[ 21 aprile ]
Perché voteremmo Jean Luc Mélenchon
Siamo alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi, il cui esito in ogni caso sarà decisivo per accelerare o rallentare quello che comunque si sta manifestando come un inevitabile processo di dissoluzione della Unione Europea e di crisi di legittimazione delle oligarchie finanziarie da essa rappresentate.
La rapida e imprevedibile ascesa nei sondaggi del candidato della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon dimostra il fallimento e i limiti della propaganda globalista ed eurista, una crociata mediatica tutta tesa a dimostrare l’equazione che liquida ogni forma di dissenso verso la governance europea e le politiche di austerità come populista, nazionalista e pericolosamente fascista.
Le principali questioni poste in essere e che riguardano il destino dell’Unione Europea, della moneta unica euro e della NATO, vedono aprirsi a sinistra tramite Mélenchon un’importante finestra, e questo al di là delle reali possibilità del candidato de La France Insoumise di superare il primo turno o addirittura di diventare il nuovo presidente della Francia.
Sul piano ideologico un risultato che non può considerarsi effimero è quello di aver dimostrato come il patriottismo, la sovranità nazionale e il populismo sono i pilastri della dialettica tra tardo capitalismo e democrazia e non certo nozioni frutto di derive ascrivibili al campo delle destre xenofobe, come vorrebbe la narrazione ufficiale.
L’uscita dalla trappola dell’euro e dei trattati europei se è stata finora una prerogativa quasi esclusiva delle destre lo si deve solo al colpevole ritardo e alla scomparsa delle sinistre storiche, incapaci di rappresentare le istanze dei ceti popolari e di ritrovare sobrietà dopo la sbornia globalista in cui i diritti sociali venivano barattati con i diritti civili e l’internazionalismo delle classi lavoratrici confuso col cosmopolitismo del capitale apolide il quale ha urgenza di sbarazzarsi delle sovranità nazionali per ipotecare una volta per tutte la democrazia e impedire l’affermazione delle sovranità popolari.
Le elezioni presidenziali francesi sono importanti perché il popolo d’oltralpe ha la possibilità di decidere, nel segno della continuità o della rottura, il proprio destino e di condizionare quello degli altri popoli europei.
Malgrado si svolgano nel quadro del sistema presidenzialistico della V. Repubblica (France Insoumise chiede infatti una nuova e più democratica costituzione) si tratta di elezioni decisive, non scontate e che si aprono a diverse opzioni significativamente alternative e cruciali, un momento di democrazia come in Italia non ne vediamo da anni e in cui le due opposizioni principali all’attuale quadro di potere, quelle rappresentate da Marine Le Pen e da Mélenchon, rivendicano, nelle analogie e nelle differenze ideologiche e di programma, il primato della politica sull’economia.
Bisogna riconoscere a Jean-Luc Mélenchon di aver contribuito a sinistra nel dibattito sui bisogni reali dei ceti popolari e produttivi minacciati dallo strapotere delle élite speculative e finanziarie e da una Unione Europea costruita su misura a garanzia di interessi oligarchici. Non importa qui sottolineare luci ed ombre di una visione politica che probabilmente sopravvaluta il piano A sulla base di un convincimento che nutre molte aspettative sulla rinegoziazione dei trattati europei in forza dell’inevitabilità di un accordo incentrato sull’asse franco-tedesco, lasciando al piano B la soluzione di rottura definitiva con la UE in caso di fallimento dei negoziati.
Quello che importa ora è di aver dimostrato sul piano teorico che una rottura con le oligarchie globaliste può avvenire sulla base dei principi universalistici della sinistra, laddove la sovranità nazionale non è il nazionalismo ma lo spazio giuridico in cui esercitare la democrazia e difendere gli interessi dei ceti popolari, il patriottismo non è pretesa di superiorità ma un presupposto nobile di fratellanza in una visione cooperativa e di reciprocità con altri popoli liberi, e infine il populismo non è demagogia ma la richiesta politica di giustizia sociale da parte di tutti i cittadini che sono in basso contro una esigua ma potente élite che domina dall’alto.
Il popolo francese ha spesso mostrato un’indole capace di cogliere in anticipo prospettive di mutamenti storici che i poteri dominanti possono rallentare ma non fermare.
L’augurio che facciamo a questo popolo in occasione delle elezioni presidenziali è di non rinunciare all’opportunità democratica di cambiamento e di esempio per gli altri popoli europei e di rendersi ancora una volta artefice del proprio destino.
Siamo alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi, il cui esito in ogni caso sarà decisivo per accelerare o rallentare quello che comunque si sta manifestando come un inevitabile processo di dissoluzione della Unione Europea e di crisi di legittimazione delle oligarchie finanziarie da essa rappresentate.
