[ 19 giugno ]
«È bene dirsi la verità. Dirsi la verità è sempre stato, come scrive bene Giacomo Leopardi, il presupposto di ogni comunicazione dotata di senso»
Davanti all'attuale flusso migratorio in corso verso l'Italia e l'Unione europea si confrontano due linee di pensiero.
Una minimalista, per cui esso non sarebbe (di contro alla errata "percezione" popolare), né enorme, né devastante, al contrario sostenibile.
L'altra linea di pensiero è quella che chiameremo apocalittica, per cui questo flusso è una vera e propria invasione destinata a stravolgere la composizione demografica, etnica e linguistica, quindi non solo l'identità nazionale italiana ma quelle europee.
La prima linea di pensiero scende dall'alto, dalle élite dominanti, più esattamente dai bramini della confraternita globalista e neoliberista —siano essi annidati ai vertici delle multinazionali, della finanza predatoria, delle banche o delle istituzioni—, per i quali, siccome Dio-Mercato si autoregola da solo, non dev'essere frapposto alcun ostacolo alla libera circolazione, né dei capitali né della forza-lavoro —e per essi gli esseri umani, migranti o no, sono titolari di diritti solo in quanto erogatori di quella straordinaria qualità, la forza-lavoro, senza la quale il capitale (con buona pace dei becccamorti di Marx) non può valorizzarsi.
La seconda linea di pensiero, quella apocalittica, sale invece dal basso, non solo dal proletariato e dai settori che la crisi sistemica ha gettato nel campo dell'esclusione e della marginalità sociale, ma anche dagli strati di piccola e media borghesia che il combinato disposto della crisi e della legge dell'accumulazione e della concentrazione del capitale hanno scaraventato verso il basso, se non addirittura nel pauperismo. Questa "seconda linea", non trovando altro canale per manifestarsi e scorrere, alimenta oggi il minaccioso fiume in piena della xenofobia e del razzismo. Domani, ove le cose, come auspicano le élite neo-liberiste, fossero lasciate al loro "corso naturale", la piena potrebbe rompere gli argini, e straripare in in fascismo di tipo nuovo.
Noi non aderiamo né alla prima né alla seconda linea di pensiero.
Non ci sono evidenze empiriche e scientifiche che l'ondata sia "epocale" e che possa stravolgere la composizione demografica, etnica e linguistica, dei paesi europei — la globalizzazione spinge i popoli a spostarsi dai poli dove si ammucchia miseria a quelli opposti, dove si concentra la ricchezza. In condizioni capitalistiche nessuno può prevedere come saranno dislocati questi poli fra cento anni. Chi può escludere che fra un secolo il rango delle potenze economiche sia radicalmente mutato? Non insegna niente l'avanzata economica cinese?
I numeri, comunque, smentiscono anche i minimalisti.
Con la crisi sistemica, per la precisione dal 2007 al 2011, i flussi migratori verso l'Italia, avevano conosciuto un calo molto sensibile —prima della crisi (2007) in Italia gli immigrati erano 550mila, nel 2012 la metà, ovvero 250mila. Ciò che fece pensare all'inversione della tendenza. Errore! Nei primi mesi del 2014 l'Italia ha subito un aumento del flusso rispetto al 2013 di ben l'823% (dati Frontex). Gli ingressi nei primi mesi del 2015 hanno avuto le medesime ragguardevoli dimensioni.
Che il flusso sia enorme non sia solo un ascesso passeggero o un fatto di "percezione" di chi sta in basso, lo dimostrano non solo i respingimenti francesi a Ventimiglia, così come quelli austriaci, ma anche il rifiuto dell'Unione europea di concedere all'Italia la ripartizione per quote dei migranti in arrivo —ciò che conferma in maniera solare che quella europea ben lungi dall'essere una "Unione" è un carrozzone, un paravento dietro al quale agiscono e alla fine prevalgono gli interessi e le logiche degli stati-nazione decisi a restare tali.
