[ 30 aprile 2017]
La situazione in Venezuela è gravissima e sta lentamente scivolando verso un'aperta guerra civile. Nel nostro piccolo non abbiamo mai fatto mancare il nostro sostegno alla rivoluzione bolivariana, segnalando però al tempo stesso i limiti e le contraddizioni del cosiddetto "socialismo bolivariano".
Ripubblichiamo di seguito un articolo di Moreno Pasquinelli su questi temi - articolo di 7 anni fa ma estremamente attuale alla luce degli avvenimenti in corso.
Mentre celebra il dodicesimo anniversario dell’avvento al potere, Chavez festeggia il suo ennesimo, seppure zoppo, successo elettorale. Le elezioni parlamentari svoltesi domenica scorsa (la percentuale dei votanti è stata del 66,45%, la più alta mai registrata) hanno assegnato al PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) 95 dei 165 seggi, ovvero la maggioranza relativa, mentre le opposizioni del MUD (Mesa de Unidad Democratica, un’accozzaglia che va dalla sinistra all’estrema destra) ne hanno conquistati 64 (ben più di quanto sperava). Non fosse stato per il sistema elettorale (che assegna il 60% degli scranni con meccanismo uninominale e il restante 40% col proporzionale) il MUD avrebbe vinto, avendo conquistato, in termini assoluti, il 52% dei voti. Per questo le opposizioni hanno festeggiato con gran baccano la loro “vittoria”.
Il PSUV ha sì vinto, ma la sua è una vittoria a metà. Dopo la sconfitta nel Referendum costituzionale del dicembre 2007, Chavez aveva bisogno di almeno due terzi dei seggi per introdurre nuove pillole di socialismo. Non lo potrà fare, e si deve preparare alla più lunga e decisiva delle campagne elettorali, le presidenziali del 2012.
I media occidentali da dodici anni ci assillano sul carattere populista e autoritario dello chavismo. L’accusa è che il Venezuela bolivariano non sarebbe un regime democratico. Occorre una bella faccia tosta per affermare una simile stupidaggine. Se si dovesse usare un parametro marxista classico infatti, il chavismo dovrebbe essere bollato come un vero movimento social-democratico, visto che da dodici anni si sottopone al vaglio del consenso elettorale, affermando che il passaggio al socialismo dovrà avvenire, non con un atto di forza rivoluzionario, ma appunto nel quadro del sistema democratico-costituzionale e nel rispetto di regole che non possono essere definite altrimenti che liberali.
La determinazione con la quale l’Occidente imperialistico sostiene l’opposizione antichavista, la dice lunga sulla protervia della borghesia venezuelana, sul suo carattere sordidamente reazionario e classista. Non è alla democrazia, o ai principi liberali in quanto tali (e che sempre, fino all’arrivo di Chavez, esse hanno sistematicamente calpestato) che le vecchie e oligarchiche classi dominanti sono affezionate, ma ai loro interessi, ovvero al loro predominio sociale. Ça va sans dire.
Altre volte abbiamo avuto modo di esprimere, parallelamente alla solidarietà alla rivoluzione di velluto chavista, tutti i dubbi sulla plausibilità di un passaggio al socialismo per via costituzionale e parlamentare, ovvero evitando ogni “traumatica” rottura rivoluzionaria. Sarebbe in effetti la prima volta nella storia che ciò accadrebbe. Saranno gli avvenimenti futuri ad emettere la sentenza, ovvero se il Venezuela invaliderà o confermerà la tesi marxista per cui solo attraverso un atto di forza, ovvero distruggendo il vecchio apparato statale e costruendone uno a loro misura, le classi subalterne potranno effettivamente emanciparsi e fuoriuscire dal capitalismo. Che ci auguriamo? Che il tentativo venezuelano abbia successo. La fretta dissolvitrice, o «furia del dileguare» come l’avrebbe chiamata Hegel, non è che nel novecento abbia dato prova di grande successo.
Tuttavia non si possono nascondere tutti i limiti e le palesi contraddizioni del cosiddetto “socialismo bolivariano”, addirittura pomposamente chiamato “del XXI secolo”. Se Chavez è ancora in sella lo si deve infatti, non tanto grazie ad un’autentica democrazia rappresentativa, quanto piuttosto alla democrazia plebiscitaria, ovvero ad un sistema presidenzialistico importato bell’e fatto dagli Stati Uniti. Solo i ciechi possono non vedere la stridente antinomia tra l’appello al potere popolare dal basso e la “democrazia partecipativa” di cui il PSUV si fa vanto, e il carattere verticale e bonapartistico del sistema istituzionale preso in eredità e grazie al quale Chavez resta presidente. E non può non destare perplessità (usiamo un eufemismo) che Chavez, per restare Presidente, abbia dovuto ricorrere, nel febbraio del 2009, ad un referendum costituzionale affinché fosse abolito il limite di due mandati.
