[ 28 aprile ]
Tra due settimane, probabilmente, Emmanuel Macron ascenderà vittorioso allo scranno presidenziale: fossi francese (senza essere un banchiere, un rinomato professionista o un intellettuale di grido), non gli regalerei tuttavia il mio voto, a nessun costo.
Marine Le Pen non suscita in chi scrive né simpatia né particolari ripulse: è una politica scafata e ambiziosa - forse fin troppo ambiziosa, visto che ben difficilmente nel breve-medio periodo vedrà avverarsi i suoi sogni di gloria. Il cognome, che pur le ha spianato inizialmente la strada, costituisce per lei il freno maggiore[1], assieme a un “fronte” ancor oggi pieno zeppo – stimo – di nostalgici ed estremisti impresentabili. A essere sincero, non mi dispiacciono la sua visione critica dell’Europa attuale (anche se, con ogni probabilità, la “nuova Europa” che lei vagheggia non assomiglia per niente a quella che ho in testa io, malgrado talune casuali assonanze) e alcuni aspetti del suo programma economico-sociale, aggiornato negli anni e contenente proposte che avremmo definito, un tempo, di “sinistra moderata” (e che, se comparate a quelle del “regressista” Macron, potrebbero sembrare oggidì quasi di sinistra estrema). In ogni caso, lasciarsi sedurre dai programmi elettorali è da ingenui: infiniti esempi, gli ultimi dei quali racchiusi nel trentennio che va da Mitterrand a Tsipras, ci ammoniscono che quasi mai essi trovano attuazione pratica, e che il tentativo – caro a partiti interclassisti come il FN - di sposare gli interessi dei padroni (o padroncini) con quelli di impiegati e operai si risolve di regola in una beffa per le maestranze.
Detto questo – che nella Le Pen non ho eccessiva fiducia, anzi ne ho ben poca – aggiungo che una sua improbabile affermazione potrebbe essere foriera di conseguenze tutt’altro che negative. La reazione del sistema (dalle borse ai media) al risultato del primo turno è stata sgangheratamente entusiastica: facile arguirne che un rovesciamento dei pronostici in maggio prenderebbe in contropiede l’establishment, mettendolo in seria crisi. Non si potrebbe più affermare, con sicumera da talk show, che i successi colti dai “populisti” sono stati un irripetibile accidente, una parentesi aperta dalla Brexit e chiusa da Trump (o Renzi): allo sgomento dei potenti farebbe da contraltare la presa di coscienza, da parte delle masse anonime, che nessuna storia è già scritta, e che in questo mondo tutto – ma veramente tutto - può ancora accadere. In fondo, anche l’esito del referendum su Alitalia era scontato per i media… senza contare che, paradossalmente, una sinistra autentica all’opposizione intransigente di Marine troverebbe maggiore ascolto, su tv e giornali, di quello ottenuto finora, e ben più spazio di quei coriandoli di notizie che le sarebbero sprezzantemente concessi regnante Macron. Infine, rivolgo un invito alla riflessione a chi ama ammantarsi della toga del riformista e pensa che le cose possano sempre aggiustarsi a un tavolo di trattativa: non è meglio, o meno peggio, avere per controparte un avversario vistosamente indebolito che uno tracotante e sicuro del suo strapotere? Se l’aveva istintivamente capito un Orazio qualunque, potrebbero farcela anche i nostri acuti intellettuali…
Ma lasciamo stare la Le Pen per concentrarci non su Macron, bensì sui tanti suoi sostenitori che albergano nella c.d. sinistra italiana. Tralasciando il PD, che è sovrastruttura della destra economica al pari del movimento En Marche!, mi pare di poter individuare tre diverse categorie di tifosi.