Che la dimensione dei flussi migratori sia e sarà enorme lo confermano anche le analisi dell'ISTAT sull'andamento della popolazione residente in Italia che prevedono, entro il 2065, 14,1 milioni di immigrati (rispetto ai 4,6 milioni del 2011), a fronte di una popolazione complessiva di 61,3 milioni [vedi la gif animata]. L'ISTAT prevede dunque che il 23% dei residenti in Italia saranno immigrati. Degno di nota è che la popolazione in età lavorativa, ora al il 65%, diminuirà ulteriormente, attestandosi al 61%.
Quanti di questi avranno acquisito la cittadinanza? Quanti lo status di rifugiati politici? Quanto saranno "integrati" e quanti irregolari? Quanti godranno di diritti sociali e quanti precipitati nell'esclusione sociale? In altre parole: sarà sostenibile questa grande immigrazione?
Noi riteniamo di no.
A due condizioni infatti essa lo sarebbe: che si imbocchi un robusto e prolungato ciclo economico di crescita, e che lo Stato sia in grado di far fronte a questo enorme flusso con un'adeguata politica di pianificazione di "integrazione".
Non ci sono evidenze che si realizzino né la prima né la seconda condizione.
Riguardo alla sfera economica, non solo noi riteniamo che, anche ove si rompesse per tempo con le politiche neoliberiste e si uscisse dalla gabbia dell'euro —figuriamoci ove invece si rispettassero gli attuali dogmi liberisti e si restasse nel regime della moneta unica!—, il Paese sarebbe ben lungi dal disporre delle risorse oltre che per riassorbire la disoccupazione esistente, di sfornare qualcosa come 4/ milioni di posti di lavoro —e quindi, data anche la tendenza all'invecchiamento della popolazione, lo Stato sarebbe ben lontano dal poter assicurare un livello di welfare e di spesa sociale degni di questo nome.
Di sicuro avremmo un esercito industriale di riserva ben più grande di quello attuale, con sacche moltitudinarie di residenti inchiodati alla marginalità e all'accattonaggio, ciò che, ferme restando l'economia di mercato e la legge della domanda e dell'offerta, contribuirebbe ad un crollo ulteriore dei redditi medi dei salariati, con conseguenze disastrose per i loro standard di vita e quelli della gran parte del popolo lavoratore.
Avremmo dunque —ammesso che non avvengano già prima cataclismi politici e istituzionali reazionari—, la definitiva distruzione del demos, ovvero lo spappolamento di quel minimo di coesione del tessuto sociale (anzitutto in basso) che oggi a fatica resiste e sulla cui base solamente possono esistere una comunità politica democratica ed uno Stato che sia non uno stato di polizia, bensì uno stato di diritto.
Per quanto attiene alla seconda condizione, ovvero alle capacità politica, amministrativa e organizzativa dello Stato di far fronte ai flussi migratori attesi con una efficace politica di pianificazione e gestione, è meglio stendere un pietoso velo. Un'incapacità plasticamente dimostrata dall'immagine, francamente patetica, di Renzi e Gentiloni che, lanciato l' S.O.S. alla comunità internazionale, sono andati col cappello in mano nei sordi consessi europei.
Se l'apparato burocratico-amministrativo italiano, per sua stessa natura, non ha mai brillato per efficienza, un trentennio di neoliberismo (con il portato di individualismo, di carrierismo e di malaffare), l'hanno ridotto ad un colabrodo, dal livello municipale alle ambasciate). La reazione scomposta dello Stato davanti agli attuali flussi migratori è a dir poco impressionante. Mai c'è stata tanta distanza tra le strombazzate promesse umanitarie e la raccapricciante incapacità delle autorità italiane di ricevere ed ospitare (anche solo transitoriamente) i migranti in modi minimamente rispettosi della dignità umana.
Come segnala Maurizio Ambrosini il fallimento delle politiche migratorie italiane negli ultimi trent'anni, tra sanatorie e posticce misure di regolarizzazione non dichiarata, ha assunto dimensioni ancor più grandi e grottesche del flusso migratorio medesimo. [1]
Si tenga infine conto che contestualmente all'enorme flusso di migranti in ingresso, ce n'è un'altro in uscita, non meno preoccupante per il futuro del Paese: secondo dati Ocse solo nel 2012, dopo circa cinque anni di crisi sistemica che ha colpito anzitutto i "periferici", ben 825mila cittadini europei si sono spostati verso un altro paese dell'Unione, il 15% in più dell'anno precedente.
