[ giovedì 23 maggio 2019]
PENSAVAMO FOSSE AMORE, INVECE ERA UN CALESSE...
Il 9 marzo scorso informavamo i lettori che a Roma, Patria e Costituzione di Stefano Fassina, Senso Comune e Rinascita! presentavano il Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Salutammo positivamente quell'evento, mettendone tuttavia in luce certi seri limiti politici, due su tutti, enormi, il silenzio sulla rottura della Ue l'uscita dall'eurozona. Limiti che non facevano presagire nulla di buono e che indicammo subito nel Comunicato NESSUNO É PERFETTO.
Come volevasi dimostrare... A meno di due mesi il triangolo si è spezzato. Rinascita! da una parte Fassina e Senso Comune dall'altra.
Pubblico qui di seguito il testo (sommariamente rivisto, per cui potranno esservi alcuni refusi) del mio intervento introduttivo alla riunione di Bologna da cui è nata la Lettera sul Manifesto sulla sovranità popolare che ho postato in precedenza:
Credo che i dieci punti del Manifesto possano essere sintetizzati in sei tesi di fondo che richiamerò qui di seguito, per poi misurare la distanza fra i due differenti modi di dedurne strategia politica e forme organizzative.
1. Il Manifesto denuncia le responsabilità di una sinistra che regala alle destre il monopolio del linguaggio patriottico. Chiarisce che amor patrio non significa aggressività nazionalista, bensì sentimento condiviso da tutti i cittadini che appartengono a una stessa comunità territoriale, a prescindere da appartenenze etniche, religiose, di genere, ecc. La patria è unità di popolo, stato e nazione ed è l’esisto di un processo di costruzione politica e non di ancestrali retaggi di sangue.
2. Il Manifesto chiama a una difesa intransigente dei principi della Costituzione del 48, a partire dagli articoli che stabiliscono che la dignità delle persone si afferma attraverso il lavoro, che va promosso, garantito e tutelato con ogni mezzo, e riconoscono la legittimità del conflitto fra capitale e lavoro come strumento di emancipazione collettiva. Denuncia il tentativo delle forze politiche neoliberiste, di destra, centro e sinistra, di sfregiare la Carta con riforme come quella dell’articolo 81, che impone il pareggio di bilancio e vieta politiche economiche keynesiane, in stridente contrasto con gli articoli citati in precedenza. Questa riforma è inspirata ai principi della costituzione ordoliberale dell’Unione Europea, costituzione che coincide con i Trattati che sottraggono sovranità ai Paesi membri, vietano politiche economiche ridistributive, tolgono allo Stato-nazione il controllo sulla politica monetaria e ogni possibilità di intervento diretto in economia, impongono privatizzazioni in tutti i settori, politiche di contenimento salariale, tagli al welfare e alla spesa pubblica. Il Manifesto dichiara quindi l’incompatibilità fra Costituzione e Trattati europei e afferma che la prima deve prevalere sui secondi.
3. Preso atto della tendenza alla ri-nazionalizzazione di economia e politica, il Manifesto denuncia il cosmopolitismo borghese che le sinistre spacciano per internazionalismo proletario, afferma che la domanda di protezione delle classi subalterne dagli effetti dei processi di finanziarizzazione e globalizzazione può ottenere risposta solo dallo Stato nazionale, l’unico in grado di generare piena occupazione, ridistribuire risorse, imbrigliare il mercato, regolare i flussi internazionali di capitali, merci e persone, obbligare la proprietà privata a servire interessi sociali, contrastare il principio di libera concorrenza. Afferma che per realizzare tali obiettivi occorre difendere l’unità nazionale contro il separatismo dei ricchi: certe rivendicazioni di autonomie regionali, ma anche il municipalismo delle metropoli che si propongono di “fare rete” bypassando i confini nazionali, servono a strappare risorse allo Stato nazione impedendo la possibilità di qualsiasi politica ridistributiva fra territori. La governance europea attacca lo Stato nazione dall’alto e dal basso e instaura un’alleanza fra istituzioni oligarchiche sovranazionali e borghesie regionali e metropolitane contro le periferie (la rivolta dei gilet gialli è espressione della rabbia popolare contro tale disegno).