I primi li definirei gli “indottrinati”: sono quei militanti e dirigenti che, in qualsiasi direzione si voltino, scorgono uno squadrista col coltello fra i denti e la camicia nera. Si tratta perlopiù di gente in buona fede, che magari coi neofascisti si è scontrata sul serio; può darsi in gioventù abbia fatto uso di qualche allucinogeno, ma dosi ben più massicce di droga mediatica sono state propinate a costoro dagli anni ’90 in poi. Lo ricordate Gianfranco Fini che dipinge il fascismo come “male assoluto”? Non credo fosse farina del suo sacco, ma slogan come il suddetto, ripetuti a ritmo martellante, si sono impressi indelebilmente nelle coscienze anche (e soprattutto) dei vecchi militanti di sinistra. Se il fascismo è il male assoluto (e l’ideale comunista non sta bene esibirlo troppo, perché ci narrano che si fondava sui gulag) qualsiasi alternativa ad esso è, nella peggiore delle ipotesi, un male minore, che poi può essere abbellito fino a diventare un quasi bene. L’antidoto al fascismo metafisico e atemporale è la democrazia, parola vuota ma sonante: così è stato insegnato, e anche quando sgangherate parodie vengono presentate su sfondi desolati, ebbene, non sarà difficile strappare agli indottrinati un applauso. Forza Macron, perché la Le Pen è Belzebù e il grido En Marche! un esorcismo.
La seconda categoria di macroniani è composta da quasi tutti i transfughi del PD e da buona parte di coloro che bazzicano SI e consimili formazioni della “sinistra radicale ma non troppo”: mi piace chiamare costoro renziani a loro insaputa. Cosa intendo? Intendo che questa gente si è opposta e si oppone a Renzi per questioni eminentemente personali (cioè di posti, potere e visibilità) ovvero perché non ne condivide il modus operandi – non perché abbia un progetto politico, una visione della società e del futuro che siano incompatibili con quelli del fiorentino. D’Alema, Bersani e compagnia bella hanno da tempo optato per il liberismo nella sua versione global: la prova dell’assunto ce la forniscono politiche e frequentazioni ben precedenti alla discesa in campo del “giovanotto” toscano. Le liberalizzazioni, la precarizzazione del mercato del lavoro non sono infatti imputabili a Renzi, sebbene quest’ultimo abbia spinto sul pedale con particolare veemenza. Lo stesso Bersani, d’altra parte, ha rotto su una questione marginalissima e – come avrebbe detto Vendola, quando concionava ancora nei salotti televisivi – “politicista”, dopo aver votato l’invotabile, cancellazione dell’articolo 18 compresa. Mettiamola in questi termini: la c.d. sinistra interna si è alzata dal tavolo renziano non perché schifata dalla pietanza liberista, ma semplicemente perché non poteva sopportare la villania – e, passatemi il termine, la “schiettezza” – del nuovo padrone di casa, che diceva pane al pane e invitava al suo desco personaggi che era consigliabile frequentare solo di nascosto. Essendo Macron un liberista più beneducato di Matteo, lo benedicono, non trovando nulla da ridire su politiche che rappresentano una continuazione soltanto un pochino più hard delle loro. Per questi macroniani la sinistra si riduce a un pieno di diritti civili, qualche goccia di beneficenza e tante mielose parole di conforto per chi sta sempre peggio: la loro adesione al sistema è solo formalmente critica.
Da ultimo ci sono i macroniani a sorpresa, quelli che – dopo averci riempito la testa per anni con il predominio della finanza, la spietatezza delle multinazionali e la sottomissione di una politica venduta – scoprono all’improvviso che il sistema in cui viviamo è ancora “il migliore dei mondi possibili” e si esibiscono in capriole dialettiche per concludere che sì, in fondo il programma di Macron non è mica male, lui vuole riformare l’Europa, giusto? Insomma, dopo aver denunciato per almeno un lustro i guasti della propaganda capitalista, realizzano che la stessa è di loro gusto e i finanzieri sono stati diffamati ingiustamente. “Hanno commesso errori”, chioserebbero contriti i macroniani della seconda categoria, per essere subito consolati dai neoconvertiti: “sì, ma si stanno redimendo, cambieranno l’Europa e ci restituiranno i diritti di cui, per sbaglio, hanno fatto scempio.” Qui non si tratta – attenzione! – di riformisti che si ribellano ai “rivoluzionari” in nome del buon senso: i riformisti e i rivoluzionari del ‘900 si scontravano sui mezzi, non sul fine ultimo, che era pur sempre la costruzione di una società socialista. Per i neoconvertiti, invece, comunismo e socialismo sono tutt’a un tratto diventati ingombrante ciarpame: il globalismo liberista è qualcosa di ineluttabile, tanto vale accoglierlo con inni gioiosi. Per quanto riguarda la vicenda francese, le argomentazioni pro Macron sono intellettualmente poca cosa, un fritto misto di antifascismo da indottrinati (categoria 1) e – per l’appunto – di preteso realismo (categoria 2). L’aggravante risiede nel fatto che costoro – come ho premesso – per anni e anni hanno frequentato assiduamente convegni di ogni sorta, lanciando allarmi e anatemi contro il sistema: sono quindi meno perdonabili degli intossicati da propaganda e persino degli opportunisti “storici”, che mai si sono sognati di proporre un cambio di regime. Ad inchiodarli, oggi, sono proprio gli esercizi di retorica che ci hanno ammannito per lungo tempo, e che si sono rivelati semplici chiacchiere da kermesse politica, senza seguito né costrutto.