Morale della favola: l'Italia non è in grado, e lo sarà ancor meno nei prossimi anni, di assorbire e gestire i grandi flussi migratori in entrata, e nemmeno, salvo mutamenti radicali nella politica economica, di arrestare quelli in uscita.
In parole povere: questa immigrazione è del tutto insostenibile, e per questo socialmente esplosiva. E se essa è insostenibile ed esplosiva occorre porvi rimedio. Come? proveremo a spiegarlo prossimamente.
Sappiamo di sicuro tre o quattro cose: che le élite globaliste, per interessi ed ideologia, non considerano la grande immigrazione come un dramma sociale ed umano ma come "opportunità"; che i lacchè politici che governano maldestramente l'Italia sono del tutto incapaci a farvi fronte; che il grosso della sinistra italiana, stretta com'è nella tenaglia della cattiva etica universalista cattolica e del cosmopolitismo kantiano, non ha la soluzione ma è essa stessa il problema; che se non avremo per tempo un governo popolare che sappia coniugare sovranità nazionale e giustizia sociale, la porta ora socchiusa sull'abisso di una svolta xenofoba e fascistoide si spalancherà definitivamente.
Ed allora sarà troppo tardi per piangere.
«È bene dirsi la verità. Dirsi la verità è sempre stato, come scrive bene Giacomo Leopardi, il presupposto di ogni comunicazione dotata di senso»
Costanzo Preve
Davanti all'attuale flusso migratorio in corso verso l'Italia e l'Unione europea si confrontano due linee di pensiero.
Una minimalista, per cui esso non sarebbe (di contro alla errata "percezione" popolare), né enorme, né devastante, al contrario sostenibile.
L'altra linea di pensiero è quella che chiameremo apocalittica, per cui questo flusso è una vera e propria invasione destinata a stravolgere la composizione demografica, etnica e linguistica, quindi non solo l'identità nazionale italiana ma quelle europee.
La prima linea di pensiero scende dall'alto, dalle élite dominanti, più esattamente dai bramini della confraternita globalista e neoliberista —siano essi annidati ai vertici delle multinazionali, della finanza predatoria, delle banche o delle istituzioni—, per i quali, siccome Dio-Mercato si autoregola da solo, non dev'essere frapposto alcun ostacolo alla libera circolazione, né dei capitali né della forza-lavoro —e per essi gli esseri umani, migranti o no, sono titolari di diritti solo in quanto erogatori di quella straordinaria qualità, la forza-lavoro, senza la quale il capitale (con buona pace dei becccamorti di Marx) non può valorizzarsi.
La seconda linea di pensiero, quella apocalittica, sale invece dal basso, non solo dal proletariato e dai settori che la crisi sistemica ha gettato nel campo dell'esclusione e della marginalità sociale, ma anche dagli strati di piccola e media borghesia che il combinato disposto della crisi e della legge dell'accumulazione e della concentrazione del capitale hanno scaraventato verso il basso, se non addirittura nel pauperismo. Questa "seconda linea", non trovando altro canale per manifestarsi e scorrere, alimenta oggi il minaccioso fiume in piena della xenofobia e del razzismo. Domani, ove le cose, come auspicano le élite neo-liberiste, fossero lasciate al loro "corso naturale", la piena potrebbe rompere gli argini, e straripare in in fascismo di tipo nuovo.
Noi non aderiamo né alla prima né alla seconda linea di pensiero.
Non ci sono evidenze empiriche e scientifiche che l'ondata sia "epocale" e che possa stravolgere la composizione demografica, etnica e linguistica, dei paesi europei — la globalizzazione spinge i popoli a spostarsi dai poli dove si ammucchia miseria a quelli opposti, dove si concentra la ricchezza. In condizioni capitalistiche nessuno può prevedere come saranno dislocati questi poli fra cento anni. Chi può escludere che fra un secolo il rango delle potenze economiche sia radicalmente mutato? Non insegna niente l'avanzata economica cinese?
I numeri, comunque, smentiscono anche i minimalisti.
