[ 28 luglio ]
Qualche giorno fa Juncker, che della Commissione Europea è pur sempre il presidente, ha rilasciato un’intervista assai rivelatrice sullo “Stato dell’Unione”. Quel che ne esce è uno stato di salute dell’UE semplicemente disastroso e senza speranze.
Curiosamente le sue dichiarazioni —clamorose, altro non fosse che per la posizione al vertice di chi le ha pronunciate— non hanno fatto troppo rumore. Un silenzio frutto dell’imbarazzo? Pensiamo proprio di sì.
Eppure l’intervista è stata fatta dall’importante gruppo LENA, di cui fanno parte la Repubblica, Die Welt, El Pais, Le Figaro, Le Soir, Tages-Anzeiger e Tribune de Geneve. Oggetto, come ovvio, il giudizio e le conseguenze dell’accordo con/sulla Grecia.
Juncker dice quel che tanti euristi ancora non vogliono sentire. Quel che colpisce è la ricorrenza della parola “paura”, pronunciata per ben 8 volte in un testo peraltro assai breve.
Il concetto è chiaro fin dalla prima risposta:
«Abbiamo evitato (il peggio) non perché siamo stati particolarmente saggi, ma perché avevamo paura. E' la paura che ha permesso l'accordo. Dopo la paura c'è sempre il sollievo».
Ma, più precisamente, paura di che cosa?
«Di una rottura definitiva. Mi sono detto che se l'eurozona si fosse spaccata a quel punto tutto si sarebbe potuto disintegrare».
Juncker non si riferisce solo alla Grecia. Leggiamo:
«Su questo punto, come sull'immigrazione, ho constatato una rottura di fatto —che fino a quel momento era virtuale— dei legami di solidarietà in Europa. E dunque esco da questa esperienza contento ma non felice. Ne esco molto preoccupato per il futuro. Non parlo solo della Grecia, c'è un insieme di elementi che ci fanno preoccupare molto».
Questo è lo “Stato dell’Unione”.
Certo, l’Unione Europea non è paragonabile agli USA, né Juncker ha i poteri di Obama, anche se qualche nostrano sinistrato è proprio questo che vorrebbe. Tuttavia il lussemburghese lì si trova, a capo di un governo europeo che può imporre la fame alla Grecia come la legge di bilancio all’Italia. Dunque le sue parole dovrebbero pur suscitare una qualche riflessione.
Ed a riflettere dovrebbero essere in particolare tre categorie. In primo luogo gli euristi senza se e senza ma, quelli per i quali l’Europa è il bene, gli Stati nazionali il male; quelli che non hanno mai dubitato, ed ancora oggi non dubitano, sul futuro radioso dell’Unione. In secondo luogo dovrebbero riflettere gli euro-sinistri, quelli che criticano sì la politica dell’Ue, ma che considerano al tempo stesso l’Unione —e chissà mai perché— irreversibile. In terzo luogo dovrebbero riflettere anche coloro che si oppongono apertamente all’Ue, ma che tendono a non vedere la crisi che l’attanaglia ormai da anni.
Crisi che invece Juncker riconosce:
«Temo il sentimento che si è diffuso in Europa dopo questa umiliazione. Ho notato in molti paesi una rabbia antigreca che si spiega con motivi di politica interna e si limita a vedere l'aspetto economico delle cose. Ci dimentichiamo gli aspetti sociali della crisi. C'è una storia di disamoramento perché molti paesi erano più concentrati sugli aspetti della propria politica interna che sulla soluzione del problema. Mi sorprende comparare le reazioni in Europa del Nord e in Grecia, ancora oggi esistono risentimenti. Ho sperato che questi risentimenti non tornassero più, ma invece sono risorti. Ho sempre considerato la costruzione europea come un edificio fragile, la crisi greca ce lo ha mostrato: ora è tutto possibile, i vecchi demoni, i risentimenti, ci sono nazioni contro le altre».
Dunque, parole sue, la magnifica costruzione europea, quella che avrebbe finalmente instaurato la “Pace eterna” —naturalmente solo al suo interno, salvo le bombe su Belgrado e la violenza dei nazistoidi al potere a Kiev— ha risvegliato «i vecchi demoni».
