[ 21 luglio ]
Le promesse fiscali dei due grandi imbroglioni nazionali (sullo sfondo lo scontro all'interno dell’UE)
Il governo si rimangia il DEF?
In ogni cosa c’è un perché. E la coincidenza del calendario delle promesse fiscali del Bomba (alias Renzi Matteo) con quello delle scadenze elettorali non ha bisogno di spiegazioni. In ogni luogo c’è uno spirito. E senza dubbio il Genius loci dell’Expo – dove si bara senza ritegno sul numero dei visitatori (leggi QUI) – è quello del bugiardo. Non poteva dunque esserci luogo più adatto di questo sia per la menzognera promessa, che per il mentitore professionale che l’ha pronunciata.
Parliamo ovviamente di fisco. Un argomento che i capi di governo imbracciano di solito quando non sanno più cosa dire. Un tema che il Bomba maneggia con la stessa fantasia del suo grande ispiratore di Arcore. Quest’ultimo ne fece la sua bandiera per un ventennio. Vediamo subito con quali risultati. Arrivato al governo nel 2001 (tralasciamo l’insignificante primo governo dal maggio al dicembre 1994), Berlusconi trovò una pressione fiscale al 40,2% del Pil. Ebbe il privilegio di governare per un’intera legislatura, che concluse nel 2006 con una pressione fiscale al 40,3%! Così certifica l’Istat. Sempre promettendo meno tasse, tornò a Palazzo Chigi nel 2008. Nel frattempo la pressione fiscale era salita al 41,3%, ma nei suoi tre anni di governo la portò al 41,7%.
I suoi fans fanno notare come i governi di centrosinistra abbiano sempre fatto peggio. Il che è vero, ma la sua promessa non era quella di aumentare le tasse un po’ meno di Prodi, la sua promessa era quella di ridurle drasticamente. Poi arrivò il 2011. Il debito pubblico volava come mai e il trio Draghi-Merkel-Sarkozy pensionò il pagliaccio per imporre con Monti un’austerità più severa. Il risultato sul piano fiscale è noto. Quando Renzi è arrivato a Palazzo Chigi (febbraio 2014) la pressione fiscale era al 43,4%. Ma il suo governo, nonostante la solita propaganda anti-tasse, l’ha portata al 43,5% nel 2014, con una previsione del 44,1% per il 2015!
Fin qui i dati ufficiali. Essi ci dimostrano come alle parole non seguano mai i fatti. Non tanto per cattiva volontà, quanto per oggettiva impossibilità, ferma restando la gabbia austeritaria del sistema dell’euro. Naturalmente questo non assolve né il Grande Buffone d’Arcore, né il Bombadi Rignano sull’Arno. Entrambe sono persone informate dei fatti che mentono ben sapendo di mentire.
Il Bomba, però, l’ha sparata davvero grossa. Segno di una certa disperazione in tendenziale crescita. La promessa è quella di una diminuzione delle tasse di ben 50 miliardi all’anno, mentre – ma si finge di ignorarlo – il Fiscal compact esigerebbe la stessa cifra annua per la diminuzione, non per l’incremento del debito!
Va detto che nei 50 miliardi vengono conteggiati i 10 degli “80 euro” più i 5 degli sgravi Irap. Ne restano comunque 35: 5 per l’abolizione delle tasse sulla prima casa, i terreni agricoli e i cosiddetti “imbullonati” (2016); 15 per la riduzione della tassazione delle imprese (2017); altri 15 per la revisione dell’Irpef (2018).
Come si può notare il duo renzusconiano è unito non solo nella propaganda, ma anche negli obiettivi di classe da perseguire. Come Berlusconi, Renzi parla di prima casa senza distinguere tra un appartamento popolare ed una villa da nababbi. Come Berlusconi, Renzi privilegia la detassazione dei profitti, spacciandola per detassazione del lavoro. Come Berlusconi, Renzi vuole ridurre la progressività dell’Irpef per favorire i ricchi. Il primo voleva due sole aliquote Irpef, l’attuale presidente del consiglio ha parlato di “due o tre”. Non siamo ancora alla flat tax di Salvini, ma ci stiamo avvicinando a grandi passi.