4. Il Manifesto si oppone alla falsa alternativa fra xenofobia e ideologia no border. Richiama l’attenzione sulla vera causa del fenomeno: il neocolonialismo che genera guerre locali, debiti sovrani fuori controllo, accaparramento di territori e materie prime. Aggiunge che questo non implica chiudere gli occhi sulla deportazione di mano d’opera da parte di organizzazioni criminali e sul suo uso a fini di dumping sociale da parte dei
padroni. Afferma quindi la necessità di regolare il flusso in base alla reale capacità di accoglienza e integrazione del Paese. Propone infine di promuovere la solidarietà internazionalista fra classi popolari dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri, chiamati a lottare per affermare il diritto allo sviluppo di tutte le nazioni e il conseguente diritto a non emigrare.
5. Il socialismo è il filo rosso che attraversa l’intero Manifesto: dal richiamo alle voci della Carta che esaltano gli interessi e la dignità del lavoro e valorizzano il conflitto sociale, all’affermazione che la ripresa del Paese passa inevitabilmente dal controllo dello Stato su mercato, proprietà privata e flussi di merci, capitali e persone. Si ribadisce che parlare di socialismo oggi non è più un tabù: lo fanno Sanders in America; Corbyn in Inghilterra, le rivoluzioni bolivariane in America Latina, i populismi europei di sinistra e recentemente lo ha fatto il leader dei giovani socialdemocratici tedeschi, Kevin Kunert, che ha affermato la necessità di nazionalizzare le grandi industrie, limitare la proprietà immobiliare e ha rilanciato la sfida della transizione a una società post capitalistica. Ma il Manifesto vede nel socialismo qualcosa di più di un nuovo sistema economico: lo identifica con un progetto alternativo di civiltà, in grado di affrontare sia il problema del controllo democratico sull’uso del sapere scientifico e tecnologico, sia la sempre più drammatica sfida ambientale.
6. Infine il Manifesto recita al punto 10: “Nessuna delle attuali forze politiche italiane è in grado di raccogliere le indicazioni qui sintetizzate. Non le destre e le sinistre riformiste, corresponsabili dello snaturamento in senso liberista della Costituzione e dell’integrazione subalterna dell’Italia nell’Unione europea. Non le sinistre radicali o antagoniste, sorde ai temi della nazione e dello Stato”. Sorvolando sui passaggi dedicati ai limiti delle politiche governative gialloverdi, vengo alla conclusione: “La discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve essere reso funzionale alla formazione di una forza politica, ispirata ai principi del socialismo, del cristianesimo sociale, dell’ambientalismo…”
Veniamo al dissenso. In primo luogo, occorre sottolineare che, già nella tormentata trattativa per arrivare alla stesura finale del Manifesto, frutto d’un compromesso fra le posizioni delle tre associazioni, si sono registrate divergenze sul tema dell’Europa. Ecco perché, nel testo definitivo, manca una posizione inequivoca sulla questione della sovranità monetaria; così come manca una posizione inequivoca in merito a una possibile Exit Strategy per il nostro Paese. Inoltre, dall’affermazione di principio sull’incompatibilità fra Costituzione e trattati europei non si deduce chiaramente la conseguenza che la ricostruzione dell’Italia passa dall’exit.
Ma veniamo ai nodi cruciali che riguardano: 1) il tipo di soggetto politico che si intende costruire; 2) il giudizio sulle sinistre esistenti (tutte!) come forze con cui non è più possibile condividere un progetto come il nostro. Io credo che un soggetto politico, per incarnare la filosofia del Manifesto, dovrebbe inspirarsi al documento di Alessandro Visalli, di cui riassumo qui di seguito alcuni nodi cruciali.
Per dare un’idea più precisa del segno ideologico di questa presa di posizione mi limito a sintetizzare quanto ho scritto sul sito di Rinascita! a proposito di quella presunta “vittoria. Benché Podemos abbia perso meno di quanto prevedessero i sondaggi (il 5/6% invece del 10.), si tratta di un disastro che ha strappato il sorriso ad Aldo Cazzullo. Scrive l’opinionista del Corriere: «Ora Iglesias è diventato un docile vassallo dei socialisti, anche se ha recuperato terreno grazie alla buona prestazione nei dibattiti». L’accenno alla performance mediatica piacerà a Senso Comune, ma il succo sta nella prima parte della citazione: Cazzullo esulta perché sa che il Psoe di Sanchez è un partito neoliberale, europeista, che ha sempre condotto politiche antipopolari, alternandosi alla guida del Paese con il PPE senza discostarsene granché e condividendone le disavventure giudiziarie causate dal vizio di intascare tangenti, una copia conforme del PD in poche parole.
