[ 27 aprile ]
“Francia, i mercati già festeggiano Macron” (Il Corriere della Sera); “I mercati puntano su Macron” (il Sole 24 Ore); “After French Vote, Mainstream Europe Breathes a Sigh of Relief” (The New York Times): così gli organi del capitalismo globale festeggiano lo scampato pericolo: dopo l’elezione di Trump, la Brexit e il referendum italiano che ha bocciato le riforme di Renzi, scrivono ottimisticamente, la piena populista pare avere raggiunto il punto più alto e iniziato a scendere, mentre una nuova generazione di giovani e dinamici leader centristi (l’accostamento fra Renzi e Macron è ricorrente) una volta sbarazzatasi del fardello dei vecchi e screditati partiti tradizionali, di sinistra e di destra, appare in grado di fronteggiare la sfida populista. Nel ricostruire la biografia di Macron, ex banchiere ed ex ministro liberal europeista, non si nasconde l’entusiasmo per questa figura che – mentre riunisce in sé le “virtù” di entrambe le élite (economica e politica) che pilotano la governance europea – promette di imporre con thatcheriano pugno di ferro le riforme che il maldestro Hollande non è riuscito a far digerire al suo popolo.
Ma è davvero giustificato questo sfrenato ottimismo, oppure ha ragione il sito spagnolo La Vanguardia che titola “Macron: la engañosa victoria que tranquiliza”? Poco importa se Marine Le Pen difficilmente potrà superare il 40% nel ballottaggio che la opporrà a Macron, scrive l’autore dell’articolo, non solo perché quel 40% rappresenterebbe comunque un sintomo formidabile della rabbia e della frustrazione dei cittadini francesi nei confronti delle politiche europeiste che ne stanno massacrando le condizioni di vita e di lavoro, ma anche e soprattutto perché il risultato del primo turno ha segnato anche il formidabile balzo in avanti del candidato della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon (che sfiorando il 20% ha quasi raddoppiato i voti ottenuti nelle precedenti elezioni) a spese del pressoché defunto partito socialista. Un risultato – su cui i media mainstream di tutta Europa hanno preferito sorvolare – che va a sommarsi all’oltre 20% dei vari Podemos, M5S e Labour (quest’ultimo viene descritto come un partito in via di estinzione, laddove si tratta di un nuovo partito che, per tornare all’originaria ispirazione laburista, paga inevitabilmente la rottura con la zavorra blairiana che ne aveva assunto il controllo).
Insomma: l’opposizione alle oligarchie europee non è destinata a smorzarsi (anche perché le cause che la provocano sono destinate ad aggravarsi ulteriormente) tanto è vero che, sommando il consenso dei populismi di destra e di sinistra, si attesta stabilmente poco sotto il 50% dei cittadini del Vecchio Continente. Naturalmente questa somma, per l’ala sinistra dei movimenti antisistema, rappresenta un problema d’immagine, in quanto viene usata dalla propaganda degli euro oligarchi e dei media di regime per alimentare la tesi degli “opposti estremismi” da battere per difendere il fantasma di quella “democrazia” che loro stessi hanno distrutto. Subito dopo le elezioni francesi queste sirene frontiste hanno assunto toni parossistici: da Hollande a Fillon, socialisti, gaullisti, patetici avanzi del 68 come Daniel Cohn- Bendit e il quotidiano Liberation, tutti insieme appassionatamente per difendere la Repubblica (leggi la borsa, le banche, gli azionisti, gli euro burocrati).
È per questo che va apprezzata la lucidità con cui Mélenchon si è rifiutato di associarsi a questo coro stonato, dichiarando di non voler fare endorsement per nessuno dei due contendenti che andranno al ballottaggio. Una posizione che ritengo più corretta ed efficace di quella assunta a suo tempo da Bernie Sanders nelle ultime elezioni presidenziali americane quando, non essendo riuscito a ottenere la nomination democratica, invitò i propri sostenitori a votare per Hillary Clinton. Allora scrissi che avrebbe fatto meglio a invitare all’estensione e a concentrare le energie sulla costruzione di un’alternativa politica futura a entrambi gli esponenti dell’establishment statunitense. Mi pare che viceversa Mélenchon abbia colto il punto: compito di un movimento socialista e populista che si voglia realmente antagonista non è proteggere il sistema dall’attacco del populismo di destra, bensì rubare a quest’ultimo quel consenso di massa che ha potuto ottenere solo grazie al disarmo delle sinistre tradizionali. Per ora, ci accorgiamo dell’esistenza virtuale di un blocco sociale che rifiuta le regole imposte dal sistema solo in circostanze particolari come, per restare in Italia, il referendum del 5 dicembre scorso o – su un altro piano – quello che ha visto i dipendenti dell’Alitalia rifiutare l’accordo capestro stipulato da impresa, governo e sindacati. Perché quel blocco si converta da virtuale a reale, occorre rifiutare compromessi e alleanze spurie e continuare a navigare controcorrente.
