[ 12 luglio ]
Un articolo di Varoufakys subito dopo le sue dimissioni, pubblicato il 10 luglio su The Guardian. Da leggere, per diversi motivi.
Il primo è che mostra quale fosse il vero pomo della discordia con i falchi euro-tedeschi; la ristrutturazione del debito.
Il secondo, pur non essendo innamorato della moneta unica e dell'Unione europea (come invece sembra lo sia Tsipras, vedi il suo tweet più sotto), Varoufakis spiega perché secondo lui la Grecia non può e non deve tornare alla Dracma. Lo fa, detto fuori dai denti, con argomenti al limite del risibile —vedi l'analogia con l'Iraq occupato.
Col che vien fuori, al netto della sua spavalderia, il limite macroscopico della sua forma mentis e del suo agire: la presunzione di ritenere che la (presunta) razionalità economica e la (pseudo) logica scientifica non possono che prevalere, pur alla fine, sugli interessi di classe dei dominanti ed egemonici degli stati nazionali. Un'illusione che ha pagato con le dimissioni, e che il popolo greco paga e pagherà con lacrime e sangue.
«Il dramma finanziario della Grecia ha dominato i titoli dei giornali per cinque anni per un motivo: l’ostinato rifiuto dei nostri creditori a offrire un’essenziale riduzione del debito. Perché, contro il buon senso, contro il verdetto del FMI e contro le pratiche quotidiane dei banchieri di fronte a debitori stressati, resistono a una ristrutturazione del debito? La risposta non può essere trovata in economia perché risiede in profondità nella politica labirintica dell’Europa.
Nel 2010, lo Stato greco è diventato insolvente. Due opzioni compatibili con il continuare a essere membri della zona euro si presentavano: quella sensibile, che ogni banchiere decente consiglierebbe – ristrutturazione del debito e riformare l’economia; e l’opzione tossica – estendere nuovi prestiti a un’entità in bancarotta fingendo che resti solvibile.
L’Europa ufficiale ha scelto la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco al di sopra della vitalità socio-economica della Grecia. Una ristrutturazione del debito avrebbe perdite implicite per i banchieri nelle loro quote del debito greco. Desiderosi di evitare di confessare ai parlamenti che i contribuenti avrebbero dovuto pagare di nuovo per le banche per mezzo di insostenibili nuovi prestiti, i funzionari dell’UE hanno presentato l’insolvenza dello stato greco come un problema di mancanza di liquidità, e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” con i greci.
Il cinico trasferimento delle irreparabili perdite private sulle spalle dei contribuenti venne giustificato come un esercizio di amore severo verso la Grecia, a cui venne imposta un' austerità record ed il cui reddito nazionale —da cui doveva venir fuori il rimborso dei nuovi e vecchi debiti— diminuiva a sua volta di più di un quarto. Era sufficiente l’esperienza matematica di un bambino di otto anni per capire che questo processo non poteva finire bene.
Una volta che la sordida operazione fu completata, l’Europa aveva acquisito automaticamente un altro motivo per rifiutare di discutere la ristrutturazione del debito: essa avrebbe ora colpito le tasche dei cittadini europei! E così dosi crescenti di austerità sono state somministrate mentre il debito è diventato più grande, costringendo i creditori a dare più prestiti in cambio di ancora più austerità.
Il nostro governo è stato eletto su un mandato per spezzare questo cappio funesto tra banche e stati; per chiedere la ristrutturazione del debito e la fine dell’austerità paralizzante. I negoziati hanno raggiunto il loro strombazzato impasse per un semplice motivo: i nostri creditori continuavano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito pur insistendo che il nostro debito impagabile sarebbe dovuto essere rimborsato “in modo parametrico” da parte della parte più debole dei Greci, dei loro figli e dei loro nipoti.
Nella mia prima settimana come ministro delle finanze sono stato visitato da Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo (i ministri delle finanze della zona euro), che mi sottopose una scelta netta: accettate la “logica” del nostro piano di salvataggio rinunciando a qualsiasi richiesta di ristrutturazione del debito o il vostro accordo per il prestito si schianterà —con la conseguenza implicita che le banche della Grecia sarebbero saltate.
Sono così seguiti cinque mesi di trattative in condizioni di asfissia monetaria e di assalto agli sportelli bancari, il tutto sotto l'occhio vigile e la gestione della Banca centrale europea. La minaccia era palese: o capitolate oppure, molto presto, saremmo stati obbligati a controlli sui capitali, limti ai prelievi dai bancomat, una prolungata chiusura festiva delle banche e, in ultima analisi, la Grexit.
