giovedì 9 febbraio 2017

RIFLESSIONI (SCOMODE) SUL SUICIDIO DI MICHELE

[ 9 febbraio ]

Ieri pubblicavamo quanto Enea Boria ha scritto sul suicidio di Michele. Le sue riflessioni hanno suscitato un dibattito tra compagni di P101. Rispetto alle sciocchezze che circolano sui giornali (vedi, ad esempio, QUI e QUI), un pizzico di pensieri sensati.

CONTRO IL NICHILISMO

«Ringrazio Enea per aver segnalato la lettera del suicida Michele e le sue riflessioni.
“Parliamone”, ci chiede Angela.E allora parliamone.

Mi pare che le riflessioni di Enea non c’entrino il bersaglio o, quantomeno non vadano al cuore del discorso.
Michele ci sta indicando la luna, non fissiamoci sul dito.
Forse mi sbaglio, ma colgo un abisso di funereo nichilismo nella lettera di commiato, un abisso tetro entro cui la denuncia sociale sprofonda fino a diventare del tutto irrilevante. Peggio: funzionale all’autoannientamento di sé.
La frase che a me pare costituisca il centro geometrico del suo discorso potente, è questa:
«Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino... Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie... Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri».
E’ indubbia la profondità filosofica ed esistenzialistica di questo racconto. A questo livello dovremmo essere in grado di misurarci, se possibile evitando banalizzazioni politiciste. Michele non scrive parole a caso, esprime un pensiero coerente, ci scaraventa addosso una vera e propria visione del mondo, nichilistica appunto. Un nichilismo che certo viene da lontano, da molto molto lontano, ma che è diventato, qui sta il punto che strappa la questione ai cenacoli dei filosofi, un senso comune tra le nuove generazioni. Un nichlismo autodistruttivo che porta i pochi al suicidio ed i più alla catalessi, al disincanto paralizzante, all’eutanasia. Un nichilsimo certamente indotto ma profondamente introiettato, che è diventato un vero e proprio genocidio di massa delle volontà.
Misuriamoci, per batterlo, con questo nichilismo di massa, altrimenti saremo sopraffatti.
E questo a me pare proprio il terreno su cui ci giochiamo il futuro del nostro Paese, e con esso quello della nostra causa socialista.

Forse mi sarà sfuggito qualcosa, ma non leggo in rete altri giudizi se non quelli di empatia —dichiarata o sottesa—con Michele suicida, una obliqua condivisione che si fa scudo del comune rifiuto del mondo in cui viviamo.

Non va bene, non va per niente bene.

Vogliamo parlarne davvero? Facciamolo per dio!

Spero capendo che qui la lotta è su due fronti, quello politico-sociale contro il nemico che si erge davanti a noi, e quella etica (non banalmente culturale) contro il nemico che si annida (e dilaga insidioso) tra noi: il nichilismo. Se non lo battiamo tutto è perduto.
Altro che Costituzione, sovranità e democrazia! Se avanza l’autoannientamento nichilistico del soggetto rivoluzionario, tutto è perduto».

Moreno Pasquinelli


VITTIMA DELLA STORIA O DELLA SUA STORIA?



«Moreno, comincio dalla fine del tuo scritto.
“Se avanza l’autoannientamento nichilistico del soggetto rivoluzionario, tutto è perduto”.

Credo di intuire l’angoscia con cui paventi questa degenerazione che potrebbe coinvolgere un soggetto rivoluzionario, ma su alcune conclusioni sarebbe meglio riflettere fino in fondo.

Un soggetto rivoluzionario non può essere nichilista per definizione.

Un soggetto rivoluzionario si attiva per qualcosa, per una sostanza concreta, ovvero l’affermazione di una realtà antagonista di quella esistente e ad essa opposta, in cui i canoni di riferimento vengono capovolti, rivoluzionati.

Sul piano filosofico quindi il soggetto politico rivoluzionario è al riparo dal nichilismo “culturale” o dal pessimismo passivo rispondendo al semplice principio di non-contraddizione della logica classica aristotelica, non potendo affermare contemporaneamente una cosa e il suo contrario.

E fin qui la filosofia che a mio avviso è, insieme alla cultura in generale e alla politica, parte di una stessa sfera che trova riscontro nella realtà fatta di bisogni da soddisfare, realtà che è al centro della sfera determinandola e lasciandosi di riflesso determinare.

