi ideali umanitari sfornando e sostenendo forme di oppressione brutali, da cui infatti il fascismo attinse a piene mani.
Brancaccio conclude il suo pistolotto invocando la ripresa della "Militanza antifascista". La sintonia con certa nostrana sinistra antisovranista è piena, conclamata: il nemico principale da combattere non è la classe dominante ma i movimenti populisti ("fascisti") che sono giunti al potere. Quindi avanti nella battaglia per abbattere, in nome "dei diritti di genere, della libertà e l'emancipazione sessuale", le barriere nazionali e statuali per una società "meticcia" (che se non sei per il meticciato sei razzista), contro "la superstizione per una cultura laica e progressista". Insomma, non solo contro il sovranista governo giallo-verde, ma contro la sinistra patriottica.
L'élite ringrazia ma l'antifascismo, quello vero, quello che abbiamo imparato dalla prima Resistenza (1921-22) e dalla seconda (1943-45) va a farsi friggere.
Benito Mussolini in una foto segnaletica del 1903 |
L'antifascismo è una cosa troppo seria per lasciarlo in mano ad intellettuali senza memoria, che immaginano di contrastarlo brandendo l'arma spuntata di un internazionalismo non solo astratto, ma antipatriottico ed anzi antinazionale, oramai imparentato con il cosmopolitismo dell'élite neoliberista.
Dove Brancaccio vede il "codismo" c'è invece la chiave del solo antifascismo che può avere speranza di successo, quello che strappa di mano ai fascisti "viandanti del nulla" la bandiera della sovranità nazionale, opponendo al loro nazionalismo angusto e revanscista, un patriottismo democratico e rivoluzionario.
«Confermiamo la nostra eresia. Noi non possiamo concepire un socialismo patriottico. Il socialismo ha infatti un carattere di umanità e di universalità. Fin dai primi anni dell'adolescenza, quando ci passarono per le mani i manuali grossi e piccoli della dottrina socialista, abbiamo imparato che nel mondo non ci sono che due patrie: quella degli sfruttati e quella degli sfruttatori». [8]E' una frase pronunciata da Benito Mussolini nel 1912, quando divenne capo indiscusso dell'ala intransigente del Partito socialista. Una frase in cui c'è la quint'essenza del massimalismo, contrassegnato da un radicalismo verbale e spaccone privo di ogni costrutto, d'ogni effettiva strategia egemonica. Non deve stupire che solo due anni dopo, davanti alla tempesta sconvolgente della guerra, Mussolini fosse diventato un ardente interventista. Molto poterono, certo, i quattrini dei francesi e della Triplice Intesa, ma quel clamoroso salto della quaglia si spiega proprio come risultato del totale fallimento politico del massimalismo, che soccomberà anni dopo sotto l'urto della violenza fascista.
Il fatto è che il massimalismo parolaio, di cui proprio Mussolini fu massimo esponente, è morto ma risorto, e pare sia una patologia congenita della sinistra italiana. E' tra noi sotto le mentite spoglie delle sinistre radicali e rivoluzionarie e il loro motto è proprio quello adolescenziale che così suona: "nel mondo non ci sono che due patrie: quella degli sfruttati e quella degli sfruttatori".
NOTE
[1] Vedi: Emiliano Brancaccio. Appunti di economia politica. Appunti delle lezioni diFondamenti di Economia politica. febbraio 2010
[2] Contro le sinistra codiste. L'espresso on line, 27 settembre
(3) E' quantomeno singolare che Brancaccio abbia scelto, come nome per la sua rubrica Mercurio, per i greci Hermes, che era il dio dei mercanti, dei ladri, dei truffatori, dell'inganno e dunque dei farabutti. Tra gli altri ruoli, Hermes aveva quello che conduceva le anime dei morti negli inferi. Per i romani, che com'è noto andavano meno per il sottile, Mercurio era il dio dei ladri, degli scambi, del profitto, del mercato e del commercio, il suo nome latino sembra infatti derivasse dal termine merx o mercator, che significa appunto mercante.
