[ giovedì 30 maggio 2019 ]
L'intervista. Il leader di Sinistra italiana: la nostra lista non è stata percepita come utile a fermare le destre, adesso non richiudiamoci fra noi. Basta frammentazioni, darò il mio contributo. Serve il dialogo con M5S e Pd. Anche con Calenda. Ma continuare a inseguire l’avversario sul suo stesso terreno non porta a nulla.
Abbiamo in questi giorni parlato della disfatta elettorale del M5s. Vale la pena segnalare quella della cosiddetta "sinistra radicale": 469.943 voti, ovvero l'1,75% (del 56% dei votanti).
Il peggior risultato sin dai tempi della sinistra extraparlamentare degli anni '70.
Primo responsabile di questa Caporetto, assieme a Rifondazione, è senza dubbio Nicola Fratoianni (portavoce della vendoliana Sinistra Italiana) il quale in un'intervista a il manifesto oggi in edicola, riconosciuto il disastro, svicola alla domanda se intenda dimettersi da capo politico ma, bontà sua, indica la luminosa via della riscossa: l'alleanza col Pd, indispensabile diga contro...l'onda nera.
Non ci credete? Riportiamo l'intervista per intero.
Non ci credete? Riportiamo l'intervista per intero.
* * *
Fratoianni: «Ora anche la sinistra si impegni nell’alternativa all’onda nera»
«La nostra proposta è stata schiantata dal richiamo al voto utile». Per Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, l’analisi della sconfitta della lista La Sinistra, nata dopo il deragliamento di un’altra lista, Liberi e uguali, è amara. «Più in profondità, questa fase politica è stata segnata dalla polarizzazione di uno scontro. E in questo scontro il bisogno di difendersi dall’onda nera ha prevalso su tutto il resto. Un racconto a cui tutti abbiamo contribuito e che ha portato i cittadini a votare dove sembrava più forte la possibilità di fare resistenza.
D. L’onda nera non c’è?
R. C’è, c’è. E ha messo in secondo piano i contenuti necessari per recidere le radici su cui quell’onda ha costruito la sua forza. Ma, sia chiaro, questo non ci assolve.
D. Dare la colpa al ‘voto utile’ non è autoassolversi dai limiti della vostra proposta?
R. È il contrario. Gli elettori hanno scelto chi sentivano più efficace per fermare le destre. Ci hanno considerati insufficienti e poco credibili. Poi ci sono altri elementi, la costruzione tardiva della lista per esempio, ma non credo che questo sia il punto.
D. Davate l’impressione degli stessi ceti politici che si rimescolano, dalla Sinistra Arcobaleno a L’Altra Europa a Leu?
R. Magari, nel 2014 abbiamo preso il 4 per cento. Ma certo, il tema del mancato ricambio e rinnovamento c’è. Ma non è centrale. È paradossale un risultato così proprio mentre nel paese si avverte un risveglio democratico.
D. Lei è stato un protagonista della lista, per alcuni suoi compagni sembrava il leader. Troppo?
R. In questa campagna ho messo tutte le mie energie, fino all’ultima goccia. Come tutti e tutte. Non è bastato. Quando si è trattato di ammettere la sconfitta ci ho messo la faccia.
D. Il 9 giugno ci sarà l’assemblea della lista. Altre volte le spaccature sono arrivate proprio dopo il voto. Quale sarà la proposta di Si per il futuro della lista?
R. Si ha riunito la segreteria, sabato terrà la direzione. Decideremo insieme. Io andrò all’assemblea: è doveroso ragionare sul futuro. Abbiamo di fronte una stagione complicata e un percorso lungo, dobbiamo riconquistare un insediamento sociale nel paese, fin qui ci siamo dispersi in sperimentazioni generose ma evanescenti. La frammentazione della sinistra, dai Verdi a noi al Prc a Possibile, l’Altra Europa, Diem, Dema, èViva e le esperienze civiche, va superata. È percepita come insopportabile. Anche se questa lista ha provato a costruire la più larga unità. Proverò a dare un contributo. Ma non basta. Il voto ci pone un’altra questione: collocare lo sforzo di ricomposizione e rigenerazione dentro la costruzione di un’alternativa alle destre. Il nodo non può essere più aggirato. Non possiamo chiuderci fra noi dicendo che abbiamo ragione ma non ci hanno capiti. Senza rinunciare ai nostri valori e contenuti, occorre dichiararsi pienamente coinvolti dalla richiesta che viene dal paese: costruire un’alternativa a una destra che raggiunge il 50 per cento e in cui la destra radicale sta sul 40.
