11 ottobre. Contestare il reato di immigrazione clandestina senza aprire una contesa più generale per il controllo dei movimenti di capitale e per un’alternativa di politica economica, costituisce un suicidio politico. Spunti di riflessione per una “sinistra” allo sbando, da tempo incapace di dare coerenza logica alle fondamentali battaglie contro l’avanzata dei movimenti xenofobi e razzisti.
Pubblicato sul Financial Times il 23 settembre scorso, il “monito degli economisti” denuncia la mancata volontà delle classi dirigenti europee di concepire una svolta negli indirizzi di politica economica, e individua in tale mancanza una causa delle “ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa” e dei relativi “sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo”. La recente tragedia di Lampedusa costituisce un esempio terrificante delle conseguenze di questa palese ignavia politica. Il riferimento non è solo al raccapricciante tentativo del Presidente della Commissione europea Barroso di mettere un velo su questa vicenda ricorrendo a una elemosina. Il problema sta pure nel modo in cui le forze di sinistra si sono lanciate in una battaglia per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina previsto dalla legge Bossi-Fini.
Naturalmente, nessuno qui nega che sia giusto cercare di intercettare il moto di sdegno che ha attraversato il paese, di fronte alla notizia che i superstiti del disastro di Lampedusa subiranno anche la beffa di essere imputati per il reato di clandestinità. Ma bisogna rendersi conto che oggi più che mai la politica non può esser fatta solo di sdegno o di mani passate sulla coscienza. Soprattutto in tempo di crisi, la politica è alimentata in primo luogo dalla volontà dei singoli e dei gruppi di difendere i propri interessi, di dar voce alle proprie istanze. Le forze di sinistra dovrebbero ricordare che siamo nel mezzo di una catastrofe occupazionale che dall’inizio della crisi ha visto crescere i disoccupati di 7 milioni di unità in Europa e di un milione e mezzo soltanto in Italia. Per le forze politiche avverse agli immigrati si tratta di una manna, di un terreno elettorale fertilissimo. Se non si vuole che la lotta contro il reato di immigrazione clandestina si trasformi in un boomerang dal punto di vista dei consensi, occorre allora collocare quella lotta in una più generale analisi della crisi e in uno sforzo di individuazione delle risposte politiche realmente in grado di fronteggiarla.
A questo scopo, bisognerebbe iniziare a fare i conti con il nuovo “liberismo pragmatico” di questi ultimi tempi, che da un lato difende a spada tratta la deregolamentazione finanziaria e la relativa, completa libertà di movimento internazionale dei capitali, e dall’altro lato asseconda aperture alternate a repressioni sul versante delle migrazioni di lavoratori. Il problema è che fino a quando i capitali potranno liberamente spostarsi da un luogo all’altro del mondo, la quota del prodotto sociale attribuita ai profitti e alle rendite resterà indipendente e quindi prioritaria rispetto alla quota destinata al lavoro. Prima che arrivino a intaccare seriamente i profitti, le eventuali pressioni salariali e fiscali verrebbero infatti inibite dalla minaccia di una fuga dei capitali all’estero. Per i lavoratori residenti, dunque, sotto queste condizioni non ci saranno molte possibilità di influire sulla distribuzione del prodotto sociale. Essi saranno costretti a ripartire con gli immigrati una parte residuale della produzione. Questa ripartizione del residuo evidentemente rischia di scatenare la più classica guerra tra poveri, specialmente in una fase in cui la produzione cade o ristagna. Scopo dei reati di clandestinità e dei controlli repressivi alle frontiere può allora consistere nel tenere questa guerra a un livello di bassa intensità. Queste misure assumono cioè il ruolo di “cuscinetto” tra nativi e stranieri, che può essere sgonfiato o meno a seconda delle circostanze, e che permette di gestire lo scontro tra lavoratori interni ed esterni secondo i fini prioritari della riproduzione del capitale.