In generale siamo convinti che anche Renzi fallirà, ma non senza produrre danni, sia con misure che ridurranno ancora la progressività dell’imposizione fiscale prevista dalla Costituzione, sia con nuovi pesantissimi tagli alla spesa pubblica ed a quel poco che resta di Stato sociale.
Se da un lato è evidente che Renzi non potrà raggiungere gli obiettivi enunciati, dall’altro è sicuro che cercherà in tutti i modi di conseguirne almeno una parte da giocarsi propagandisticamente nelle urne. Aspettiamoci dunque tagli ancora più pesanti di quelli già previsti. Tagli che andranno necessariamente a colpire la sanità e le pensioni, quasi certamente già con la Legge di Stabilità del prossimo autunno.
Dove intendono trovare i soldi gli uomini del governo? Cerca di spiegarcelo questa mattina – sulCorriere della Sera – Yoram Gutgeld, il consigliere economico di Renzi made in Israel. Leggiamo:
«Agiremo su tre fronti. Il primo è quello dei tagli alla spesa pubblica: 10 miliardi nel 2016 che aumenteranno negli anni successivi. Il secondo è la crescita dell’economia, che potrà essere più alta del previsto grazie anche alla riduzione delle tasse. Il terzo è il margine che esiste tra il deficit e il prodotto interno lordo ora previsto e quello che potrà diventare per favorire la ripresa pur senza oltrepassare il 3%».
Lasciamo perdere la mitica “crescita”, sulla quale la scommessa di Gutgeld ha un valore pari a zero. Concentriamoci invece sul primo e, soprattutto, sul terzo fronte. Fare tagli per 10 miliardi già nel 2016 non è cosa da prendersi alla leggera. Ed abbiamo già detto quali settori verranno presi di mira. Lanciare l’allarme è dunque il minimo che si possa fare.
Ma è il terzo fronte indicato dal consigliere economico di Palazzo Chigi, quello che rappresenta una vera novità. Gutgeld dice chiaramente che l’obiettivo è quello di innalzare il deficit fino alla soglia del 3% nel prossimo biennio. Questo consentirebbe di poter sforare rispetto agli obiettivi indicati nel DEF 2015 (1,8% per il 2016 e 0,8% per il 2017) per un valore di circa 19 miliardi nel 2016 e di 35 miliardi l’anno successivo.
In definitiva, l’idea sembrerebbe quella di infischiarsene del Fiscal compact, contando su un cedimento del fronte rigorista (Germania in primis) all’interno dell’Unione Europea.
Quanto è realistica una simile ipotesi? A giudicare dalle ultime discussioni in sede europea si direbbe che la sua probabilità di realizzarsi è pressoché nulla.
In evidente difficoltà dopo il voto amministrativo, e con una “ripresina” che non convince davvero nessuno, Renzi cerca dunque di tornare al messaggio originario, quello che gli fece vincere le elezioni europee, quello che lasciava intendere che l’austerità stesse finendo.
Resta da vedere come il Bomba vorrà giocarsi questa partita. Proviamo allora a fare qualche ipotesi. Certamente Renzi andrà a Bruxelles a dire «noi le riforme le abbiamo fatte, ora dateci flessibilità». Ma quale sarà la risposta della Commissione e, soprattutto, quella di Berlino? Le vicende di queste settimane non lasciano presagire eccessivi ammorbidimenti.
Naturalmente Renzi cercherà di fare blocco con Parigi, ma sarà sufficiente a strappare qualcosa di più dei soliti decimali? Ne dubitiamo fortemente.
