[ 5 luglio ]
Stavros Mavroudeas è professore di Economia politica presso l’Università di Macedonia (Grecia) ed è autore di numerosi contributi Postkeynesiani. Milita tra le file di M.AR.S. (acronimo di METOPIKI ARISTERI SYMPOREUSI, che possiamo tradurre come Marcia Comune per un Fronte di Sinistra) il movimento che si è caricato sulle spalle l'organizzazione del Forum di Atene.
* Pubblicato oggi anche su Economia&PoliticaBlog
Stavros Mavroudeas è professore di Economia politica presso l’Università di Macedonia (Grecia) ed è autore di numerosi contributi Postkeynesiani. Milita tra le file di M.AR.S. (acronimo di METOPIKI ARISTERI SYMPOREUSI, che possiamo tradurre come Marcia Comune per un Fronte di Sinistra) il movimento che si è caricato sulle spalle l'organizzazione del Forum di Atene.
«Per sei mesi dopo la sua vittoria elettorale del 2015 il
governo di Syriza ha negoziato con l’UE.
In queste trattative Syiza si è
confrontata con l’ostinata e crescente intransigenza dell’UE e delle
istituzioni associate (BCE e FMI). Syriza ha molto presto accettato la logica e
la struttura del programma della
Troika, cioè del Programma di aggiustamento economico per la Grecia noto come
Memorandum.
Syriza ha semplicemente cercato di modificarlo per renderlo meno
brutale (per esempio ritardando l’implementazione della riduzione delle
pensioni e mascherando i tagli salariali, riducendo gli obiettivi di surplus
primario e rendendo così la politica fiscale meno austera). Syriza ha anche
richiesto una facilitazione nel servizio del debito (attraverso forme di ristrutturazione) e un aumento dei fondi
per lo sviluppo (attraverso il fantasioso Piano Junker) con lo scopo di far
ripartire la moribonda economia greca dopo 6 anni di austerità. Infine ha
timidamente chiesto qualche impegno circa una futura riduzione del debito
Greco. L’UE, una volta intuito lo spirito conciliatorio di Syriza e dato che
l’intera partita si giocava sul suo terreno, ha cominciato a premere per
ulteriori concessioni. Quanto più Syriza scivolava verso una capitolazione,
tanto più l’UE pretendeva. Alla fine è risultato politicamente impossibile per
Syriza accettare tutte le richieste europee, nonostante gli umilianti
compromessi e il tradimento sfacciato del suo pur mediocre programma
elettorale. Questo ha condotto alla rottura dei negoziati e alla convocazione
da parte di Syriza di un referendum sulle richieste della Troika.
La rottura delle trattative prova oltre ogni dubbio la
vera natura dell’UE: essa impone gli interessi e le prerogative dei poteri
capitalistici dominanti in Europa. Essa impone le politiche di austerità sui popoli e sui paesi
più deboli a beneficio dei profitti capitalistici.
Inoltre, la
rottura delle trattative dimostra il carattere irrealistico del programma del
governo di Syriza volto a un “compromesso decente” con l’UE che non fosse “né
uno scontro né una capitolazione” e per “stare nell’Eurozona a ogni costo”. Se
un paese vuol stare nell’Eurozona e nell’UE deve capitolare alle domande dei
suoi poteri dominanti. Così, persino la proposta di 47 pagine di Syriza per una
versione più moderata del programma di austerità della Troika è stata
sdegnosamente rifiutato.
Il fallimento della strategia di Syriza e lo strisciante
malcontento popolare per un ritorno delle politiche di austerità della Troika
hanno obbligato il governo a respingere le domande della Troika e a metterle ai
voti attraverso il referendum. Allo stesso tempo la leadership di Syriza ha
sostenuto che nel caso di una vittoria dei NO essa proporrà nuove trattative
all’UE.
Syriza ha fallito non solo strategicamente, ma anche tatticamente. Essa non ha
intaccato la struttura profonda dello Stato che ha continuato ad essere gestita
da funzionari obbedienti all’oligarchia
e, come se non bastasse, Syriza li ha collocati in molte funzioni
cruciali.
Per esempio, Syriza non ha acquisito il controllo della
banca centrale accettando, nominando persino molti “uomini del sistema” alla direzione di banche
commerciali e di altre imprese pubbliche cruciali. Syriza ha svuotato le casse
dello Stato pagando stupidamente tutte le tranche del debito al FMI e ai
creditori internazionali. Sicché, un volta indetto il referendum, l’UE in stretta
cooperazione con la borghesia greca ha creato una condizione di asfissia per il
settore bancario obbligando Syriza a imporre un severo controllo dei movimenti
di capitale lo stesso giorno in cui si doveva pagare una massa enorme di
pensionati greci (mal pagati e con a carico una grande fetta di popolazione).