Concludo: l’accusa di “fascismo” scagliata contro Marine Le Pen è apodittica e in mala fede, perché funzionale a non affrontare le questioni realmente significative. Non sostengo che la candidata del FN non sia una nazionalista: lo è, ma questo non è affatto sinonimo di fascismo, così come non è necessariamente esclusiva dei “fascisti” una ragionata cautela nei confronti dell’immigrazione (rimando a quanto scrissi oltre un anno fa su Bandiera Rossa[2]). Ammettiamo però per assurdo che, nel suo intimo, Marine Le Pen sia fascistissima, e poniamoci un quesito: questo la renderebbe davvero il nemico pubblico numero uno? Alba Dorata mi fa sincero ribrezzo, ma ad ammazzare la Grecia, a gettare sul lastrico e a causare “indirettamente” la morte di migliaia e migliaia di individui non sono stati i “fascisti”: è stata una cricca sovranazionale impersonata da manager e funzionari impeccabilmente vestiti, che mai si sporcherebbero le dita maneggiando l’olio di ricino. Macron assomiglia tanto, ma davvero tanto, a questo identikit, e la prova offerta come ministro di Holland ci dice molto sulla sua vicinanza (rectius: appartenenza) a quell’èlite perniciosa.
Se esiste un “male assoluto”, oggi, il suo volto è quello delle troike e dei loro mandanti: per questo in maggio, fossi francese, mi guarderei bene dal votare Macron. Astensione o voto contro: tertium non datur.
Confesso che non mi spaventano eventuali accuse di “rossobrunismo”: sono scempiaggini e paccottiglia propagandistica, nient’altro. Mi rattrista semmai l’impossibilità per il sottoscritto di incidere sugli eventi, di contribuire ad arrestare questa deriva disumana… ma, raggiunta l’età adulta, gli uomini devono imparare a convivere con la loro miserabile limitatezza e io – sia pur con sofferenza – l’ho fatto da un pezzo.
NOTE
[1] In verità, tocca riconoscere che ce n’è uno ancor più arduo da superare: la totale sfiducia che nutre nei suoi confronti il Gotha economico-finanziario.
[2] http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2015/09/frau-merkel-i-migranti-e-ammiano.html.
«Confesso che non mi spaventano eventuali accuse di “rossobrunismo”: sono scempiaggini e paccottiglia propagandistica, nient’altro. Mi rattrista semmai l’impossibilità per il sottoscritto di incidere sugli eventi, di contribuire ad arrestare questa deriva disumana… ma, raggiunta l’età adulta, gli uomini devono imparare a convivere con la loro miserabile limitatezza e io – sia pur con sofferenza – l’ho fatto da un pezzo».
Tra due settimane, probabilmente, Emmanuel Macron ascenderà vittorioso allo scranno presidenziale: fossi francese (senza essere un banchiere, un rinomato professionista o un intellettuale di grido), non gli regalerei tuttavia il mio voto, a nessun costo.