D. Dal 2 per cento al 50 mancano 48 punti. A chi si rivolge?
R. A tutti quelli che sono oggi interessati a costruire un’alternativa a questa destra. Rispetto l’entusiasmo del Pd, non lo contesto perché ho il senso della misura, ma se immagina un’alternativa concreta non può limitarsi alla riproposizione di schemi vecchi. Tanto meno il centrosinistra. Serve rivolgersi ai 5 Stelle e favorirne il cambio di prospettiva. Per tirarlo dentro questo campo.
D. Riaprire un dialogo con il Pd dopo gli anni del freddo? Come?
R. Costruendo uno spazio di discussione in una prospettiva diversa. Perché questa alternativa abbia gambe serve un lavoro sociale per riconquistare tutti quelli che sono andati a destra e che hanno smesso di votare. Serve mettere mano ai nodi su cui il centrosinistra è stato sconfitto. Non pretendo che il programma sia il nostro. Ma si devono porre al centro i diritti e le libertà, lo dico a M5S. E i diritti sociali, il lavoro, la distribuzione della ricchezza, la protezione di chi non ce la fa, e questo lo dico al Pd. Altrimenti anche le forme più larghe di coalizione sono inefficaci. Guardiamo al Piemonte: un’alleanza larghissima, ma ugualmente non competitiva. Lavoriamo su una piattaforma, su parole nuove. L’exploit di Bartolo (il medico di Lampedusa, ndr) vorrà ben dire qualcosa.
D. C’è stato anche l’exploit di Calenda, però.
R. Sarebbe persino una buona notizia se nascesse una forza centrista. Ognuno fa il suo mestiere e organizza pezzi di società. I contenitori di tutto e il contrario di tutto non funzionano.
D. Quindi lei potrebbe dialogare anche con Calenda?
R. Se il tema è la costruzione di un’alternativa la discussione si fa tra diversi. Ma non si può immaginare un’alternativa continuando a inseguire l’avversario sul suo stesso terreno.
D. Per il Prc la pregiudiziale anti Pd sembrerebbe un dato acquisito.
R. Sarebbe un errore se fosse così. Lo dico qui e lo dirò all’assemblea del 9 giugno. Non ho cambiato giudizio sul Pd e sui suoi governi. Ma non possiamo non misurarci con la realtà. Non sto proponendo di affrontare la questione riducendola soltanto a un problema di alleanze. Ripeto: il centrosinistra, non c’è più, serve uno schema nuovo.
D. Lei si dimette?
R. A questa domanda risponderò alla direzione del partito. È un dovere comunicare le mie scelte innanzitutto davanti agli organismi dirigenti e alla mia comunità politica.
D. L’onda nera non c’è?
R. C’è, c’è. E ha messo in secondo piano i contenuti necessari per recidere le radici su cui quell’onda ha costruito la sua forza. Ma, sia chiaro, questo non ci assolve.
D. Dare la colpa al ‘voto utile’ non è autoassolversi dai limiti della vostra proposta?
R. È il contrario. Gli elettori hanno scelto chi sentivano più efficace per fermare le destre. Ci hanno considerati insufficienti e poco credibili. Poi ci sono altri elementi, la costruzione tardiva della lista per esempio, ma non credo che questo sia il punto.
D. Davate l’impressione degli stessi ceti politici che si rimescolano, dalla Sinistra Arcobaleno a L’Altra Europa a Leu?
R. Magari, nel 2014 abbiamo preso il 4 per cento. Ma certo, il tema del mancato ricambio e rinnovamento c’è. Ma non è centrale. È paradossale un risultato così proprio mentre nel paese si avverte un risveglio democratico.
