[ 25 gennaio 2019 ]
Che razza di "sovranista" è Matteo Salvini? Ora si schiera armi e bagagli contro il governo venezuelano, cioè fianco del fantoccio americano Guaidò.
Che razza di "sovranista" è Matteo Salvini? Ora si schiera armi e bagagli contro il governo venezuelano, cioè fianco del fantoccio americano Guaidò.
Nel marzo 2016 fece il suo primo viaggio in Israele da semplice capo della Lega Nord. Poi è venuto il secondo, più grave ancora, come Ministro, nel dicembre scorso. Quindi il suo appoggio alle sanzioni contro la Russia. Come poi dimenticare la perorazione della "autonomia differenziata" delle regioni del Nord, leggi secessionismo dei ricchi? Mazzei, in controtendenza rispetto a certa sondaggistica, non crede che questo salvinismo avrà vita lunga.
* * *
Il 30 maggio 2014, cinque giorni dopo il suo grande successo alle europee, scrissi un articolo all'epoca controcorrente: «La resistibile ascesa di Matteo Renzi». Pare passata un'era geologica, ed invece non sono neppure cinque anni... Al tempo i più gli pronosticavano un ventennio al potere, oggi sappiamo tutti com'è andata.
Adesso c'è un altro Matteo. Non ha ancora i voti, ma solo sondaggi. Eppure son quasi tutti convinti che abbia anche lui un ventennio davanti. Non s'offendano costoro, ma chi scrive queste righe non lo crede neanche un po'.
Grandi le differenze tra il primo e il secondo Matteo. Il primo amato dalle èlite, il secondo no; il primo alla guida di un partito eurista, il secondo alla testa di una forza passata (pur contraddittoriamente) dal localismo al nazionalismo. Capo di un governo quasi monocolore il primo, ministro dell'Interno di un governo di coalizione il secondo. E potremmo continuare.
Assai diverso anche il contesto. Nel 2014 la riscossa delle èlite sembrava ancora possibile, ma solo con qualche invenzione simil-populista. Da qui il passaggio dal grigio pisano Letta al pirotecnico fiorentino Renzi. Oggi la partita si è spostata nel campo populista, nel quale il progressivo prevalere della sua ala destra sembra ai più inarrestabile. Ma è davvero così?
Non lo penso affatto. La crisi italiana è tutt'altro che risolta, ed il Salvini non ha proprio la stoffa del leader - dello "statista" neanche a parlarne - necessaria ad affrontare le prossime tempeste. Ha la forza ed il consenso dell'uomo odiato dalle èlite, ma non pare avere un briciolo di strategia che vada oltre il prossimo appuntamento elettorale.
In tanti considerano la sua ascesa inarrestabile perché credono - auto-razzisticamente - che gli "italiani vogliono l'uomo forte", quasi lo richiedesse il Dna della penisola. Io penso, invece, esattamente il contrario. Che tanto più il Salvini si fa onnipresente sui media, ossessivo nei suoi messaggi, irritante nella sua rozzezza, venerato dai suoi fedeli; tanto prima inizierà la sua parabola discendente.
A dispetto di quel che si crede gli italiani, proprio perché memori del vero ventennio, non amano affatto l'uomo solo al comando. Ho ricordato all'inizio la parabola renziana proprio per questo. Non scordiamoci mai la ragione profonda della sconfitta del Bomba nel referendum costituzionale del 2016. A mio parere, fu proprio il rifiuto di massa dell'accentramento del potere nelle mani di un uomo, divenuto nel frattempo insopportabile ai più proprio per la sua invasività di ogni spazio pubblico, il fattore davvero decisivo di quel risultato.
Lo so, è questo un giudizio che rischia di scivolare nel campo della psicologia. Ma anche la psicologia, in questo caso di massa, può divenire in alcune circostanze un potente fattore politico di cui tener conto.
Certo, con la Seconda Repubblica si è fatto di tutto per uccidere i partiti, in quanto soggetti non sempre totalmente controllabili a priori dalle oligarchie, esaltando invece i leader, da vendersi come più "liberi" al popolo, ma in realtà più facili da controllare per le èlite. Il fatto è che questa operazione ha funzionato solo a metà. La distruzione della credibilità dei partiti è perfettamente riuscita, quella dell'accreditamento della bontà dei leader all'americana no.