Con la crisi sistemica, per la precisione dal 2007 al 2011, i flussi migratori verso l'Italia, avevano conosciuto un calo molto sensibile —prima della crisi (2007) in Italia gli immigrati erano 550mila, nel 2012 la metà, ovvero 250mila. Ciò che fece pensare all'inversione della tendenza. Errore! Nei primi mesi del 2014 l'Italia ha subito un aumento del flusso rispetto al 2013 di ben l'823% (dati Frontex). Gli ingressi nei primi mesi del 2015 hanno avuto le medesime ragguardevoli dimensioni.
Che il flusso sia enorme non sia solo un ascesso passeggero o un fatto di "percezione" di chi sta in basso, lo dimostrano non solo i respingimenti francesi a Ventimiglia, così come quelli austriaci, ma anche il rifiuto dell'Unione europea di concedere all'Italia la ripartizione per quote dei migranti in arrivo —ciò che conferma in maniera solare che quella europea ben lungi dall'essere una "Unione" è un carrozzone, un paravento dietro al quale agiscono e alla fine prevalgono gli interessi e le logiche degli stati-nazione decisi a restare tali.
Che la dimensione dei flussi migratori sia e sarà enorme lo confermano anche le analisi dell'ISTAT sull'andamento della popolazione residente in Italia che prevedono, entro il 2065, 14,1 milioni di immigrati (rispetto ai 4,6 milioni del 2011), a fronte di una popolazione complessiva di 61,3 milioni [vedi la gif animata]. L'ISTAT prevede dunque che il 23% dei residenti in Italia saranno immigrati. Degno di nota è che la popolazione in età lavorativa, ora al il 65%, diminuirà ulteriormente, attestandosi al 61%.
Quanti di questi avranno acquisito la cittadinanza? Quanti lo status di rifugiati politici? Quanto saranno "integrati" e quanti irregolari? Quanti godranno di diritti sociali e quanti precipitati nell'esclusione sociale? In altre parole: sarà sostenibile questa grande immigrazione?
Noi riteniamo di no.
A due condizioni infatti essa lo sarebbe: che si imbocchi un robusto e prolungato ciclo economico di crescita, e che lo Stato sia in grado di far fronte a questo enorme flusso con un'adeguata politica di pianificazione di "integrazione".
Non ci sono evidenze che si realizzino né la prima né la seconda condizione.
Riguardo alla sfera economica, non solo noi riteniamo che, anche ove si rompesse per tempo con le politiche neoliberiste e si uscisse dalla gabbia dell'euro —figuriamoci ove invece si rispettassero gli attuali dogmi liberisti e si restasse nel regime della moneta unica!—, il Paese sarebbe ben lungi dal disporre delle risorse oltre che per riassorbire la disoccupazione esistente, di sfornare qualcosa come 4/ milioni di posti di lavoro —e quindi, data anche la tendenza all'invecchiamento della popolazione, lo Stato sarebbe ben lontano dal poter assicurare un livello di welfare e di spesa sociale degni di questo nome.
Di sicuro avremmo un esercito industriale di riserva ben più grande di quello attuale, con sacche moltitudinarie di residenti inchiodati alla marginalità e all'accattonaggio, ciò che, ferme restando l'economia di mercato e la legge della domanda e dell'offerta, contribuirebbe ad un crollo ulteriore dei redditi medi dei salariati, con conseguenze disastrose per i loro standard di vita e quelli della gran parte del popolo lavoratore.
Avremmo dunque —ammesso che non avvengano già prima cataclismi politici e istituzionali reazionari—, la definitiva distruzione del demos, ovvero lo spappolamento di quel minimo di coesione del tessuto sociale (anzitutto in basso) che oggi a fatica resiste e sulla cui base solamente possono esistere una comunità politica democratica ed uno Stato che sia non uno stato di polizia, bensì uno stato di diritto.
Per quanto attiene alla seconda condizione, ovvero alle capacità politica, amministrativa e organizzativa dello Stato di far fronte ai flussi migratori attesi con una efficace politica di pianificazione e gestione, è meglio stendere un pietoso velo. Un'incapacità plasticamente dimostrata dall'immagine, francamente patetica, di Renzi e Gentiloni che, lanciato l' S.O.S. alla comunità internazionale, sono andati col cappello in mano nei sordi consessi europei.