La stessa vicenda dell’altro referendum costituzionale, quello del dicembre 2007, è esemplare. Il fronte chavista subì una cocente sconfitta, proprio grazie al fatto che le opposizioni poterono apparire come campioni di democrazia. Chavez chiamò i cittadini ad approvare ben 69 dei 359 articoli della Carta Costituzionale (la stessa che egli fece adottare nel 1999). Accanto a regole sinceramente democratiche che implicavano la devoluzione dei poteri verso il basso, ve ne erano altre che rafforzavano i poteri unilaterali e verticali del Presidente, tra cui, ad esempio, quello di rimuovere i governatori provinciali. Una contraddizione lampante, una contraddizione nella quale il chavismo continua a dimenarsi e continuerà a dimenarsi fino a quando il perno del processo di cambiamento sarà appeso alla sua figura carismatica.
In questo senso non sono solo plausibili ma veritiere le critiche velenose al caudillismo e/o al peronismo impliciti nei meccanismi di costruzione del consenso e di amministrazione del potere da parte di Chavez. E’ dunque da condividere la spocchia di certa sinistra-occidentale-con-la-puzza-sotto-il-naso? Per niente! Il caudillismo è certo un fardello, ma non un orpello delle società e delle tradizioni latino-americane. Si tratta al contrario di una forma, per quanto deplorevole, profondamente radicata in America Latina, una forma che ha permeato a fondo la società civile e la stessa sinistra. Se non la si può spazzare via per decreto, occorre farci i conti. Di qui l’ibridazione tra il presidenzialismo istituzionale di marca nord-americana e il populismo anticapitalista di Chavez.
Sarà la storia, dicevamo, ad emettere l’ardua sentenza, ovvero se il passaggio al socialismo potrà avvenire nel quadro della democrazia liberale (possiamo immaginare quanto entusiasta sarebbe uno come il nostro Gobetti davanti alla sfida chavista).
Fidel Castro, in un commento dei risultati delle elezioni di domenica, ha parlato di “grande vittoria”, una vittoria tanto meno incerta a causa “… della fedeltà al Presidente delle Forze Armate venezuelane, che sostengono la rivoluzione”. Castro, che di rivoluzioni se ne intende, ha messo il dito nella piaga. Tra un’elezione e l’altra, tra un referendum e l’altro, l’ago vero della bilancia è stato e resta la forza armata, l’esercito. Fino a quando Chavez conserverà la fedeltà dei militari, il processo democratico sarà salvo, appunto grazie a questa sentinella. Ove Chavez perdesse il controllo delle forze armate, è fin troppo facile pronosticare un colpo di stato — di cui quello fallito nell’aprile 2002 e sostenuto dagli USA fu solo una prova generale.
A quel punto una guerra civile sarà pressoché inevitabile, e tutto sarà deciso dai rapporti di forza, dall’uso della forza. Il punto non è tanto che Marx e Lenin si saranno presi la loro rivincita di dottrina, il punto è se le forze socialiste venezuelane saranno pronte, ovvero se si stanno già preparando all’evenienza, o se si dimostreranno prigioniere delle speranze di un passaggio al socialismo a dosi omeopatiche, ovvero di quella che la storia ha invalidato come una pia illusione.
La situazione in Venezuela è gravissima e sta lentamente scivolando verso un'aperta guerra civile. Nel nostro piccolo non abbiamo mai fatto mancare il nostro sostegno alla rivoluzione bolivariana, segnalando però al tempo stesso i limiti e le contraddizioni del cosiddetto "socialismo bolivariano".
Ripubblichiamo di seguito un articolo di Moreno Pasquinelli su questi temi - articolo di 7 anni fa ma estremamente attuale alla luce degli avvenimenti in corso.