Perché l'ennesima divisione? Quali le divergenze? Ce lo spiega, e con chiarezza, il compagno Carlo Formenti, che proprio quel "lontano" 9 marzo introdusse i lavori. Carlo sottolinea in prima battuta le "divergenze sull'Europa.
* * *
LE RAGIONI DELLA ROTTURA
di Carlo Formenti
Pubblico qui di seguito il testo (sommariamente rivisto, per cui potranno esservi alcuni refusi) del mio intervento introduttivo alla riunione di Bologna da cui è nata la Lettera sul Manifesto sulla sovranità popolare che ho postato in precedenza:
«Sulle ragioni che ci hanno indotto a riunirci oggi qui per formalizzare la nostra presa di distanza dal modo in cui è stato gestito, dopo l’assemblea del 9 marzo scorso, il progetto politico lanciato con il Manifesto per la sovranità costituzionale, dirò più avanti. Per ora mi limito a rispondere alle preoccupazioni di chi ha sollevato dubbi in merito alla necessità di rendere pubblica la rottura temendo che ciò possa innescare i soliti teatrini di accuse e insulti reciproci che caratterizzano le scissioni nella sinistra radicale.
Non era nato un soggetto politico
Condivido quest’ultima esigenza, anche se mi pare opportuno chiarire che qui non si tratta di scissione: perché si dia scissione occorre che esista un soggetto politico unitario che, in questo caso, non si è formato. Sintetizzo i fatti: 1) c’è stata un’assemblea nella quale è stato presentato un Manifesto redatto dal sottoscritto su mandato di un gruppo di coordinamento fra tre associazioni (Rinascita!, Patria e Costituzione e Senso Comune); 2) nel gruppo di coordinamento fra le suddette associazioni sono sorte divergenze in merito a come, con che tempi e con quali modalità organizzative tradurre in azione politica il Manifesto; 3) tali divergenze riguardavano sia la necessità di garantire un minimo di
legittimazione e rappresentatività al gruppo di coordinamento, sia l’atteggiamento da assumere sulle elezioni europee, sia l’interpretazione dei contenuti e dello spirito del Manifesto.
legittimazione e rappresentatività al gruppo di coordinamento, sia l’atteggiamento da assumere sulle elezioni europee, sia l’interpretazione dei contenuti e dello spirito del Manifesto.
Fassina e il gruppo dirigente di Senso Comune, prima hanno ignorato le critiche che venivano sia da Rinascita! che dall’interno dei loro gruppi di riferimento, poi annunciato l’intenzione di convergere in Patria e Costituzione per dare vita a un movimento politico. Mi pare che ciò chiarisca il quadro: nessuna scissione, più semplicemente, una parte di coloro che hanno lanciato il Manifesto hanno deciso di marciare da soli, ignorando le critiche dell’altra parte, la quale si trova qui oggi per discutere su come tradurre in progetto politico il Manifesto, dal quale Fassina e il gruppo dirigente di Senso Comune, come dirò più avanti, si sono nel frattempo distanziati sotto diversi e non irrilevanti aspetti. A questo punto mi pare chiaro che i progetti in campo erano due fin dall’inizio e, visto che uno di essi è stato formalizzato, tocca a noi formalizzare il nostro. Senza polemiche e scomuniche reciproche, e senza preclusioni riguardo alla possibilità di future convergenze.
In difesa del manifesto
Credo che i dieci punti del Manifesto possano essere sintetizzati in sei tesi di fondo che richiamerò qui di seguito, per poi misurare la distanza fra i due differenti modi di dedurne strategia politica e forme organizzative.