Se l'apparato burocratico-amministrativo italiano, per sua stessa natura, non ha mai brillato per efficienza, un trentennio di neoliberismo (con il portato di individualismo, di carrierismo e di malaffare), l'hanno ridotto ad un colabrodo, dal livello municipale alle ambasciate). La reazione scomposta dello Stato davanti agli attuali flussi migratori è a dir poco impressionante. Mai c'è stata tanta distanza tra le strombazzate promesse umanitarie e la raccapricciante incapacità delle autorità italiane di ricevere ed ospitare (anche solo transitoriamente) i migranti in modi minimamente rispettosi della dignità umana.
Come segnala Maurizio Ambrosini il fallimento delle politiche migratorie italiane negli ultimi trent'anni, tra sanatorie e posticce misure di regolarizzazione non dichiarata, ha assunto dimensioni ancor più grandi e grottesche del flusso migratorio medesimo. [1]
Si tenga infine conto che contestualmente all'enorme flusso di migranti in ingresso, ce n'è un'altro in uscita, non meno preoccupante per il futuro del Paese: secondo dati Ocse solo nel 2012, dopo circa cinque anni di crisi sistemica che ha colpito anzitutto i "periferici", ben 825mila cittadini europei si sono spostati verso un altro paese dell'Unione, il 15% in più dell'anno precedente.
Morale della favola: l'Italia non è in grado, e lo sarà ancor meno nei prossimi anni, di assorbire e gestire i grandi flussi migratori in entrata, e nemmeno, salvo mutamenti radicali nella politica economica, di arrestare quelli in uscita.
In parole povere: questa immigrazione è del tutto insostenibile, e per questo socialmente esplosiva. E se essa è insostenibile ed esplosiva occorre porvi rimedio. Come? proveremo a spiegarlo prossimamente.
Sappiamo di sicuro tre o quattro cose: che le élite globaliste, per interessi ed ideologia, non considerano la grande immigrazione come un dramma sociale ed umano ma come "opportunità"; che i lacchè politici che governano maldestramente l'Italia sono del tutto incapaci a farvi fronte; che il grosso della sinistra italiana, stretta com'è nella tenaglia della cattiva etica universalista cattolica e del cosmopolitismo kantiano, non ha la soluzione ma è essa stessa il problema; che se non avremo per tempo un governo popolare che sappia coniugare sovranità nazionale e giustizia sociale, la porta ora socchiusa sull'abisso di una svolta xenofoba e fascistoide si spalancherà definitivamente.
Ed allora sarà troppo tardi per piangere.
NOTE
[1] «Malgrado il rafforzamento dei controlli e l’inasprimento delle sanzioni, in venticinque anni sono state approvate sette leggi di sanatoria, più altre misure di regolarizzazione non dichiarata, come i decreti flussi. Le quattro sanatorie varate tra il 1986 e il 1998 hanno regolarizzato la posizione di 790.000 immigrati; quella del 2002, successiva all’approvazione della legge Bossi-Fini, ne ha autorizzati 630.000. Nel 2009, la legge Maroni relativa al solo settore domestico-assistenziale, ha raccolto quasi 300.000 istanze. Nel 2012, nel mezzo di una profonda crisi economica, il governo Monti ha varato un’altra sanatoria che ha prodotto circa 130.000 domande.
Il problema non è solo italiano: nonostante le dichiarazioni di segno contrario, in Europa nel complesso le misure di regolarizzazione di vario tipo sono piuttosto diffuse e ricorrenti, talvolta permanenti. Secondo il rapporto REGINE dell’ICMPD (2009), durante il periodo 1996-2008 soltanto 5 su 27 Stati membri dell’Unione europea non si sono dotati di politiche né di pratiche di regolarizzazione dei soggiornanti non autorizzati. Nell’Europa meridionale e segnatamente nel caso italiano, il fallimento della regolazione dell’immigrazione straniera trova un importante fattore esplicativo nel funzionamento del nostro sistema di welfare: in modo particolare nella formazione di quello che può essere definito welfare parallelo, o invisibile. Specialmente nell’Europa meridionale, il regime delle cure si organizza tuttora intorno al ruolo centrale delle famiglie, e più precisamente delle donne, come mogli e madri prima, come figlie di genitori anziani dopo. Alla crescita della partecipazione femminile al lavoro extradomestico non ha corrisposto né un adeguato sviluppo dei servizi pubblici, né una sufficiente ridistribuzione dei compiti all’interno delle famiglie».