Qualcuno avrà forse notato che nel ragionamento suddetto non vi è spazio per alcuni tipici luoghi comuni della politica corrente, come quelli secondo cui «l’immigrazione è indispensabile alla nostra economia» oppure «gli immigrati, in quanto giovani, sono gli unici in grado di evitare il collasso del nostro sistema previdenziale». Queste affermazioni trovano il loro appiglio nei teoremi della economia neoclassica dominante, dai quali scaturisce il fantasioso convincimento secondo il quale la disoccupazione non esiste, e quindi l’immigrato contribuisce automaticamente alla crescita del prodotto sociale. Per quanto costituisca tuttora uno degli alibi preferiti da parte dei policymakers europei, questa tesi è priva di fondamento, è smentita dai dati empirici e dai fatti storici. Né vale la tesi della teoria mainstream più recente, secondo cui i mercati del lavoro sarebbero segmentati, per cui il lavoro svolto dagli immigrati sarebbe complementare e non si sostituirebbe mai a quello dei nativi. La verità è che in condizioni di libera circolazione dei capitali – e di relativo smantellamento della produzione pubblica – non è certo la volontà dei singoli ma è il meccanismo di riproduzione capitalistica, con la sua instabilità e le sue crisi, che decide della distribuzione, della composizione e del livello della produzione e dell’occupazione. In un simile contesto l’immigrato non costituisce di per sé un fattore di crescita della ricchezza. Piuttosto, è la dinamica capitalistica a determinare il suo destino, ossia il suo impiego in aggiunta oppure in sostituzione – e quindi in competizione – con i lavoratori nativi. Bisognerebbe insomma guardare in faccia la realtà, e abbandonare sia gli alibi della teoria dominante sia le fantasiose rappresentazioni del conflitto suggerite dagli ultimi epigoni del negrismo. Il migrante, infatti, non rappresenta necessariamente né una “forza produttiva” né una “forza complementare” né tantomeno una “forza sovversiva”, ma può al contrario rivelarsi, suo malgrado, uno strumento di repressione delle rivendicazioni sociali.
Alla luce di quanto detto, dovrebbe esser chiara un’esigenza: alle giuste mobilitazioni contro il reato di immigrazione clandestina bisognerebbe affiancare, in primo luogo, il rilancio delle proposte finalizzate al controllo politico dei movimenti di capitale. Dove per controllo dovrebbe intendersi il ridimensionamento dei mercati finanziari e il riassorbimento, nell’ambito della dialettica politica, della questione cruciale del riequilibrio dei conti esteri. Il ripristino di una rete di controlli sui capitali è una delle condizioni necessarie per impedire che lo scontro distributivo e occupazionale continui ad esprimersi solo tra i lavoratori, in particolare tra nativi e migranti. Potremmo affermare, insomma, che se l’intenzione fosse davvero quella di “liberare” i migranti allora bisognerebbe iniziare ad “arrestare” i capitali, ad imbrigliarli cioè in un sistema di controlli simile a quello che sussisteva fino agli anni ’70 del secolo scorso [1]. Se non sussisteranno le condizioni per collocare la partita per una più civile legislazione sull’immigrazione in una contesa più generale sulla politica economica, la predizione del “monito degli economisti” sarà confermata: una sempre più vasta prateria di consensi verrà lasciata all’onda nera dei movimenti xenofobi.
NOTE
[1] Per approfondimenti, si rinvia al capitolo “Contro il liberoscambismo di sinistra”, in Emiliano Brancaccio e Marco Passarella, “L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa”, Il Saggiatore, Milano 2012.
Pubblicato sul Financial Times il 23 settembre scorso, il “monito degli economisti” denuncia la mancata volontà delle classi dirigenti europee di concepire una svolta negli indirizzi di politica economica, e individua in tale mancanza una causa delle “ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa” e dei relativi “sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo”. La recente tragedia di Lampedusa costituisce un esempio terrificante delle conseguenze di questa palese ignavia politica. Il riferimento non è solo al raccapricciante tentativo del Presidente della Commissione europea Barroso di mettere un velo su questa vicenda ricorrendo a una elemosina. Il problema sta pure nel modo in cui le forze di sinistra si sono lanciate in una battaglia per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina previsto dalla legge Bossi-Fini.