Forza e limiti della rivoluzione bolivariana
di Moreno Pasquinelli
(28 settembre 2010)
Mentre celebra il dodicesimo anniversario dell’avvento al potere, Chavez festeggia il suo ennesimo, seppure zoppo, successo elettorale. Le elezioni parlamentari svoltesi domenica scorsa (la percentuale dei votanti è stata del 66,45%, la più alta mai registrata) hanno assegnato al PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) 95 dei 165 seggi, ovvero la maggioranza relativa, mentre le opposizioni del MUD (Mesa de Unidad Democratica, un’accozzaglia che va dalla sinistra all’estrema destra) ne hanno conquistati 64 (ben più di quanto sperava). Non fosse stato per il sistema elettorale (che assegna il 60% degli scranni con meccanismo uninominale e il restante 40% col proporzionale) il MUD avrebbe vinto, avendo conquistato, in termini assoluti, il 52% dei voti. Per questo le opposizioni hanno festeggiato con gran baccano la loro “vittoria”.
Il PSUV ha sì vinto, ma la sua è una vittoria a metà. Dopo la sconfitta nel Referendum costituzionale del dicembre 2007, Chavez aveva bisogno di almeno due terzi dei seggi per introdurre nuove pillole di socialismo. Non lo potrà fare, e si deve preparare alla più lunga e decisiva delle campagne elettorali, le presidenziali del 2012.
I media occidentali da dodici anni ci assillano sul carattere populista e autoritario dello chavismo. L’accusa è che il Venezuela bolivariano non sarebbe un regime democratico. Occorre una bella faccia tosta per affermare una simile stupidaggine. Se si dovesse usare un parametro marxista classico infatti, il chavismo dovrebbe essere bollato come un vero movimento social-democratico, visto che da dodici anni si sottopone al vaglio del consenso elettorale, affermando che il passaggio al socialismo dovrà avvenire, non con un atto di forza rivoluzionario, ma appunto nel quadro del sistema democratico-costituzionale e nel rispetto di regole che non possono essere definite altrimenti che liberali.
La determinazione con la quale l’Occidente imperialistico sostiene l’opposizione antichavista, la dice lunga sulla protervia della borghesia venezuelana, sul suo carattere sordidamente reazionario e classista. Non è alla democrazia, o ai principi liberali in quanto tali (e che sempre, fino all’arrivo di Chavez, esse hanno sistematicamente calpestato) che le vecchie e oligarchiche classi dominanti sono affezionate, ma ai loro interessi, ovvero al loro predominio sociale. Ça va sans dire.
Nicolas Maduro, il successore di Chavez |
Altre volte abbiamo avuto modo di esprimere, parallelamente alla solidarietà alla rivoluzione di velluto chavista, tutti i dubbi sulla plausibilità di un passaggio al socialismo per via costituzionale e parlamentare, ovvero evitando ogni “traumatica” rottura rivoluzionaria. Sarebbe in effetti la prima volta nella storia che ciò accadrebbe. Saranno gli avvenimenti futuri ad emettere la sentenza, ovvero se il Venezuela invaliderà o confermerà la tesi marxista per cui solo attraverso un atto di forza, ovvero distruggendo il vecchio apparato statale e costruendone uno a loro misura, le classi subalterne potranno effettivamente emanciparsi e fuoriuscire dal capitalismo. Che ci auguriamo? Che il tentativo venezuelano abbia successo. La fretta dissolvitrice, o «furia del dileguare» come l’avrebbe chiamata Hegel, non è che nel novecento abbia dato prova di grande successo.
Tuttavia non si possono nascondere tutti i limiti e le palesi contraddizioni del cosiddetto “socialismo bolivariano”, addirittura pomposamente chiamato “del XXI secolo”. Se Chavez è ancora in sella lo si deve infatti, non tanto grazie ad un’autentica democrazia rappresentativa, quanto piuttosto alla democrazia plebiscitaria, ovvero ad un sistema presidenzialistico importato bell’e fatto dagli Stati Uniti. Solo i ciechi possono non vedere la stridente antinomia tra l’appello al potere popolare dal basso e la “democrazia partecipativa” di cui il PSUV si fa vanto, e il carattere verticale e bonapartistico del sistema istituzionale preso in eredità e grazie al quale Chavez resta presidente. E non può non destare perplessità (usiamo un eufemismo) che Chavez, per restare Presidente, abbia dovuto ricorrere, nel febbraio del 2009, ad un referendum costituzionale affinché fosse abolito il limite di due mandati.