Maurizio Ambrosini, Immigrazione irregolare e welfare invisibile. Il Mulino
11 commenti:
Articolo molto lucido che contiene molti elememnti condivisibili. Sulla questione immigrazione bisognerebbe uscire dalla tenaglia tra buonisti e razzisti. Entrambi vedono solo una parte del problema. I buonisti (gran parte della sinistra compresa) vedono solo le responsabilità (vere) dell'occidente nelle guerre imperialiste e nella sistematica opera di saccheggio del sud del mondo dai tempi del colonialismo ad oggi. I razzisti dal canto loro sostengono che è non è possibile pensare di risolvere i problemi dei 3/4 dell'umanità più disperata importando masse sterminate di diseredati in Europa, oltretutto in una fase in cui a scivolare verso la marginalità sociale (e quindi, a non essere integrati) sono milioni di persone che già risiedono nel vecchio continente: in questa situazione come è possibile integrare i nuovi venuti? Anche questi argomenti di buon senso sono veri a prescindere dal fatto che vengano poi innestati su un impianto teorico reazionario e xenofobo. Una forza politica seria dovrebbe avere la capacità di tenere insieme nell'analisi del fenomeno migratorio queste due verità: la causa dell'immigrazione è da ricercarsi nell'imperialismo e nell'attuale assetto economico capitalistico-globalista, ma i problemi delle popolazioni depredate non si risolvono importando milioni di diseredati qui da noi.
Guardate che diceva il segretario del Partito Comunista Francese, Georges Marchais, nel 1980 parlando di immigrazione: https://www.youtube.com/watch?v=zAhonqXr56s
Concordo convintamente con molto di quanto scrive Moreno.
Non mi convince tuttavia l’ affermazione secondo cui <>.
A me non mi convince per niente, anche perché mi fiderei più di Giuda Iscariota in persona che dei governanti del Nord Europa (e non sono del Nord Europa, ovviamente; men che meno di quelli italiani che non hanno perso questa occasione per mettere prontamente in “bella” evidenza- si fa per dire!- tutta la loro proverbiale codardia e vergognosa cupidigia di servilismo verso i governi di quei paesi che evidentemente in cuor loro considerano popolati da “razze superiori”: in primis quella “anglosassone”, che nel “razzismo politicamente corretto” viene immediatamente dopo quella “ebraica” che sta al top per diritto divino).
Inoltre mi sembra mancare in questa analisi un fatto importante, e cioè la violenta, barbarica soppressione del governo libico di Gheddafi da parte dell’ imperialismo europeo, che è secondo me una delle cause maggiori sia dell’ immigrazione letteralmente “per salvarsi la pelle” immediatamente dai sanguinari satrapi dell’ Occidente ora in auge ma furiosamente in guerra fra di loro in maniera particolarmente barbarica (come è tipico dell’ Occidente e di tutti i suoi quisling), sia di quella per sfuggire alla miseria e alla morte per fame; infatti la Libia della Giamairia non solo era discretamente prospera economicamente ed offriva buone occasioni di lavoro alle popolazioni subsahariane (e chiunque è costretto ad emigrare ovviamente cerca per lo meno di allontanarsi il meno possibile da casa) ma stava anche promuovendo nel continente nero una collaborazione economica il più possibile equa e indipendente dalle mene degli usurai occidentali della finanza globale e in generale il più possibile al riparo dalle rapine imperialistiche, sull’ esempio dell’ ALBA latinoamericana, con prevedibili buone prospettive di sviluppo anche se non a brevissimo termine ovviamente).