Naturalmente, il paragone con Renzi regge solo fino ad un certo punto. Salvini è pur sempre uno dei due capi sui quali si regge un governo che, pur se contraddittoriamente, ha aperto le ostilità con l'Unione Europea. E finché questo scontro resterà aperto, finché l'esecutivo gialloverde rappresenterà un elemento di oggettiva destabilizzazione del quadro europeo, esso manterrà di certo un forte consenso popolare. Ed è giusto e naturale che sia così.
Ma qui non parliamo del governo gialloverde, bensì del "fenomeno Salvini". Sono due cose diverse, per certi aspetti addirittura opposte. Perché, mentre la forza dell'attuale maggioranza sta proprio nella "strana" alleanza di due forze populiste, una chiaramente connotata a destra, l'altra largamente rappresentativa di un elettorato storicamente di sinistra; l'ipotesi di un Salvini pigliatutto si fonda proprio sulla rottura di questa alleanza.
Rottura che, giurano quasi tutti, avverrà dopo le elezioni europee del 26 maggio. La premessa di questa previsione si fonda sul fatto che Salvini potrebbe tornare ad un tradizionale governo di destra, con Forza Italia e Fdi, essendone divenuto nel frattempo l'incontestabile leader. In questo quadro l'attuale ruolo dei Cinque Stelle sarebbe semplicemente quello degli "utili idioti". Il tutto benedetto da un avvicinamento, a livello europeo, tra le forze populiste di destra ed un PPE spostato in quella direzione.
Questo scenario piacerebbe a quasi tutti. A Berlusconi ed alla Meloni, che tornerebbero così al governo. A piddinia e dintorni, dove (causa declino M5S) ci si illuderebbe sulla ricostruzione del bipolarismo. Alla Confindustria, desiderosa di celebrare nuovi fasti del mercato. All'Unione Europea che potrebbe così chiudere, almeno temporaneamente, il conflitto con un'Italia ricondotta all'ovile.
A quel punto, ritengono i più, Salvini - per quanto normalizzato - avrebbe davanti a sé se non un ventennio, di certo un'intera legislatura. Andrà davvero così? Nessuno può avere la sfera di cristallo, ma tanti sono i motivi per dubitarne. Vediamoli.
In primo luogo i voti per diventare il dominus della politica italiana Salvini ancora non li ha. Ha i sondaggi, ma i voti sono un'altra cosa. Nessun dubbio su una forte avanzata rispetto alle elezioni politiche. Ma di quanto? Di venti punti, come azzardano alcuni istituti demoscopici, di quindici, oppure di dieci come non mi sentirei di escludere? E poi, quanti di questi voti si riveleranno un semplice travaso dai tre alleati della coalizione di destra che si presentò il 4 marzo 2018?
Vedremo, ma se anche i sondaggi avessero ragione, resta il fatto che i consensi attuali la Lega li ha in alleanza con M5S. Siamo certi che rompendo questa alleanza, per tornare con Berlusconi e soci, quei consensi resterebbero? Certo, chi è convinto di un grande spostamento a destra del Paese non avrà dubbi. Ed in fondo il 46% che oggi viene attribuito alla coalizione di destra resterebbe pur sempre inferiore al botto dell'alleanza Pdl-Lega del 2008. Per cui impossibile non è.
Ma ci sono diversi problemi. Il primo è che dopo maggio viene giugno. Ed abbiamo visto lo scorso anno come la resistenza ad elezioni in estate sia pressoché invincibile: nel bene come nel male chist'è 'o paese d' 'o sole. Ma dopo l'estate c'è l'autunno, dunque la nuova Legge di bilancio. Di elezioni neanche a parlarne, e siamo così all'inizio del 2020. Un anno intero ha da passare, un anno particolarmente lungo, con l'elevata probabilità di una nuova recessione, o quantomeno il pantano di una persistente stagnazione. Sai quanto ci mettono i consensi a logorarsi!
Salvini potrebbe sfuggire a questa tempistica solo in un modo. Rompendo prima delle europee, andando all'incasso nel momento per lui più favorevole. Ma questo comporterebbe troppi rischi, ed una rottura con Mattarella che i pezzi da Novanta della Lega Nordista non vogliono di certo.