[4] Contro le sinistra codiste. L'espresso on line, 27 settembre
[5] Ernst Nolte. La rivoluzione conservatrice; Rubettino, 2009, p. 69
[6] Ibidem, p. 13
[7] Domenico Losurdo. Controstoria del liberalismo; Laterza 2006
[8] Benito Mussolini. Opera Omnia, Firenze 1951; vol IV, p. 155
[1] Vedi: Emiliano Brancaccio. Appunti di economia politica. Appunti delle lezioni diFondamenti di Economia politica. febbraio 2010
[2] Contro le sinistra codiste. L'espresso on line, 27 settembre
(3) E' quantomeno singolare che Brancaccio abbia scelto, come nome per la sua rubrica Mercurio, per i greci Hermes, che era il dio dei mercanti, dei ladri, dei truffatori, dell'inganno e dunque dei farabutti. Tra gli altri ruoli, Hermes aveva quello che conduceva le anime dei morti negli inferi. Per i romani, che com'è noto andavano meno per il sottile, Mercurio era il dio dei ladri, degli scambi, del profitto, del mercato e del commercio, il suo nome latino sembra infatti derivasse dal termine merx o mercator, che significa appunto mercante.
[4] Contro le sinistra codiste. L'espresso on line, 27 settembre
[5] Ernst Nolte. La rivoluzione conservatrice; Rubettino, 2009, p. 69
[6] Ibidem, p. 13
[7] Domenico Losurdo. Controstoria del liberalismo; Laterza 2006
[8] Benito Mussolini. Opera Omnia, Firenze 1951; vol IV, p. 155
28 commenti:
Avete blandito Brancaccio in tutti i modi, lo avete esaltato per anni, ma come era previsto lui vi ha lasciati nel vostro brodo leghista. E vi meravigliate pure?
Lui segue la sua linea da anni, senza mai cedere di un millimetro, attaccando da sempre sia il codismo verso i piddini venduti sia il codismo verso la destra razzista. E se pubblica un po' ovunque, incluso il Financial Times - altro che l'Espresso o Repubblica - lo deve alla sua grandezza e alla sua capacità di evidenziare contraddizioni reali. Si chiama egemonia, una cosa che voi "codisti" di Salvini non potete proprio capire.
Francesco
P.S. Che poi voi sareste veri marxisti mentre lui sarebbe un sottoconsumista mascherato, mi viene solo da ridere. Io che ho avuto la fortuna di averlo come prof, so che nella sua teoria della crisi i "bassi salari" sono solo un corno di un problema molto più grande che lui sviscera con visione dialettica e materialista. Leggete i suoi scritti scientifici o almeno i suoi manuali per studenti, avete ancora tanto da imparare prima di misurarvi con lui.
Certi sinistri proprio non capiscono che oggi il Paese e' in guerra , e quando c'e' la guerra il Paese marcia unito contro il nemico . Dopo semmai , quando la guerra finisce , ci si puo' dividere tra sin, e destra tra conservazione e progresso .
E il nemico e' molto subdolo annidato e cammuffato in ogni dove .
Prendete Soros ad es. si spende per una open society , difende apparentemente gli immigrati , ma possibile che poi non si riesce a vedere l'altra faccia della medaglia di questi personaggi e il male che causano alle classi lavoratrici autoctone oltre che all'insieme di intere nazioni ?
Sankara diceva giustamente , azzerate il debito africano , e poi lasciateci in pace , questa e' la cosa che vorrei sentirmi dire da questi sinistrati , non una difesa ad oltranza di una immigrazione incontrollata , anzi controllata da trafficanti di essere umani .
Proprio non riescono a leggere la realta' attuale delle cose impregnati come sono in una ideologia che li acceca e si rifugiano sempre nella cantilena del fascismo .
Ma possinile che devono attaccarsi a singole uscite di esponenti da strapazzo di 5 stelle e Lega su aborto e altre amenita' che lasciano il tempo che trovano , tirando fuori ogni volta il fascismo .