1. Il Manifesto denuncia le responsabilità di una sinistra che regala alle destre il monopolio del linguaggio patriottico. Chiarisce che amor patrio non significa aggressività nazionalista, bensì sentimento condiviso da tutti i cittadini che appartengono a una stessa comunità territoriale, a prescindere da appartenenze etniche, religiose, di genere, ecc. La patria è unità di popolo, stato e nazione ed è l’esisto di un processo di costruzione politica e non di ancestrali retaggi di sangue.
2. Il Manifesto chiama a una difesa intransigente dei principi della Costituzione del 48, a partire dagli articoli che stabiliscono che la dignità delle persone si afferma attraverso il lavoro, che va promosso, garantito e tutelato con ogni mezzo, e riconoscono la legittimità del conflitto fra capitale e lavoro come strumento di emancipazione collettiva. Denuncia il tentativo delle forze politiche neoliberiste, di destra, centro e sinistra, di sfregiare la Carta con riforme come quella dell’articolo 81, che impone il pareggio di bilancio e vieta politiche economiche keynesiane, in stridente contrasto con gli articoli citati in precedenza. Questa riforma è inspirata ai principi della costituzione ordoliberale dell’Unione Europea, costituzione che coincide con i Trattati che sottraggono sovranità ai Paesi membri, vietano politiche economiche ridistributive, tolgono allo Stato-nazione il controllo sulla politica monetaria e ogni possibilità di intervento diretto in economia, impongono privatizzazioni in tutti i settori, politiche di contenimento salariale, tagli al welfare e alla spesa pubblica. Il Manifesto dichiara quindi l’incompatibilità fra Costituzione e Trattati europei e afferma che la prima deve prevalere sui secondi.
3. Preso atto della tendenza alla ri-nazionalizzazione di economia e politica, il Manifesto denuncia il cosmopolitismo borghese che le sinistre spacciano per internazionalismo proletario, afferma che la domanda di protezione delle classi subalterne dagli effetti dei processi di finanziarizzazione e globalizzazione può ottenere risposta solo dallo Stato nazionale, l’unico in grado di generare piena occupazione, ridistribuire risorse, imbrigliare il mercato, regolare i flussi internazionali di capitali, merci e persone, obbligare la proprietà privata a servire interessi sociali, contrastare il principio di libera concorrenza. Afferma che per realizzare tali obiettivi occorre difendere l’unità nazionale contro il separatismo dei ricchi: certe rivendicazioni di autonomie regionali, ma anche il municipalismo delle metropoli che si propongono di “fare rete” bypassando i confini nazionali, servono a strappare risorse allo Stato nazione impedendo la possibilità di qualsiasi politica ridistributiva fra territori. La governance europea attacca lo Stato nazione dall’alto e dal basso e instaura un’alleanza fra istituzioni oligarchiche sovranazionali e borghesie regionali e metropolitane contro le periferie (la rivolta dei gilet gialli è espressione della rabbia popolare contro tale disegno).
padroni. Afferma quindi la necessità di regolare il flusso in base alla reale capacità di accoglienza e integrazione del Paese. Propone infine di promuovere la solidarietà internazionalista fra classi popolari dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri, chiamati a lottare per affermare il diritto allo sviluppo di tutte le nazioni e il conseguente diritto a non emigrare.
5. Il socialismo è il filo rosso che attraversa l’intero Manifesto: dal richiamo alle voci della Carta che esaltano gli interessi e la dignità del lavoro e valorizzano il conflitto sociale, all’affermazione che la ripresa del Paese passa inevitabilmente dal controllo dello Stato su mercato, proprietà privata e flussi di merci, capitali e persone. Si ribadisce che parlare di socialismo oggi non è più un tabù: lo fanno Sanders in America; Corbyn in Inghilterra, le rivoluzioni bolivariane in America Latina, i populismi europei di sinistra e recentemente lo ha fatto il leader dei giovani socialdemocratici tedeschi, Kevin Kunert, che ha affermato la necessità di nazionalizzare le grandi industrie, limitare la proprietà immobiliare e ha rilanciato la sfida della transizione a una società post capitalistica. Ma il Manifesto vede nel socialismo qualcosa di più di un nuovo sistema economico: lo identifica con un progetto alternativo di civiltà, in grado di affrontare sia il problema del controllo democratico sull’uso del sapere scientifico e tecnologico, sia la sempre più drammatica sfida ambientale.