Marine Le Pen non suscita in chi scrive né simpatia né particolari ripulse: è una politica scafata e ambiziosa - forse fin troppo ambiziosa, visto che ben difficilmente nel breve-medio periodo vedrà avverarsi i suoi sogni di gloria. Il cognome, che pur le ha spianato inizialmente la strada, costituisce per lei il freno maggiore[1], assieme a un “fronte” ancor oggi pieno zeppo – stimo – di nostalgici ed estremisti impresentabili. A essere sincero, non mi dispiacciono la sua visione critica dell’Europa attuale (anche se, con ogni probabilità, la “nuova Europa” che lei vagheggia non assomiglia per niente a quella che ho in testa io, malgrado talune casuali assonanze) e alcuni aspetti del suo programma economico-sociale, aggiornato negli anni e contenente proposte che avremmo definito, un tempo, di “sinistra moderata” (e che, se comparate a quelle del “regressista” Macron, potrebbero sembrare oggidì quasi di sinistra estrema). In ogni caso, lasciarsi sedurre dai programmi elettorali è da ingenui: infiniti esempi, gli ultimi dei quali racchiusi nel trentennio che va da Mitterrand a Tsipras, ci ammoniscono che quasi mai essi trovano attuazione pratica, e che il tentativo – caro a partiti interclassisti come il FN - di sposare gli interessi dei padroni (o padroncini) con quelli di impiegati e operai si risolve di regola in una beffa per le maestranze.
Detto questo – che nella Le Pen non ho eccessiva fiducia, anzi ne ho ben poca – aggiungo che una sua improbabile affermazione potrebbe essere foriera di conseguenze tutt’altro che negative. La reazione del sistema (dalle borse ai media) al risultato del primo turno è stata sgangheratamente entusiastica: facile arguirne che un rovesciamento dei pronostici in maggio prenderebbe in contropiede l’establishment, mettendolo in seria crisi. Non si potrebbe più affermare, con sicumera da talk show, che i successi colti dai “populisti” sono stati un irripetibile accidente, una parentesi aperta dalla Brexit e chiusa da Trump (o Renzi): allo sgomento dei potenti farebbe da contraltare la presa di coscienza, da parte delle masse anonime, che nessuna storia è già scritta, e che in questo mondo tutto – ma veramente tutto - può ancora accadere. In fondo, anche l’esito del referendum su Alitalia era scontato per i media… senza contare che, paradossalmente, una sinistra autentica all’opposizione intransigente di Marine troverebbe maggiore ascolto, su tv e giornali, di quello ottenuto finora, e ben più spazio di quei coriandoli di notizie che le sarebbero sprezzantemente concessi regnante Macron. Infine, rivolgo un invito alla riflessione a chi ama ammantarsi della toga del riformista e pensa che le cose possano sempre aggiustarsi a un tavolo di trattativa: non è meglio, o meno peggio, avere per controparte un avversario vistosamente indebolito che uno tracotante e sicuro del suo strapotere? Se l’aveva istintivamente capito un Orazio qualunque, potrebbero farcela anche i nostri acuti intellettuali…
Ma lasciamo stare la Le Pen per concentrarci non su Macron, bensì sui tanti suoi sostenitori che albergano nella c.d. sinistra italiana. Tralasciando il PD, che è sovrastruttura della destra economica al pari del movimento En Marche!, mi pare di poter individuare tre diverse categorie di tifosi.
I primi li definirei gli “indottrinati”: sono quei militanti e dirigenti che, in qualsiasi direzione si voltino, scorgono uno squadrista col coltello fra i denti e la camicia nera. Si tratta perlopiù di gente in buona fede, che magari coi neofascisti si è scontrata sul serio; può darsi in gioventù abbia fatto uso di qualche allucinogeno, ma dosi ben più massicce di droga mediatica sono state propinate a costoro dagli anni ’90 in poi. Lo ricordate Gianfranco Fini che dipinge il fascismo come “male assoluto”? Non credo fosse farina del suo sacco, ma slogan come il suddetto, ripetuti a ritmo martellante, si sono impressi indelebilmente nelle coscienze anche (e soprattutto) dei vecchi militanti di sinistra. Se il fascismo è il male assoluto (e l’ideale comunista non sta bene esibirlo troppo, perché ci narrano che si fondava sui gulag) qualsiasi alternativa ad esso è, nella peggiore delle ipotesi, un male minore, che poi può essere abbellito fino a diventare un quasi bene. L’antidoto al fascismo metafisico e atemporale è la democrazia, parola vuota ma sonante: così è stato insegnato, e anche quando sgangherate parodie vengono presentate su sfondi desolati, ebbene, non sarà difficile strappare agli indottrinati un applauso. Forza Macron, perché la Le Pen è Belzebù e il grido En Marche! un esorcismo.
