[ 14 febbraio ]
Come tutti i giornalisti che si occupano della cronachetta politica italiana, in particolare dello psicodramma ai piani alti del Partito democratico, ho seguito con attenzione la riunione della direzione del Pd. Noto tuttavia che i commentatori si soffermano sui dettagli, ma non vanno al cuore, alla sostanza. Ci provo.
Un'opinione sul dibattito politico? Lì c'è poca roba. Certo, han capito tutti, anche Renzi, che la batosta del 4 dicembre è stata una vera e propria Caporetto; certo, nessuno di loro ha dubbi sull'avvenuto divorzio tra essi e la stragrande maggioranza degli italiani. Proposte serie? Zero carbonella. Un progetto nuovo per far pace col popolo? Niente di niente. La solita brodaglia riscaldata. La globalizzazione va difesa, l'Unione europea va difesa, l'euro va difeso. Bastano alcune "manutenzioni" —parole di Bersani.
Tenetevi sulla seggiola: il solo che è andato al punto, che ha dimostrato di avere il polso della situazione, che ha lanciato un autentico grido d'allarme per il rischio di una rivolta sociale imminente è stato il chiacchierato, ma arguto e ficcante quanti altri mai, Vincenzo De Luca.
Le differenze sulle terapie sono sulle virgole. Quindi, con Renzi o senza, non è azzardato affermare che notabili e dignitari piddini vanno dritti verso il suicidio.
Ma su cosa si stanno allora accapigliando, fino a paventare la scissione, renziani e minoranze di "sinistra" (si fa per dire). Sulla gestione del partito, attraverso il quale si controlla la stanza dei bottoni, si sta al potere e si distribuiscono poltrone prebende e strapuntini.
Per questo la ciccia, alle spalle dei discorsi e dei paroloni, stava solo su un punto: passa o no l'idea di Renzi di votare prima possibile, cioè a giugno?
Ebbene, la direzione approvando a larga maggioranza la mozione renziana (107 voti), contro quella della minoranza (12 voti), ha praticamente deciso che si dovrà andare a votare a giugno.
Attenti! Non troverete una sola parola nella mozione approvata che parli di elezioni. I renziani hanno la lingua biforcuta. La mozione dice solo che si va a passo di corsa verso il congresso del partito. Questa decisione sarà vidimata dall'Assemblea nazionale, dove Renzi ha una maggioranza non meno schiacciante, che si svolgerà la settimana prossima. Quando questo congresso? probabilmente entro la fine di aprile. Ergo: c'è tutto il tempo per andare a votare a giugno.
Si dirà: ma non è mica sicuro che Renzi abbia i numeri in Parlamento per sfiduciare il governo Gentiloni! Vero. Ostacolo tuttavia facilmente aggirabile. Come? con le dimissioni, sua sponte, di Gentiloni medesimo, che non a caso è stato messo lì da Renzi.
Poi, scusate, che forse il Parlamento dei peones è il luogo dove si decidono le cose serie? Ovvio che no, più ancora che durante la prima repubblica infatti, e in barba alle battute di Renzi, decidono i "caminetti", ovvero logge e consorterie partitiche, quindi quella che ha il pallino in mano, la piddina.
Mi chiederete: ma come, Renzi è così scemo da non capire che alle elezioni prenderà un'altra batosta? Non penso sia così scemo, penso che non abbia altra scelta. Anzitutto perché se si votasse l'anno prossimo lui ci arriverebbe bollito. Penso anche un'altra cosa, penso che la sua posizione offensiva e spavalda abbia nel Paese più consensi che quella nebulosa e sconnessa della minoranza —anche perché essa appare ed è, contrariamente a quanto alcuni sinistrati vogliono pensare, molto più conforme ai desiderata delle élite oligarchiche.
Poi è chiaro che c'è della astuzia nella accelerazione di Renzi: lui uno straccio di apparato nazionale pronto alla sfida elettorale ce l'ha. Ed ha una maggioranza tale nel Pd che potrà comporre le liste elettorali per offrire ai suoi nemici interni solo qualche strapuntino. Ove essi rifiutassero non resta loro che la scissione e metter su una casa in quattro e quattr'otto. Uno svantaggio non da poco, anzi da molto.
Come tutti i giornalisti che si occupano della cronachetta politica italiana, in particolare dello psicodramma ai piani alti del Partito democratico, ho seguito con attenzione la riunione della direzione del Pd. Noto tuttavia che i commentatori si soffermano sui dettagli, ma non vanno al cuore, alla sostanza. Ci provo.
Un'opinione sul dibattito politico? Lì c'è poca roba. Certo, han capito tutti, anche Renzi, che la batosta del 4 dicembre è stata una vera e propria Caporetto; certo, nessuno di loro ha dubbi sull'avvenuto divorzio tra essi e la stragrande maggioranza degli italiani. Proposte serie? Zero carbonella. Un progetto nuovo per far pace col popolo? Niente di niente. La solita brodaglia riscaldata. La globalizzazione va difesa, l'Unione europea va difesa, l'euro va difeso. Bastano alcune "manutenzioni" —parole di Bersani.