Anche io non sono troppo sorpreso dalla posizione di Brancaccio. Intervengo sul solito punto su cui intervengo sempre.
Diversi anni fa, quando la crisi era angli inizi e la divulgazione degli MMT stava appena prendendo piede, lui espresse una critica (cosa in sé legittima, anzi io direi necessaria) in un video che purtroppo non riesco più a ritrovare ma che ricordo ancora. Cosa diceva nella sua critica? Che lui piuttosto che di ultima istanza avrebbe voluto che lo stato fosse datore di lavoro di prima istanza in molti settori. In apparenza sembra logico ma in realtà non lo è, per il semplice fatto che è se di prima istanza non può essere universale (garantito) altrimenti tutti si licenziano e vanno lì.
Dunque significherebbe assumere parecchie persone nel pubblico impiego che poi diventano la tua base elettorale, gli altri avranno la speranza dei diritti in espanzione.
Questa oltre ad essere la solita trappola (per dirla con Monicelli) progressista è quello che per anni hanno fatto la Democrazia Cristiana prima ed il serpentone metamorfico poi quando ha di fatto sostituito la DC. La solita solfa di chi non vuol cambiar nulla.
Direi che Brancaccio ha una abitudine, non solo in questa circostanza, di attaccarsi a slogan molto consunti per essere formalmente a posto ma dietro ai quali possono scorgersi fin troppo facilmente posizioni da conservatore.
Come potremmo definire questa abitudine? Io la chiamerei "Il vizietto".
Giovanni
In parole povere ve la prendete con lui perché non sale sul carrozzone dei sostenitori del governo di Salvini. Ma per favore..
Complimeti alla Redazione per questo testo.
Conoscenza storica, analisi, profondità di pensiero.
Non siete certo voi a poter togliere la patente di “marxista” a uno dei piu’ grandi compagni che abbiamo. Ennio
Intendendo per progresso lo sviluppo materialistico.
Non si evince proprio dallo scritto di E. Brancaccio quanto si pretende di evincere; E. B. scrive di "progresso civile" e di "progresso sociale" e si riferisce all'illuminismo come ispiratore di diritti civili, punto di rottura della cultura.
Io interpreto così.
Manlio Padovan
Agli estimatori accaniti del Brancaccio voglio solo dire una cosa: il suo testo sull'espresso è alquanto rozzo.
E si sente la retorica tipica di una certa sinistra sessantottina, .
Sarà pure un bravo economista, ma in fatto di storia, zoppica assai.
Ad un mio esame sulla storia d'Italia, in cui chiedo sempre mi si dica cosa sia stato il fascismo, se uno si presenta con certe sciocchezze, gli consiglierei di tornare alla prossima.
Quanto scritto dalla redazione, lo si può anche non condividere (cioè si può sostenere che la Lega sia fascista) ma è sicuro che c'è dietro spessore, studio, acume analitico e storico.
Nb
vedo che sollevazione cita Nolte, che è uno ma non il solo storico che abbia sviscerato la questione delle origini e delle caratteristiche del fascismo. Notevole, al netto della sua per me debole impostazione fenomenologica la sua rappresentazione del profilo psicologico di Mussolini.
Francesco
può darsi che Brancaccio, come dici tu "non ceda di un millimetro".
Ma dire che lui fa "egemonia" scrivendo sul financial times mi pare una gran cazzata.
Chi vuoi convincere sul giornale del grande capitalismo? Soros, Jeff Bezos, Mario Monti?
Marx morì di fame e stenti: non aveva una cattedra e non civettava con i lupi mannari borghesi.