La stessa vicenda dell’altro referendum costituzionale, quello del dicembre 2007, è esemplare. Il fronte chavista subì una cocente sconfitta, proprio grazie al fatto che le opposizioni poterono apparire come campioni di democrazia. Chavez chiamò i cittadini ad approvare ben 69 dei 359 articoli della Carta Costituzionale (la stessa che egli fece adottare nel 1999). Accanto a regole sinceramente democratiche che implicavano la devoluzione dei poteri verso il basso, ve ne erano altre che rafforzavano i poteri unilaterali e verticali del Presidente, tra cui, ad esempio, quello di rimuovere i governatori provinciali. Una contraddizione lampante, una contraddizione nella quale il chavismo continua a dimenarsi e continuerà a dimenarsi fino a quando il perno del processo di cambiamento sarà appeso alla sua figura carismatica.
In questo senso non sono solo plausibili ma veritiere le critiche velenose al caudillismo e/o al peronismo impliciti nei meccanismi di costruzione del consenso e di amministrazione del potere da parte di Chavez. E’ dunque da condividere la spocchia di certa sinistra-occidentale-con-la-puzza-sotto-il-naso? Per niente! Il caudillismo è certo un fardello, ma non un orpello delle società e delle tradizioni latino-americane. Si tratta al contrario di una forma, per quanto deplorevole, profondamente radicata in America Latina, una forma che ha permeato a fondo la società civile e la stessa sinistra. Se non la si può spazzare via per decreto, occorre farci i conti. Di qui l’ibridazione tra il presidenzialismo istituzionale di marca nord-americana e il populismo anticapitalista di Chavez.
Sarà la storia, dicevamo, ad emettere l’ardua sentenza, ovvero se il passaggio al socialismo potrà avvenire nel quadro della democrazia liberale (possiamo immaginare quanto entusiasta sarebbe uno come il nostro Gobetti davanti alla sfida chavista).
Fidel Castro, in un commento dei risultati delle elezioni di domenica, ha parlato di “grande vittoria”, una vittoria tanto meno incerta a causa “… della fedeltà al Presidente delle Forze Armate venezuelane, che sostengono la rivoluzione”. Castro, che di rivoluzioni se ne intende, ha messo il dito nella piaga. Tra un’elezione e l’altra, tra un referendum e l’altro, l’ago vero della bilancia è stato e resta la forza armata, l’esercito. Fino a quando Chavez conserverà la fedeltà dei militari, il processo democratico sarà salvo, appunto grazie a questa sentinella. Ove Chavez perdesse il controllo delle forze armate, è fin troppo facile pronosticare un colpo di stato — di cui quello fallito nell’aprile 2002 e sostenuto dagli USA fu solo una prova generale.
A quel punto una guerra civile sarà pressoché inevitabile, e tutto sarà deciso dai rapporti di forza, dall’uso della forza. Il punto non è tanto che Marx e Lenin si saranno presi la loro rivincita di dottrina, il punto è se le forze socialiste venezuelane saranno pronte, ovvero se si stanno già preparando all’evenienza, o se si dimostreranno prigioniere delle speranze di un passaggio al socialismo a dosi omeopatiche, ovvero di quella che la storia ha invalidato come una pia illusione.
* Fonte: Campo Antimperialista
16 commenti:
E sulla questione Venezuela interviene anche il Papa, perorando la causa di sedicenti mediatori. E chi sono mai questi mediatori? Quattro presidenti uno più oligarchico-globalista dell'altro.
Vogliamo un esempio? Cosa dice wikipedia di codesto Leonel Fernadez che lui nomina?
"Fernández's administrations have focused much on technological and infrastructural development and macroeconomic and monetary stability (no hyperinflationary crisis has occurred under Fernández and PLD administrations)
La stabilità monetaria e lo spauracchio dell'iperinflazione, questi sono fatti tutti con lo stampino di Chicago. Papa Francesco Barack primo non si smentisce mai.
Ma che c'entra sto discorso del bonapartismo.
Il problema è che in America Latina esiste una borghesia rivolta all'estero quindi copptata dalle élite internazionali e un'altra borghesia che è "locale".
Come si contendono il potere?
Disputandosi il consenso popolare entrambe in chiave populista MA AVENDO UN PUNTO IN COMUNE: cioè che il popolo è considerato una massa di incapaci da mantenere in uno stato di inferiorità permanente.
Che poi non è uno schema molto diverso da quello dei paesi pià progrediti del cosiddetto occidente.
Quindi in Venezuela ha preso il potere la fazione della borghesia locale o meglio la fazione popolare della borghesia locale.