E qui fa capolino l'altro gigantesco problema. Perché, o si pensa che i Cinque Stelle siano del tutto fessi, oppure essi hanno l'arma atomica per calmare il loro ingombrante alleato. Quest'arma si chiama "regionalismo differenziato", più precisamente stop al regionalismo differenziato. In concreto, si tratterebbe di bloccare nelle prossime settimane l'accordo tra lo Stato (di fatto il governo) e le tre regioni che si sono messe su questa strada: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna.
Fare questa mossa non significherebbe affossare il governo. Eventualmente quella scelta andrebbe lasciata a Salvini. Il quale andrebbe messo davanti a questo dilemma: "prima gli italiani", come dici ogni dì, o "prima i veneti e i lombardi" come vogliono i tuoi capibastone del nord? Delle due l'una, perché le due cose assieme non stanno. Se sei per difendere l'unità nazionale, ti dovrai scontrare con un bel pezzo della Lega Nordista; se invece a veneti e lombardi non potrai dir di no, addio ai sogni di espansione al sud. In un caso come nell'altro un bel prezzo da pagare. Per i pentastellati un'occasione d'oro per riequilibrare i pesi interni alla coalizione.
Dice: ma così Salvini avrebbe il casus belli per far cadere il governo e tornare col Berluska. Giusto, ma gli converrebbe davvero presentarsi come l'uomo del nord, da milanese nuovamente accasato ad Arcore? L'uomo è scaltro, lo Stivale è lungo, e credo che certi conti li sappia fare. Se invece, come pensano i più, quel tragitto è già deciso - per scelta o per debolezza che sia -, meglio per i Cinque Stelle scegliere tempi e temi per staccare la spina.
Concludendo, ci sono dunque serie ragioni, sia soggettive che oggettive, per dubitare assai dell'irresistibile ascesa di Matteo Salvini.
La verità è che la crisi macina eventi, partiti (pensate al Pd) e personaggi (pensate a Monti) con una velocità impressionante. E pure i consensi elettorali si muovono con una rapidità ben diversa da quella dei periodi di morta gora. Salvini non ha ancora incassato quel che sondaggisti ed opinionisti gli danno, che già se ne intravvede il possibile declino.
Il fatto è che non si esce dalla crisi italiana facendo credere che il problema siano gli immigrati e la "legittima difesa", rinunciando così a spiegare qual è la posta in gioco nel confronto con l'UE, ondeggiando al primo picco dello spread e - quel che è peggio - restando ostaggio dei capibastone del nord.
A differenza del grosso di quella che ancora si autodefinisce "sinistra", noi non ci auguriamo però la fine del governo gialloverde. Quella la desiderano le èlite euriste per i motivi che sappiamo. Ma tanti, troppi, atteggiamenti salviniani vanno proprio in quella direzione.
Bene, quel che sarà, sarà. Ma la mia personale opinione è che per Salvini la rottura sarebbe rischiosa assai, non un agevole percorso sul tappeto rosso che oggi immaginano interessati opinionisti. Perché il disegno delle oligarchie è semplice: prima dividere Lega ed M5S agendo su ogni possibile contraddizione politica, poi sistemare la "pratica Salvini" come si conviene nei passaggi critici della politica nazionale. Alla fine della fiera la porta di Palazzo Chigi rischierebbe di aprirsi sì, ma non per lui, bensì per qualcun altro ben più digeribile per i despoti di Bruxelles, magari per un signore in rientro da Francoforte.
9 commenti:
Salvini si è semplicemente schierato con Trump ancor più che con Putin.
Giannini
Non e' questione di augurarsi o meno la fine del governo Lega-5stelle, ma quale opposizione populista di sinistra costruire. Per questo il sostegno critico tattico e' stato ed e' fuori luogo.
Leggo spesso le analisi di Mazzei, le apprezzo, poichè Mazzei mi sembra abbia un grande intuito politico, ma questa a mio parere è carente.