D. Lei è stato un protagonista della lista, per alcuni suoi compagni sembrava il leader. Troppo?
R. In questa campagna ho messo tutte le mie energie, fino all’ultima goccia. Come tutti e tutte. Non è bastato. Quando si è trattato di ammettere la sconfitta ci ho messo la faccia.
D. Il 9 giugno ci sarà l’assemblea della lista. Altre volte le spaccature sono arrivate proprio dopo il voto. Quale sarà la proposta di Si per il futuro della lista?
R. Si ha riunito la segreteria, sabato terrà la direzione. Decideremo insieme. Io andrò all’assemblea: è doveroso ragionare sul futuro. Abbiamo di fronte una stagione complicata e un percorso lungo, dobbiamo riconquistare un insediamento sociale nel paese, fin qui ci siamo dispersi in sperimentazioni generose ma evanescenti. La frammentazione della sinistra, dai Verdi a noi al Prc a Possibile, l’Altra Europa, Diem, Dema, èViva e le esperienze civiche, va superata. È percepita come insopportabile. Anche se questa lista ha provato a costruire la più larga unità. Proverò a dare un contributo. Ma non basta. Il voto ci pone un’altra questione: collocare lo sforzo di ricomposizione e rigenerazione dentro la costruzione di un’alternativa alle destre. Il nodo non può essere più aggirato. Non possiamo chiuderci fra noi dicendo che abbiamo ragione ma non ci hanno capiti. Senza rinunciare ai nostri valori e contenuti, occorre dichiararsi pienamente coinvolti dalla richiesta che viene dal paese: costruire un’alternativa a una destra che raggiunge il 50 per cento e in cui la destra radicale sta sul 40.
D. Dal 2 per cento al 50 mancano 48 punti. A chi si rivolge?
R. A tutti quelli che sono oggi interessati a costruire un’alternativa a questa destra. Rispetto l’entusiasmo del Pd, non lo contesto perché ho il senso della misura, ma se immagina un’alternativa concreta non può limitarsi alla riproposizione di schemi vecchi. Tanto meno il centrosinistra. Serve rivolgersi ai 5 Stelle e favorirne il cambio di prospettiva. Per tirarlo dentro questo campo.
D. Riaprire un dialogo con il Pd dopo gli anni del freddo? Come?
R. Costruendo uno spazio di discussione in una prospettiva diversa. Perché questa alternativa abbia gambe serve un lavoro sociale per riconquistare tutti quelli che sono andati a destra e che hanno smesso di votare. Serve mettere mano ai nodi su cui il centrosinistra è stato sconfitto. Non pretendo che il programma sia il nostro. Ma si devono porre al centro i diritti e le libertà, lo dico a M5S. E i diritti sociali, il lavoro, la distribuzione della ricchezza, la protezione di chi non ce la fa, e questo lo dico al Pd. Altrimenti anche le forme più larghe di coalizione sono inefficaci. Guardiamo al Piemonte: un’alleanza larghissima, ma ugualmente non competitiva. Lavoriamo su una piattaforma, su parole nuove. L’exploit di Bartolo (il medico di Lampedusa, ndr) vorrà ben dire qualcosa.
D. C’è stato anche l’exploit di Calenda, però.
R. Sarebbe persino una buona notizia se nascesse una forza centrista. Ognuno fa il suo mestiere e organizza pezzi di società. I contenitori di tutto e il contrario di tutto non funzionano.
D. Quindi lei potrebbe dialogare anche con Calenda?
R. Se il tema è la costruzione di un’alternativa la discussione si fa tra diversi. Ma non si può immaginare un’alternativa continuando a inseguire l’avversario sul suo stesso terreno.
D. Per il Prc la pregiudiziale anti Pd sembrerebbe un dato acquisito.
R. Sarebbe un errore se fosse così. Lo dico qui e lo dirò all’assemblea del 9 giugno. Non ho cambiato giudizio sul Pd e sui suoi governi. Ma non possiamo non misurarci con la realtà. Non sto proponendo di affrontare la questione riducendola soltanto a un problema di alleanze. Ripeto: il centrosinistra, non c’è più, serve uno schema nuovo.