Condivido molto di quanto ha scritto Enea, soprattutto quando in sostanza interpreta le ragioni di Michele come un atto fondamentalmente egoistico per quanto degno di rispetto e riflesso di un pensiero dominante. Così come condivido che questo fatto rappresenta una sconfitta per tutti noi.

Consideriamo il fatto che non sono pochi quelli che lotterebbero e vorrebbero ribellarsi non per sfogarsi ma per costruire ma che non sanno da dove cominciare anche se sarebbero pronti ad arruolarsi in un "esercito" che non c'è, o che non c'è ancora.
In questo senso la sconfitta è anche nostra, parlo di noi che abbiamo fatto dell'impegno politico una ragione forte della nostra esistenza che coinvolge la sfera etica di valori riconducibili (spero) all'empatia sociale, ai valori di giustizia, solidarietà, pace.
Oggi che le condizioni oggettive si stanno consolidando dobbiamo capire come non restare isolati da quella parte della società per cui ci impegniamo e per la quale vorremmo lottare.
Questo nodo va risolto!

Poi Morene scrive:
“…Michele non scrive parole a caso, esprime un pensiero coerente, ci scaraventa addosso una vera e propria visione del mondo, nichilistica appunto. Un nichilismo che certo viene da lontano, da molto molto lontano, ma che è diventato, qui sta il punto che strappa la questione ai cenacoli dei filosofi, un senso comune tra le nuove generazioni. Un nichilismo autodistruttivo che porta i pochi al suicidio ed i più alla catalessi, al disincanto paralizzante, all’eutanasia. Un nichilismo certamente indotto ma profondamente introiettato, che è diventato un vero e proprio genocidio di massa delle volontà.
Misuriamoci, per batterlo, con questo nichilismo di massa, altrimenti saremo sopraffatti.
E questo a me pare proprio il terreno su cui ci giochiamo il futuro del nostro Paese, e con esso quello della nostra causa socialista”.
Questo non è semplicemente un appello.
E’ un manifesto, una vera e propria exhortatio che dobbiamo ricevere e non rendere vana riflettendo su quello che abbiamo fatto finora, su quello che stiamo facendo e su quello che vogliamo fare.

E’ difficile adesso stabilire se il ragazzo che si è ucciso sia vittima della Storia o della sua storia.
Probabilmente di entrambe ma sappiamo e non possiamo ignorare che la dimensione sociale di annullamento della dignità insieme a quella economica che la produce negando il soddisfacimento dei bisogni di base attraverso una banale ma indispensabile vita lavorativa, hanno avuto parte determinante in un gesto di rinuncia che non si può liquidare come deriva esistenzialistica o nichilistica capace di influenzare, per contagio, la sfera sociale che è già decisamente nichilistica, non per scelta ma per mancanza di alternative politiche, e quindi culturali, esistenziali.

In calce alla lettera tutti abbiamo letto: “P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi”.
Qui non c’è solo nichilismo. E’ un atto d’accuso e un riconoscimento all’arroganza di un potere che determina e che pare non si riesca a contrastare; un modo del conflitto e della politica di cui noi facciamo comunque parte, per quanto in chiave oppositiva e antagonista.

Spetta dunque anche a noi avere lungimiranza e polso della situazione.

Relativamente alla questione posta il vero problema non la realtà in quanto tale o il rischio di contagio nichilistico della sfera politica; il problema è che si è strutturata una realtà con cui il soggetto debole non può interagire se non subendola e questo crea un muro spesso e invalicabile che si chiama nihil, un vuoto sociale ed esistenziale in cui nessuna soluzione appare possibile.
Il problema non è degli ultimi, ma dei penultimi.


Voglio dire che il suicidio economico o anche culturale è legato ad un processo di declassamento che coinvolge solo marginalmente, sul mero piano statistico, gli occupanti dell’ultimo gradino, non avendo essi categorie di confronto perché non hanno mai avuto niente. Possono sì lasciarsi andare al fatalismo, alla rassegnazione o allo sterile ribellismo ma non ponderano l’idea di farsi fuori e non si lasciano contagiare dal nichilismo, perché a fronte di una sofferenza quotidiana di stenti legati alla sopravvivenza manca l’elemento psicologico della perdita.


Il fatto che l’ultimo gradino è sempre più affollato capovolge la direzione del conflitto sociale e spiega come in passato il conflitto veniva alimentato dalla prospettiva di guadagnare migliori condizioni di vita mentre oggi è determinato dall'angoscia di non perdere posizioni acquisite.


