[ lunedì 20 maggio 2019 ]
La prima logistica militare di Pechino, con la ufficiale finalità di supportare le operazioni anti-pirateria nel Golfo di Aden, è stata costruita a Gibuti. La presenza cinese a Gibuti è di fondamentale rilievo nell’edificio e nella protezione della via marittima delle Vie della Seta e per la proiezione strategica cinese nel Mar Mediterraneo. La pace tra Eritrea ed Etiopia, siglata nell’agosto 2018 tra Abiy Ahmed e Isaias Afwerki, vide come protagonisti attivi e interessati al quadro geopolitico del Corno d’Africa proprio Russia e Cina. Poco dopo la definitiva pace tra i due stati africani, non a caso, Sergei Lavrov, Ministro degli esteri russo, annunciò l’apertura di un hub logistico russo in Eritrea. E’ nota la proiezione mediterranea della Russia putiniana. Si può addirittura considerare, questo elemento, il più grande successo strategico del putinismo, a fronte di un pericoloso arretramento nella fascia della tradizionale “Grande Russia”.
Siti sionisti e americani parlarono appunto con preoccupazione di un asse strategico russo-cinese anche in Africa. Si alzarono le antenne Sioniste in quanto in Eritrea, in più casi, attraccarono con costante continuità navi militari appartenenti alla Guardia rivoluzionaria iraniana impegnate nello Yemen. Si parlò di un “grande gioco” russo e cinese lungo l’importante quadrante liquido del Mar Rosso. Nell’altra costa, si consideri bene, divampava e divampa tuttora il conflitto yemenita. D’altra parte, la strategicità di Asmara sarebbe testimoniata dalla lunga amicizia tra Israele ed Eritrea: il Mossad avrebbe in loco punti satellitari d’ascolto, tra Massawa e Amba Soira, mediante i quali sorveglierebbe le azioni militari e tattiche persiane. Nota, altresì, la presenza emiratina e saudita. Questi ultimi, contemporaneamente alla deflagrazione del conflitto yemenita, hanno costruito tre basi militari nei pressi di Assab e vari campi d’addestramento per mercenari internazionali provenienti dal Sudan, dalla Somalia e da altri stati africani o arabi. I porti eritrei della Dancalia meridionale sono diventati perciò il trampolino di lancio di operazioni mirate contro i ribelli sciiti Houti nello Yemen. La presenza di varie potenze internazionali in Eritrea ricorda appunto quanto sta avvenendo appena più a sud, a Gibuti. Le autorità gibutine, in cambio di affitti e prestiti, hanno dato semaforo verde all’apertura di installazioni militari. Dopo i francesi (circa 1400 tra soldati e civili), sempre di casa a Camp Lemonnier, si sono aggiunti nel tempo gli Stati Uniti (circa 4000 tra soldati e civili), l’Italia ( circa 100) e il Giappone ( circa 180). Infine, la Cina (1500 secondo le ultime stime), ultima arrivata, ha realizzato una immensa caserma, strutture portuali ma soprattutto, a differenza delle altre potenze, enormi depositi sotterranei. Le forze cinesi sono state accusate dagli americani presenti nella base di Camp Lemmonier di testare armi laser contro l’aeronautica statunitense.
A Gibuti è stata creata la Silk Road International Bank, la prima banca commerciale cinese all’estero; China Telecom sta espandendo il suo network nell’Africa orientale attraverso il Gibuti Data Center (Gdc), tra i principali incroci per i sistemi di cavi sottomarini. Come ho già specificato si calcola che più del 97% circa del traffico telefonico e Internet globale, compreso il loro controllo, passi per cavi sottomarini. Il loro controllo è dunque uno strumento tattico fondamentale di una guerra ibrida/politica dell’informazione strategica. Più che elencare i dati impressionanti, in merci ed in dollari, che la statale China State Construction Engineering Corporation e l’Import Export Bank of China stanno mettendo sul piatto, interessa in questo ambito tentare di intuire il respiro strategico della dimensione globale marittima sinica.