Mazzei contesta con argomentazioni solo all'apparenza solide una guida politica che, privo dei mezzi della Casaleggio Associati, per non parlare di quelli del PD, si è ritrovato in pochi mesi non al centro della scena politica italiana ma di quella mondiale. Macron e con lui Massoneria europeistica e globale, dopo il 4 Marzo voleva il Governo PD M5S. Tutti questi ambienti finanziari e politici han visto e vedono in Salvini il nemico, molto più che nel MOVIMENTO 5 STELLE. Significativo l'atteggiamento di Mattarella, il quale assai disponibile verso i vertici del 5s, contrasta metodicamente ogni iniziativa leghista. Dunque, senza il sostegno di alcun ambiente politico oligarchico di peso del mondo italiano-europeo, Salvini si è conquistato il centro della scena globale. Il paragone con Renzi, un DC, massone, pompato da Draghi, mi pare francamente fuori dal mondo.
Uomo solo al comando (che eventualmente faccia fuori le elite dei boiardi di stato e delle multinazionali) disprezzato dal popolo italiano? Basta parlare con gli italiani, soprattutto con quelli dei ceti più umili e disagiati. Peraltro, un sondaggio della Repubblica (non di Libero o de La Verità) attesta che il politico più stimato dal popolo italiano è Putin (65%), poi Trump (61%), infine Xi Jinping dietro....Non c'è traccia della partitocrazia oligarchica e gesuitica della Prima Repubblica, che Mazzei pare rimpiangere con malcelata nostalgia (forse sbaglio nell'interpretazione, ma questa è l'impressione...).
Inoltre Mazzei azzarda una previsione che a mio modesto parere è politicamente debole. La Sinistra patriottica sembra non rendersi ancora ben conto che la partita dell'Identità Nazionale si gioca anche sulla difesa delle tradizioni e delle leggi morali, dei quartieri popolari costruiti con anni di sacrifici, delle piccole aziende messe su in anni e anni di lavoro italiano. La migrazione continentale, che Salvini ha usato anche meglio del Lepenismo sul piano demagogico-politico, definendola immediatamente Sostituzione di Valori e Civiltà, e qui richiamando un "complotto" globale del caro Soros e della massoneria UE, è la minaccia diretta, mortale a tutto ciò. Al lavoro italiano. Soprattutto per i proletari e per i piccoli borghesi. Ma al Sud no? Vero solo in parte. Se le organizzazioni parallele perdono il controllo delle masse di migranti, al Sud scoppierebbe immediatamente la guerra civile su base interetnica. Ciò che dico e scrivo non è affatto un augurio, nè un incentivo teorico al salvinismo, ma una osservazione di fatti che mi paiono assai trascurati nell'analisi di Mazzei. Questo per dire cosa? Che in politica il vuoto non può esistere. Tutti ricorderanno l'infelice previsione di Grillo: "Se non c'eravamo noi c'era Alba Dorata in Italia". Dunque, se non c'erano i 5 stelle ci sarebbe stato un movimento comunque russofilo e ortodosso come AD...quasi quasi......
Se Salvini fallisse, dunque, avremmo qualcosa di più radicale che ne impugnerebbe il testamento.Poi bisognerà vedere, ammesso e non concesso, come fallirà. Se veramente fallirà a causa di un ennesimo Golpe, questa volta battente la bandiera di Mario Draghi, come pensa Mazzei, ritengo che le conseguenze sarebbero forti. A quel punto la Destra radicale post-salviniana diventerebbe il punto di congiunzione della piccola borghesia del Nord con le masse del Sud.
Non saprei quale potrebbe essere la via della S.Patriottica in tutto ciò. Di certo, dovrà smarcarsi con un messaggio semplice elementare, come ha fatto Salvini "Prima gli Italiani", dal mondialismo capitalista Gender e immigrazionista. Altrimenti la differenza con la sinistra liberista e borghese non apparrà minimamente agli occhi del disoccupato italiano, del lavoratore, dello sfrattato.....
Stanno provando a costruire un nuovo bipolarismo fra Lega e M5S in cui intrappolarci. Che ci riescano non è detto. Che duri un giorno, un mese o un anno non gli importa perché in fondo tutto il mondo, in questo momento, naviga a vista.
Chi non ha coraggio non se lo può dare. Ogni riferimento al mio articolo su "Qual'è lo scontro..." non è puramente casuale. A.C.