Questo fa la differenza ma non spiega del tutto come oggi c’è un conflitto di classe con le classi tradizionali rimescolate tra loro ma non c’è lotta di classe.

La lotta è una prospettiva esistenziale e non solo politica perché comunque definisce e rende attore un soggetto rispetto alla realtà.

Quando dici che su questo terreno ci giochiamo il futuro del nostro Paese, e con esso quello della nostra causa socialista, dici la cosa giusta.

Il nichilismo lo si combatte portando la lotta da virtual game, da simulazione, a scontro reale, nei modi e nei termini consentiti dall’oggettività storica della situazione che resta maledettamente conflittuale.

In questo tutti noi dobbiamo sentire una grande responsabilità.

Il marxismo non è un modello di società definito ma un metodo di comprensione della realtà storicamente data; metodo che predispone all’azione affinché un modello sociale contrapposto, politicamente giustificato, possa avere la ragionevole aspettativa d’affermarsi.

Noi che ci consideriamo un’avanguardia politica dobbiamo ricordarci che si va avanti a guardare per poi ritornare alla base e organizzare l’azione, e la base è in mezzo ai ceti popolari distrutti dalla crisi; allo stesso modo dobbiamo essere capaci d’agire in retroguardia difendendo la nostra missione dall’opportunismo, e oggi, nel mondo dell’immagine, anche dal narcisismo e dall’esibizionismo in cui troppo spesso alcuni nostri interlocutori parlano di se stessi e troppo poco dei destinatari delle politiche che vorremmo realizzare.

Quindi ricevo il tuo appello compagno Moreno, e senza trascurare l’importanza strategica delle conferenze e degli incontri al vertice, dovremo essere lì, dove il conflitto brucia.

Con la prudenza di non declinare da avanguardia politica ad élite pensante possiamo affermare che la lotta saggiamente organizzata nel popolo, con il popolo e per il nostro popolo è il miglior antidoto contro ogni forma di nichilismo».
Franz Altomare

Libero arbitrio e individualismo


«E' giusto parlarne, perchè quando si è persone che si impegnano nella società è fondamentale avere dei moventi e confrontarli.
Avere dei moventi non vuol dire soltanto avere un programma ma, forse ancor di più, vuol dire avere una visione del mondo e della vita, essere portatori di una cultura politica.

Moreno ha sicuramente ragione dicendo che in questo caso ciò che lascia attoniti è il nichilismo e del resto io, che non sono in generale troppo portato a mettere le questioni sul piano filosofico, ho indicato un bisogno operativo per combattere una società che genera inevitabilmente "persone-scarto".

Indicherei però diversamente le cose dalle quali questo nichilismo viene fuori, in altri significanti e in altri passaggi.
Il problema per me non sta nel fatto che uno dica "sono arrivato libero e me ne vado libero, se qui non mi piace".
E' già più problematico, invece, che il libero arbitrio obbedisca soltanto all'individuo.
Sulla mia vita, si, perchè sono agnostico e questo è un punto di vista da senzadio.
Ma le mie scelte su un'infinità di altre cose non sono mica solo cazzi miei, dato che ho delle responsabilità verso gli altri.
Il libero arbitrio non mi giustifica, altrimenti diventa un libero arbitrio da delinquente.

Quindi attenzione: quand'anche una persona non creda di dover rendere conto in un'altra vita ( e la logica di questo ragazzo mi pare indichi questa tendenza ), questo significa che un senso a sé stessi bisogna costruirselo QUI, adesso. Non essendoci né premi né ricompense, né "compensazioni" ( gli ultimi saranno i primi ), non ci sono margini per riparare a fallimenti nei quali si sia messo sforzo sincero e buona fede.
Hai una sola mano da giocarti: se te la giochi male ti tocca morire senza rispetto di te stesso e questo aumenta enormemente la responsabilità che adesso uno deve sentire verso sé stesso E GLI ALTRI. La buona fede, lo sforzo sincero, nemmeno l'altruismo bastano.
La posta è massima minuto per minuto e non ci sono gli esami a settembre.
Puoi anche pensare che non ci sarà un Giudice ma, dal mio punto di vista, questo vuol dire che giorno per giorno ti tocca essere giudice di sé stesso e ti tocca pure essere cattivo, se non vuoi arrivare alla fine della sola mano che hai da giocarti pensando di averla sprecata perchè sei un pirla.