Anonimo delle 13,52 quando un paese è in guerra un rivoluzionario lotta per la disfatta del proprio paese
Brancaccio è un grande studioso di Marx e credo che sia il massimo conoscitore della teoria della concentrazione del capitale. Chi pensa di fargli lezioni di economia o di storia deve avere qualche problema mentale. Poi personalmente non sono d'accordo con molti suoi passaggi politici, dove lui (penso in perfetta coscienza) taglia le idee con l'accetta e secondo me rinvia alle calende greche ogni posizionamento. Però solleva dei problemi reali che magari non convincono me ma attirano tanta gente. Per criticarlo non penso che serva a molto mettersi a giocare coi paragoni col Mussolini massimalista.
Kyoto
Ci vuole veramente del coraggio a dare del liberista a Brancaccio solo perché schifa i rossobruni ..
Sarà anche un bravo economista... Ma ha scelto i sinistrati sorosiani politically correct . Opportunismo ? Di certo i servi dell'elite da il manifesto a l'espresso guardano i sondaggi e temono le nostre idee .
Gentilissimi commentatori, il punto non e' se Brancaccio sia marxista o meno, ma sicuramente non e' un rivoluzionario anticapitalista di matrice marxiana questo e' il punto. Chi si para il culo dietro le catteďre universitarie senza battersi da militante contro il capitalismo sara' sempre un barone "rosso nero o a pallini".
Eccome se il Branka si batte: me lo ricordo dai tempi in cui bazzicavo in Attac e nei
Movimenti ed era poco piu’ che un ragazzo, lui lotta sempre per le lavoratrici e i lavoratori. Altri scelgono di fare i portaborse del grande capitale, altri sncora si mettono in coda alla piccola borghesia reazionaria.
Kyoto, è vero che Brancaccio sposta alle calende greche la questione del posizionamento politico. Ma non è che lo fa lui, è l'oggettività della fase storica che ci costringe. Io invece mi sento di muovergli un'altra critica. Lui parla di "storicizzazione dei limiti ed errori della pianificazione sovietica". Certo, io lo capisco, lui lo dice in un discorso serio, marxista fino all'osso, in cui vuole proprio riabilitare la prospettiva della pianificazione socialista e non penso che sia una cosa facile di questi tempi. Ma dico: c'è proprio bisogno di parlare male dell'URSS? Avrà avuto una barca di limiti e di errori, ma guardacaso stiamo nella merda proprio da quando quella è crollata. RedWolf
Voi fate lezioni di economia a Brancaccio, l'unico Marxista che ancora c'è in Italia?
Condividere pensiero Brancaccio. Non attaccre.
Riprendetevi oh...
La grande borghesia italiana contro il Governo populista??'
bella questa...
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/29/boccia-crediamo-nella-lega-calenda-vergogna-confindustria-mai-cosi-la-replica-lui-non-sa-organizzare-le-cene/4657703/
Non credo che qualcuno stia facendo dei paragoni impropri fra Brancaccio e Mussolini. Il senso dell'articolo mi sembra piuttosto un altro.
Se dal pulpito massimalista lui accusa gli altri di aver ceduto ad idee fasciste, facendo le (per lui solite) semplificazioni fuorvianti, allora gli si può anche far notare che se seguissimo lo stesso tipo di semplificazione potremmo accusar di fascismo pure lui.
Che poi queste solite semplificazioni cui ricorre spesso possano essere legate anche ad esigenze di internità alla sua area politica di appartenenza sarà pur legittimo ipotizzarlo, visto che sono le solite argomentazioni che da quelle parti si usano da sempre.
Che poi quest'area sia da lungo corso interna alla globalizzazione oligarchica non lo si può certo dimenticare, anzi rispetto a questo bisogna porsi delle priorità.
Giovanni
Giovanni, e’ proprio quando dici che Brancaccio sia “interno” alla globalizzazione oligarchica che il tuo ragionamento perde di qualsiasi credibilita’. Tu lo accusi di semplificare ma tu le spari proprio grosse visto che la tua area e’ inchiodata sul controllo degli immigrati mentre lui batte da anni sulla questione chiave, che e’ il controllo dei capitali. Benissimo criticarlo ma evitiamo le cazzate.
Io veramente di immigrazione non ho neppure parlato, ma volendo posso pure farlo.