Naturalmente, nessuno qui nega che sia giusto cercare di intercettare il moto di sdegno che ha attraversato il paese, di fronte alla notizia che i superstiti del disastro di Lampedusa subiranno anche la beffa di essere imputati per il reato di clandestinità. Ma bisogna rendersi conto che oggi più che mai la politica non può esser fatta solo di sdegno o di mani passate sulla coscienza. Soprattutto in tempo di crisi, la politica è alimentata in primo luogo dalla volontà dei singoli e dei gruppi di difendere i propri interessi, di dar voce alle proprie istanze. Le forze di sinistra dovrebbero ricordare che siamo nel mezzo di una catastrofe occupazionale che dall’inizio della crisi ha visto crescere i disoccupati di 7 milioni di unità in Europa e di un milione e mezzo soltanto in Italia. Per le forze politiche avverse agli immigrati si tratta di una manna, di un terreno elettorale fertilissimo. Se non si vuole che la lotta contro il reato di immigrazione clandestina si trasformi in un boomerang dal punto di vista dei consensi, occorre allora collocare quella lotta in una più generale analisi della crisi e in uno sforzo di individuazione delle risposte politiche realmente in grado di fronteggiarla.
A questo scopo, bisognerebbe iniziare a fare i conti con il nuovo “liberismo pragmatico” di questi ultimi tempi, che da un lato difende a spada tratta la deregolamentazione finanziaria e la relativa, completa libertà di movimento internazionale dei capitali, e dall’altro lato asseconda aperture alternate a repressioni sul versante delle migrazioni di lavoratori. Il problema è che fino a quando i capitali potranno liberamente spostarsi da un luogo all’altro del mondo, la quota del prodotto sociale attribuita ai profitti e alle rendite resterà indipendente e quindi prioritaria rispetto alla quota destinata al lavoro. Prima che arrivino a intaccare seriamente i profitti, le eventuali pressioni salariali e fiscali verrebbero infatti inibite dalla minaccia di una fuga dei capitali all’estero. Per i lavoratori residenti, dunque, sotto queste condizioni non ci saranno molte possibilità di influire sulla distribuzione del prodotto sociale. Essi saranno costretti a ripartire con gli immigrati una parte residuale della produzione. Questa ripartizione del residuo evidentemente rischia di scatenare la più classica guerra tra poveri, specialmente in una fase in cui la produzione cade o ristagna. Scopo dei reati di clandestinità e dei controlli repressivi alle frontiere può allora consistere nel tenere questa guerra a un livello di bassa intensità. Queste misure assumono cioè il ruolo di “cuscinetto” tra nativi e stranieri, che può essere sgonfiato o meno a seconda delle circostanze, e che permette di gestire lo scontro tra lavoratori interni ed esterni secondo i fini prioritari della riproduzione del capitale.
Qualcuno avrà forse notato che nel ragionamento suddetto non vi è spazio per alcuni tipici luoghi comuni della politica corrente, come quelli secondo cui «l’immigrazione è indispensabile alla nostra economia» oppure «gli immigrati, in quanto giovani, sono gli unici in grado di evitare il collasso del nostro sistema previdenziale». Queste affermazioni trovano il loro appiglio nei teoremi della economia neoclassica dominante, dai quali scaturisce il fantasioso convincimento secondo il quale la disoccupazione non esiste, e quindi l’immigrato contribuisce automaticamente alla crescita del prodotto sociale. Per quanto costituisca tuttora uno degli alibi preferiti da parte dei policymakers europei, questa tesi è priva di fondamento, è smentita dai dati empirici e dai fatti storici. Né vale la tesi della teoria mainstream più recente, secondo cui i mercati del lavoro sarebbero segmentati, per cui il lavoro svolto dagli immigrati sarebbe complementare e non si sostituirebbe mai a quello dei nativi. La verità è che in condizioni di libera circolazione dei capitali – e di relativo smantellamento della produzione pubblica – non è certo la volontà dei singoli ma è il meccanismo di riproduzione capitalistica, con la sua instabilità e le sue crisi, che decide della distribuzione, della composizione e del livello della produzione e dell’occupazione. In un simile contesto l’immigrato non costituisce di per sé un fattore di crescita della ricchezza. Piuttosto, è la dinamica capitalistica a determinare il suo destino, ossia il suo impiego in aggiunta oppure in sostituzione – e quindi in competizione – con i lavoratori nativi. Bisognerebbe insomma guardare in faccia la realtà, e abbandonare sia gli alibi della teoria dominante sia le fantasiose rappresentazioni del conflitto suggerite dagli ultimi epigoni del negrismo. Il migrante, infatti, non rappresenta necessariamente né una “forza produttiva” né una “forza complementare” né tantomeno una “forza sovversiva”, ma può al contrario rivelarsi, suo malgrado, uno strumento di repressione delle rivendicazioni sociali.