La seconda categoria di macroniani è composta da quasi tutti i transfughi del PD e da buona parte di coloro che bazzicano SI e consimili formazioni della “sinistra radicale ma non troppo”: mi piace chiamare costoro renziani a loro insaputa. Cosa intendo? Intendo che questa gente si è opposta e si oppone a Renzi per questioni eminentemente personali (cioè di posti, potere e visibilità) ovvero perché non ne condivide il modus operandi – non perché abbia un progetto politico, una visione della società e del futuro che siano incompatibili con quelli del fiorentino. D’Alema, Bersani e compagnia bella hanno da tempo optato per il liberismo nella sua versione global: la prova dell’assunto ce la forniscono politiche e frequentazioni ben precedenti alla discesa in campo del “giovanotto” toscano. Le liberalizzazioni, la precarizzazione del mercato del lavoro non sono infatti imputabili a Renzi, sebbene quest’ultimo abbia spinto sul pedale con particolare veemenza. Lo stesso Bersani, d’altra parte, ha rotto su una questione marginalissima e – come avrebbe detto Vendola, quando concionava ancora nei salotti televisivi – “politicista”, dopo aver votato l’invotabile, cancellazione dell’articolo 18 compresa. Mettiamola in questi termini: la c.d. sinistra interna si è alzata dal tavolo renziano non perché schifata dalla pietanza liberista, ma semplicemente perché non poteva sopportare la villania – e, passatemi il termine, la “schiettezza” – del nuovo padrone di casa, che diceva pane al pane e invitava al suo desco personaggi che era consigliabile frequentare solo di nascosto. Essendo Macron un liberista più beneducato di Matteo, lo benedicono, non trovando nulla da ridire su politiche che rappresentano una continuazione soltanto un pochino più hard delle loro. Per questi macroniani la sinistra si riduce a un pieno di diritti civili, qualche goccia di beneficenza e tante mielose parole di conforto per chi sta sempre peggio: la loro adesione al sistema è solo formalmente critica.
Da ultimo ci sono i macroniani a sorpresa, quelli che – dopo averci riempito la testa per anni con il predominio della finanza, la spietatezza delle multinazionali e la sottomissione di una politica venduta – scoprono all’improvviso che il sistema in cui viviamo è ancora “il migliore dei mondi possibili” e si esibiscono in capriole dialettiche per concludere che sì, in fondo il programma di Macron non è mica male, lui vuole riformare l’Europa, giusto? Insomma, dopo aver denunciato per almeno un lustro i guasti della propaganda capitalista, realizzano che la stessa è di loro gusto e i finanzieri sono stati diffamati ingiustamente. “Hanno commesso errori”, chioserebbero contriti i macroniani della seconda categoria, per essere subito consolati dai neoconvertiti: “sì, ma si stanno redimendo, cambieranno l’Europa e ci restituiranno i diritti di cui, per sbaglio, hanno fatto scempio.” Qui non si tratta – attenzione! – di riformisti che si ribellano ai “rivoluzionari” in nome del buon senso: i riformisti e i rivoluzionari del ‘900 si scontravano sui mezzi, non sul fine ultimo, che era pur sempre la costruzione di una società socialista. Per i neoconvertiti, invece, comunismo e socialismo sono tutt’a un tratto diventati ingombrante ciarpame: il globalismo liberista è qualcosa di ineluttabile, tanto vale accoglierlo con inni gioiosi. Per quanto riguarda la vicenda francese, le argomentazioni pro Macron sono intellettualmente poca cosa, un fritto misto di antifascismo da indottrinati (categoria 1) e – per l’appunto – di preteso realismo (categoria 2). L’aggravante risiede nel fatto che costoro – come ho premesso – per anni e anni hanno frequentato assiduamente convegni di ogni sorta, lanciando allarmi e anatemi contro il sistema: sono quindi meno perdonabili degli intossicati da propaganda e persino degli opportunisti “storici”, che mai si sono sognati di proporre un cambio di regime. Ad inchiodarli, oggi, sono proprio gli esercizi di retorica che ci hanno ammannito per lungo tempo, e che si sono rivelati semplici chiacchiere da kermesse politica, senza seguito né costrutto.