La dimensione nichilista di quel che Michele ha pensato prima di morire per me sta nel fatto che in quello che dice....non ci sono gli altri.
Ci sono le aspettative frustrate ( ingiustamente ), dell'individuo.
C'è la denuncia, puntuale, delle storture di una società che non si sforza più neanche remotamente di essere per tutti, ma c'è un insieme di aspirazioni che non ha mai la prospettiva di quel che possiamo fare con gli altri.
In una dimensione sociale, che non sia semplicemente trovarsi una donna che in fin dei conti significa semplicemente per entrambi ampliare la sfera del sé stessi.
E manca quindi la comprensione, ovvia e naturale, del fatto che per chi queste ingiustizie le subisce, è solo lo spirito di corpo con chi subisce la stessa ingiustizia la strada di un riscatto; perchè sull'ingiustizia qualcuno prospera e l'ingiustizia non si risolve perchè lo chiedi per piacere, perchè hai studiato, perchè sei diventato un bravo grafico, ti sforzi di essere onesto, credi che ciascuno dovrebbe avere un posto a questo mondo.
Col piffero, non è mai stato così.
Non c'è MAI stata una redenzione individuale, salvo sporadiche botte di culo.
Non c'è bisogno di essere comunisti formati per sapere che l'unione fa la forza per chi non nasce figlio di papà: sarebbe banale buon senso.

Non lo è però per la narrazione fintamente meritocratica del madeself man che è poi la narrazione dominante che tiene buona la gente, la inevitabile massa degli sconfitti, perchè la sua conseguenza ovvia è che se sei sconfitto è colpa tua!
Altro che protestare, hai avuto quel che meritavi.
Che sia forse questo ciò che ha schiacciato Michele? Questo giudizio? Temo che sia più che un semplice dubbio.

Che hai fatto Michele, per ribellarti insieme agli altri milioni di sfigati?
Che hai fatto Michele, per essere veramente anticonformista, quando esserlo veramente significa non sentire sul proprio cuore il peso della disapprovazione altrui di cui invece poche righe prima ti lamentavi, dicendo di averne abbastanza?

E' la dimensione, anzi, l'orizzonte assolutamente impolitico di una denuncia che pure è politica perchè è denuncia di ingiustizia, ad essere nichilista; perchè non contempla una prospettiva di riscatto se non individuale.
Il che è una contraddizione in termini, se non sei nato dal lato giusto del privilegio.

Questa è la dimensione, ai miei occhi, tragica di Michele.
L'ideologia liberale e la società che ne discende lo hanno ucciso. Ma lui quella società oscena non sapeva leggerla in altro modo che attraverso il liberalismo, cioè l'individualismo metodologico, e proprio per questo non ha capito che procedendo individualmente e pensando individualisticamente, non poteva fare altro che fallire.
Ha perso perchè in realtà non ci ha provato; si è esaurito e consumato nel tentativo sbagliato.

Questa, purtroppo, è anche la misura di quanto nella fase storica che in questi giorni arriva ad esaurimento non ci abbiano semplicemente sconfitti.
Ci hanno asfaltati e non contenti hanno messo la retromarcia e ci sono ripassati sopra anche nell'altro verso.
Perchè quello che si capisce da quel che accade nel mondo confrontato con le parole di Michele, è che NON è vero che la storia è finita, ma nel senso comune della gente non è contemplato un altro modo per leggere la storia che sia altro dalla cultura e dal punto di vista di quelli che hanno vinto fin qui.
La storia ha sconfito Fukuyama, ma al momento solo la subcultura di Fukuyama è sul tavolo mentre quella lettura della storia crolla.
E un ragazzo ci ha rimesso la pelle.

Michele, a me, ha sbattuto in faccia questo.
Lui ha detto basta, alle sue condizioni. Questo lo rispetto, anche se non lo condivido.
Io resto qua invece, ma che lui sia morto, è una sconfitta anche a mia.
E' una sconfitta anche nostra.
Perchè non avremo alcun vero cambiamento la fuori con una semplice ribellione, fino a quanto le persone non reimparano da capo che alla vita e al senso di sé si può guardare anche in un altro modo da quello che la società dei vincitori ci ha insegnato, che vincere non è solo e necessariamente una affermazione individuale ma ad esempio, aver tempo da condividere con chi vuoi per fare quello che ti piace e non quello che "devi",perchè non hai bisogno di preoccuparti di mettere in tavola un pasto anche domani.
"Chissà cosa si prova a vincere"?
Il punto è: perchè dobbiamo accettare quel paradigma di cosa voglia dire vincere dato che in quel paradigma possiamo solo perdere?»