La minaccia della Grexit ha avuto una breve e accidentata storia. Nel 2010 suscitava il panico nel cuore e nella mente dei finanzieri poiché le loro banche erano piene di debito greco. Anche nel 2012, quando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, decise che i costi della Grexit erano un “investimento” utile ed una modalità per disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva continuava a spaventare a morte quasi tutti.
Quando Syriza è salita al potere lo scorso gennaio, quasi a confermare la nostra affermazione che i "salvataggi" non avevano nulla a che fare con il salvataggio Grecia (e che tutto ciò aveva piuttosto a che a che fare con principio della separazione nord Europa), una larga maggioranza in seno all'Eurogruppo ·sotto la tutela di Schäuble· aveva adottato la Grexit sia come risultato auspicabile che come arma puntata contro il nostro governo.
I Greci, a ragione, tremano al pensiero della amputazione dall’unione monetaria. L’uscita da una moneta comune non è come tagliare un ramo, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992, quando Norman Lamont notoriamente cantò sotto la doccia la mattina che la sterlina usciva dal meccanismo di cambio europeo (ERM). Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui ramo con l’euro possa essere tagliato. Ha l’euro —una valuta estera completamente amministrata da un creditore ostile alla ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione.
Per uscire, dovremmo creare una nuova moneta da zero. Nell’Iraq occupato, l’introduzione della nuova carta moneta ha impiegato quasi un anno, 20 Boeing 747 o giù di lì, la mobilitazione della potenza delle forze armate Usa, tre aziende di stampa e centinaia di camion. In assenza di tale sostegno, la Grexit sarebbe l’equivalente dell'annuncio di una grande svalutazione con più di 18 mesi in anticipo: una ricetta per liquidare tutto lo stock di capitale greco e trasferirlo all’estero con ogni mezzo disponibile.
Con la Grexit che ha rafforzato la corsa agli sportelli indotta dalla Bce, i nostri tentativi di porre la ristrutturazione del debito di nuovo sul tavolo dei negoziati sono caduti nel vuoto. Di volta in volta ci hanno detto che si trattava di una questione da affrontare in un futuro non specificato che avrebbe seguito il “successo nel completamento del programma” – uno stupendo Comma 22 dal momento che il “programma” non avrebbero mai potuto avere successo senza una ristrutturazione del debito.
Questo fine settimana ha segnato il culmine dei colloqui quando Euclide Tsakalotos, il mio successore, si è sforzato, ancora una volta, di mettere il cavallo davanti al carro —per convincere un ostile Eurogruppo che la ristrutturazione del debito è un prerequisito del successo nel riformare la Grecia, non un premio ex-post per questo. Perché è così difficile da far capire?
Vedo tre ragioni.
Una è che l’inerzia istituzionale è difficile da battere. Una seconda, che il debito insostenibile dà ai creditori immenso potere sui debitori —e il potere, come sappiamo, corrompe anche i migliori. Ma è la terza che mi sembra più pertinente e, anzi, più interessante.
L’euro è un ibrido tra un regime di tassi di cambio fissi, come l’ERM degli anni ’80, o il gold standard degli anni ’30, e una moneta di stato. Il primo è un collante che si basa sulla paura dell’espulsione, mentre il denaro statale comporta meccanismi per riciclare eccedenze tra gli Stati membri (per esempio, un bilancio federale, obbligazioni comuni). La zona euro sta tra queste due modalità —è più di un regime di tassi di cambio e meno la moneta di uno stato.
E qui sta il problema. Dopo la crisi del 2008/9, l’Europa non sapeva come rispondere. Dovrebbe preparare il terreno per almeno una espulsione (cioè, la Grexit) per rafforzare la disciplina? O passare a una federazione? Finora non ha fatto nessuna delle due, la sua angoscia esistenziale è crescente. Schäuble è convinto che allo stato attuale, ha bisogno di una Grexit per pulire l’aria, in un modo o nell’altro. Improvvisamente, un permanente e insostenibile debito pubblico greco, senza il quale il rischio della Grexit sarebbe svanito, ha acquisito una nuova utilità per Schauble.
Cosa voglio dire con questo? Sulla base di mesi di negoziati, la mia convinzione è che il ministro delle finanze tedesco vuole che la Grecia sia spinta fuori dalla moneta unica per suscitare nei francesi la paura di Dio e fargli accettare il proprio modello autoritario di eurozona».
* Fonte: The Guardian
* Traduzione a cura della Redazione
Un articolo di Varoufakys subito dopo le sue dimissioni, pubblicato il 10 luglio su The Guardian. Da leggere, per diversi motivi.