Alla luce di quanto detto, dovrebbe esser chiara un’esigenza: alle giuste mobilitazioni contro il reato di immigrazione clandestina bisognerebbe affiancare, in primo luogo, il rilancio delle proposte finalizzate al controllo politico dei movimenti di capitale. Dove per controllo dovrebbe intendersi il ridimensionamento dei mercati finanziari e il riassorbimento, nell’ambito della dialettica politica, della questione cruciale del riequilibrio dei conti esteri. Il ripristino di una rete di controlli sui capitali è una delle condizioni necessarie per impedire che lo scontro distributivo e occupazionale continui ad esprimersi solo tra i lavoratori, in particolare tra nativi e migranti. Potremmo affermare, insomma, che se l’intenzione fosse davvero quella di “liberare” i migranti allora bisognerebbe iniziare ad “arrestare” i capitali, ad imbrigliarli cioè in un sistema di controlli simile a quello che sussisteva fino agli anni ’70 del secolo scorso [1]. Se non sussisteranno le condizioni per collocare la partita per una più civile legislazione sull’immigrazione in una contesa più generale sulla politica economica, la predizione del “monito degli economisti” sarà confermata: una sempre più vasta prateria di consensi verrà lasciata all’onda nera dei movimenti xenofobi.
NOTE
[1] Per approfondimenti, si rinvia al capitolo “Contro il liberoscambismo di sinistra”, in Emiliano Brancaccio e Marco Passarella, “L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa”, Il Saggiatore, Milano 2012.
30 commenti:
"Il migrante, infatti, non rappresenta necessariamente né una “forza produttiva” né una “forza complementare” né tantomeno una “forza sovversiva”, ma può al contrario rivelarsi, suo malgrado, uno strumento di repressione delle rivendicazioni sociali."
Questa verità è provata dai fatti ed è giustificata pure da una concezione logica cinica delle problematiche del mercato del lavoro inteso come "merce" e non come indispensabile fattore di completamento della persona umana nel suo ruolo di elemento fattivo del progresso sociale e di produttore attivo di beni utili alla collettività.
L'articolo è veramente apprezzabile per equilibrio e obiettività.
" individua in tale mancanza una causa delle “ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa” e dei relativi “sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo”"
già Peccato che questi economisti definiscono così chiunque si professi contro l'euro e l'europa e nascondono il reale motivo di "disprezzo" tirando fuori gli umani sentimenti.
Vi segnalo questo articolo dove si afferma che l'immigrazione di massa sarebbe stata provocata e voluta dalle elites bancario/finanziarie per togliere ai popoli Europei le propie identinta' culturali e creare cosi' una massa informe facilmente sottomissibile e che lavori sottopagate e senza i diritti fondamentali che le lotte di classe avevano conquistato.
http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/article-il-piano-kalergi-il-genocidio-dei-popoli-europei-117650465.html
Brancaccio dimostra come sempre di essere un brillante materialista marxista, poichè pone sempre analisi oggettive improntate no su idealismi spiccioli ma su dati di fatto. Ciò non vuol essere inteso in un elogio al'empiricismo assoluto, ma alla capacità di coniugare spirito critico con la materialità dei fatti.
Il razzismo è strutturale! http://wp.me/p3IhqC-xE
Articolo equilibrato fino alla conclusione, che ha il pregio di sfatare numerosi luoghi comuni della propaganda integrazionista. Muovendo da un approccio marxista un po’ più onesto del vostro, riconosce l’inondazione extracomunitaria per quel che è: un integrale della globalizzazione, promosso coll’intento di aumentare l’esercito industriale di riserva e falcidiare la forza contrattuale dei lavoratori. Sarebbero le stesse conclusioni cui arrivereste voi se il vs. preteso materialismo storico fosse meno pronto a rovesciarsi come un guanto non appena rischia di entrare in contrasto col vostro universo morale.
