[ 17 aprile ]
Cosa ci dice il DEF (Documento di Economia e Finanza) 2017 presentato nei giorni scorsi dal governo? Ci dice in sostanza una cosa sola: l'Italia, e la politica economica del governo, sono in una specie di limbo che non avrà fine prima della conclusione del ciclo elettorale che inizierà in Francia domenica prossima, proseguirà in Germania a settembre, e si concluderà proprio nel nostro Paese verosimilmente nel febbraio 2018.
Quello di Gentiloni è dunque il DEF della massima incertezza, perché nessuno in realtà può dire come sarà messa l'UE nei prossimi mesi. Basta pensare ai possibili scenari post-elettorali in Francia per rendersene conto.
Tanta incertezza ha consigliato il massimo di prudenza agli estensori del DEF. Prudenza che si traduce in una sorta di doppio binario comunicativo. Da un lato la piena, totale, inossidabile adesione ai dogmi euristi; dall'altro la prosecuzione della linea degli "spazi di flessibilità". Sui dogmi ovviamente non si scherza, sulla flessibilità come sempre si spera.
Il senso del DEF è davvero tutto qui. Nel testo si ritrovano le litanie di sempre sulla bellezza delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, della riduzione della spesa pubblica, senza peraltro mai spiegare come mai questa linea in voga da decenni abbia solo prodotto, in definitiva, la più grave crisi degli ultimi ottant'anni.
Sui dati macroeconomici, che sono poi il cuore di questi documenti programmatici, si cerca di dire che le cose vanno bene - «l'economia italiana si è avviata su un sentiero di graduale ripresa», si legge - cercando di far credere che questa strada dei piccoli passi sia quella giusta. Ma di quali passi si parla? Innanzitutto del Pil, cresciuto - dopo la perdita di 9 punti dal 2008 al 2013 - dello 0,1% nel 2014, dello 0,8% nel 2015, dello 0,9% nel 2016. Insomma, non si è ancora recuperato un quinto di quella perdita e già si vorrebbe cantare vittoria!
Ma la cosa più interessante è la previsione per i prossimi anni, dove si indicano tassi di crescita inchiodati tra l'1 e l'l,1,1% fino al 2020. Ora, siccome è ben noto come queste previsioni siano sempre improntate al dovere d'ufficio dell'ottimismo, non è difficile capire che la realtà che ci aspetta si chiama, nel migliore dei casi, stagnazione.
Abbiamo già detto della piena osservanza dei dogmi euristi. Vediamo in concreto quel che risulta dal quadro programmatico indicato nel DEF. Il rapporto deficit/Pil, ridottosi dello 0,3% nel 2015 come nel 2016, e previsto in identica diminuzione nel 2017, vedrebbe triplicarsi questo taglio (dal 2,1 all'1,2%) nel 2018, per poi accelerare allo 0,2% nel 2019, fino al mitico zero del 2020.
Tutto ciò per rispettare le pazzesche regole del fiscal compact, la cui follia è ben rappresentata da un'altra serie di numeretti contenuti nel documento firmato dal duo Gentiloni-Padoan, quelli relativi agli avanzi primari. Qui il percorso indicato prevede di passare dal +1,5% del Pil del 2016, all'1,7% del 2017, al 2,5% del 2018, al 3,5% del 2019, al 3,8% del 2020. Detto in soldoni, si punta ad arrivare ad un avanzo primario (entrate meno uscite) di ben 65 miliardi annui!
Il bello è che il governo ammette ormai apertamente che le manovre restrittive finiscono per deprimere l'economia, ma non può fare a meno di proseguire sulla strada imposta da Bruxelles. E sull'avanzo primario, non contento del record italiano dell'ultimo ventennio, si arriva a volerlo incrementare del 253%! Complimenti.
Questo almeno sulla carta, perché in realtà si vorrebbe tentare un percorso assai più morbido, tipo quello degli ultimi tre anni, ma proprio non si ha il coraggio di dirlo, tantomeno di pretenderlo. Dunque, alla fine, tutto dipenderà dai padroni tedeschi. I quali agiranno in base ai propri interessi ed alla loro strategia, alla luce dell'evolversi della crisi dell'Unione.
Insomma, se da un lato la narrazione dell'«austerità che fa bene all'economia» è ormai solo un ricordo del passato, dall'altro si sa solo aggrapparsi al classico «Io speriamo che me la cavo» del famoso bambino napoletano.
Che il DEF gentiloniano sia sostanzialmente falso ce lo dice nientemeno che il governativo a prescindere Corriere della Sera, il cui titolo «Un Def “finto” in attesa della trattativa Ue. Per ora resta il deficit 2018 all’1,2%. Ma il governo punta a salire al 2%», proprio non lascia spazio a dubbi.