Il primo è che mostra quale fosse il vero pomo della discordia con i falchi euro-tedeschi; la ristrutturazione del debito.
Il secondo, pur non essendo innamorato della moneta unica e dell'Unione europea (come invece sembra lo sia Tsipras, vedi il suo tweet più sotto), Varoufakis spiega perché secondo lui la Grecia non può e non deve tornare alla Dracma. Lo fa, detto fuori dai denti, con argomenti al limite del risibile —vedi l'analogia con l'Iraq occupato.
Col che vien fuori, al netto della sua spavalderia, il limite macroscopico della sua forma mentis e del suo agire: la presunzione di ritenere che la (presunta) razionalità economica e la (pseudo) logica scientifica non possono che prevalere, pur alla fine, sugli interessi di classe dei dominanti ed egemonici degli stati nazionali. Un'illusione che ha pagato con le dimissioni, e che il popolo greco paga e pagherà con lacrime e sangue.
«Il dramma finanziario della Grecia ha dominato i titoli dei giornali per cinque anni per un motivo: l’ostinato rifiuto dei nostri creditori a offrire un’essenziale riduzione del debito. Perché, contro il buon senso, contro il verdetto del FMI e contro le pratiche quotidiane dei banchieri di fronte a debitori stressati, resistono a una ristrutturazione del debito? La risposta non può essere trovata in economia perché risiede in profondità nella politica labirintica dell’Europa.
Nel 2010, lo Stato greco è diventato insolvente. Due opzioni compatibili con il continuare a essere membri della zona euro si presentavano: quella sensibile, che ogni banchiere decente consiglierebbe – ristrutturazione del debito e riformare l’economia; e l’opzione tossica – estendere nuovi prestiti a un’entità in bancarotta fingendo che resti solvibile.
L’Europa ufficiale ha scelto la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco al di sopra della vitalità socio-economica della Grecia. Una ristrutturazione del debito avrebbe perdite implicite per i banchieri nelle loro quote del debito greco. Desiderosi di evitare di confessare ai parlamenti che i contribuenti avrebbero dovuto pagare di nuovo per le banche per mezzo di insostenibili nuovi prestiti, i funzionari dell’UE hanno presentato l’insolvenza dello stato greco come un problema di mancanza di liquidità, e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” con i greci.
Il cinico trasferimento delle irreparabili perdite private sulle spalle dei contribuenti venne giustificato come un esercizio di amore severo verso la Grecia, a cui venne imposta un' austerità record ed il cui reddito nazionale —da cui doveva venir fuori il rimborso dei nuovi e vecchi debiti— diminuiva a sua volta di più di un quarto. Era sufficiente l’esperienza matematica di un bambino di otto anni per capire che questo processo non poteva finire bene.
Una volta che la sordida operazione fu completata, l’Europa aveva acquisito automaticamente un altro motivo per rifiutare di discutere la ristrutturazione del debito: essa avrebbe ora colpito le tasche dei cittadini europei! E così dosi crescenti di austerità sono state somministrate mentre il debito è diventato più grande, costringendo i creditori a dare più prestiti in cambio di ancora più austerità.
Il nostro governo è stato eletto su un mandato per spezzare questo cappio funesto tra banche e stati; per chiedere la ristrutturazione del debito e la fine dell’austerità paralizzante. I negoziati hanno raggiunto il loro strombazzato impasse per un semplice motivo: i nostri creditori continuavano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito pur insistendo che il nostro debito impagabile sarebbe dovuto essere rimborsato “in modo parametrico” da parte della parte più debole dei Greci, dei loro figli e dei loro nipoti.
Nella mia prima settimana come ministro delle finanze sono stato visitato da Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo (i ministri delle finanze della zona euro), che mi sottopose una scelta netta: accettate la “logica” del nostro piano di salvataggio rinunciando a qualsiasi richiesta di ristrutturazione del debito o il vostro accordo per il prestito si schianterà —con la conseguenza implicita che le banche della Grecia sarebbero saltate.
Sono così seguiti cinque mesi di trattative in condizioni di asfissia monetaria e di assalto agli sportelli bancari, il tutto sotto l'occhio vigile e la gestione della Banca centrale europea. La minaccia era palese: o capitolate oppure, molto presto, saremmo stati obbligati a controlli sui capitali, limti ai prelievi dai bancomat, una prolungata chiusura festiva delle banche e, in ultima analisi, la Grexit.
La minaccia della Grexit ha avuto una breve e accidentata storia. Nel 2010 suscitava il panico nel cuore e nella mente dei finanzieri poiché le loro banche erano piene di debito greco. Anche nel 2012, quando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, decise che i costi della Grexit erano un “investimento” utile ed una modalità per disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva continuava a spaventare a morte quasi tutti.