Per chi avesse dubbi raccomando il seguente articolo, che ha suscitato un certo scandalo (subito messo a tacere) in Gran Bretagna, in cui un ex-ministro ammette che “i governi Blair e Brown hanno programmato a tavolino l’immigrazione di massa”, beninteso nel mentre negavano recisamente di farlo:
http://www.dailymail.co.uk/news/article-2324112/Lord-Mandelson-Immigrants-We-sent-search-parties-hard-Britons-work.html
La conclusione di Brancaccio fa cascare le braccia: avendo riconosciuto la globalizzazione della forza lavoro per quel che è, ma non volendo rinunciarci, invoca la fine della globalizzazione dei capitali. E’ più facile che l’unione europea diventi una repubblica dei soviet che la dittatura finanziaria rinunci alla movimentazione dei capitali. La sinistra è totalmente invischiata nella contraddizione fra difesa del proletariato nazionale e difesa di quello mondiale, latori di interessi diametralmente contrapposti, e questo la consegna all’inanità intellettuale prima (come si vede da questo articolo) e politica poi (come si vede dalla vostra presa di posizione sull’M5S).
PS: colgo l'occasione per congratularvi dell'assenza di censura sul sito.
In questo articolo la dinamica immigratoria è analizzata con metodo scientifico. Nell'articolo "ORA DEL DELITTO" di MPL la visione era da chiesaroli più catto che comunisti.
aspettate che metto la modalità "traduttore di brancaccio"... allora: "non possiamo permetterci tutti sti immigrati e grillo ha ragione". brancaccio è così, fa dei giri incredibili quando deve dire cose che non si possono dire.
p.s. nei loro paesi poveri, se ti beccano clandestino ti acchiappano e ti rimpatriano, dopo qualche giorno in galera.
veritas odium,
il controllo dei capitali, vecchio cavallo di battaglia della sx, non funziona, vedi argentina. è che ci sono cose che lo stato non può controllare, nel senso che se lo fa si innestano forze automatiche incontrollabili che producono effetti molto spiacevoli.
e poi se "il kapitale è kattivo e ci sfrutta"... lasciamolo andare, saremo finalmente liberi... no eh?
antonio.
Così si fa la critica, così si imposta il discorso politico. Da studiare e ristudiare, soprattutto per i mentecatti seguaci di quell'ignorantissimo econometrico di Pescara.
A me non sembra che Brancaccio stia dando ragione a Grillo visto che in qest'ultimo non c'è stata una critica al capitale. Rammento poi che prima di scrivere quel post Grillo l'abolizione di tale reato l'aveva difeso perchè così facendo tornando illecito amministrativo le procedure di espulsione erano più veloci. Ma evidentemente a qualcuno conveniva che il reato restasse tale e quale. Si dice che i movimenti di capitale non si possono controllare perchè l'Argentina.... e allora che facciamo, spariamo sui barconi come proponeva Bossi?
Però ricordo che quando i soldati della Germania est sparavano sui profughi che cercavano di scappare oltre il muro gli indignados erano pronti a piagnucolare. Eppure anche quelli erano immigrati che rubavano il lavoro, non ci avete mai pensato?
Vedendo certi commenti mi viene da capire che i vecchi schemini italioti sono duri a morire.
Il ragionamento di Brancaccio ha indubbiamente caratteri di novità, ma grosso modo segue uno schema classico di tipo storico-materialista, e a mio parere ha una impronta politica di tipo diciamo "neo-leninista". Chi commenta può essere d'accordo oppure no con questa impostazione, ma se non la conosce almeno un po' è meglio che stia zitto altrimenti fa solo la figura dell'ignorante. Brancaccio è un po' più difficile da capire degli imbonitori che vanno tanto di moda per un motivo ovvio: lui cerca davvero e onestamente di leggere la realtà, e la realtà è di per sé difficile. Marx docet. Mauro
scrive Brancaccio : "La verità è che in condizioni di libera circolazione dei capitali – e di relativo smantellamento della produzione pubblica – non è certo la volontà dei singoli ma è il MECCANISMO di riproduzione capitalistica, con la sua instabilità e le sue crisi, che decide della distribuzione, della composizione e del livello della produzione e dell’occupazione."