In questo caso il governo potrebbe giocare una subordinata. Dei 35 miliardi di riduzione fiscale promessi, quelli datati 2016 sono solo 5. Una prudenza certo non casuale. E sono i 5 più popolari, perché riguardano la prima casa. Tra le tante promesse fiscali, quella dell’abolizione dell’allora ICI fu l’unica davvero realizzata da Berlusconi. Visto che costa relativamente poco in termini di soldi, mentre rende decisamente molto in termini di voti, potrebbe essere anche questa volta l’unica cosa ad andare in porto, magari per dirigersi al voto nel 2017. In questo caso le altre promesse sarebbero in bella mostra nel programma elettorale, accanto ad una rinnovata polemica moderatamente anti-tedesca.
Ma il 2017 è più lontano di quel che sembra. La crisi greca è ben lungi dall’essere archiviata. Nuove fibrillazioni politiche arriveranno certamente dalla Spagna e dalla Francia, nonché dal Portogallo e dall’Irlanda. E non dimentichiamoci dei possibili scossoni finanziari di cui ogni tanto si intravvedono i primi segnali.
Sabato scorso Renzi ha giocato la sua carta propagandistica. Quanti aggiustamenti dovrà fare in corso d’opera lo vedremo ben presto. Ha preso però in mano un tema davvero caldo, che potrà determinarne la vittoria come la sconfitta. Al suo sosia-predecessore le cose andarono male. Lui parlava di ridurre le tasse, mentre gli eurocrati le volevano aumentare. Ed arrivò così la letterina di licenziamento del 5 agosto 2011.
Così andò al tipo del Bunga Bunga. Andrà allo stesso modo al bugiardo al cubo, a quel Renzi Matteo più noto come il Bomba?
Non lo sappiamo. Sappiamo però che la politica liberista ed anti-popolare dell’attuale governo continuerà a dispiegarsi nei prossimi mesi. E certo preferiremmo di gran lunga che il suo licenziamento arrivasse da un sussulto, se non ancora una vera sollevazione, del popolo lavoratore del nostro paese, piuttosto che dagli eurocrati di Bruxelles e Berlino.
Le promesse fiscali dei due grandi imbroglioni nazionali (sullo sfondo lo scontro all'interno dell’UE)
Il governo si rimangia il DEF?
In ogni cosa c’è un perché. E la coincidenza del calendario delle promesse fiscali del Bomba (alias Renzi Matteo) con quello delle scadenze elettorali non ha bisogno di spiegazioni. In ogni luogo c’è uno spirito. E senza dubbio il Genius loci dell’Expo – dove si bara senza ritegno sul numero dei visitatori (leggi QUI) – è quello del bugiardo. Non poteva dunque esserci luogo più adatto di questo sia per la menzognera promessa, che per il mentitore professionale che l’ha pronunciata.
Parliamo ovviamente di fisco. Un argomento che i capi di governo imbracciano di solito quando non sanno più cosa dire. Un tema che il Bomba maneggia con la stessa fantasia del suo grande ispiratore di Arcore. Quest’ultimo ne fece la sua bandiera per un ventennio. Vediamo subito con quali risultati. Arrivato al governo nel 2001 (tralasciamo l’insignificante primo governo dal maggio al dicembre 1994), Berlusconi trovò una pressione fiscale al 40,2% del Pil. Ebbe il privilegio di governare per un’intera legislatura, che concluse nel 2006 con una pressione fiscale al 40,3%! Così certifica l’Istat. Sempre promettendo meno tasse, tornò a Palazzo Chigi nel 2008. Nel frattempo la pressione fiscale era salita al 41,3%, ma nei suoi tre anni di governo la portò al 41,7%.
I suoi fans fanno notare come i governi di centrosinistra abbiano sempre fatto peggio. Il che è vero, ma la sua promessa non era quella di aumentare le tasse un po’ meno di Prodi, la sua promessa era quella di ridurle drasticamente. Poi arrivò il 2011. Il debito pubblico volava come mai e il trio Draghi-Merkel-Sarkozy pensionò il pagliaccio per imporre con Monti un’austerità più severa. Il risultato sul piano fiscale è noto. Quando Renzi è arrivato a Palazzo Chigi (febbraio 2014) la pressione fiscale era al 43,4%. Ma il suo governo, nonostante la solita propaganda anti-tasse, l’ha portata al 43,5% nel 2014, con una previsione del 44,1% per il 2015!