Enea Boria


«Dinanzi ad un comportamento violento c'è sempre la paura è come si sa dinanzi ad essa o si fugge o si attacca.
Credo che Michele sia vissuto nella paura da sempre , in famiglia, nei rapporti sentimentali , nella società'
Scrive:
Ho vissuto (male) per trent'anni
Scrive
Non si può pretendere di essere amati
Scrive
Di essere preso in giro, di essere messo da parte

Ci dice quindi che più' che essere CAPITO è' stato solo è sempre raddrizzato non ultimo da uno dei rappresentanti dello Stato, complimentandosi con il Ministro Poletti
Sono tutti capaci ad insegnare senza ascoltare i desideri le volonta' ed i bisogni dell'altro.

Il tema dei "soldi" ha invaso ogni campo della vita di ognuno è' il discorso principale che si affronta nelle case, nei luoghi di lavoro, nei programmi televisivi .....

Il denaro oggi ha comprato anche il più' importante degli insegnamenti che soprattutto i giovani hanno il diritto di riconquistare che è
QUELLO RIGUARDANTE IL VALORE E LA BELLEZZA DELLA VITA E CHE DINANZI A NESSUN OSTACOLO L' ESSERE UMANO È' AUTORIZZATO A PRIVARSENE

Il mio profondo grazie ad Enea,Moreno, Franz che oltre ad aver condiviso con tutti noi le loro profonde riflessioni hanno aggiunto vitalita' al nostro percorso, per combattere oltre all'euro,all'Europa e alla nato la PAURA.....voluta da veri criminali».
Angela Matteucci



8 commenti:

Alberto ha detto...

Condivido le considerazioni di Moreno. Detto ciò, che fare?
Si può capire un alieno, più difficile farsi capire da un alieno. Michele rappresenta per me l'alieno, e purtroppo rappresenta la sua generazione, aliena dalla mia.

Ho cresciuto tre figli ed ho visto le differenze generazionali. Si comincia dai giocattoli, un'offerta straripante di intrattenimento che non lascia scampo alla fantasia, alla creatività, ad un qualunque modo alternativo di divertirsi cercando dentro se stessi, più in profondità.

Poi viene la "cultura" vera e propria, un bombardamento ad ampio spettro quanto monocorde. Lo chiamano marketing, che misura l'economia. Ma è cultura schiavizzante, che schiaccia l'individuo nella sua nullità, ne misura l'impotenza.

Poi c'è il sistema, strapotente e totalitario, inscalfibile tantopiù quanto più ti scaraventa in basso.

Come fai a coltivare uno straccio di autenticità di valori tuoi, dopo essere passato da un simile tritacarne, che ti ha già ridotto a brandelli, dentro e fuori, nell'anima e nelle tasche? Nel matrix diventato l'unica realtà tutto è sottosopra, compresi i valori. Sembra inconcepibile da chi ha invece avuto la fortuna di condizioni più favorevoli all'umanità, che è cresciuta in lui nei tempi e nei modi adeguati alla propria dimensione. Eppure si può capire, ma senza poterci fare niente, fino a che le condizioni oggettive non ritorneranno più umane, se mai sarà possibile. E' un cane che si morde la coda. Eppure basterebbe poco, e come sempre i disperati saranno gli unici a poterlo fare. Anche con un gesto senza appello, come quello di Michele, che in qualche modo i suoi effetti li sta producendo.

Anonimo ha detto...


Sono pienamente d’ accordo con Franz Altomare, in particolare quando afferma che :


Consideriamo il fatto che non sono pochi quelli che lotterebbero e vorrebbero ribellarsi non per sfogarsi ma per costruire ma che non sanno da dove cominciare anche se sarebbero pronti ad arruolarsi in un "esercito" che non c'è, o che non c'è ancora.
In questo senso la sconfitta è anche nostra, parlo di noi che abbiamo fatto dell'impegno politico una ragione forte della nostra esistenza che coinvolge la sfera etica di valori riconducibili (spero) all'empatia sociale, ai valori di giustizia, solidarietà, pace.
Oggi che le condizioni oggettive si stanno consolidando dobbiamo capire come non restare isolati da quella parte della società per cui ci impegniamo e per la quale vorremmo lottare.
Questo nodo va risolto!