“Francia, i mercati già festeggiano Macron” (Il Corriere della Sera); “I mercati puntano su Macron” (il Sole 24 Ore); “After French Vote, Mainstream Europe Breathes a Sigh of Relief” (The New York Times): così gli organi del capitalismo globale festeggiano lo scampato pericolo: dopo l’elezione di Trump, la Brexit e il referendum italiano che ha bocciato le riforme di Renzi, scrivono ottimisticamente, la piena populista pare avere raggiunto il punto più alto e iniziato a scendere, mentre una nuova generazione di giovani e dinamici leader centristi (l’accostamento fra Renzi e Macron è ricorrente) una volta sbarazzatasi del fardello dei vecchi e screditati partiti tradizionali, di sinistra e di destra, appare in grado di fronteggiare la sfida populista. Nel ricostruire la biografia di Macron, ex banchiere ed ex ministro liberal europeista, non si nasconde l’entusiasmo per questa figura che – mentre riunisce in sé le “virtù” di entrambe le élite (economica e politica) che pilotano la governance europea – promette di imporre con thatcheriano pugno di ferro le riforme che il maldestro Hollande non è riuscito a far digerire al suo popolo.
Ma è davvero giustificato questo sfrenato ottimismo, oppure ha ragione il sito spagnolo La Vanguardia che titola “Macron: la engañosa victoria que tranquiliza”? Poco importa se Marine Le Pen difficilmente potrà superare il 40% nel ballottaggio che la opporrà a Macron, scrive l’autore dell’articolo, non solo perché quel 40% rappresenterebbe comunque un sintomo formidabile della rabbia e della frustrazione dei cittadini francesi nei confronti delle politiche europeiste che ne stanno massacrando le condizioni di vita e di lavoro, ma anche e soprattutto perché il risultato del primo turno ha segnato anche il formidabile balzo in avanti del candidato della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon (che sfiorando il 20% ha quasi raddoppiato i voti ottenuti nelle precedenti elezioni) a spese del pressoché defunto partito socialista. Un risultato – su cui i media mainstream di tutta Europa hanno preferito sorvolare – che va a sommarsi all’oltre 20% dei vari Podemos, M5S e Labour (quest’ultimo viene descritto come un partito in via di estinzione, laddove si tratta di un nuovo partito che, per tornare all’originaria ispirazione laburista, paga inevitabilmente la rottura con la zavorra blairiana che ne aveva assunto il controllo).
Insomma: l’opposizione alle oligarchie europee non è destinata a smorzarsi (anche perché le cause che la provocano sono destinate ad aggravarsi ulteriormente) tanto è vero che, sommando il consenso dei populismi di destra e di sinistra, si attesta stabilmente poco sotto il 50% dei cittadini del Vecchio Continente. Naturalmente questa somma, per l’ala sinistra dei movimenti antisistema, rappresenta un problema d’immagine, in quanto viene usata dalla propaganda degli euro oligarchi e dei media di regime per alimentare la tesi degli “opposti estremismi” da battere per difendere il fantasma di quella “democrazia” che loro stessi hanno distrutto. Subito dopo le elezioni francesi queste sirene frontiste hanno assunto toni parossistici: da Hollande a Fillon, socialisti, gaullisti, patetici avanzi del 68 come Daniel Cohn- Bendit e il quotidiano Liberation, tutti insieme appassionatamente per difendere la Repubblica (leggi la borsa, le banche, gli azionisti, gli euro burocrati).
È per questo che va apprezzata la lucidità con cui Mélenchon si è rifiutato di associarsi a questo coro stonato, dichiarando di non voler fare endorsement per nessuno dei due contendenti che andranno al ballottaggio. Una posizione che ritengo più corretta ed efficace di quella assunta a suo tempo da Bernie Sanders nelle ultime elezioni presidenziali americane quando, non essendo riuscito a ottenere la nomination democratica, invitò i propri sostenitori a votare per Hillary Clinton. Allora scrissi che avrebbe fatto meglio a invitare all’estensione e a concentrare le energie sulla costruzione di un’alternativa politica futura a entrambi gli esponenti dell’establishment statunitense. Mi pare che viceversa Mélenchon abbia colto il punto: compito di un movimento socialista e populista che si voglia realmente antagonista non è proteggere il sistema dall’attacco del populismo di destra, bensì rubare a quest’ultimo quel consenso di massa che ha potuto ottenere solo grazie al disarmo delle sinistre tradizionali. Per ora, ci accorgiamo dell’esistenza virtuale di un blocco sociale che rifiuta le regole imposte dal sistema solo in circostanze particolari come, per restare in Italia, il referendum del 5 dicembre scorso o – su un altro piano – quello che ha visto i dipendenti dell’Alitalia rifiutare l’accordo capestro stipulato da impresa, governo e sindacati. Perché quel blocco si converta da virtuale a reale, occorre rifiutare compromessi e alleanze spurie e continuare a navigare controcorrente.
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