La rapida e imprevedibile ascesa nei sondaggi del candidato della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon dimostra il fallimento e i limiti della propaganda globalista ed eurista, una crociata mediatica tutta tesa a dimostrare l’equazione che liquida ogni forma di dissenso verso la governance europea e le politiche di austerità come populista, nazionalista e pericolosamente fascista.
Le principali questioni poste in essere e che riguardano il destino dell’Unione Europea, della moneta unica euro e della NATO, vedono aprirsi a sinistra tramite Mélenchon un’importante finestra, e questo al di là delle reali possibilità del candidato de La France Insoumise di superare il primo turno o addirittura di diventare il nuovo presidente della Francia.
Sul piano ideologico un risultato che non può considerarsi effimero è quello di aver dimostrato come il patriottismo, la sovranità nazionale e il populismo sono i pilastri della dialettica tra tardo capitalismo e democrazia e non certo nozioni frutto di derive ascrivibili al campo delle destre xenofobe, come vorrebbe la narrazione ufficiale.
L’uscita dalla trappola dell’euro e dei trattati europei se è stata finora una prerogativa quasi esclusiva delle destre lo si deve solo al colpevole ritardo e alla scomparsa delle sinistre storiche, incapaci di rappresentare le istanze dei ceti popolari e di ritrovare sobrietà dopo la sbornia globalista in cui i diritti sociali venivano barattati con i diritti civili e l’internazionalismo delle classi lavoratrici confuso col cosmopolitismo del capitale apolide il quale ha urgenza di sbarazzarsi delle sovranità nazionali per ipotecare una volta per tutte la democrazia e impedire l’affermazione delle sovranità popolari.
Le elezioni presidenziali francesi sono importanti perché il popolo d’oltralpe ha la possibilità di decidere, nel segno della continuità o della rottura, il proprio destino e di condizionare quello degli altri popoli europei.
Malgrado si svolgano nel quadro del sistema presidenzialistico della V. Repubblica (France Insoumise chiede infatti una nuova e più democratica costituzione) si tratta di elezioni decisive, non scontate e che si aprono a diverse opzioni significativamente alternative e cruciali, un momento di democrazia come in Italia non ne vediamo da anni e in cui le due opposizioni principali all’attuale quadro di potere, quelle rappresentate da Marine Le Pen e da Mélenchon, rivendicano, nelle analogie e nelle differenze ideologiche e di programma, il primato della politica sull’economia.
Bisogna riconoscere a Jean-Luc Mélenchon di aver contribuito a sinistra nel dibattito sui bisogni reali dei ceti popolari e produttivi minacciati dallo strapotere delle élite speculative e finanziarie e da una Unione Europea costruita su misura a garanzia di interessi oligarchici. Non importa qui sottolineare luci ed ombre di una visione politica che probabilmente sopravvaluta il piano A sulla base di un convincimento che nutre molte aspettative sulla rinegoziazione dei trattati europei in forza dell’inevitabilità di un accordo incentrato sull’asse franco-tedesco, lasciando al piano B la soluzione di rottura definitiva con la UE in caso di fallimento dei negoziati.
Quello che importa ora è di aver dimostrato sul piano teorico che una rottura con le oligarchie globaliste può avvenire sulla base dei principi universalistici della sinistra, laddove la sovranità nazionale non è il nazionalismo ma lo spazio giuridico in cui esercitare la democrazia e difendere gli interessi dei ceti popolari, il patriottismo non è pretesa di superiorità ma un presupposto nobile di fratellanza in una visione cooperativa e di reciprocità con altri popoli liberi, e infine il populismo non è demagogia ma la richiesta politica di giustizia sociale da parte di tutti i cittadini che sono in basso contro una esigua ma potente élite che domina dall’alto.
Il popolo francese ha spesso mostrato un’indole capace di cogliere in anticipo prospettive di mutamenti storici che i poteri dominanti possono rallentare ma non fermare.
L’augurio che facciamo a questo popolo in occasione delle elezioni presidenziali è di non rinunciare all’opportunità democratica di cambiamento e di esempio per gli altri popoli europei e di rendersi ancora una volta artefice del proprio destino.
21 aprile 2017
1 commento:
Sarebbe veramente qualcosa di nuovo se a sfidare Marine Le Pen fosse Melanchon. Allora veramente l'élite sarebbe alla frutta. Purtroppo passerà Macro. Ma tra 5 anni, visto che non cambiano politiche economiche, si tireranno le somme. Sarà dura.
Posta un commento