Quando Syriza è salita al potere lo scorso gennaio, quasi a confermare la nostra affermazione che i "salvataggi" non avevano nulla a che fare con il salvataggio Grecia (e che tutto ciò aveva piuttosto a che a che fare con principio della separazione nord Europa), una larga maggioranza in seno all'Eurogruppo ·sotto la tutela di Schäuble· aveva adottato la Grexit sia come risultato auspicabile che come arma puntata contro il nostro governo.
I Greci, a ragione, tremano al pensiero della amputazione dall’unione monetaria. L’uscita da una moneta comune non è come tagliare un ramo, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992, quando Norman Lamont notoriamente cantò sotto la doccia la mattina che la sterlina usciva dal meccanismo di cambio europeo (ERM). Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui ramo con l’euro possa essere tagliato. Ha l’euro —una valuta estera completamente amministrata da un creditore ostile alla ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione.
Per uscire, dovremmo creare una nuova moneta da zero. Nell’Iraq occupato, l’introduzione della nuova carta moneta ha impiegato quasi un anno, 20 Boeing 747 o giù di lì, la mobilitazione della potenza delle forze armate Usa, tre aziende di stampa e centinaia di camion. In assenza di tale sostegno, la Grexit sarebbe l’equivalente dell'annuncio di una grande svalutazione con più di 18 mesi in anticipo: una ricetta per liquidare tutto lo stock di capitale greco e trasferirlo all’estero con ogni mezzo disponibile.
Con la Grexit che ha rafforzato la corsa agli sportelli indotta dalla Bce, i nostri tentativi di porre la ristrutturazione del debito di nuovo sul tavolo dei negoziati sono caduti nel vuoto. Di volta in volta ci hanno detto che si trattava di una questione da affrontare in un futuro non specificato che avrebbe seguito il “successo nel completamento del programma” – uno stupendo Comma 22 dal momento che il “programma” non avrebbero mai potuto avere successo senza una ristrutturazione del debito.
Questo fine settimana ha segnato il culmine dei colloqui quando Euclide Tsakalotos, il mio successore, si è sforzato, ancora una volta, di mettere il cavallo davanti al carro —per convincere un ostile Eurogruppo che la ristrutturazione del debito è un prerequisito del successo nel riformare la Grecia, non un premio ex-post per questo. Perché è così difficile da far capire?
Vedo tre ragioni.
Una è che l’inerzia istituzionale è difficile da battere. Una seconda, che il debito insostenibile dà ai creditori immenso potere sui debitori —e il potere, come sappiamo, corrompe anche i migliori. Ma è la terza che mi sembra più pertinente e, anzi, più interessante.
L’euro è un ibrido tra un regime di tassi di cambio fissi, come l’ERM degli anni ’80, o il gold standard degli anni ’30, e una moneta di stato. Il primo è un collante che si basa sulla paura dell’espulsione, mentre il denaro statale comporta meccanismi per riciclare eccedenze tra gli Stati membri (per esempio, un bilancio federale, obbligazioni comuni). La zona euro sta tra queste due modalità —è più di un regime di tassi di cambio e meno la moneta di uno stato.
E qui sta il problema. Dopo la crisi del 2008/9, l’Europa non sapeva come rispondere. Dovrebbe preparare il terreno per almeno una espulsione (cioè, la Grexit) per rafforzare la disciplina? O passare a una federazione? Finora non ha fatto nessuna delle due, la sua angoscia esistenziale è crescente. Schäuble è convinto che allo stato attuale, ha bisogno di una Grexit per pulire l’aria, in un modo o nell’altro. Improvvisamente, un permanente e insostenibile debito pubblico greco, senza il quale il rischio della Grexit sarebbe svanito, ha acquisito una nuova utilità per Schauble.
Cosa voglio dire con questo? Sulla base di mesi di negoziati, la mia convinzione è che il ministro delle finanze tedesco vuole che la Grecia sia spinta fuori dalla moneta unica per suscitare nei francesi la paura di Dio e fargli accettare il proprio modello autoritario di eurozona».
* Fonte: The Guardian
* Traduzione a cura della Redazione
1 commento:
L'ultima frase va tradotta così
"la mia convinzione è che il ministro delle finanze tedesco vuole che la Grecia sia spinta fuori dalla moneta unica per METTERE il timore di Dio nei francesi e fargli accettare il suo modello inflessibile di eurozona" (da Essere Sinistra)
my conviction is that the German finance minister wants Greece to be pushed out of the single currency to put the fear of God into the French and have them accept his model of a disciplinarian eurozone.
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