Cosa è successo?
Che i capi erano davvero ispirati ma il resto ha seguito lo schema tipico di quel continente e cioè per primissima cosa ha creato una nuova classe dirigente che è subito diventata una "nuova borghesia" fondata sulla distinzione dal popolo.
Ha addirittura un nome apposito questa nuova classe sociale, questa "borghesia bolivariana" e si chiama "boliburguesia".
https://es.wikipedia.org/wiki/Boliburgues%C3%ADa
Ora questi neo-imbecilli di piccola borghesia parvenue così facendo hanno perso il contatto con il popolo proprio mentre i nemici usavano tutte le armi a loro disposizione, incluso l'aiuto degli USA, per mandare a monte il progetto chavista.
Nel frattempo LA STESSA IDENTICA SITUAZIONE si è ripetuta negli altri paesi sudamericani ribelli in particolare in Argentina e quindi
1) per l'attacco dei paesi imperialisti l'economia non progrediva
2) per l'arrivismo delle nuove borghesie o delle vecchie borghesie locali al potere il legame col popolo veniva a mancare quindi la genhte si sentiva (come sempre) tradita
3) sommersi dai problemi i paesi sudamericani ribelli hanno cominciato a trascurare quello che era l'unico fondamento delle speranze di successo del loro progetto e cioè UNA UNIONE INTERNAZIONALE FRA PAESI ANTI IMPERIALISTI in primis in America Latina ma poi anche con paesi di altri continenti
Sotto l'attacco sempre più intenso degli USA e dei suoi vassalli, col popolo che non li segue più, divisi a livello continentale, si trovano adesso in un vicolo cieco dal quale, così come sono, non potranno più uscire.
MA... guardate cosa sta succeendo in Brasile dove nonostante il cambio di regime ricominciano le proteste...
Il problema è che il sistema non si regge più e proprio la globalizzazione se in prima battuta ha favorito i paesi imperialisti, sul lungo periodo sta facendo venir meno le basi del loro dominio perché il rapporto imperiale tipo XX secolo funzionava solo con una certa "distanza" tra provincia e centro dell'Impero che oggi con le tecnologie sia dei trasporti che informatiche si sta assottigliando sempre di più.
Solo che non si realizza il fattore essenziale e cioè la presa di coscienza delle masse, su quello siamo in un ritardo che fa pensare che forse si tratta di un passaggio puramente teorico.
Rimane però il dato di fatto che le linee di faglia si stanno moltplicando a tutti i livelli e quidni almeno la speranza che succeda un qualcosa di impersonale, una rivoluzione per marasma senile del sistema e non per consapevolezza finalmente raggiunta dal popolo, una speranza in questo senso resta ancora viva.
Certo che se la sinistra comprendesse che in questa fase è necessaria una alleanza con le destre populiste si riuscirebbe ad accelerare un minimo i tempi.
bisogna capire alcune cose (per chi non vive in sudamerica).
1) in sudamerica oltre la metà della forza lavoro NON è dipendente, è autonoma: micro-capitalisti, micro-contadini proprietari, micro-commercianti, micro-artigiani, micro-camionisti. questo è tipico di economie sottosviluppate (in italia gli autonomi sono il 20%, in svizzera e uk il 10%). in una situazione del genere credo che anche per il marxismo classico una rivoluzione comunista sarebbe impossibile.
2) dal 2007 molte cose cambiarono. la bomba atomica fu la sciagurata "legge dei prezzi giusti" varata nel 2014, con cui lo stato impone i prezzi di tutti i principali prodotti di consumo in tutte e 3 le fasi (produzione, ingrosso, dettaglio). l'ho esaminata bene: i prezzi alla produzione (o all'importazione) sono assurdamente alti, quelli all'ingrosso e al dettaglio assurdamente bassi.
praticamente sta legge ha fatto fallire tutte le categorie di cui al punto 1, oltre la metà delle famiglie. allora tutti sti poveracci si sono dati al contrabbando (e giù repressione ovviamente) col risultato di prezzi ancora più alti di prima.
3) aggiungiamoci le copiose "nazionalizzazioni" di medie e grandi imprese, il più delle volte prese in gestione da sub-caudilli totalmente incapaci o anche abbandonate.
4) la frittata è servita! non mi capacito come ancora oggi qualcuno faccia provvedimenti folli del genere... forse frutto delle consulenze di toni negri?
gino.
