[ 5 aprile ]
Per Brancaccio né il protezionismo, né tantomeno svalutazioni valutarie competitive, sono soluzioni sostenibili ai guasti colossali causati dagli squilibri commerciali, risultato a loro volta di un dissennato liberoscambismo.
Per Brancaccio né il protezionismo, né tantomeno svalutazioni valutarie competitive, sono soluzioni sostenibili ai guasti colossali causati dagli squilibri commerciali, risultato a loro volta di un dissennato liberoscambismo.
Brancaccio ritiene che esistano «... modi più intelligenti per cercare di riequilibrare gli scambi tra paesi e favorire così uno sviluppo mondiale più disciplinato». E indica, sulla base degli stessi principi normativi di FMI e ILO (pallide reminiscenze del keynesismo), quali potrebbero essere questi "modi più intelligenti". Francamente una soluzione che poco ci convince, non fosse perché, in ambiente capitalistico, uno sviluppo mondiale "equilibrato e più disciplinato" si è rivelato sempre una pia illusione. Vorremmo sbagliarci ma alle spalle della soluzione formale suggerita da Brancaccio sospettiamo si nasconda la sua opposizione ad una politica economica fondata sul principio della piena sovranità nazionale....
Tra liberismo e protezionismo, meglio uno “standard sociale” sugli scambi internazionali
«Trump infiamma il dibattito mondiale tra liberisti e protezionisti annunciando l’introduzione di barriere commerciali USA contro l’importazione di merci dall’Europa e dall’Asia. Come alcuni avevano previsto, la grande crisi iniziata nel 2008, in larga misura irrisolta, ha portato nuovamente alla ribalta il vecchio tema dei dazi doganali.
C’è chi grida allo scandalo ma a ben guardare la svolta di Trump non rappresenta un’eccezione: di fatto egli accelera una tendenza alla restrizione degli scambi che i dati ufficiali registravano già da alcuni anni, negli Stati Uniti e in gran parte del mondo. Per alcuni sarà difficile ammetterlo, ma siamo al cospetto di una tipica nemesi storica: proprio il liberoscambismo incontrollato degli anni passati è una delle cause dell’odierno revival protezionista.
Per anni abbiamo voluto credere che l’accumulo di deficit e di surplus verso l’estero sarebbe stato risolto dai meccanismi spontanei del mercato. Il risultato è che alla fine della scorsa decade siamo arrivati a registrare una serie straordinaria di record dei disavanzi verso l’estero degli Stati Uniti e corrispondenti avanzi commerciali di Cina e Germania, con i primi due solo in parte rientrati e il terzo che continua imperterrito la sua corsa funesta.
Oggi, dunque, ci troviamo ad addentare il frutto avvelenato degli enormi squilibri globali alimentati da quella ingenua visione liberista degli scambi internazionali. La stessa Brexit, che è stata interpretata in tanti modi creativi, andrebbe letta alla luce dell’irrisolto disavanzo britannico verso l’economia tedesca.
I più ostinati difensori del libero mercato oggi sostengono che le autorità americane e degli altri paesi in deficit farebbero meglio a lasciare che le loro monete si svalutino spontaneamente, in modo da ridare competitività alle merci nazionali senza bisogno di imporre barriere commerciali. Ma l’idea di ripristinare l’equilibrio economico tra nazioni attraverso la mera fluttuazione delle valute sui mercati è un’altra fantasia liberista. In realtà, questa soluzione scatenerebbe guerre monetarie destabilizzanti, con effetti persino peggiori di un moderato protezionismo.
Del resto, a chi si scaglia contro il ritorno dei controlli amministrativi sui conti esteri bisognerebbe ricordare che tra gli economisti non c’è consenso intorno alla dottrina del libero scambio. Il premio Nobel Paul Samuelson riconosceva che i teoremi favorevoli alla libertà dei commerci non funzionano quando c’è disoccupazione di massa. Un altro premio Nobel, Paul Krugman, ha ammesso che il liberoscambismo indiscriminato può far danni e Dani Rodrik, tra gli altri, ha più volte evidenziato i rischi di una globalizzazione finanziaria incontrollata.
In Italia, tra i favorevoli all’introduzione di forme moderate di protezionismo, tese anche a prevenire l’ascesa politica di forze ultranazionaliste, c’era Marcello de Cecco. Tutti studiosi annoverabili nel campo culturale “progressista”, ben lontani dalle nefandezze del trumpismo. La loro lezione si basa oltretutto su un’evidenza: negli anni di massimo sviluppo dell’occidente capitalistico sussistevano vari controlli sugli scambi internazionali, soprattutto di capitali ma anche di merci.