Tenetevi sulla seggiola: il solo che è andato al punto, che ha dimostrato di avere il polso della situazione, che ha lanciato un autentico grido d'allarme per il rischio di una rivolta sociale imminente è stato il chiacchierato, ma arguto e ficcante quanti altri mai, Vincenzo De Luca.
Le differenze sulle terapie sono sulle virgole. Quindi, con Renzi o senza, non è azzardato affermare che notabili e dignitari piddini vanno dritti verso il suicidio.
Ma su cosa si stanno allora accapigliando, fino a paventare la scissione, renziani e minoranze di "sinistra" (si fa per dire). Sulla gestione del partito, attraverso il quale si controlla la stanza dei bottoni, si sta al potere e si distribuiscono poltrone prebende e strapuntini.
Per questo la ciccia, alle spalle dei discorsi e dei paroloni, stava solo su un punto: passa o no l'idea di Renzi di votare prima possibile, cioè a giugno?
Ebbene, la direzione approvando a larga maggioranza la mozione renziana (107 voti), contro quella della minoranza (12 voti), ha praticamente deciso che si dovrà andare a votare a giugno.
Attenti! Non troverete una sola parola nella mozione approvata che parli di elezioni. I renziani hanno la lingua biforcuta. La mozione dice solo che si va a passo di corsa verso il congresso del partito. Questa decisione sarà vidimata dall'Assemblea nazionale, dove Renzi ha una maggioranza non meno schiacciante, che si svolgerà la settimana prossima. Quando questo congresso? probabilmente entro la fine di aprile. Ergo: c'è tutto il tempo per andare a votare a giugno.
Si dirà: ma non è mica sicuro che Renzi abbia i numeri in Parlamento per sfiduciare il governo Gentiloni! Vero. Ostacolo tuttavia facilmente aggirabile. Come? con le dimissioni, sua sponte, di Gentiloni medesimo, che non a caso è stato messo lì da Renzi.
Poi, scusate, che forse il Parlamento dei peones è il luogo dove si decidono le cose serie? Ovvio che no, più ancora che durante la prima repubblica infatti, e in barba alle battute di Renzi, decidono i "caminetti", ovvero logge e consorterie partitiche, quindi quella che ha il pallino in mano, la piddina.
Mi chiederete: ma come, Renzi è così scemo da non capire che alle elezioni prenderà un'altra batosta? Non penso sia così scemo, penso che non abbia altra scelta. Anzitutto perché se si votasse l'anno prossimo lui ci arriverebbe bollito. Penso anche un'altra cosa, penso che la sua posizione offensiva e spavalda abbia nel Paese più consensi che quella nebulosa e sconnessa della minoranza —anche perché essa appare ed è, contrariamente a quanto alcuni sinistrati vogliono pensare, molto più conforme ai desiderata delle élite oligarchiche.
Poi è chiaro che c'è della astuzia nella accelerazione di Renzi: lui uno straccio di apparato nazionale pronto alla sfida elettorale ce l'ha. Ed ha una maggioranza tale nel Pd che potrà comporre le liste elettorali per offrire ai suoi nemici interni solo qualche strapuntino. Ove essi rifiutassero non resta loro che la scissione e metter su una casa in quattro e quattr'otto. Uno svantaggio non da poco, anzi da molto.
3 commenti:
"un autentico grido d'allarme per il rischio di una rivolta sociale imminente è stato il chiacchierato, ma arguto e ficcante quanti altri mai, Vincenzo De Luca"
E non è la prima volta che De Luca, pur essendo parte di quel ceto politico da sconfiggere, centra bene il punto. Nella polemica con Di Maio ebbe a dichiarare (il video dovrebbe aprirsi al minuto 3.36):
"Il problema vero per il quale dovremmo interrogarci è rappresentato dal quel 25% di cittadini [che votano per M5s (nota mia)], il che significa che le classi dirigenti tradizionali hanno dato una tale prova di inconcludenza, di cialtroneria, di burocratismo, che un cittadino normale è disposto anche a un voto di disperazione pure di non vederli avanti."
Lo sfacelo in cui siamo e la disperazione che ha generato M5S sono diretta conseguenza del governo di quel ceto politico di De Luca stesso appartiene. Egli ne è consapevole e la sua espressione sconsolata è rivelatrice del fatto che da questo disastro essi non sanno come uscirne.
Bersani addirittura vuole garantire davanti all europa e ai mercati.
Uno così fa venire voglia di renzi bis piuttosto.
Guardate che è il contrario
Il voto a giugno è sfumato
Casomai a fine settembre
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