Fin qui i dati ufficiali. Essi ci dimostrano come alle parole non seguano mai i fatti. Non tanto per cattiva volontà, quanto per oggettiva impossibilità, ferma restando la gabbia austeritaria del sistema dell’euro. Naturalmente questo non assolve né il Grande Buffone d’Arcore, né il Bombadi Rignano sull’Arno. Entrambe sono persone informate dei fatti che mentono ben sapendo di mentire.
Il Bomba, però, l’ha sparata davvero grossa. Segno di una certa disperazione in tendenziale crescita. La promessa è quella di una diminuzione delle tasse di ben 50 miliardi all’anno, mentre – ma si finge di ignorarlo – il Fiscal compact esigerebbe la stessa cifra annua per la diminuzione, non per l’incremento del debito!
Va detto che nei 50 miliardi vengono conteggiati i 10 degli “80 euro” più i 5 degli sgravi Irap. Ne restano comunque 35: 5 per l’abolizione delle tasse sulla prima casa, i terreni agricoli e i cosiddetti “imbullonati” (2016); 15 per la riduzione della tassazione delle imprese (2017); altri 15 per la revisione dell’Irpef (2018).
Come si può notare il duo renzusconiano è unito non solo nella propaganda, ma anche negli obiettivi di classe da perseguire. Come Berlusconi, Renzi parla di prima casa senza distinguere tra un appartamento popolare ed una villa da nababbi. Come Berlusconi, Renzi privilegia la detassazione dei profitti, spacciandola per detassazione del lavoro. Come Berlusconi, Renzi vuole ridurre la progressività dell’Irpef per favorire i ricchi. Il primo voleva due sole aliquote Irpef, l’attuale presidente del consiglio ha parlato di “due o tre”. Non siamo ancora alla flat tax di Salvini, ma ci stiamo avvicinando a grandi passi.
In generale siamo convinti che anche Renzi fallirà, ma non senza produrre danni, sia con misure che ridurranno ancora la progressività dell’imposizione fiscale prevista dalla Costituzione, sia con nuovi pesantissimi tagli alla spesa pubblica ed a quel poco che resta di Stato sociale.
Se da un lato è evidente che Renzi non potrà raggiungere gli obiettivi enunciati, dall’altro è sicuro che cercherà in tutti i modi di conseguirne almeno una parte da giocarsi propagandisticamente nelle urne. Aspettiamoci dunque tagli ancora più pesanti di quelli già previsti. Tagli che andranno necessariamente a colpire la sanità e le pensioni, quasi certamente già con la Legge di Stabilità del prossimo autunno.
Dove intendono trovare i soldi gli uomini del governo? Cerca di spiegarcelo questa mattina – sulCorriere della Sera – Yoram Gutgeld, il consigliere economico di Renzi made in Israel. Leggiamo:
«Agiremo su tre fronti. Il primo è quello dei tagli alla spesa pubblica: 10 miliardi nel 2016 che aumenteranno negli anni successivi. Il secondo è la crescita dell’economia, che potrà essere più alta del previsto grazie anche alla riduzione delle tasse. Il terzo è il margine che esiste tra il deficit e il prodotto interno lordo ora previsto e quello che potrà diventare per favorire la ripresa pur senza oltrepassare il 3%».
Lasciamo perdere la mitica “crescita”, sulla quale la scommessa di Gutgeld ha un valore pari a zero. Concentriamoci invece sul primo e, soprattutto, sul terzo fronte. Fare tagli per 10 miliardi già nel 2016 non è cosa da prendersi alla leggera. Ed abbiamo già detto quali settori verranno presi di mira. Lanciare l’allarme è dunque il minimo che si possa fare.