Secondo il commentatore anonimo delle ore 11,18 del 26 gennaio, i poteri finanziari temono più la Lega di M5S.
Sul resto delle critiche mi pare che il commentatore non abbia ben centrato il senso del mio articolo, ovviamente discutibilissimo, ma che era quello di mettere in luce i tanti punti critici dell'ipotesi "Salvini asso pigliatutto" tanto cara all'informazione mainstream.
Sul punto citato all'inizio, invece, mi pare utile mettere alcuni puntini sulle "i".
Non ho dubbio sul fatto che Salvini non sia un uomo delle élite, che se invece così fosse avrebbe allora ragione chi dice che con questo governo non è cambiato niente.
Ma se è vero che Salvini è meno digeribile per l'oligarchia finanziaria di quanto lo sia M5S, per l'insistenza sui confini, per lo stop al traffico di esseri umani nel Mediterraneo, per i legami europei che ha; è altrettanto vero che egli è visto assai meglio di M5S per aspetti non meno importanti che caratterizzano i Cinque Stelle: possibili nazionalizzazioni, opposizione al capitalismo rapace delle "grandi opere", sviluppo di un minimo di politica redistributiva, politica internazionale (vedi il Venezuela, ma non solo).
Se è vero, come dice il commentatore, che una parte delle élite tifava nella primavera scorsa per un governo M5S-PD; è ancor più vero che oggi una parte ancor più consistente del blocco dominante vedrebbe bene Salvini al governo a capo della coalizione di destra.
E' chiaro che questa ipotesi ha come premessa l'affossamento del governo gialloverde, così come auspicato dai capibastone della Lega Nordista. In questo quadro Salvini per ora galleggia. La mia opinione è che non potrà più farlo a lungo. E dovrà pagare un prezzo, o scontentando il blocco sociale padano, o rinunciando definitivamente al progetto di sfondamento elettorale al sud.
Mi sbaglio? E' possibile: solo chi non fa previsioni non sbaglia mai. Io penso che vedremo assai presto come l'ascesa di Salvini non sia affatto irresistibile.
Però bisogna dargliene atto. Guardando la piega che stanno prendendo le cose, anche se ancora non c'è nulla di definitivo, A.C. sembra aver avuto ragione. Devo dire che non me lo aspettavo.
Giovanni
Per Mazzei
Sono l'anonimo delle 11.18.
Ora, con questa chiosa, è più chiaro il senso dell'articolo.
Non penso però, a differenza di quanto ritiene in sostanza Mazzei, che Salvini voglia rinunciare alla conquista del Sud. Quella sarebbe in effetti la rovina e la decadenza della Lega nazionale salviniana.
Decisive anche, per completare allora il quadro su Salvini, la tenuta globale del trumpismo, che mi pare ormai fuori discussione, e il nodo francese, che dopo l'ingresso in scena dei Gj, mi sembra porre ancora una volta Parigi al centro dell'occidente "politico". Tutti questi elementi Salvini dovrà considerare per rimodulare una linea politica e geopolitica all'altezza dei tempi. Non è detto che con la meridionalizzazione della Lega, non venga invece fuori piuttosto che la decadenza del salvinismo a renzismo, a quel fuoco di paglia insomma che Mazzei vede (non auspica), un esperimento istituzionalistico più sociale e "statalistico", sulla linea di Crispi e della sinistra democristiana fanfaniana. Ciò potrebbe comportare anche uno spostamento sul piano della politica internazionale italiana, con uno Strategico profilo mediterraneo, "oltre-italiano" e universalistico. Chiaro che Salvini o chi per lui, a quel punto, si dovrebbe dotare di una elite ben diversa di quella "mitteleuropeista" o occidentalistica che ancora lo circonda.
Sull'affermarsi del trumpismo e sui fatti internazionali mi sembra interessante questa lettura di Angiuli sulla questione venezuelana che richiamate nell'incipit.
In fondo penso pure io che stia accadendo qualcosa di simile, anche se Russia e Cina hanno comunque bisogno di mantenere alcune proiezioni sul continente sudamericano. Il canale del Nicaragua ad esempio, di cui non si sente quasi dir più nulla, è per loro una questione non certo trascurabile.
Giovanni
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