In tal modo un referendum che poteva diventare una facile vittoria dei NO alle
domande della Troika si presenta ora con un esito incerto.
Per giunta la borghesia greca ha immediatamente creato un
fronte unito (mettendo da parte le differenze politiche ed economiche),
mobilizzato ogni mezzo disponibile (mass media, pressione dei manager sui
dipendenti ecc.) e intraprendendo una campagna di disinformazione sfacciatamente
terroristica e tendenziosa. Il suo scopo è di terrorizzare il resto della
popolazione (e in particolare quei significativi segmenti della classe media
che sono sopravvissuti alla crisi e non si sono proletarizzati) affermando che
a meno che la Grecia si arrenda incondizionatamente alla UE, si scatenerà
l’inferno
Di fronte a questo assalto Syriza ha oscillato per un
lasso di tempo critico giocando (anche per pressioni al suo interno) con l’idea
di cancellare il referendum offrendo ulteriori concessioni all’UE con
quest’ultima che – avendo odorato il sangue – le ha respinte in maniera sprezzante.
Solo a quel punto Syriza a cominciato a impegnarsi per vincere il referendum,
ma rassicurando allo stesso tempo che un accordo sarebbe stato successivamente
stipulato con la UE.
Nella rimanente parte dello spettro politico della
sinistra greca solo le maggiori forze extra-parlamentari hanno raccolto la
sfida e lottato con energia per un massiccio voto popolare per il NO all’UE.
Il
Partito Comunista (Kke), tradendo tutte le tradizioni comuniste della Grecia,
ha suggerito di invalidare il volto, e questo significa un aiuto implicito alla
campagna per il Si.
Il referendum di domenica è una battaglia cruciale. Ciò
che è in ballo è se la barbara ristrutturazione dell’economia e della società
greca continueranno o se un altro percorso verrà inaugurato.
Il conflitto che viene combattuto segue chiaramente line
di classe. Questo è quasi evidente se ci si aggira nei sobborghi di Atene o nei
posti di lavoro. Nei quartieri borghesi o fra le funzioni manageriali c’è una
imprevista mobilitazione, persino di gente apolitica, in favore del Si.
Dall’altra parte, invece, fra la classe lavoratrice e nei quartieri popolari
c’è una evidente maggioranza di NO. La classe media tende a dividersi fra
coloro che ancora godono di benessere e quelli che l’hanno perduto.
La prevalenza elettorale del Si, sia che Syriza rimanga al
potere o meno, significherebbe che la Grecia si assimilerebbe vieppiù ai più
poveri vicini balcanici (ulteriormente impoveriti dall’UE), concorrendo con loro in una gara al ribasso di chi
realizza costi del lavoro e offre attività finanziarie più convenienti alla
fine di ricevere una piccola ricompensa dai padroni dell’UE.
Una vittoria dei NO bloccherebbe questo destino. Essa si
potrà realizzare solo attraverso una mobilitazione popolare di massa che
esisteva prima che ogni cosa fosse erroneamente delegata a una vittoria
elettorale di Syriza che si è rilevata deludente. Questo metterebbe anche in
discussione il tentativo di Syriza, irrealistico e conservatore, di rinegoziare
un nuovo memorandum. La vittoria del NO rafforzerebbe la fiducia popolare che
l’UE e la borghesia greca non sono imbattibili e che un altro percorso fuori delle
catene dell’UE è praticabile.
E’ responsabilità dei militanti della sinistra e delle
forze più attive della classe lavoratrici prendere questa battaglia nelle loro
mani».
* Pubblicato oggi anche su Economia&PoliticaBlog
* Traduzione di Sergio Cesaratto
1 commento:
Dimenticavo
Ci si chiede: e se votano sì?
Avete visto cos'è successo in Scozia? Al referendum hanno vinto quelli che volevano restare sudditi della regina inglese...però alle successive elezioni il partito degli indipendentisti scozzesi ha fatto un en plein senza precedenti...
Che vincano i sì o che vincano i no questo referendum per il solo fatto di essere stato convocato e di dare voce al popolo provocherà un terremoto politico in tutta l'Unione.
Cresceranno i consensi per Podemos, M5S, forse la Le Pen ma soprattutto crescerà la consapevolezza dei cittadini.
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