Credo, da epicureo prima che da rivoluzionario comunista quale cerco di essere, che “primum vivere (con un minimo di benessere interiore), deinde pugnare”.
Non mi sentirei assolutamente di condannare un compagno, magari molto preparato teoricamente e ottimo dirigente, che, in condizioni di insopportabile dolore fisico e senza realistiche speranze di superarlo (per esempio per una gravissima malattia) si procurasse l’ eutanasia, anche se così facendo arrecherebbe oggettivamente un grave danno alla lotta di tutti gli sfruttati e gli oppressi.
Perché per lottare bisogna innanzitutto avere la possibilità di sopportare effettivamente la durezza della vita e di pensare ed agire (e oltre un certo limite di sofferenza fisica o morale non è umanamente possibile pensare sensatamente ed agire efficacemente).
A maggior ragione non mi sento di giudicare chi ha provato un’ esperienza decisamente disumana, pazzesca, letteralmente “il peggio che possa capitare nella vita”, esperienza dalla quale per mia fortuna sono sempre stato ben lontano (sarebbe come se, in un’ esperienza di guerriglia, non essendo mai stato catturato e torturato dai nemici fascisti mi permettessi di giudicare un compagno catturato e torturato che non avesse saputo resistere alla tortura: potrei farlo solo dopo che avessi effettivamente dimostrato, innanzitutto a me stesso, di saper superare la prova che il compagno non è stato in grado di affrontare).
Per questo avevo scritto che Forse personalmente avrei apprezzato di più un gesto clamoroso di rivolta prima del suicidio; che ne so, un tentativo di attentare alla vita di qualche uomo-simbolo dell' insopportabile barbarie presente; da Mario Monti alla Fornero, a Renzi a Draghi c' é solo l' imbarazzo delle scelta; ma forse questa é solo una miserabile suggestione estetizzante di uno che non sa proprio che cosa vuol dire provare quello che Michele ha provato, e dunque dovrei solo vergognarmene (ed effettivamente un po’ me ne vergogno! Veramente, senza retorica, lo percepisco come se fosse figlio mio, e credo che tutti coloro che lottano per un mondo migliore in qualche misura non possano non sentirlo come figlio loro).

(continua)

Anonimo ha detto...

(continuazione)

Ad ogni modo non mi permetterei certo di criticare chi nelle sue stesse condizioni cercasse prima di dare la giusta punizione a qualcuno dei responsabili dell' abominio presente (e certamente considererei un miserabile ipocrita degno del più profondo disprezzo e dell' odio più viscerale chi si permettesse di condannarlo): sarebbe un gesto simile a quello di vari anarchici fra la fine dell’ ottocento e l’ inizio del novecento, un modo molto elementare e materialmente poco o punto efficace di lottare per cambiare lo stato di cose presenti: dopo un re se ne fa un altro, dopo Umberto I è venuto Vittorio Emanuele II, dopo Biagi e D’ Antona ci sono stati altri giuslavoristi, e se venissero giustiziati dalla collera popolare Monti, Draghi, ecc., altri criminali non meno efferati e spregevoli di loro prenderebbero i loro posti.
Ma d’ altra parte dopo la caduta del muro di Berlino (scusate la mia insistenza e ripatitività, ma non posso autocensurarmi su qualcosa di cui sono sempre più convinto, purtroppo, ogni giorno che passa!) i rapporti d forza nella lotta di classe sono tornati a un livello non molto lontano da quelli dell’ ottocento, e se non altro gesti di questo tipo indurrebbero altri disperati a riflettere e forse a cercare di reagire (oltre al fatto che personalmente, in circostanze simili a quelle di Michele credo che morirei sentendomi più in pace con la mia coscienza se prima di togliermi la vita avessi cercato di infliggere la meritata punizione a qualcuno dei colpevoli dell’ abominio attuale).