Concludo: l’accusa di “fascismo” scagliata contro Marine Le Pen è apodittica e in mala fede, perché funzionale a non affrontare le questioni realmente significative. Non sostengo che la candidata del FN non sia una nazionalista: lo è, ma questo non è affatto sinonimo di fascismo, così come non è necessariamente esclusiva dei “fascisti” una ragionata cautela nei confronti dell’immigrazione (rimando a quanto scrissi oltre un anno fa su Bandiera Rossa[2]). Ammettiamo però per assurdo che, nel suo intimo, Marine Le Pen sia fascistissima, e poniamoci un quesito: questo la renderebbe davvero il nemico pubblico numero uno? Alba Dorata mi fa sincero ribrezzo, ma ad ammazzare la Grecia, a gettare sul lastrico e a causare “indirettamente” la morte di migliaia e migliaia di individui non sono stati i “fascisti”: è stata una cricca sovranazionale impersonata da manager e funzionari impeccabilmente vestiti, che mai si sporcherebbero le dita maneggiando l’olio di ricino. Macron assomiglia tanto, ma davvero tanto, a questo identikit, e la prova offerta come ministro di Holland ci dice molto sulla sua vicinanza (rectius: appartenenza) a quell’èlite perniciosa.
Se esiste un “male assoluto”, oggi, il suo volto è quello delle troike e dei loro mandanti: per questo in maggio, fossi francese, mi guarderei bene dal votare Macron. Astensione o voto contro: tertium non datur.
Confesso che non mi spaventano eventuali accuse di “rossobrunismo”: sono scempiaggini e paccottiglia propagandistica, nient’altro. Mi rattrista semmai l’impossibilità per il sottoscritto di incidere sugli eventi, di contribuire ad arrestare questa deriva disumana… ma, raggiunta l’età adulta, gli uomini devono imparare a convivere con la loro miserabile limitatezza e io – sia pur con sofferenza – l’ho fatto da un pezzo.
NOTE
[1] In verità, tocca riconoscere che ce n’è uno ancor più arduo da superare: la totale sfiducia che nutre nei suoi confronti il Gotha economico-finanziario.
[2] http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2015/09/frau-merkel-i-migranti-e-ammiano.html.
4 commenti:
"Se esiste un “male assoluto”, oggi, il suo volto è quello delle troike e dei loro mandanti: per questo in maggio, fossi francese, mi guarderei bene dal votare Macron. Astensione o voto contro: tertium non datur."
Un messaggio chiaro che senza fare un endorsment alla Le Pen mette però in chiaro quale sia l'urgenza, chi sia davvero invotabile. Lascia agli elettori liberi in un momento difficile ma indica le priorità.
Altro che rossobruno. Anche meglio di Militant. Viva Norberto Fragiacomo.
Ihihih...sono anni che ne parlo...glielo avevo detto anche a uno della redazione un annetto fa e lui mi aveva guardato scandalizzato...
Oggi cominciano faticosamente a capire che per combattere il nemico principale CI SI DEVE ALLEARE ANCHE E'la lentezza che li frega a questi compagni di mezza età avanzata...
Ci si avesse pensato prima oggi tutta la sinistra andrebbe il 7 maggio a votare Le Pen e l'UE crollerebbe la mattina dopo.
Lenti e poco elastici.
E censurate mi raccomando...purtroppo però il fatto resta quello...ciao e buon weekend :D
C è poco da ridere
E vedo adesso, da un tweet di Mazzalai, che secondo il sole 24 ore Marine Le Pen starebbe già assumendo posizioni più moderate sull'euro. Del resto aveva sempre promesso un referendum (come Grillo eh) un anno dopo.
Commentando l'articolo di Brancaccio avevo scritto: "non sono neppure tanto sicuro che essa voglia o possa davvero uscire dall'euro", questo confermerebbe il mio dubbio.
Astensione o voto contro Macron, non appoggio alla Le Pen. Del resto, bionda come Trump anche se con pettinatura diversa.
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