@Gino
Mi pare che la legge dei przzi giusti non ci sia in Brasile, Argentina e Bolivia eppure i problemi per i partiti sudamericani antimperialisti ci sono comunque.
Vorrei far presente alcuni punti chiave
1) in Brasile Temer ha il gradimento più basso dell'intera storia brasiliana. La realtà è che la situazione di quei paesi non è rimediabile se non dopo uno stravolgimento sia dei rapporti geopolitici (cioè con il centro dell'impero) sia sociali, nel senso che in quel continente dovrebbe essere totalmente rivisto il rapporto quota salari/quota profitti e limitate le disuguaglianze sia di status che di proprietà materiale (ci sono famiglie che sono proprietarie di territori dell'estensione di uno stato europeo).
Non sta nascendo una nuova consapevolezza ma ci si avvicina sempre di più al momento in cui le contraddizioni del sistema diventeranno risolvibili solo tramite un conflitto aperto
2) bisogna capire che non sono le idee dare corpo al progetto politico ma "la persona", il vero "carisma" weberiano anche se variamente declinato.
In Brasile se al posto di Dilma fosse finito nello scandalo Lula il suo destino sarebbe stato diversissimo da quello che è toccato alla Rousseff.
Dobbiamo imparare questo dalle destre e dobbiamo selezionare una persona che abbia questo carisma. Non è un peccato nè un infamia ricorrere al carisma personale ma è una inevitabile fase di passaggio propedeutica a una vera rivoluzione politica e culturale.
3) destra e sinistra SI DEVONO ALLEARE CONTRO IL NEMICO COMUNE altrimenti non ce la faranno mai perché sulla loro divisione e su quella sociale che la prima sottende, batte il nemico per sconfiggere le forze popolari.
Gli si leva l'arma della incompatibilità di destra e sinistra e si trova spiazzato senza possibilità di risposta.
Lo so, è tanto difficile da capire...ma ci arriverete, vederete...
anonimo 19.02,
1) io in brasile ci vivo da 20anni e vedo che molte cose non le hai chiare.
2) in brasile e argentina i governi di "sx" hanno sì problemi (di chiara derivazione usa, tramite magistratura) ma la gente non muore di fame come in venezuela. il brasile negli ultimi 15 anni è stato uno dei pochissimi paesi al mondo in cui la quota salari è salita, le condizioni di vita sono migliorate di brutto. non ci sarà nessun conflitto aperto, un po' per questo e un po' perchè il 90% della popolazione non s'interessa di politica.
la "sx" in brasile in realtà ha fatto (a mio avviso a ragione) una politica di "centro", favorendo anche le imprese. non ha rovinato nessuno con leggi da manicomio (quello che fa maduro è talmente pazzesco che arrivai a pensare, in un attacco acuto di complottismo, che fosse in realtà un agente usa) o con espropri coi fucili.
3) non sai che lula, e altre centinaia di politici a grandi imprenditori, è al centro di scandali e indagini pure lui.
4) il PT l'ha capito eccome che è necessario il culto carismatico e infatti lula ce l'ha. e infatti nonostante gli scandali, se non va in galera, l'anno prossimo rivincerà le elezioni.
quello che il PT non ha capito è che è necessario possedere canali TV, ora tutti in mano alle dx e alle chiese evangeliche con base negli usa.
5) sul tuo punto 3 concordo ed è la mia idea da 20 anni.
gino.
Per informazione.
Il Papa rinuncia alla sua visita in Brasile e nella lettera a Temer in cui lo avverte della sua mancata bpvenuta gli dice di non cedere alle ideologie della mano invisibile.
Mo' comunista mi pare troppo però almeno peronista ossia populista sí...
Sono segnali perché le élite hanno ancora il potere di ostacolare i politici che non si lasciano asservire ma sono costretti a mandare avanti delle mezze figure come Temer in Brasile e Macron in Francia, mezze figure che finiscono per attirare l'odio delle popolazioni.
La strada è molto più lunga e accidentata di quello che si poteva credere ma abbiamo ancora delle chance.
Gino
Il fatto che vivi in Brasile da vent'anni non significa niente. Vedi qui in Italia dove la gente ancora non ha capito nulla dell'euro, della spesa dello stato e di tante altre cose.
Inoltre, senza polemica, ma proprio non hai capito cosa ho scritto.
Per esempio sugli scandali di Lula.