Per una serie di circostanze (e fra l’ altro anche per limiti, carenze, debolezze di tutti noi!) Michele non è riuscito a capire che esiste la possibilità di lottare; se ne fosse stato consapevole probabilmente sarebbe ancora qui con noi.
Trovo la considerazioni di Moreno sul nichilismo come una (fra le tante altre, a mio parere) ideologia reazionaria che le spregevoli, assassine, umanicide minoranze privilegiate al potere cercano di far penetrare nelle menti e nei cuori degli sfruttati verissime in linea di principio, in astratto.
Ma francamente, da fortunato che essendo nato prima dell’ abbattimento del muro di Berlino non ha mai conosciuto la precarietà con tutte le frustrazioni, le umiliazioni, la disperazione in ordine all’ autorealizzazione personale che comporta, non avendo mai nemmeno visto da lontano l’ inferno che Michele ha vissuto sulla sua carne (e “ha resistito fin che ha potuto”) non mi sento proprio di giudicarlo, mi sembrerebbe di contravvenire al più elementare senso di pietas umana.


Giulio Bonali

Anonimo ha detto...

bravo Giulio condivido le tue saggissime parole, il nichilismo e' dell'abominevole sistema capitalistico che annulla l'individuo non di Michele che se ne separa consapevolmente, prendendo atto dell'impotenza di tutti e di se stesso a combatterlo. Nessuno ha diritto di giudicare il dolore dell'altro e la sua volonta' di separarsene. Andre Gorz uno dei piu' grandi intellettuali post marxisti del novecento non ha fatto lo stesso con sua moglie, difronte alla prospettiva di un dolore fisico e spirituale crescente che annulla il proprio essere e la propria volonta' di vivere? Trotsky nel suo diario di esilio non paventava il gesto estremo qualora una grave malattia ne avesse impedito l'autonomia di giudizio e di lotta? La lista da citare sarebbe lunga dai generi di Marx a Lucio Magri
Parafrasando Brecht possiamo dire che ci sono differenti modi di suicidarsi. Il piu' eclatante ed eroico e' quello di togliersi la vita e di far calare il sipario su una realta' opprimente ritenuta a torto o a ragione irredimibile. Ma c'e' anche quello molto peggiore di chi tradisce i propri ideali per avere vantaggi nel sistema, di chi calpesta i deboli e gli ultimi in nome di alti valori, di chi predica bene e razzola male, di chi maschera la volonta' di affermazione personale dietro il velo di giusti ideali. Di chi compie crimini in nome di Cristo o di Marx. etc etc etc
L'eutanasia e' un diritto.
Lunga vita a Michele

Furia del dileguare ha detto...

Non condivido l'orrore verso il nichilismo che Pasquinelli esprime. Il nichilismo assoluto naturalmente è sbagliato, ma soprattutto impossibile: il nulla non esiste, ovvietà ontologica.
Ma il nichilismo è, per chi segue una visione dialettica della realtà, una fase dello spirito, un momento necessario. Mentre i positivisti blaterano di una progressione lineare della storia, la tradizione tedesca sa che senza la furia del dileguare non ci sarebbe ricomposizione positiva. Che la storia avanza attraverso la Negazione, la Negazione della Negazione, e così via. L'azione della distruzione è un'azione eminentemente creativa, diceva Bakunin.
Di più. Il crollo dell'attuale regime a liberismo paraculo e a globalizzazione incompiuta, il disfacimento della UE, la ritirata apparente (ma commercialmente rilevantissima) degli USA dal mercato mondiale, la fine della lunga fasa delle delocalizzazioni (con gli aumenti salariali strepitosi ottenuti dagli operai cinesi e indiani), avverrà attraverso scossoni e moti di piazza, spesso mossi da nichilismo. Non solo quelli politici (gli anarchici, i blac block), ma soprattutto i riot impolitici e antipolitici dei neri in america, dei migranti nei cie, delle periferie francesi contro la polizia. Così come sarà indubbiamente nichilista la fase successiva. Gli scontri contro Trump stanno ad indicarlo... e non è ancora successo nulla: immaginativi al prossimo morto di colore ammazzato dalla polizia, ora che non c'è più nemmeno il ridicolo presidente nero Obama. Così accadrà se dovesse vincere la Le Pen o Salvini.
Insomma la Negazione è la forza motrice della storia, la violenza levatrice della storia secondo la tradizione marxista.
Il punto non è la critica del nichilismo. Il punto è dare fuoco alle polveri. La stessa odiosa psicologia borghese definisce la depressione come rabbia inespressa o espressa contro di sé. Portiamola fuori di sè!

Anonimo ha detto...

"Che hai fatto Michele, per ribellarti insieme agli altri milioni di sfigati?
Che hai fatto Michele, per essere veramente anticonformista, quando esserlo veramente significa non sentire sul proprio cuore il peso della disapprovazione altrui di cui invece poche righe prima ti lamentavi, dicendo di averne abbastanza?"