6. Infine il Manifesto recita al punto 10: “Nessuna delle attuali forze politiche italiane è in grado di raccogliere le indicazioni qui sintetizzate. Non le destre e le sinistre riformiste, corresponsabili dello snaturamento in senso liberista della Costituzione e dell’integrazione subalterna dell’Italia nell’Unione europea. Non le sinistre radicali o antagoniste, sorde ai temi della nazione e dello Stato”. Sorvolando sui passaggi dedicati ai limiti delle politiche governative gialloverdi, vengo alla conclusione: “La discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve essere reso funzionale alla formazione di una forza politica, ispirata ai principi del socialismo, del cristianesimo sociale, dell’ambientalismo…”
Il compromesso e le divergenze...
Veniamo al dissenso. In primo luogo, occorre sottolineare che, già nella tormentata trattativa per arrivare alla stesura finale del Manifesto, frutto d’un compromesso fra le posizioni delle tre associazioni, si sono registrate divergenze sul tema dell’Europa. Ecco perché, nel testo definitivo, manca una posizione inequivoca sulla questione della sovranità monetaria; così come manca una posizione inequivoca in merito a una possibile Exit Strategy per il nostro Paese. Inoltre, dall’affermazione di principio sull’incompatibilità fra Costituzione e trattati europei non si deduce chiaramente la conseguenza che la ricostruzione dell’Italia passa dall’exit.
Ma veniamo ai nodi cruciali che riguardano: 1) il tipo di soggetto politico che si intende costruire; 2) il giudizio sulle sinistre esistenti (tutte!) come forze con cui non è più possibile condividere un progetto come il nostro. Io credo che un soggetto politico, per incarnare la filosofia del Manifesto, dovrebbe inspirarsi al documento di Alessandro Visalli, di cui riassumo qui di seguito alcuni nodi cruciali.
Vicenza, 5 gennaio 2017. La prima riunione di Senso Comune. Gerbaudo (primo a destra) e Mazzolini (terzo da destra) |
I populismi di sinistra che hanno tentato di riproporre in Europa il modello bolivariano sono in crisi. I motivi della crisi sono: il “comunicazionismo”, l’idea che oggi la politica si fa attraverso i media, per cui occorre costruire partiti “leggeri” senza strutture intermedie, fondati sul rapporto diretto fra leader carismatico e base; l’idea che si possa arrivare al governo conquistando l’egemonia su settori abbastanza ampi di opinione pubblica; la mancata definizione del blocco sociale di riferimento, che genera obiettivi e programmi politici nebulosi; l’incapacità di tagliare il cordone ombelicale con le sinistre radicali da cui questi movimenti ereditano la tendenza a privilegiare i diritti civili sui diritti sociali, il cosmopolitismo, che impedisce di prendere posizioni nette sull’Europa (vedi sopra), un linguaggio politicamente corretto che piace a intellettuali e classi medie mentre irrita gli strati inferiori della forza lavoro. È proprio su questi strati, sostiene giustamente Visalli, che dovrebbe invece far leva un partito che voglia «Lavorare per rendere di nuovo leggibile il mondo alla parte subalterna, aiutandola a politicizzarsi e a rappresentarsi, a simbolizzare il potere collettivo, individuando una diversa costituente sociale capace di riorientare una politica di classe». Un partito capace di farla finita con il cosmopolitismo e la retorica dei diritti civili, la semplificazione comunicazionista e il governismo, un partito-comunità in grado di affondare le radici nelle masse per riattivarne consapevolezza, lo spirito di solidarietà e la volontà di lottare per obiettivi comuni.
Quali siano, invece, le idee di Fassina e Senso Comune su questo tema emerge: 1) dal rifiuto di ampliare il coordinamento per discutere collettivamente sia la posizione da assumere sulle elezioni europee (per inciso, osservo che non a caso non si è mai arrivati a condividere una posizione inequivoca a favore dell’astensionismo, come quella del documento di Mimmo Porcaro che siamo oggi chiamati ad approvare), sia le iniziative politiche e organizzative da assumere in vista dell’atto fondativo del nuovo soggetto politico; 2) dalla valutazione dell’esito delle elezioni spagnole.