e quindi, dato che 20anni e passa di liberismo sfrenato, in cui sono state consegnate agli animal spirits nostrani le DECISIONI su COSA produrre e che ciò ha portato alla discesa dell'apparato produttivo nazionale negli inferi delle produzioni a scarso valore aggiunto, la deflazione salariale, , è l' arma principale che hanno per avere profitti, e gli IMMIGRATI, ponendosi in competizione al RIBASSO con i NATIVI contribuiscono pesantemente a suddetta deflazione e all'impoverimento che ne consegue.
e questo sia nel ramo partite iva, le pizzerie gestite dall'egiziano con "napoletane" a prezzi stracciati, sia nel settore del lavoro dipendente, con i rumeni che sono diventati(almeno a Torino) i nuovi meridionali con la valigia di cartone.
per non parlare del current account, che ne è delle rimmesse all'estero?
e per quanto riguarda i promoter 5stelle.
al contrario di casaleggio e grillo, due fascisti che credono di abbindolare gli italiani con la bubbola della "democrazia diretta", ma da loro, i sinceri democratici devono essere contro il reato di immigrazione clandestina.ciò non toglie che la politica , se è tale, DEVE trovare i mezzi per regolamentare in modo ferreo i flussi.
Antonio,
quello che sta succedendo in Argentina non ha un nesso univoco con un controllo dei capitali che E' LIMITATISSIMO RISPETTO A QUELLO APPLICATO FINO ALLA FINE DEGLI ANNI SETTANTA IN ITALIA, e fino a poco prima in tutta europa.
Non è che basta leggere sempre un sito, impararlo a memoria, e ripetere sempre le cose che scrivono in quel sito.
In Italia nemmeno l'ENI negli anni sessanta poteva acquistare partecipazioni societarie all'estero: doveva chiedere l'autorizzazione ministeriale!
Perché prendi come esempio l'Argentina e non l'Italia democristiana-comunista e socialista che applicò un controllo amministrativo sulla circolazione dei capitali formidabile e fu l'ultima a cedere (la legislazione venne abrigata nel 1990 ma prima si era avuta una liberalizzazione in via amministrative, nel seno che le autorizzazioni venivano date; ma niente a che vedere con ciò che accade oggi).
Stefano D'Andrea
Bellissimo articolo ed eccellente analisi. Una volta tanto si esce dal solito insopportabile schema del "piagnisteo di sinistra" per dire qualcosa che abbia senso...
Neanche a me è piaciuto l'articolo "L'Ora del Delitto", ma era completamente inutile stare a polemizzare su quell'articolo:
Certi dogmi sono inammovibili nelle logiche della sinistra extraparlamentare, quindi "polemizzare" significa solo "farsi il sangue cattivo".
Ad ogni modo apprezzo che i compagni abbiano postato anche altre voci...nello specifico questo articolo di Brancaccio mi è piaciuto moltissimo perchè individua precisamente la ragione percui la maggior parte della gente non vuole avere qui gli immigrati:
Fungono da "esercito proletario di riserva" per i capitalisti nostrani
in un contesto nel quale già esiste
una disoccupazione mostruosa e ci facciamo già *tra di noi* da "esercito proletario di riserva"...
Sono d'accordo con il riconoscimento del fatto che le migrazioni massicce e repentine indotte dal capitalismo industriale hanno un deleterio impatto sociale sulle popolazioni autoctone. Concordo con il fatto che, ai fini del dominio, generano i seguenti vantaggi: 1) Sono un potente mezzo per l’abbassamento del livello medio dei salari nel medio e lungo periodo; 2) Sono un potente mezzo per fertilizzare le ideologie fasciste e autoritarie fra la popolazione e permettere politiche sempre più securitarie e autoritarie; 3) Sono un potente mezzo di divisione delle classi subalterne e preparano le basi per un eventuale ricorso allo schema “guerra civile” nel caso il dominio voglia o debba ricorrere a tale tipo di guerra. Per il resto, le soluzioni, non sono marxista e sono propenso a qualunque cosa possa portare all’abbattimento dell’economia capitalistico-industriale (versione statal-socialista compresa) e della politica.
@Redazione
Ma ci stavate alla manifestazione per la Costitzione?
Io ci sono stato un'oretta e non vi ho visto.