Hai appena scritto ESATTAMENTE quello che ho detto io ma mi rispondi come se io avessi scritto il contrario.Rileggi e te ne accorgi.
Il suggerimento sul carisma era rivolto alla sinistra italiana, non al PT, non so se è chiaro.
Inoltre se è vero che ci sono state delle ottime iniziative come mas medico o quella che non mi ricordo come si chiama per la casa, mi pare minha casa, il PT ha comunque creato una cricca di potere, qualcosa di analogo alla boliburguesia venezuelana, ed è proprio su quella che hanno colpito gli avversari.
Il problema, come ho cercato si dire, è che però si tratta di una mentalità sudamericana generalizzata cioè chi va al potere "inevitabilmente" si sente in dovere di creare un gruppo che cerca di trarre dei profitti personali.
Lo fa Collor de Mello, lo fa Lula, lo fa Temer. Tutti.
Certo che fare un discorso un minimo non banale è tanto difficile...
anonimo 10.28
oltre che vivere in brasile sono un economista (antieuro), ma sono sicuro che manco questo basterà.
mi pare che tu stesso abbia avuto allucinazioni circa ciò che tu stesso scrivesti, alloria copioincollo:
"Mi pare che la legge dei przzi giusti non ci sia in Brasile, Argentina e Bolivia eppure i problemi per i partiti sudamericani antimperialisti ci sono comunque"
con questo volevi sganciare la causalità tra quella legge e la fame odierna in venezuela, causalità invece a mio avviso chiara.
"in quel continente dovrebbe essere totalmente rivisto il rapporto quota salari/quota profitti"
e ti ho scritto che in brasile fu fatto.
"se al posto di Dilma fosse finito nello scandalo Lula"
significa che per te lula NON è finito nello scandalo, invece c'è finito. quindi o non sapevi che lula è nello scandalo o, se lo sapevi, ti sei espresso in modo errato.
"Dobbiamo imparare questo dalle destre e dobbiamo selezionare una persona che abbia questo carisma"
stavi parlando di sudamerica e qui non vedo nominare la sx italiana. non abbiamo poteri paranormali per leggere nel tuo cervello se le cose non le scrivi.
quindi, prima di accusare gli altri di cretinismo, vedi TU di scrivere in italiano.
poi fossi in te avrei interesse a sentire cos'à da dire gente che vive "in loco", perchè dubito che voi in italia sappiate i dettagli dei provvedimenti di politica economica che vengono presi qui.
gino.
Anonimo delle 15:29
Evidentemente essendo in Sudamerica abusi di qualche fungo locale.
Scrivi in preda a sospetta esaltazione:
"quindi, prima di accusare gli altri di cretinismo, vedi TU di scrivere in italiano"
Caro amico DOVE TI AVREI ACCUSATO DI CRETINISMO?
E' che sei di quelli che proprio non sopportano di essere contraddetti e se qualcuno lo fa la prendono come una offesa mortale.
Rilassati e datti meno importanza.
Sul fatto se Lula sarebbe stato travolto o no.
Guarda che se ne parlava proprio qualche giorno fa anche a Radio Radicale con il loro corrispondente che vive in Brasile e conoscendo quel paese anche io piuttosto bene concordo con loro.
Lo scandalo di Lula è stato effettivamente un problema di corruzione che però, come sai, ha lasciato intatto il gradimento di Lula fra i brasiliani; quello della Rousseff invece è di fondo una questione politica quindi secondo me (e secondo il corrispondente di radio radicale) Lula sarebbe riuscito a venirne fuori.
Non ho detto che ne sono sicuro né che hai detto una stupidaggine, ho solo detto come la penso.
Sul problema del prezzo giusto come hai letto benissimo non ho deto che non c'entra niente ma che la causa principale è un'altra. Tu affermi che in Brasile è stato cambiato il rapporto salari/profitti ma è successo solo in minima parte, le disuguaglianze esagerate sussistono oggi come prima.
Ci sono meno poveri che dormono per strada ma per altri versi il gap di classe è addirittura aumentato.
Quindi per chiarire: il problema del divario di classe e della frattura interna alla borghesia in Sudamerica è a mio avviso la causa principale del mancato successo di questo decennio di "rivolta" dell'America Latina.
Questo divario di classe molto accentuato (come scrive anche Darcy Ribeiro che sicuramente avrai letto) coincide concettualmente con le distinzioni di razza ossia i sudamericani percepiscono le differenze di classe come differenze razziali il che impedisce alla radice l'unione di borghesia e popolo ma anche un fronte popolare realmente coeso.