L'immigrazione deve essere regolamentata altrimenti, come nel caso dell'anarco-immigrazionismo noborder, diventa una tratta degli esseri umani ed è pure perfettamente funzionale alla creazione dello scontro fra poveri.
Con tutto questo sono contento di non aver nulla anche fare.
Giovanni
Gentile anonimo 10,39, una cosa e' fare il movimentista umanitario tipo attac, in egual misura va bene pure la Caritas, una cosa e' il militante rivoluzionario quando paghi con le tue scelte di vita il tuo futuro. Mi pare che Brancaccio come molti pseudo e finti alternativi si sia fatto bene i conti.
Il problema non è se Brancaccio sia un marxista o meno.
Essere marxisti non sigifica avere a che fare con la scuola di pensiero e e di prassi marxiana. Con la coscienza etica marxiana.
Brancaccio non è proprio un intellettuale.
Le élite sono marxiste come Brancaccio: prendono di Marx solo ciò che fa comodo loro.
(Chi parla di ecologia, di parità di genere, di razzismo in assenza di razzismo, di fascismo in assenza di fascismo, è un liberale. Ovvero un traditore della classi subalterne... un traditore della Patria)
Il problema non è se Brancaccio sia un marxista o meno.
Essere marxisti non sigifica avere a che fare con la scuola di pensiero e di prassi marxiana. Con la coscienza etica marxiana.
Brancaccio non è proprio un intellettuale.
Le élite sono marxiste come Brancaccio: prendono di Marx solo ciò che fa il comodo loro.
(Chi parla di ecologia, di parità di genere, di razzismo in assenza di razzismo, di fascismo in assenza di fascismo, è un liberale. Ovvero un traditore della classi subalterne... un traditore della Patria)
Ho ripescato questo video a un dibatyito in cui lo avevate invitato:
https://youtu.be/ogpQ-bCxqjo
Lui e’ sempre se’ stesso. Puoi criticarlo, puoi considerarlo troppo marxista-leninista, troppo vetero, e io lo penso. ma certo devi ammettere che e’ coerente.
La cosa che non torna siete voi. Lo osannavate come dio sceso in terra e adesso lo attaccate un po’ a cazzo di cane. Cosi’ non funziona mica, finirete per attirare solo feccia e rincoglioniti, e un po’ da qualche commento gia’ si vede.
Saluti comunisti e buona fortuna, ne avete bisogno
Lo schematismo e il dogmatismo non aiutano a comprendere la realtà. E l'intervista di Brancaccio è gonfia di affermazioni schematiche e dogmatiche in parte, secondo me, dovute all'eccessiva specializzazione.Non aiutano a comprendere che la sovranità nazionale non va intesa come valore in se' ma come obbiettivo/gradino da cui ripartire per consentire alle classi subalterne DI QUESTO PAESE ( e agli INDIVIDUI che le compongono) di conquistare un luogo in cui contare, esprimersi, decidere. E questo luogo , oggi, non può avere altra dimensione che quella nazionale in un contesto in cui la sovranazionalità è soltanto espressione e presidio del capitalismo globalizzato.
Non ho mai sopportato il suo atteggiamento da comunista libertario, che piacerà alle donne e ai gay ma che alla lunga sta tanto sul cazzo. Però l'idea di Brancaccio di uno "standard sociale" sui movimenti di capitale mi pare buona. Lui stesso dice che si può applicare a livello di singolo paese. Non vedo perché non usare quella idea fregandosene delle altre.
Brancaccio è ottimo economista e anche profondo conoscitore della storia. Non è necessario essere d'accordo per ammetterlo. Sul fascismo, le ricerche storiche degli ultimi 50 anni hanno evidenziato che quel regime ebbe una vera autonomia politica (del resto Mussolini lasciò al capitale altrettanta autonomia, almeno fino al 1936) tanto che, malgrado le puntuali profezie di "caduta" per motivi economici, quel regime cadde con la guerra.
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