Il problema, piuttosto, è quali tipi di controlli si adottano, e in quali mercati vengono applicati. A questo riguardo, c’è motivo di sospettare che Trump non toccherà il problema prioritario degli effetti destabilizzanti della libera circolazione internazionale dei capitali, mentre insisterà con la fuorviante e retriva propaganda del blocco della circolazione di persone. Inoltre, in campo commerciale c’è il rischio che la sua amministrazione intervenga caso per caso, magari al solo scopo di difendere le industrie degli “amici degli amici”.
Eppure esistono modi più intelligenti per cercare di riequilibrare gli scambi tra paesi e favorire così uno sviluppo mondiale più disciplinato. Preziose, in questo senso, sono le indicazioni degli organismi internazionali che si sono maggiormente occupati del problema. Al riguardo, sarebbe utile ricordare che l’International Monetary Fund (IMF) prevede ancora oggi, nel suo statuto, una clausola che ammette restrizioni agli scambi verso i paesi che si rifiutino di collaborare al riequilibrio dei commerci. Di recente, l’IMF ha pure mostrato disponibilità a riconsiderare il tema del controllo dei movimenti di capitale. Inoltre, l’International Labour Organization (ILO) propone da tempo di vincolare le transazioni con l’estero al rispetto di determinati “standard” a tutela dei lavoratori.
Proprio da una sintesi tra le indicazioni dell’IMF e dell’ILO è possibile trarre una proposta ulteriore, che potremmo chiamare “standard sociale” sui movimenti di capitale, e al limite di merci. Lo “standard sociale” si basa su un’idea in fondo semplice: mettere un freno alla circolazione internazionale dei capitali, e se necessario di merci, da e verso quei paesi che accumulino squilibri verso l’estero a colpi di tagli alla domanda effettiva, e in particolare ai salari e al welfare. Più precisamente, i paesi che accumulassero forti squilibri nelle bilance dei pagamenti in concomitanza con politiche deflattive, potrebbero esser sottoposti a restrizioni più o meno temporanee, in funzione della loro disponibilità o meno a cooperare al riequilibrio esterno. Protetti dalle onde deflattive che provengono dalle nazioni orientate al dumping sociale, i paesi che aderissero allo “standard” potrebbero svilupparsi in modo coordinato e quindi più sostenibile.
Tra le vetuste illusioni di un liberoscambismo in rotta e le inquietanti promesse di un montante protezionismo nazionalista, l’odierna disputa sui commerci è intellettualmente sterile e non farà altro che alimentare il disordine globale. L’avvio di una discussione che rilanci le varie proposte di “standard” sugli scambi di capitali e di merci potrebbe aiutare a recuperare senno politico, e in prospettiva potrebbe contribuire a uno sviluppo più razionale e pacifico delle relazioni economiche internazionali».
C’è chi grida allo scandalo ma a ben guardare la svolta di Trump non rappresenta un’eccezione: di fatto egli accelera una tendenza alla restrizione degli scambi che i dati ufficiali registravano già da alcuni anni, negli Stati Uniti e in gran parte del mondo. Per alcuni sarà difficile ammetterlo, ma siamo al cospetto di una tipica nemesi storica: proprio il liberoscambismo incontrollato degli anni passati è una delle cause dell’odierno revival protezionista.
Per anni abbiamo voluto credere che l’accumulo di deficit e di surplus verso l’estero sarebbe stato risolto dai meccanismi spontanei del mercato. Il risultato è che alla fine della scorsa decade siamo arrivati a registrare una serie straordinaria di record dei disavanzi verso l’estero degli Stati Uniti e corrispondenti avanzi commerciali di Cina e Germania, con i primi due solo in parte rientrati e il terzo che continua imperterrito la sua corsa funesta.
Oggi, dunque, ci troviamo ad addentare il frutto avvelenato degli enormi squilibri globali alimentati da quella ingenua visione liberista degli scambi internazionali. La stessa Brexit, che è stata interpretata in tanti modi creativi, andrebbe letta alla luce dell’irrisolto disavanzo britannico verso l’economia tedesca.
