[ 27 aprile ]
All'alba del 27 aprile di ottanta anni fa, dopo una lunga prigionia che aggravò la sua malattia, moriva Antonio Gramsci.
Moriva un uomo «intimo, riservato, razionale, severo, nemico dei sensitivi e delle cose facili, fedele alla classe operaia nella buona come nella cattiva sorte, agonizzante in una cella, con tutto un esercito di poliziotti che cercano di sottrarlo al ricordo e all’amore di un popolo (...) Un uomo per cui conta(va) solo la coerenza e la fedeltà a un ideale, a una causa, che vive di se stessa, indipendentemente da ogni carriera e da ogni interesse personale».
Così, nella cerimonia di commemorazione che si svolse a Parigi il 22 maggio del 1937, lo descrisse Carlo Rosselli, 18 giorni prima di venire ucciso a sua volta da sicari fascisti assieme al fratello Nello.
Moriva un comunista, un martire degli operai e dei contadini, un italiano che non barattò la sua personale libertà sull'altare di un disonorevole compromesso col fascismo.
Fosse solo per questo Gramsci merita di essere ricordato e la sua figura presa ad esempio.
Ma non è solo per questo che noi onoriamo la sua memoria e lo consideriamo un maestro.
Gramsci è stato un grande pensatore, un pensatore rivoluzionario.
La sua opera, i suoi studi complessi, le sue argute riflessioni, sono una pietra miliare della cultura italiana. Malgrado i mutamenti sociali e politici avvenuti le tesi e le idee che ci ha lasciato conservano una straordinaria attualità.
Nei decenni, in ogni angolo del mondo, innumerevoli sono stati i convegni sul suo pensiero. Con i saggi ed i libri su Gramsci si potrebbe riempire una biblioteca. Nell'ultimo trentennio di miserabile egemonia del pensiero unico neoliberista, la figura di Antonio Gramsci ha subito invece una vera e propria Damnatio memoriae.
Proprio adesso che il nostro Paese vive una crisi storica, forse la più grave della sua tormentata esistenza, è il momento di riprendere il filo del discorso, di ricominciare a studiare il pensiero di Gramsci. Lo dobbiamo alle nuove generazioni, lo dobbiamo al nostro popolo, lo dobbiamo a noi stessi. Studiare non per amore di una mera erudizione, ma per cambiare il mondo. Come scriveva Gramsci:
All'alba del 27 aprile di ottanta anni fa, dopo una lunga prigionia che aggravò la sua malattia, moriva Antonio Gramsci.
Moriva un uomo «intimo, riservato, razionale, severo, nemico dei sensitivi e delle cose facili, fedele alla classe operaia nella buona come nella cattiva sorte, agonizzante in una cella, con tutto un esercito di poliziotti che cercano di sottrarlo al ricordo e all’amore di un popolo (...) Un uomo per cui conta(va) solo la coerenza e la fedeltà a un ideale, a una causa, che vive di se stessa, indipendentemente da ogni carriera e da ogni interesse personale».
Così, nella cerimonia di commemorazione che si svolse a Parigi il 22 maggio del 1937, lo descrisse Carlo Rosselli, 18 giorni prima di venire ucciso a sua volta da sicari fascisti assieme al fratello Nello.
Moriva un comunista, un martire degli operai e dei contadini, un italiano che non barattò la sua personale libertà sull'altare di un disonorevole compromesso col fascismo.
Fosse solo per questo Gramsci merita di essere ricordato e la sua figura presa ad esempio.
Ma non è solo per questo che noi onoriamo la sua memoria e lo consideriamo un maestro.
Gramsci è stato un grande pensatore, un pensatore rivoluzionario.
La sua opera, i suoi studi complessi, le sue argute riflessioni, sono una pietra miliare della cultura italiana. Malgrado i mutamenti sociali e politici avvenuti le tesi e le idee che ci ha lasciato conservano una straordinaria attualità.
Nei decenni, in ogni angolo del mondo, innumerevoli sono stati i convegni sul suo pensiero. Con i saggi ed i libri su Gramsci si potrebbe riempire una biblioteca. Nell'ultimo trentennio di miserabile egemonia del pensiero unico neoliberista, la figura di Antonio Gramsci ha subito invece una vera e propria Damnatio memoriae.
Proprio adesso che il nostro Paese vive una crisi storica, forse la più grave della sua tormentata esistenza, è il momento di riprendere il filo del discorso, di ricominciare a studiare il pensiero di Gramsci. Lo dobbiamo alle nuove generazioni, lo dobbiamo al nostro popolo, lo dobbiamo a noi stessi. Studiare non per amore di una mera erudizione, ma per cambiare il mondo. Come scriveva Gramsci:
«La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri».
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