Un'altra cosa per cortesia: ho parlato con il banchetto di SEL e gli ho chiesto qual'era la loro posizione sul problema dei vincoli di bilancio europei (specificando Fiscal Compact etc etc). Mi hanno guardato in tralice e mi hanno detto che non sapevano cosa fossero; stessa cosa al banchetto della FIOM dove mi hanno consigliato di consultare il sito.
Un No Tav mi ha detto che non era al corrente di questioni fiscali.
Ma si può sapere perché non avete messo un banchetto voi con una bella scritta "Per la Costituzione e contro gli incostituzionali vincoli di bilancio"?
Come si fa a mettere un banchetto in una piazza durante una manifestazione? Quest'ultima domanda mi interessa particolarmente, se volete essere gentili da rispondere.
P.S.: Gli unici che erano al corrente erano quelli della Federazione dei Comunisti e di Rifondazione. Quando gli ho detto se pensavano di uscire dall'euro prima mi hanno detto che non era una soluzione poi però hanno aggiunto che in effetti al congresso di Rifondazione a dicembre si discuterà proprio sul fatto se sia necessario cominciare a parlare di possibile uscita, credo nel senso di creare due aree differenziate in Europa.
Rocrdiamoci però anche degli oltre 4 MILIONI di Italiani all'estero, che fanno concorrenza ai nativi sul lavoro esattamente come gli stranieri in Italia. Chiedete agli Svizzeri cosa pensano dei transfrontalieri...
d'andrea,
io ho una laurea in economia e ho anche lavorato nel settore in passato. quindi non sono il coglioncello qualunque che legge un sito (???) e ripete a pappagallo.
al contrario vedo che il 99% dei compagni non sa niente di economia. non parlo di te, non ti conosco e non faccio illazioni su chi non conosco, mentre tu le fai su di me.
lo so che 50 anni fa c'era un ferreo controllo dei capitali, ma come tu stesso hai detto era "di moda". oggi la fase è molto diversa, per questo l'esempio dell'argentina (che fino a pochi mesi fa tutti osannavano) è illuminante.
1) quando dal 2002 al 2007 enormi masse di capitale proveniente dal nord entravano e fu la festa, nessuno si lamentava...
2) se attui una qualsiasi misura qui ma la misura non c'è in altri paesi, quelli a cui la misura non piace se ne vanno e non c'è modo per impedirlo. negli anni 70 non se ne andavano? e certo, lo stato gli regalava i soldi! cosa che oggi non può fare.
3) controllo dei capitali presuppone comunque la previa USCITA DALL'EURO.
antonio.
Gengiss:
Il fatto che ci siano milioni di italiani all'Estero non mi fa nè caldo nè freddo:
All'Estero o ci vai su espresso invito o sei nè più nè meno nella situazione dell'extra-comunitario.
Peraltro, a quanto ne so, se ci vai clandestinamente
gli altri Paesi non sono esattamente "teneri"...ti cacciano senza farsi troppi problemi!
E non vedo nessuna ragione percui i locali dovrebbero pietire un italiano che è venuto lì colla testa piena di fantasie cazzute e che poi stà lì a cincischiare e a fare da "esercito proletario di riserva" a loro...o percui non dovrebbero scocciarsi se ciò avviene!
Non è una questione che uno sia extra-comunitario o che venga da questo o quel Paese...la questione è che è gente che in teoria sa come è la situazione (perchè i mezzi di comunicazione o per informarsi ce li hanno pure loro) e che viene qui anche se non c'è un ca...o:
Non c'è un ca...o per noi e di conseguenza, ovviamente, meno che meno c'è per l'ultimo arrivato!
E, naturalmente, il sospetto che questi capiscano bene che non c'è un accidente e che vengano solo perchè è un Paese di coglioni dove in qualche modo, sussidio qui, contributo là, casa popolare lì, sbanchi il lunario alla faccia degli italiani coglioni ti viene pure...
A Guì, a per favò, nun te ce mette pure te co sta storia dei sussidi e delle case popolari :-)
Per avere una casa popolare intanto devi essere regolare e gli immigrati che ci stanno sono comunque il 6%, significa che l'altro 94 è posseduto da italiani. Inoltre sul web girano molte bufale sui vantaggli agli immigrati. Secondo me chi le mette è un para-puddino che vuole distoglierci dal problema reale per interesse personale.