I più ostinati difensori del libero mercato oggi sostengono che le autorità americane e degli altri paesi in deficit farebbero meglio a lasciare che le loro monete si svalutino spontaneamente, in modo da ridare competitività alle merci nazionali senza bisogno di imporre barriere commerciali. Ma l’idea di ripristinare l’equilibrio economico tra nazioni attraverso la mera fluttuazione delle valute sui mercati è un’altra fantasia liberista. In realtà, questa soluzione scatenerebbe guerre monetarie destabilizzanti, con effetti persino peggiori di un moderato protezionismo.
Del resto, a chi si scaglia contro il ritorno dei controlli amministrativi sui conti esteri bisognerebbe ricordare che tra gli economisti non c’è consenso intorno alla dottrina del libero scambio. Il premio Nobel Paul Samuelson riconosceva che i teoremi favorevoli alla libertà dei commerci non funzionano quando c’è disoccupazione di massa. Un altro premio Nobel, Paul Krugman, ha ammesso che il liberoscambismo indiscriminato può far danni e Dani Rodrik, tra gli altri, ha più volte evidenziato i rischi di una globalizzazione finanziaria incontrollata.
In Italia, tra i favorevoli all’introduzione di forme moderate di protezionismo, tese anche a prevenire l’ascesa politica di forze ultranazionaliste, c’era Marcello de Cecco. Tutti studiosi annoverabili nel campo culturale “progressista”, ben lontani dalle nefandezze del trumpismo. La loro lezione si basa oltretutto su un’evidenza: negli anni di massimo sviluppo dell’occidente capitalistico sussistevano vari controlli sugli scambi internazionali, soprattutto di capitali ma anche di merci.
Il problema, piuttosto, è quali tipi di controlli si adottano, e in quali mercati vengono applicati. A questo riguardo, c’è motivo di sospettare che Trump non toccherà il problema prioritario degli effetti destabilizzanti della libera circolazione internazionale dei capitali, mentre insisterà con la fuorviante e retriva propaganda del blocco della circolazione di persone. Inoltre, in campo commerciale c’è il rischio che la sua amministrazione intervenga caso per caso, magari al solo scopo di difendere le industrie degli “amici degli amici”.
Eppure esistono modi più intelligenti per cercare di riequilibrare gli scambi tra paesi e favorire così uno sviluppo mondiale più disciplinato. Preziose, in questo senso, sono le indicazioni degli organismi internazionali che si sono maggiormente occupati del problema. Al riguardo, sarebbe utile ricordare che l’International Monetary Fund (IMF) prevede ancora oggi, nel suo statuto, una clausola che ammette restrizioni agli scambi verso i paesi che si rifiutino di collaborare al riequilibrio dei commerci. Di recente, l’IMF ha pure mostrato disponibilità a riconsiderare il tema del controllo dei movimenti di capitale. Inoltre, l’International Labour Organization (ILO) propone da tempo di vincolare le transazioni con l’estero al rispetto di determinati “standard” a tutela dei lavoratori.
Proprio da una sintesi tra le indicazioni dell’IMF e dell’ILO è possibile trarre una proposta ulteriore, che potremmo chiamare “standard sociale” sui movimenti di capitale, e al limite di merci. Lo “standard sociale” si basa su un’idea in fondo semplice: mettere un freno alla circolazione internazionale dei capitali, e se necessario di merci, da e verso quei paesi che accumulino squilibri verso l’estero a colpi di tagli alla domanda effettiva, e in particolare ai salari e al welfare. Più precisamente, i paesi che accumulassero forti squilibri nelle bilance dei pagamenti in concomitanza con politiche deflattive, potrebbero esser sottoposti a restrizioni più o meno temporanee, in funzione della loro disponibilità o meno a cooperare al riequilibrio esterno. Protetti dalle onde deflattive che provengono dalle nazioni orientate al dumping sociale, i paesi che aderissero allo “standard” potrebbero svilupparsi in modo coordinato e quindi più sostenibile.
Tra le vetuste illusioni di un liberoscambismo in rotta e le inquietanti promesse di un montante protezionismo nazionalista, l’odierna disputa sui commerci è intellettualmente sterile e non farà altro che alimentare il disordine globale. L’avvio di una discussione che rilanci le varie proposte di “standard” sugli scambi di capitali e di merci potrebbe aiutare a recuperare senno politico, e in prospettiva potrebbe contribuire a uno sviluppo più razionale e pacifico delle relazioni economiche internazionali».