Naturalmente, in questa banale osservazione sulla inattendibilità delle cifre del DEF c'è un'implicita critica rigorista al compromesso raggiunto a Palazzo Chigi. Critica resa più esplicita nell'articolo di Guido Tabellini sul Sole 24 Ore di ieri. Tabellini, come si conviene al giornale dei padroni del vapore, vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca. Egli riconosce sì che crescita ed austerità non vanno troppo d'accordo, ma insiste sui tagli alla spesa e - soprattutto - sulla necessità di finanziare la riduzione dei contributi sociali con l'aumento della tassazione diretta e indiretta. Dunque, scattino pure gli aumenti dell'IVA delle cosiddette "clausole di salvaguardia", che invece il governo punta a disinnescare, purché servano a ridurre i contributi a lorsignori.
Non solo. Tabellini troverebbe positivo a tal fine pure l'aumento della tassazione diretta, cioè dell'Irpef. E qui incontra la graziosa "dimenticanza" del successore di Renzi. Mentre il Bomba aveva promesso, nell'ordine, il taglio delle tasse sulla casa (Imu), poi di quelle sulle aziende (Ires ed Irap), per arrivare infine alla tassa sul reddito delle persone fisiche (Irpef), il DEF 2017 cancella del tutto la riduzione di quest'ultima tassa. Dunque, mentre anche i proprietari di ville e castelli hanno avuto i loro benefici fiscali, come pure l'hanno avuto le aziende, ai lavoratori non resterà invece che pagare l'Irpef come sempre. Se non addirittura qualcosa di più, come sembrerebbe auspicare l'ineffabile Tabellini.
Prima di chiudere è il caso di spendere qualche riga su un altro punto sul quale si era accesa una discussione anche all'interno dello stesso governo, quello delle privatizzazioni. Anche su questo terreno, come su quello dell'avanzo primario, l'Italia ha stabilito negli anni passati il record mondiale del settore. Ci siamo occupati dei risultati catastrofici di questa politica in un altro articolo e non ci torniamo sopra. Ma oltre ai disastri economici e sociali prodotti, è chiaro che l'aver privatizzato (e spesso svenduto) a più non posso negli anni passati, fa sì che oggi non ci sia rimasto molto a disposizione della follia privatizzatrice.
E tuttavia, al fine di abbattere il debito, Renzi si era impegnato a realizzare nuove privatizzazioni al ritmo annuo dello 0,5% del Pil (circa 8 miliardi di euro), mentre oggi Gentiloni abbassa la stima allo 0,3%, pari a circa 5 miliardi. Ma che il meccanismo delle privatizzazioni si vada in qualche modo inceppando è dimostrato dalla modalità con la quale si prevede di realizzarle nel prossimo futuro. «Troveremo modi e canali, anche originali, per gestire questo aspetto», ha detto il ministro dell'Economia. Secondo quel che scrive tra gli altri La Stampa: «La soluzione creativa cui fa riferimento Padoan è più che altro un gioco di prestigio: il governo sta studiando la cessione alla Cassa depositi e prestiti di alcune delle quote in suo possesso fra Eni, Enel, Poste e Leonardo. Il piano è stato ribattezzato "Capricorno" e servirà a tenere a bada il mostro del debito».
Ora, siccome l'azionista di maggioranza (82,77%) della Cassa depositi e prestiti è il ministero dell'Economia, è chiaro che lo scopo dell'operazione è di tipo meramente contabile. Anche il tema delle privatizzazioni sta entrando dunque in un limbo tutto da scoprire? E' presto per dirlo, ma forse è anche da questi particolari che si può notare la crisi dell'impianto neoliberista.
Concludiamo, tornando ad un'osservazione di carattere più generale sul DEF. Quel che possiamo dire è che si tratta di un documento in perfetta continuità con la linea liberista ed eurista dell'ultimo quarto di secolo, ma pensato più che altro ai fini della navigazione politica dei prossimi mesi. Navigazione verso le elezioni all'interno, navigazione nelle burrascose acque europee all'esterno.
Non è dunque un documento da prendersi troppo sul serio riguardo al quadro macroeconomico che disegna. Ed il fatto che ciò venga tranquillamente ammesso anche negli ambienti governativi è il segno di quanto siano confuse le cose nel campo dei dominanti. E di quanto sia incerto il futuro di quell'Unione Europea che è la destinataria del compitino redatto dal ministro Padoan.
1 commento:
In aggiunta direi che ormai i dati del pil ovvero dati statistici e non reali, tanto che negli Usa vengono allegramente rivisti dopo qualche mese, sono ampiamente manipolabili e inaffidabili, oltre ad essere ormai solo relativamente significativi.
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