[ 3 maggio 2019 ]
La questione delle province è tornata di attualità. Abortito il progetto della loro eliminazione le province sono rimaste enti con tante competenze (in primo luogo le strade e gli edifici scolastici delle superiori), pochissimi soldi, e nessuna democrazia, dato che i consigli provinciali non vengono più eletti dai cittadini.
E’ evidente che, così come sono, le province non possono funzionare. Su come venirne fuori nel governo ci sono due posizioni. Ma stavolta ha ragione la Lega, che chiede di tornare alla situazione precedente alla controriforma Delrio.
Hanno torto invece i Cinque Stelle, che vorrebbero cancellare del tutto le province, senza rendersi conto della negatività di una simile politica dei tagli.
Avremo modo di tornare su questo tema. Intanto ripubblichiamo un articolo di Leonardo Mazzei dell’agosto 2018 che, benché legato alle vicende successive al crollo autostradale di Genova, rimane pienamente attuale nelle sue conclusioni di fondo.
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Prima o poi i nodi vengono sempre al pettine. E' questo il caso delle province. Prima "abolite" dalla foga tagliatrice ed austeritaria di Monti, poi parzialmente resuscitate dalla Corte Costituzionale, infine stravolte e sdemocratizzate dalla "Legge Delrio" del 2014 che "salvò" le province cancellando però l'elettività dei consigli provinciali: un fulgido esempio di cosa sia stato il "riformismo" piddino.
Ma perché ne parliamo proprio adesso? Per il banale motivo che i danni fatti in questi anni stanno venendo sempre più a galla, specie dopo la sciagura di Genova. E che c'entra Genova con le province? Direttamente non c'entra nulla, ma in generale c'entra eccome, se è vero come è vero che lo stato dell'insieme delle infrastrutture stradali italiane è semplicemente penoso, ha bisogno di un controllo straordinario e dei relativi interventi che dovranno discenderne.
Il 17 agosto, il Ministero delle Infrastrutture ha inviato una lettera, ai vari enti gestori, nella quale si chiede l'effettuazione di un rapido monitoraggio (da concludersi entro la fine del mese) «dello stato di conservazione e manutenzione delle opere viarie e dighe». Agli enti viene richiesto di segnalare «gli interventi necessari a rimuovere le condizioni di rischio da essi riscontrate», indicando le relative priorità.
L'iniziativa è ottima, anche se è grave che ci si muova sempre solo dopo la tragedia. Che sia, come auspicabile, il segno del cambio di passo di una nuova stagione politica solo il tempo potrà dircelo. Di certo questo è un modo per mettere alle strette i gestori autostradali, come pure l'Enel e le altre società presenti nell'idroelettrico per quel che concerne le dighe.
Fin qui, dunque, tutto bene. Dov'è allora il problema? Il fatto è che a fronte di poco più di 6mila chilometri di autostrade e di 26.817 Km gestiti dall'Anas, ve ne sono ben 155.247 appartenenti alle Province (circa 130mila) ed alle Regioni (circa 25mila). In realtà, siccome nella grande maggioranza dei casi le Regioni hanno passato la gestione delle loro strade alle Province, sono queste ultime a dover far fronte alle esigenze della parte più consistente della rete stradale italiana.
Ovviamente le strade provinciali non hanno la stessa importanza di quelle statali, tanto meno delle autostrade, ma 150mila Km sono davvero tanti. Ed in questi chilometri sono presenti ben 35mila tra ponti e viadotti. Certo, molti di questi sono di dimensioni modeste, ma altri assolutamente no.
Chi frequenta le strade provinciali sa perfettamente come il loro stato di manutenzione sia drammaticamente peggiorato nell'ultimo decennio, quello dell'austerità targata euro. Spesso le strade provinciali di montagna sono in uno stato di penoso abbandono. Si interviene con ritardo sui movimenti franosi, non si bonificano più i versanti come prima, nuove reti di protezione non se ne mettono più, in estate la vegetazione invade la carreggiata ed in inverno il sale antigelo scarseggia. Figuriamoci quale possa essere il livello attuale del monitoraggio dei punti critici per la sicurezza!