* Fonte: Il sole 24 ore del 3 aprile
9 commenti:
Per capire bene la proposta di 'social standard' bisogna andare all'intervento originario di Brancaccio:
http://www.emilianobrancaccio.it/2012/12/10/european-parliament-for-an-international-social-standard-on-money/
Leggendo la proposta per intero si capisce che può essere anche applicata da un SINGOLO PAESE. Quindi le vostre critiche mi sembrano superficiali.
Secondo me questa proposta di 'social standard' può servire anche a costruire un fronte internazionale anti-imperialista. Qui in Italia siamo in balia di fasci e liberisti ma spero che in Francia, dove il compagno Emiliano viene letto e studiato meglio, qualcuno raccolga questa proposta.
Barbarossa
caro barbarossa
andiamo subito a studiare quello che dici essere l'intervento originario e ti ringraziamo per la precisazione.
Il nostro incipit si riferisce al pezzo pubblicato su Il sole 24 ore.
Se come dici (e a noi non pare da una prima lettura) che nel suo intervento a Bruxelles Emiliano era stato "più chiaro", è implicito che il nostro incipit, fraternamente critico, è calzante.
Da una prima lettura (prima lettura ripetiamo) il pregiudizio contro "un non meglio definito sovranismo nazionalista", è equipollente a quello contenuto nel pezzo pubblicato su Il Sole.
Non è un caso, vista l'....equipollenza delle due tribune: l'organo globalista della confindustria e la Conferenza dei sinistroidi europeisti del GUE/NGL....
Brancaccio schifa i nazionalisti, nella migliore li considera ignoranti portatori d'acqua dei fasci, e penso che faccia molto bene. Io lo seguo da anni e devo dire che una volta ero perplesso per la sua aggressività contro ogni tendenza nazionalista. Poi ho visto questa sua lezione capolavoro e ho capito che ha sempre avuto ragione lui:
https://www.youtube.com/watch?v=hLyn2LsAhSw
Per me è solo un merito che lui riesca a scrivere sul Sole 24 Ore e contemporaneamente possa fare interventi di questo tenore, da vero comunista:
https://www.youtube.com/watch?v=97SE9n5W2Sg
Fatevelo dire che sono abbastanza vecchio: Brancaccio è figlio della tradizione gramsciana, è un marxista scientifico leninista e internazionalista. Lui parla di anti-imperialismo, autonomia della politica economica di un paese con grande chiarezza ma non concede un millimetro alle scorciatoie sovraniste perché è convinto ( ce lo ha detto pubblicamente ) che siano strade sotto il totale controllo di quelli che lui chiama senza tante sottigliezze "gattopardi e fascisti".
Spero di no ma forse lui vi chiamerebbe "codisti". Ha torto? Dovete dimostrarlo. Lui per esempio critica il GUE/NGL da quando voi ancora non esistevate. Il GUE lo voleva capolista dell'Altra Europa nel 2014 e lui rifiutò perché già vedeva la fine che avrebbe fatto Tsipras, e lo ha sempre detto pubblicamente. Al suo posto ora c'è la Forenza al Parlamento UE. Se a voi Salvini vi concede l'elemosina di un paio di seggi voi che fate?
Brancaccio è un intellettuale di altissimo livello nemico del globalismo liberista e del nazionalismo. E' uno studioso complesso che va seguito, non letto a spizzichi e bocconi, e politicamente ha dato prova di indipendenza reale. Quelli che lo accusano non sappiamo se saprebbero essere altrettanto indipendenti se qualche gattopardo gli offrisse qualche seggio.
Saluti comunisti
Saverio
Mah, a me sembra che sia difficile giudicare un pensiero come "scientifico" se alla base ci sono dei tabù.
Quando Saverio dice "Per me è solo un merito che lui riesca a scrivere sul Sole e contemporaneamente possa fare interventi da vero comunista" per me altro che merito, fa invece solo venir paura che questo avvenga proprio perché il suo pensiero risulta innocuo per il capitalismo.
Un altro aspetto che mi fa storcere il naso è quello politico, capisco che Brancaccio sia un'economista, ma senza pensare ad una messa in discussione dei rapporti di forza, ora più che mai a favore del grande capitale specie in UE mi sembra ridicola qualsiasi formula o social standard che dir si voglia.
Chi la deve proporre e mettere in pratica?
Pigghi
Pigghi, e secondo te chi mette in discussione i rapporti di forza? Forse la Meloni che quando la Consulta ha bocciato il referendum sull'articolo 18 si è affrettata a dire che era un fatto positivo perché queste sono battaglie vecchie?