La ragione storico culturale di questo atteggiamento viene dalla penisola iberica ed è stato messo in atto legalmente nel virreinato de Nueva Espana con la divisione del popolo in caste coloniali che codificava in nuove forme la limpieza de sangre.
https://es.wikipedia.org/wiki/Sistema_de_castas_colonial
Il Brasile non era in quel vicereame ma quella mentalità era diffusissima anche in Portogallo e immagino tu sappia quali forme subdole prenda oggi il razzismo in Brasile.
Se non lo sai ti leggi Darcy Ribeiro e ne riparliamo.
Mi raccomando leggi assolutamente anche Jesse Souza che magari ti scocca la scintilla
http://livraria.folha.com.br/livros/sociologia/tolice-inteligencia-brasileira-jesse-souza-1326110.html
L'anonimo delle 10.28 (che non sono io) non ha accusato nessuno di cretinismo. Il fatto di vivere in loco non è garanzia di infallibilità. Certo chiedergli con questo tono di scrivere in italiano e poi aggiungere "cos'à da dire" è davvero petaloso. Escluderei anche l'errore di battitura.
anonimo 20.13,
mi ha associato agli italiani che "non capiscono nulla" dell'euro. poi "non capisco nulla" di ciò che lui scrive. ora prendo pure i funghetti allucinogeni e sono "sospettosamente esaltato".
al paese mio chi "non capisce nulla" è un cretino.
comunque non è importante.
anonimo 15.29 (e scrivetelo un nome, anche falso, no?)
- ribeiro è morto 20 anni fa. in brasile è ancora alta la disparità di reddito ma negli ultimi 15 anni si è RIDOTTA. è falso quello che hai scritto: "il gap di classe è addirittura aumentato". evoluzione quota salari:
https://3.bp.blogspot.com/-HPc91a3Uw14/V0zJGpbOYnI/AAAAAAAAQ_Q/3BmsL155rqcQWkzmUJQ-wVUfSevwXgZcACLcB/s1600/Renda%2Bdo%2BTrabalho%2Bno%2BPIB%2B1995%2Ba%2B2012%2B.jpg
- lula per ora non s'è affatto salvato, ci sono vari processi in cui è imputato. ogni giorno sbucano nuove accuse, testimoni e pentiti contro di lui. non è fra quelli che hanno rubato di più ma è un una brutta situazione. ed è l'obiettivo n.1.
il corrispondente di r.radicale (begli amici che c'hai) dal brasile non può non sapere ste cose che occupano la metà di ogni TG ogni giorno.
gino.
Gino
I funghetti li ho turato fuori DOPO che hai dato la rispostaccia immotivata. Comunque va bene cosí.
Saudades
Gino abbi pazienza
La disparità di classe NON coincide con la disparità di reddito
E comunque andateci in Brasile così verificate con i vostri occhi.
Rio, Sao Paulo etc ma soprattutto dopo aver visitato quelle grandi mete turistiche fatevi un salto nel Sertao interno, in Parà, e Amazonas che se tornate interi vi si saranno aperti gli occhi su tante cose non solo del Brasile ma della vita in generale.
anonimo 11.59.
io in brasile ci vivo da 20 anni e lo conosco da 30 anni.
vivo in una favela di una grande città.
ho vissuto nell'interno in villaggi di 30 case dove manco c'era la luce.
ho dormito nelle miniere di smeraldi a campo formoso dove la "casa" era 4 pali per terra e tetto di frasche. svariate volte i proiettili m'hanno fischiato a mezzo metro dalle orecchie... che dici, è sufficiente come conoscenza del brasile verace?
poi, ho parlato di reddito/quota salari perchè citata da altri e perchè è facile trovare grafici in proposito. metti tu grafici di altri parametri che indichino un peggioramento delle condizioni della classe bassa in brasile, poi casomai discutiamo.
gino.
Dalla favela vedi male evidentemente.
le disuguaglianze sociali stanno CRESCENDO in Brasile
Leggi qui.
http://brasil.elpais.com/brasil/2017/03/21/politica/1490112229_963711.html
Anche se sono passati 5 giorni da questo post mi sembra interessante la notizia dei colloqui fra i cinesi e Maduro.
Essi appoggiano il sovranismo costituzionale, non è una sorpresa ma è una notizia con ricadute interessanti anche per noi.
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