Ma guarda un po’! Ma chi l’avrebbe mai detto! Un così perfetto progetto… Magari da migliorare un po’, oppure da riformare, ma mai —mai, mai e poi mai— da mettere in discussione.
Di fatto però in discussione ci si è messo da sé. Ecco come scavano, a volte, i processi oggettivi della storia!
Ora il problema è un altro: quale direzione e quale sbocco avrà questo oggettivo processo di disunione? Questo è il punto. E da qui in avanti un ruolo decisivo lo giocheranno le soggettività politiche dei vari paesi coinvolti.
Modestamente, siamo tra quelli che hanno sempre collocato la lotta al mostro eurocratico all’interno di un evidente processo di disunione europea. Processo che ora nessuno può più negare, e che lo stesso Juncker mette bene in luce.
Dall’esito di questo processo —la cui durata non è oggi prevedibile, dato che l’oligarchia eurista non mollerà tanto facilmente— dipende il futuro dei popoli europei. Da esso dipenderanno, per un periodo di tempo verosimilmente non breve, le stesse prospettive del socialismo. Qualunque forza politica, esistente o solo in fieri, sarà credibile solo se avrà al centro del suo programma e della sua iniziativa la questione europea. Il che, per una forza che vuole porsi come alternativa all’esistente, significa lotta senza quartiere al mostro eurista, per un’uscita dall’eurozona e dall’Unione come premessa per ricostruire la sovranità democratica, per uscire dalla crisi, per difendere gli interessi del popolo lavoratore.
1 commento:
"difendere gli interessi del popolo lavoratore" dice giustamente Mazzei. Il problema è che i precetti neoliberisti hanno trasformato il "popolo lavoratore" (così magnificamente sostenuto dalla nostra Costituzione) in un popolo consumatore. Senza peraltro concedere un reinvestimento degli utili societari nel mantenimento della middle class (fordismo). Che sta scivolando inseroabilmente verso il lumpen. L'esempio migliore viene dalla Cina, paese di turbocapitalismo "comunista": non potendo applicare le leggi del fordismo per creare e mantenere una loro middle class (all'epoca il PCC parlava di costruire una middle class di 400 milioni di cinesi) pena un aumento del costo del lavoro e conseguentemente una delocalizzazione forzata verso lidi ancora più economici (Vietnam, ad esempio), si sono inventati l'investimento borsistico popolare, che avrebbe dovuto traghettare quei famosi 400 milioni nella middle class. Ovviamente non c'è traccia di lavoro in tutto questo, quindi non c'è traccia di "interessi del popolo lavoratore", solo la solita accozzaglia di paraculismo, sgomitate e sgambetti fatti ai danni dei più ignari. Poveracci che si sono presi a prestito soldi senza averne diritto (sull'esempio mai dimenticato dei mutui subprime) e che, una volta sgonfiata la bolla speculativa, si ritrovano col culo a terra peggio di prima. Sarebbe questo il "popolo lavoratore"? Oppure è la versione 2.1 del "se ci credi esiste"?
Sia chiaro che non me la prendo con i poveracci, rei solo di avere sperato in un futuro migliore senza avere imparato che nessuno regala niente e tutto si conquista col sangue. Il vero responsabile è il progetto neoliberista, che sta togliendo sempre più aria a concetti storici come lavoro e dignità per sostituirli con modelli comportamentali ben noti, vedi la legge delle 4 effe (fotti, fatti furbo e fottitene). Se poi i vertici UE (mai eletti democraticamente, ma imposti dittatorialmente) cominciano ad avere scrupoli ed iniziano a fare analisi sul fatto di essere fottuti (a breve o medio periodo)....beh, dimostra soltanto che la legge delle 4 effe funziona si, ma per poco tempo. Poi, come tutte le bolle, si sgonfia o esplode. Di questo si iniziano a preoccupare, i padroni del vapore. Noi, invece, ci dovremmo preoccupare di ridare senso a parole come lavoro e solidarietà. Quando l'euro imploderà ci sarà una richiesta di certezze. Chi saprà offrire progetti ben strutturati potrà portarsi a casa risultati storici.
OT
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