Ma perché tutto ciò? Perché i tagli hanno colpito e alla grande. Nel 2010 le province avevano 43mila dipendenti, oggi 20mila, con un taglio del 53%. Sempre nel 2010 le risorse per le strade provinciali ammontavano a 1,2 miliardi annui, contro i 700 milioni attuali (-42%). In 8 anni di tagli sono così venuti a mancare circa 4 miliardi alla manutenzione ed agli investimenti sulle strade provinciali.
Perfino il governo Gentiloni aveva dovuto prendere atto di questa assurda situazione, tornando ad aumentare i fondi dopo anni di tagli crescenti, ma ci vorrà ben altro per recuperare il tempo perso e per tornare a livelli di manutenzione e di sicurezza adeguati. E, attenzione!, quel che vale per le strade vale anche per le scuole, dato che la manutenzione degli edifici scolastici che ospitano le scuole medie superiori sono di competenza delle province.
Gli insegnamenti che ci vengono dalla tragicommedia cui sono stati sottoposti gli enti provinciali negli ultimi anni ci portano a tre conclusioni.
La prima è che occorre ripristinare livelli di finanziamento adeguati ai compiti cui sono chiamate tuttora le province. Anzi, per recuperare ciò che non è stato fatto negli ultimi 8 anni, occorrerà quantomeno triplicare i fondi attualmente a disposizione. E ciò andrà fatto infischiandosene delle barbare regole di bilancio pretese da Bruxelles.
La seconda è che bisogna riconquistare la democrazia. Quella abolita dalla "Legge Delrio". Con quella legge i consigli provinciali vengono ora eletti a suffragio ristretto, solo dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia, il cui voto è ponderato in base alle diverse fasce di popolazione. Tutto ciò è assurdo, oltre che palesemente antidemocratico. Ha ragione dunque la Lega a chiedere il ritorno all'elettività dei consigli provinciali. Un passaggio ancora più doveroso nel momento in cui le province dovranno avere finanziamenti ben superiori a quelli di oggi.
La terza è che l'obbrobrio della legge del 2014 andrà cancellato del tutto. L'esito delle esercitazioni di questi "riformisti" della vecchia corte renziana è stato semplicemente il caos. Laddove prima vi erano 104 province uguali fra loro (tralasciando qui per la loro peculiarità il Trentino Alto Adige e la Val d'Aosta), abbiamo oggi solo 80 province attive e 14 "Città metropolitane", mentre le 4 vecchie province del Friuli sono state sostituite da 18 Unioni intercomunali, a differenza della Sicilia dove 6 province sono diventate "Liberi consorzi comunali". E qualcuno ebbe il coraggio di chiamare questo casino "razionalizzazione"...
Quella delle province può apparire come una vicenda tutto sommato minore, ma essa ci dà la misura dei danni fatti dall'ideologia e dalla pratica del (contro)riformismo neoliberista, unito nella lotta all'austerità ordoliberista targata euro(pa). Il primo ha portato l'idea dello "stato minimo" e della "governance", il secondo la bontà della politica dei tagli a prescindere. L'esito è sotto gli occhi di tutti. E, prima o poi, sarà bene mettere in agenda l'abrogazione integrale della controriforma Delrio.
2 commenti:
Si , forse la Lega ha ragione sulle Provincie , ma proporrei loro di aprire una ridiscussione sulle Regioni e questo regionalismo esasperato , che ne dite ?
La discussione sul regionalismo purtroppo non è solo farina della lega.
Pare che la CGIL abbia deciso di accettare il regionalismo differenziato, con la solita balla del "a patto che ...".
L'altra secessione con Landini.
Non che io mi fidi neppure della USB, un sindacato che vuole solo prendere il posto che fu della CGIL nel difendere corporativamente i diritti della sola minoranza di lavoratori che ce li ha e dimenticandosi di tutti gli altri esclusi, contribuendo cos' a mantenere in vita questo sistema di vera e propria apartheid.
Giovanni
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