E comunque se vuoi sapere veramente a cosa serve la Bossi-Fini e queli strumenti sono migliori per non avere più extracomunitari in giro qua c'è un articolo: http://www.keinpfusch.net/2013/10/finestre-che-si-chiudono.html
anche i comunisti russi sono "xenofobi"?
"Per ovvie ragioni, le aziende più redditizie assumono lavoratori stranieri per pagarli di meno e ricevere favolosi profitti derivanti dallo sfruttamento del loro lavoro, ... Di conseguenza, un certo numero di cittadini stranieri crea ulteriori problemi: peggioramento della situazione della criminalità, distruzione dello spazio culturale e storico, enclavi che creano ulteriori problemi nel sistema sanitario per non parlare della situazione sanitario-epidemiologico in diversi quartieri di Mosca ". PARTITO COMUNISTA DELLA FEDERAZIONE RUSSA
http://kprf.ru/party-live/cknews/121914.html
19 agosto 2013
il liberismo ultras (libertarian, anarcocapitalisti, scuola austriaca) sono favorevoli alla totale liberalizzazione della circolazione di persone e quindi all'immigrazione...
antonio.
Anonimo: Grazie per avermi linkato l'articolo...è molto interessante.
Comunque non credo che la "Bossi-Fini" sia la "grande soluzione", ma ancora di più non credo che il "piagnisteo cattocomunista" sia anche lontanamente una soluzione.
Proprio oggi parlavo con un collega che ha la moglie tedesca e diceva che in Germania fanno fare "corsi preparatori" per tutto (in sostanza quello che dice il post)...ma lui considerava la cosa come una "professionalizzazione", mentre io gli dicevo "no...no...guarda che è principalmente una barriera all'ingresso".
Non sono riuscito a persuaderlo, però concordo con te:
In un Paese civilizzato se uno è clandestino e non è autorizzato a rimanere semplicemente lo rimandi a casa.
Poi c'è il problema che quello distrugge i documenti per non essere rimpatriato, ma se non lo fanno in Germania o in altri Paesi probabilmente è perchè c'è un modo civile per "far passare la voglia" a chi lo fa!
Il problema è che per gran parte dell'Estrema Sinistra questo concetto molto semplice e banale è un assoluto "tabù"!
...quindi ci troviamo in mezzo a branchi di babbi che vogliono accogliere tutti in una distorta forma di internazionalismo ed a branchi dei trogloditi che li vorrebbero ficcare nei campi di concentramento!
Sono pienamente concorde con te. Io sono per l'uguaglianza e la fratellanza tra popoli. Ma come dici tu c'è modo e modo. Io sono ben consapevole che accogliere tutti è impossibile oltrechè folle, ma non tollero manco i razzisti e complottardi che ci marciano sopra succhiando energie e distogliendoci dal problema reale col dividi et impera. I problemi nostri sono anche i problemi loro. C'è chi è riuscito a risolverlo e chi no. In Sudamerica ci sono riusciti con Chavez e Che Guevara. In Africa ce la stavano facendo con Sankara, che fu però barbaramente ucciso dalle forze francesi e USA, due potenze che hanno fatto danni immensi all'Africa e all'Europa del mediterraneo e scientamente ci mettono contro.
@Antonio: hai ragione, ma anche la trovi certi razzistelli. Ne ho trovato uno una volta su internet con tanto di bandiera americana esposta con al dicitura "american patriot", ed era italiano, e per di più lavorava in Africa!
Antonio,
il controllo amministrativo dei capitali implica l'uscita dall'Unione europea (che ci impone la libera circolazione dei capitali anche nei confronti dei paesi tetrzi) non dall'euro, visto che dal 1988/1990 al 2000 abbiamo avuto assoluta libertà di circolazione dei capitali con la lira.
La libera circvolazione dei capitali è concepibile senza moneta comune o con moneta comune. Il controllo amministrativo sulla circolazione dei capitali non è pensabile con una moneta comune. Il prius - il vero problema - è il controllo amministrativo sulla circolazione dei capitali (l'euro, in fondo, aveva solo la funzione di aumentare i flussi e i deflussi e la concorrenza divenuti liberi).
anonimo delle 10.05,
ti sei incartato! aspe' che metto il traduttore...
antonio.
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