La prima logistica militare di Pechino, con la ufficiale finalità di supportare le operazioni anti-pirateria nel Golfo di Aden, è stata costruita a Gibuti. La presenza cinese a Gibuti è di fondamentale rilievo nell’edificio e nella protezione della via marittima delle Vie della Seta e per la proiezione strategica cinese nel Mar Mediterraneo. La pace tra Eritrea ed Etiopia, siglata nell’agosto 2018 tra Abiy Ahmed e Isaias Afwerki, vide come protagonisti attivi e interessati al quadro geopolitico del Corno d’Africa proprio Russia e Cina. Poco dopo la definitiva pace tra i due stati africani, non a caso, Sergei Lavrov, Ministro degli esteri russo, annunciò l’apertura di un hub logistico russo in Eritrea. E’ nota la proiezione mediterranea della Russia putiniana. Si può addirittura considerare, questo elemento, il più grande successo strategico del putinismo, a fronte di un pericoloso arretramento nella fascia della tradizionale “Grande Russia”.
Siti sionisti e americani parlarono appunto con preoccupazione di un asse strategico russo-cinese anche in Africa. Si alzarono le antenne Sioniste in quanto in Eritrea, in più casi, attraccarono con costante continuità navi militari appartenenti alla Guardia rivoluzionaria iraniana impegnate nello Yemen. Si parlò di un “grande gioco” russo e cinese lungo l’importante quadrante liquido del Mar Rosso. Nell’altra costa, si consideri bene, divampava e divampa tuttora il conflitto yemenita. D’altra parte, la strategicità di Asmara sarebbe testimoniata dalla lunga amicizia tra Israele ed Eritrea: il Mossad avrebbe in loco punti satellitari d’ascolto, tra Massawa e Amba Soira, mediante i quali sorveglierebbe le azioni militari e tattiche persiane. Nota, altresì, la presenza emiratina e saudita. Questi ultimi, contemporaneamente alla deflagrazione del conflitto yemenita, hanno costruito tre basi militari nei pressi di Assab e vari campi d’addestramento per mercenari internazionali provenienti dal Sudan, dalla Somalia e da altri stati africani o arabi. I porti eritrei della Dancalia meridionale sono diventati perciò il trampolino di lancio di operazioni mirate contro i ribelli sciiti Houti nello Yemen. La presenza di varie potenze internazionali in Eritrea ricorda appunto quanto sta avvenendo appena più a sud, a Gibuti. Le autorità gibutine, in cambio di affitti e prestiti, hanno dato semaforo verde all’apertura di installazioni militari. Dopo i francesi (circa 1400 tra soldati e civili), sempre di casa a Camp Lemonnier, si sono aggiunti nel tempo gli Stati Uniti (circa 4000 tra soldati e civili), l’Italia ( circa 100) e il Giappone ( circa 180). Infine, la Cina (1500 secondo le ultime stime), ultima arrivata, ha realizzato una immensa caserma, strutture portuali ma soprattutto, a differenza delle altre potenze, enormi depositi sotterranei. Le forze cinesi sono state accusate dagli americani presenti nella base di Camp Lemmonier di testare armi laser contro l’aeronautica statunitense.
La proiezione politica globale della Cina di Xi
A Gibuti è stata creata la Silk Road International Bank, la prima banca commerciale cinese all’estero; China Telecom sta espandendo il suo network nell’Africa orientale attraverso il Gibuti Data Center (Gdc), tra i principali incroci per i sistemi di cavi sottomarini. Come ho già specificato si calcola che più del 97% circa del traffico telefonico e Internet globale, compreso il loro controllo, passi per cavi sottomarini. Il loro controllo è dunque uno strumento tattico fondamentale di una guerra ibrida/politica dell’informazione strategica. Più che elencare i dati impressionanti, in merci ed in dollari, che la statale China State Construction Engineering Corporation e l’Import Export Bank of China stanno mettendo sul piatto, interessa in questo ambito tentare di intuire il respiro strategico della dimensione globale marittima sinica.