Ma è il terzo fronte indicato dal consigliere economico di Palazzo Chigi, quello che rappresenta una vera novità. Gutgeld dice chiaramente che l’obiettivo è quello di innalzare il deficit fino alla soglia del 3% nel prossimo biennio. Questo consentirebbe di poter sforare rispetto agli obiettivi indicati nel DEF 2015 (1,8% per il 2016 e 0,8% per il 2017) per un valore di circa 19 miliardi nel 2016 e di 35 miliardi l’anno successivo.
In definitiva, l’idea sembrerebbe quella di infischiarsene del Fiscal compact, contando su un cedimento del fronte rigorista (Germania in primis) all’interno dell’Unione Europea.
Quanto è realistica una simile ipotesi? A giudicare dalle ultime discussioni in sede europea si direbbe che la sua probabilità di realizzarsi è pressoché nulla.
In evidente difficoltà dopo il voto amministrativo, e con una “ripresina” che non convince davvero nessuno, Renzi cerca dunque di tornare al messaggio originario, quello che gli fece vincere le elezioni europee, quello che lasciava intendere che l’austerità stesse finendo.
Resta da vedere come il Bomba vorrà giocarsi questa partita. Proviamo allora a fare qualche ipotesi. Certamente Renzi andrà a Bruxelles a dire «noi le riforme le abbiamo fatte, ora dateci flessibilità». Ma quale sarà la risposta della Commissione e, soprattutto, quella di Berlino? Le vicende di queste settimane non lasciano presagire eccessivi ammorbidimenti.
Naturalmente Renzi cercherà di fare blocco con Parigi, ma sarà sufficiente a strappare qualcosa di più dei soliti decimali? Ne dubitiamo fortemente.
In questo caso il governo potrebbe giocare una subordinata. Dei 35 miliardi di riduzione fiscale promessi, quelli datati 2016 sono solo 5. Una prudenza certo non casuale. E sono i 5 più popolari, perché riguardano la prima casa. Tra le tante promesse fiscali, quella dell’abolizione dell’allora ICI fu l’unica davvero realizzata da Berlusconi. Visto che costa relativamente poco in termini di soldi, mentre rende decisamente molto in termini di voti, potrebbe essere anche questa volta l’unica cosa ad andare in porto, magari per dirigersi al voto nel 2017. In questo caso le altre promesse sarebbero in bella mostra nel programma elettorale, accanto ad una rinnovata polemica moderatamente anti-tedesca.
Ma il 2017 è più lontano di quel che sembra. La crisi greca è ben lungi dall’essere archiviata. Nuove fibrillazioni politiche arriveranno certamente dalla Spagna e dalla Francia, nonché dal Portogallo e dall’Irlanda. E non dimentichiamoci dei possibili scossoni finanziari di cui ogni tanto si intravvedono i primi segnali.
Sabato scorso Renzi ha giocato la sua carta propagandistica. Quanti aggiustamenti dovrà fare in corso d’opera lo vedremo ben presto. Ha preso però in mano un tema davvero caldo, che potrà determinarne la vittoria come la sconfitta. Al suo sosia-predecessore le cose andarono male. Lui parlava di ridurre le tasse, mentre gli eurocrati le volevano aumentare. Ed arrivò così la letterina di licenziamento del 5 agosto 2011.
Così andò al tipo del Bunga Bunga. Andrà allo stesso modo al bugiardo al cubo, a quel Renzi Matteo più noto come il Bomba?
Non lo sappiamo. Sappiamo però che la politica liberista ed anti-popolare dell’attuale governo continuerà a dispiegarsi nei prossimi mesi. E certo preferiremmo di gran lunga che il suo licenziamento arrivasse da un sussulto, se non ancora una vera sollevazione, del popolo lavoratore del nostro paese, piuttosto che dagli eurocrati di Bruxelles e Berlino.
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