Sì, Michele col suo gesto ha confermato il nichilismo neoliberista totalitario che lo ha schiacciato. Provate a guardare Michele e il suo gesto con gli occhi e le categorie mentali di un neoliberista: il risultato è la profonda coerenza del gesto di Michele nel quadro della lotta per la sopravvivenza. Sono i necessari sconfitti a fronte dei vincenti. Se penso in termini di vincenti non posso che pensare, prevedere e accettare gli sconfitti.

Ma il nichilismo è un seme sepolto dentro ognuno di noi, nessuno escluso. Nessuno. Tutta la cultura neoliberista non fa altro che innaffiarlo in continuazione, stuzzicarlo direttamente o indirettamente nel momento stesso che lo nega. Più i media costruiscono un mondo scintillante, più avanza l'oscurità nichilista dentro ogni spettatore o utente di internet e giochi elettronici quando spengono il dispositivo. E per fare questo si serve di strumenti di comunicazione finanziati con risorse enormi. Che svolgono quel lavoro, che ne siano consapevoli o meno. E più tu sei convinto di essere immune da questo condizionamento, più sei condizionabile.

L'unico antidoto al nichilismo è l'empatia, l'intelligenza emotiva che ti consente di "sentire" l'altro, di capirlo emotivamente. E' questa la base per il lavorare insieme, divertirsi insieme, preparare un volantino, una iniziativa o una manifestazione insieme, fare una gita o prendere un caffè insieme. Ma l'empatia si impara, empatici si diventa, non si nasce. Lo si diventa nella relazione diretta con chi si prende cura di te nei primissimi anni della tua vita. L'empatia e l'intelligenza emotiva pienamente sviluppate implicano una società e una economia di un certo tipo. Non c'è nulla di più anti-neoliberista dell'empatia. Ed è qui che il discorso educativo e la pedagogia incontrano la politica.

Continua ....

Anonimo ha detto...

Continua dal post precedente

Ma in un mondo egemonizzato dal pensiero e dall'economia neoliberista è difficile anche solo esercitare la propria carica empatica (se ce l'hai). In un mondo neoliberista, l'empatia è debolezza.

Di Michele io non so nulla. Dirò di più: per me Michele ha la stessa consistenza di un personaggio di un romanzo di Dostojevski. Michele è una modalità di reazione al totalitarismo neoliberista prevista da questo totalitarismo stesso. Uno può vivere la sua sconfitta con rassegnazione e in silenzio o protestando. La protesta di Michele per il neoliberista è il segnale che deve aumentare le dosi della sua propaganda, che il suo progetto totalitario ancora non è compiuto. Forse non è un caso che in tv proprio ora gente come Rondolino parli apertamente di precarietà come un valore, o a Sanremo presentino come eroe uno che usa le ferie quando è malato, o raccontino la storia di due giovani disoccupate con un destino da precarie che decidono di convivere nella casa della madre di una e la cui unica preoccupazione è che la società non accetti la loro decisione (non il destino da precarie).

Io non ho paura del nichilismo di Michele, non mi scandalizza. Provo pietà per lui. Troppo grande il potere con cui ha cercato di combattere da solo, adottando l'unica strategia prevista nel mondo in cui è nato e cresciuto (30 anni, 2017 - 30 = 1987, gli anni rampanti della spavalderia individualista craxiana: pensateci: Michele non ha conosciuto altro che neoliberismo): la protesta individuale.

Agli inizi degli anni Ottanta io e un piccolo gruppo di amici riuscivamo a organizzare marce per la pace a cui partecipavano 3000 persone in una cittadina di 30000 abitanti. Oggi è grasso che cola se riesco a organizzare in solitudine incontri episodici e senza continuità su argomenti di attualità. Se anche la nostra generazione, che ha sperimentato l'organizzare insieme, stenta a ritrovarsi con continuità per un lavoro politico con una prospettiva di lunga durata (la militanza, ricordate), perché stupirci di Michele? Sarebbe strano il contrario.

Un saluto a tutti e grazie per il vostro lavoro.

P.S. A quando una chiamata a raccolta?

Anonimo ha detto...

Le parole dei commenti sono sensate e le critiche giustificate ma assemblate in discorsi troppo lunghi.
Forse basterebbe dire che l'uomo è cattivo dentro, perverso fin nell'intimo del cuore, incorreggibilmente strutturato sui cromosomi dell'egoismo più arido.

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