Le più considerate, e considerevoli, analisi in materia sostengono che il cuore del globo tornerà ad essere, come d’altra parte è quasi sempre stato nella storia più o meno recente, l’Indo pacifico. La serie di dati macroeconomici è conosciuta dal lettore e non ci torno sopra; tale approccio unilateralmente economicistico confermerebbe del resto, effettivamente, il corso inarrestabile della storia.
Dall’Atlantico al Pacifico dunque, questa l’evoluzione geopolitica e il nuovo ciclo dell’asiaeconomics. Di contro, la proiezione politica globale della Cina di Xi sembra voler
dire altro. Se si ha presente in rappresentazione o in immagine rappresentativa il gobar, la scacchiera del Wei-Qi, la strategia dell’accerchiamento sociale della Cina nazionalpopolare di Xi (in cui fasce di povertà profonda continuano a dominare nell’interno del paese continente) verso l’Imperialismo occidentale plutocratico e capitalista ha il suo punto tattico di intensificazione massima proprio nella fascia mediterranea o in quella assolutamente adiacente a questa.
dire altro. Se si ha presente in rappresentazione o in immagine rappresentativa il gobar, la scacchiera del Wei-Qi, la strategia dell’accerchiamento sociale della Cina nazionalpopolare di Xi (in cui fasce di povertà profonda continuano a dominare nell’interno del paese continente) verso l’Imperialismo occidentale plutocratico e capitalista ha il suo punto tattico di intensificazione massima proprio nella fascia mediterranea o in quella assolutamente adiacente a questa.
Lo stretto do Bab el-Mandeb
I porti su cui la China Ocean Shipping Company (Cosco) ha massimamente investito si trovano sia sulla sponda sud sia sulla sponda nord del Mare nostrum. Di conseguenza il nodo o la contraddizione mondiale in cui modulazioni tattiche e respiro strategico finiscono per incontrarsi in un pensiero ed in un prassi politica globale potrebbe ben essere rappresentato dallo Stretto di Bàb el-Mandeb. Qui transita il 48% dei traffici marittimi mondiali e oltre la metà dell’import energetico cinese: uno stretto fondamentale, forse più strategico sia rispetto ad Hormuz sia a quello delle Molucche, poiché le rotte mercantili sono obbligate a transitare a Bàb el-Mandeb per proprio per accedere all’oceano Indiano. Se i blocchi di controllo marittimi sono il cuore pulsante dell’economia planetaria, con lo stretto di Bab-el-Mandeb lo sono in misura ancora maggiore, in quanto il trasporto del greggio e il gas del Golfo Persico così come le materie prime africane hanno un valore stimato di flusso di 720 miliardi di dollari annui.
Gibuti è perciò divenuto negli ultimi anni uno scalo geoeconomico e geopolitico di primissimo rilievo.
Al tradizionale porto della capitale Gibuti, conosciuto come centro di rifornimento carburanti e di trasferimento tra le navi, si sono aggiunti infatti altri scali portuali per l’importazione e l’esportazione come il porto di Doraleh, a ovest della città di Gibuti, punto finale della ferrovia Addis Abeba-Gibuti; il porto di Tadjourah, specializzato nell’esportazione di potassio di lavorazione rurale e anche quello di Ghoubet, che si dedica all’esportazione del sale in ogni sua forma. Sono sorti nel frattempo notevoli problemi di sicurezza, dai pirati somali, che pattugliano il Golfo di Aden, al traffico di esseri umani nelle rotte dell’emigrazione, per finire all’azione del movimento islamico somalo al-Shabaab (“Movimento di Resistenza popolare nella terra delle due migrazioni”).
Parlerei dunque, alla luce di tali considerazioni, del Mediterraneo politico e geopolitico come nuovo cuore della lotta politica, geoeconomica e geostrategica e della guerra ibrida interimperialista globale.
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