Meno male che qualcuno fa proposte di sinistra altrimenti staremmo solo a portare acqua con le orecchie a quei quattro fasci camuffati che quando l'UE sarà finita e loro saranno al potere riprenderanno allegramente a rompere il culo ai lavoratori.
Sullo scrivere oppure no sul Sole 24 Ore.. ma per piacere! Se Togliatti avesse ragionato come te in Italia i comunisti sarebbero stati una forza del 2% al massimo.
Saverio
Abbi pazienza, siamo su Sollevazione mica sul blog di Fratelli d'Italia.
Qui al di là di vari commentatori non mi sembra che ci sia questa voglia incondizionata di parteggiare Meloni o Salvini.
E quella di Brancaccio chi la dovrebbe fare? Il FMI come scritto nella risposta qui nel blog?
Quindi stiamo chiedendo pietà ai carnefici?
È evidente che ogni proposta che oggi chiamiamo sovranista non abbia attualmente dei veri e propri mezzi con cui imporsi, ma per lo meno da queste parti si fonda su una base solida, quella di ripristinare un meccanismo democratico, all'interno degli spazi in cui può sopravvivere senza soffocare.
Poi attenzione, non sto dicendo che la proposta di Brancaccio sia da buttare, una restrizione del movimento dei capitali è fondamentale e auspicabile, soprattutto in "prospettiva di una futura implosione dell'attuale assetto dell'unione monetaria" come scrive lui stesso.
È quindi scontato che debba far parte della proposta di un movimento di sinistra, ma è assai improbabile che diventi una "terza via" tra globalismo neoliberista e stati nazionali, in una delle 2 categorie deve rientrare.
Pigghi
A proposito delle idee confuse di tanti "puri" comunisti su sovranità nazionale, internazionalismo (inter-nazionalismo) e marxismo, visto che lo scritto di Brancaccio pare più una soluzione contro la "deviazione" di compagni che affermano la necessità della orrenda sovranità nazionale per opporsi al cosmopolitismo borghese.
Scrive Engels in una lettera a Kautsky nel febbraio 1882 che "un movimento internazionale del proletariato è possibile solo tra nazioni indipendenti" e qualche anno dopo ribadisce che "una cooperazione internazionale è possibile solo tra eguali".
E che dire di Marx quando nel 1866 critica il "cinismo da cretino" a proposito dell’atteggiamento beffardo di Proudhon il quale affermava che "ogni nazionalità e le nazioni in quanto tali sono pregiudizi superati" ?
Marx ed Engels deviarono dall'internazionalismo proletario?
Franz Altomare
Franz Altomare, devi essere proprio in difficoltà se ti metti a citare Marx ed Engels... Leggi meglio innanzitutto le proposte che ti affanni tanto a criticare: visto che abbiamo sgamato che per Brancaccio lo 'standard' si applica anche a livello di singolo paese, è meglio che scendi dagli specchi, che se continui ad arrampicarti ti fai solo male. Robbie
gentile Robbie,
non è importante che io sia in difficoltà o meno.
Milioni di persone sono in seria difficoltà e attendono risposte concrete.
Senza bisogno di scontrarsi, è necessario che si spieghi meglio qual'è l'idea di Brancaccio sul social standard.
C'è stata una critica in base a quello che abbiamo avuto modo di leggere e di ascoltare, e che questi argomenti non sembrano convincenti non è cosa di oggi.
Elementi tecnici vengono mescolati con argomentazioni ideologiche, e va bene.
La cosa più semplice sarebbe fare un esempio pratico sull'applicazione in un solo paese, ipotizzando concretamente un'azione di governo e scegliendo preferibilmente, per semplicità, uno stato dell'Eurozona.
Possiamo aver avuto dei limiti a non capire, e allora, se si vuole rendere giustizia al pensiero di un economista competente e rispettabile come Emiliano Brancaccio, che è pure un sincero compagno verso cui non ci potrà mai esserci niente di personale, si provi a sviluppare questa idea del social standard che noi adesso critichiamo, e si provi a farlo con un esempio reale.
Se c'è onestà intellettuale reciproca, non avrei difficoltà a scusarmi se ritenessi ulteriori argomentazioni utili a modificare il giudizi.
D'altra parte, ci sia disponibilità ad accettare le critiche e a controbattere per far capire, non per giudicare.
Franz Altomare
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