Il "cerchio magico" e le elezioni spagnole
La scelta di affidare la gestione del progetto a un “cerchio magico” che non ritiene di dover discutere le proprie analisi e rendere conto a nessun altro delle proprie scelte rivela l’intenzione di costruire un soggetto ritagliato sul modello verticista/comunicazionista criticato da Visalli. Quanto al giudizio sulle elezioni spagnole non lascia dubbi sulla volontà di restare saldamente agganciati al carro della sinistra radicale europea. La sconfitta di Podemos e il suo ridimensionamento a ruota di scorta di un partito, il Psoe, dichiaratamente neoliberista, europeista, filo occidentale diventa “l’unica vittoria (?) in controtendenza d’una sinistra in Europa” [Carlo si riferisce alle dichiarazioni di Fassina "Speriamo in un governo del PSOE", Ndr], da celebrare come successo di un fronte unito contro le destre populiste, parola d’ordine condivisa da Macron, Dem italiani, Popolari e Spd tedeschi, cioè quanto di più alieno al punto 10 del Manifesto.
Per dare un’idea più precisa del segno ideologico di questa presa di posizione mi limito a sintetizzare quanto ho scritto sul sito di Rinascita! a proposito di quella presunta “vittoria. Benché Podemos abbia perso meno di quanto prevedessero i sondaggi (il 5/6% invece del 10.), si tratta di un disastro che ha strappato il sorriso ad Aldo Cazzullo. Scrive l’opinionista del Corriere: «Ora Iglesias è diventato un docile vassallo dei socialisti, anche se ha recuperato terreno grazie alla buona prestazione nei dibattiti». L’accenno alla performance mediatica piacerà a Senso Comune, ma il succo sta nella prima parte della citazione: Cazzullo esulta perché sa che il Psoe di Sanchez è un partito neoliberale, europeista, che ha sempre condotto politiche antipopolari, alternandosi alla guida del Paese con il PPE senza discostarsene granché e condividendone le disavventure giudiziarie causate dal vizio di intascare tangenti, una copia conforme del PD in poche parole.
Podemos regala a questo partito il proprio sostegno senza riceverne nulla in cambio (ricordate i sostegni esterni di Bertinotti a Prodi?). Se il Psoe accetterà il regalo, Podemos si ridurrà a una pallida controfigura del partito che tante speranze aveva suscitato qualche anno fa. I limiti che gli faranno fare questa fine sono esattamente quelli indicati poco sopra: l’ideologia “comunicazionista”, convinta che programmi e organizzazione politica contino meno delle strategie comunicative che consentono di aggregare consenso per approdare rapidamente al governo (quando poi ci si arriva, vedi i 5 Stelle, sono guai seri…); l’assenza di radicamento sui territori, nei luoghi di lavoro, nei quartieri dovuta alla scelta di costruire un partito “leggero” fondato sul rapporto diretto fra leader
carismatico e opinione pubblica; l’affastellamento fra correnti ideologiche della nuova e vecchia sinistra sul modello di Syriza al posto della costruzione di un blocco sociale; il riferimento alle teorie populiste di Laclau nella versione “debole” di Chantal Mouffe ninfa Egeria di Inigo Errejon, leader dell’ala moderata del partito (e cara sia a Fassina che a Senso comune, che l’hanno condotta come una Madonna pellegrina in giro per l’Italia); l’adozione di canoni linguistici politicamente corretti (fino alla ridicola femminilizzazione del nome del partito, che suona ora Unidas Podemos) tipici degli strati intellettuali e piccolo borghesi illuminati che costituiscono una quota significativa degli aderenti al partito (nonché irritanti per le orecchie delle masse popolari). Se il “succo” che Fassina e Senso Comune estraggono dal Manifesto è questo mi pare che vi sia poco da aggiungere. Lasciamo che proseguano per questa strada e rimbocchiamoci le maniche per definire la nostra a partire dalla giornata di oggi, dalla quale sono convinto si debba venir fuori con la ufficializzazione della nostra nascita, avendo approvato il documento sulle elezioni europee e avendo definito un gruppo di coordinamento provvisorio che dovrà stilare il documento conclusivo su cui convocare un’assemblea aperta non oltre giugno, nella quale formalizzeremo la nostra nascita come soggetto politico e ne definiremo il nome».
Ernesto Laclau e Chantal Mouffe |
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