[ 10 febbraio]
«Quanto è costituzionale la Corte Costituzionale?».
Questo l'incipit del mio commento alla sentenza della Consulta del 25 gennaio scorso sull'Italicum. «Uno schifo di sentenza» scrivemmo due settimane fa. Altri preferirono invece un giudizio sostanzialmente positivo sulle decisione della Corte, ma su costoro è stato già scritto l'essenziale.
Questo l'incipit del mio commento alla sentenza della Consulta del 25 gennaio scorso sull'Italicum. «Uno schifo di sentenza» scrivemmo due settimane fa. Altri preferirono invece un giudizio sostanzialmente positivo sulle decisione della Corte, ma su costoro è stato già scritto l'essenziale.
Ora sono arrivate le motivazioni (qui il testo completo) di quell'obbrobrio di sentenza. Inutile bearsi dei nobili motivi che hanno condotto all'eliminazione del ballottaggio. In quella decisione non c'è nulla di giuridico, c'è solo la presa d'atto - diremmo "tecnica" - dell'impossibilità di applicare il doppio turno ad un sistema bicamerale. Dunque il ballottaggio renziano l'hanno fatto fuori gli elettori il 4 dicembre non certo i giudici costituzionali, la cui maggioranza l'avrebbe quasi certamente vistato nel caso di una vittoria del "sì".
Ora costoro si fanno belli sul punto, notando che il ballottaggio avrebbe costituito una lesione del principio della rappresentatività. Ma a questa concessione gratuita ai nobili principi, segue l'ignobile motivazione del mantenimento del premio di maggioranza. Secondo la Consulta il premio è legittimo perché il 40% dei voti sarebbe «una soglia di sbarramento non irragionevolmente elevata che non determina, di per sé una sproporzionata distorsione della rappresentatività dell’organo elettivo».
Avete capito? Trasformare il 40% dei voti nel 55% dei seggi (regalandone così una novantina alla lista vincente) sarebbe una sproporzione accettabile. E in base a quale principio? Ovvio, a quello della "governabilità", che però - piccolo particolare - nella Costituzione proprio non c'è.
Il bello è che nelle motivazioni depositate ieri ci si spinge anche oltre, ripetendo il mantra sistemico dell'«omogeneità» delle leggi di Camera e Senato, a giusta conferma del carattere tutto politico delle decisioni prese. La Corte scrive infatti che la Costituzione «non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee».
Quanta disonestà intellettuale in questo componimento! I giudici costituzionali sanno infatti benissimo due cose: la prima, assolutamente banale, è che i sistemi elettorali delle due camere non possono essere in nessun caso perfettamente identici, vista l'elezione su base regionale del Senato prevista dall'art. 57 della Costituzione; la seconda è che se la Consulta voleva dare un contributo alla mitica "omogeneità" aveva una decisione molto semplice da prendere, quella di sbarazzarsi del premio di maggioranza e di lasciare così un sistema largamente proporzionale in entrambe le camere. Esattamente com'era nella Prima Repubblica, che qualcosa di più a che fare con la Carta del 1948 di certo aveva.
Si è fatto invece l'esatto contrario, e con questo è detto tutto. Del resto ad uno schifo di sentenza non potevano che corrispondere motivazioni altrettanto disgustose. Motivazioni nelle quali ci si arrampica sugli specchi anche per giustificare il mantenimento dei capilista bloccati. Questi sarebbero legittimi, al contrario delle liste bloccate del Porcellum, perché mentre con la legge calderoliana tutti gli eletti sarebbero stati dei nominati, con quella renziana gli elettori potranno sceglierne forse 200 su 630! Ovviamente gli altri 430 resteranno invece dei nominati: ammazzate che cambiamento! Che dobbiamo dire: viva la sovranità popolare sancita nella Costituzione; abbasso, mille volte abbasso, i giudici che la dovrebbero tutelare!
Ma torniamo alla questione dell'«omogeneità» per spiegarci un po' meglio. Nella Prima Repubblica i sistemi di Camera e Senato erano sì diversi, ma essendo entrambi proporzionali quasi non ci si accorgeva della differenza. E le maggioranze che uscivano dal voto erano sempre omogenee. Dunque, se il problema fosse stato davvero quello dell'«omogeneità», sarebbe bastato cancellare il premio uniformando così il sistema della Camera a quello in vigore al Senato dopo la sentenza 1/2014. Viceversa, come si è visto con il Porcellum, con i premi di maggioranza questa «omogeneità» non può essere in alcun modo assicurata. La contraddizione dell'operato della Corte è dunque evidente.
A questo punto dovrebbe esser chiaro a tutti che quello dell'omogeneità è solo un pretesto, un modo per lasciar libero un parlamento illegittimo di confezionare ulteriori imbrogli che garantiscano il sistema oligarchico. Che poi ci riescano è tutto da vedere, dato che l'imbroglio lo vogliono quasi tutti, ma ognuno ha il suo preferito...
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