D. Lei si dimette?
R. A questa domanda risponderò alla direzione del partito. È un dovere comunicare le mie scelte innanzitutto davanti agli organismi dirigenti e alla mia comunità politica.
... Amen
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4 commenti:
Dio ci conservi Fratoianni...
Come direbbe l’Alberto « Eggnente proprio non ce la fate ». Quest’intervista avrei potuto recitarla a occhi chiusi. Non manca nessun luogo comune e non c’è nessuno dei nodi che hanno provocato il disastro. Ovvio che, sempre come recita lo stesso, se il tuo stipendio dipende dal non dire l’essenziale...
Ho sentito nominare il personaggio nel 2014, al centro di varie tensioni nella lista Tsipras, che per mia fortuna non votai, più a naso che altro. Già allora era un fervente europeista, di quelli che « i nostri obblighi europei a cui non possiamo mancare », insomma. Già da allora, ma non solo da allora, era evidente che il ruolo auspicato per SEL, poi seguita in questo dal resto della « sinistra » era quello di raccogliere un po’di suffragi malpancisti variamente spocchiosetti per farne omaggio al PD sperando in un suo sguardo benevolo da tradurre in qualche seggio locale e nel foraggiamento delle molte associazioni portate in dote ad esempio dai vari Marcon ecc.
L’unità della sinistra c’entra un fico secco. Finché riesci a analizzare un disastro alle elezioni europee senza mai pronunciare la parola UE, non dico euro, non manifesti altro che la tua nullità. Anzi, manifesti pure quella di un giornalista vergognosamente compiacente che non fa non dico una domanda, ma nemmeno un’allusione, un’insinuazione, un garbato richiamo...
Il capolavoro dell’ipocrisia sta forse, perché è difficile selezionare tra tante perle, in quell’ « aiutare chi non ce la fa », andando a mettersi sotto l’ombrello Eurodemocratico di chi da quarant’anni piglia a calci le persone con ogni randello legislativo, economico e politico disponibile per essere sicuro che non possano farcela.
Del resto, finché non si vuole mostrare il vero responsabile del risultato elettorale, cioè il liberismo obbligato dell’Unione europea, che altro ci si puo’ aspettare se non discorsi contenenti appelli più o meno sentimentali e insignificanti come questi?
Li si potrebbe accompagnare a una tomba politica di gusto tardo ottocentesco senza versare una lacrima e nemmeno scomodarsi per il funerale di cotanta forza politica (esclusivamente politico, eh, sia mai!!!), se non si temesse a questo punto l’accoglienza che cio’ potrebbe trovare nei 5S.
Anche se un discorso come questo fa venire voglia di sostenere persino un personaggio a mio parere terribilmente inadeguato a governare come Salvini (il sicurezza 2 è un obbrobrio terrificante, da chi non riesce a vedere il proprio ruolo più in là di una partita a guardie e ladri davanti a qualsiasi manifestazione di dissenso e malessere sociale), la scomparsa del governo attuale potrebbe non aprire scenari migliori.
Ma ci si stupisce ancora della vacuità e mancanza di respiro strategico di queste formazioni civetta?La sola e unica strategia politica che conoscono a memoria è sempre la stessa da decenni,quella per cui il popolo va rieducato perché ignorante e incline alla dittatura,un popolo che non capisce quanto sia buono e giusto il globalismo delle multinazionali del capitale apolide,nonché della incipiente sostituzione etnica di manodopera a costo zero.Eh sì proprio ingrato questo popolo che vota per i "fascio/leghisti",roba da invocare immediatamente chi sicuramente ci salverà (sic),si provi ad indovinare chi?;il solo augurio possibile invece per loro è la sparizione completa dal panorama politico,assieme al disprezzo che hanno sempre dimostrato per la classi dominate.
Schifo più questa gente che il Pd o Berlusconi.
Vogliamo parlare della carta igienica usata denominata
Manifesto?
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