E a questo proposito si pone il problema anche semplicemente etico, prima ancora che politico, principale e più aggrovigliato della questione, seconde me (alla soluzione de quale spero che nel prossimo articolo Moreno ci offra validi spunti).
IL problema è questo.
E’ vero che l’ immigrazione, specie se illegale e clandestina, fa molto comodo alle classi dominanti attraverso l’ estensione dell’ esercito di riserva dei disoccupati e dunque provocando inevitabilmente un drastico peggioramento di salari e in generale condizioni di vita dei lavoratori occidentali.
Ma sono anche vere altre due considerazioni:
a) Chi si trova nella miseria (per non parlare di chi fugge dalle “pulizie etniche” o “confessionali”) ha tutto il diritto di cercare di uscirne anche a costo di determinare oggettivamente un peggioramento anche relativamente grave delle condizioni di vita di chi non è uno sfruttatore privilegiato e tuttavia è ben lontano dalle sue condizioni di miseria.
b) “Con che faccia”, o meglio in che modo “classisticamente corretto” i proletari occidentali, CHE NON SONO STATI CAPACI DI FERMARE I LORO GOVERNI I QUALI ULTIMI SONO LA CAUSA DETERMINANTE SIA DELLA MISERIA, SIA DELLA GUERRA ENDEMICA PER BANDE E DELLE “PULIZIE ETNICHE E CONFESSIONALI” CHE IMPERVERSANO IN AFRICA E ALTROVE (e dunque qualche responsabilità politica, se non morale, per le condizioni che impongono a quelle popolazioni l’ emigrazione ce l’ hanno di sicuro) potrebbero pretendere di porre limiti all’ immigrazione, anche illegale, anche clandestina da tali paesi? Come potrebbero opporsi al “diritto di immigrazione assolutamente (francamente non credo di esagerare) illimitato per chiunque” nel nostro continente allo scopo di scampare innanzitutto alle “pulizie etniche e confessionali”, ma anche semplicemente alla miseria (dall’ imperialismo occidentale entrambe provocate)?
C O N T I N U A Z I O N E
Credo che la storia, come tante altre volte, anche in questo caso, imponga (in particolare al proletariato occidentale) una scelta difficilissima, drammatica, inevitabilmente dolorosa (comunque); e che fra “vedere vicino” privilegiando i propri interessi immediati e circoscritti (in ultima analisi corporativi), restando in questo succubi all’ ideologia cella classe dominante (“l’ ideologia spontanea del proletariato è l’ ideologia delle classi dominanti”; Lenin, Che fare?) e affrontare la durezza di un terribile immiserimento e regressione economica e politica in tempi brevi indispensabile per preparare un difficilissimo lavoro di sovvertimento rivoluzionario del potere in tempi lunghi, la strada giusta sia la seconda (la rivoluzione non è un pranzo di gala, anzi! Esige sacrifici terribili).
Dati i miei limiti culturali e di intelligenza politica, di cui credo di essere ben consapevole, ho posto la questione (difficilissima e aggrovigliatissima) in termini decisamente semplicistici.
Confidando sempre nella notevolissima preparazione e intelligenza politica di Moreno, spero di ricevere utili spunti di riflessione (non impossibili miracolose “quadrature di cerchi”, ovviamente).
Grazie per l’ attenzione.
Giulio Bonali
Articolo molto equilibrato.
Volevo rimarcare che al flusso in uscita dal nostro paese concorrono in gran parte immigrati nord africani di vecchia data, di seconda generazione,ormai ben integrati i cui figli e nipoti sono stati istruiti nelle.nostre scuole; questi " vecchi" immigrati disperati per la mancanza di lavoro stanno abbandonando il nostro paese per raggiungere altri loro parenti e connazionali nei paesi del nord Europa.
In pratica nella situazione attuale stiamo esportando in Francia e Germania lavoratori esperti, qualificati abbastanza integrati e liberi dalle problematiche che pongono i nuovissimi immigrati.
Chiedo al primo commentatore anonimo:
Affermi che "I buonisti (gran parte della sinistra compresa) vedono solo le responsabilità (vere) dell'occidente nelle guerre imperialiste e nella sistematica opera di saccheggio del sud del mondo dai tempi del colonialismo ad oggi".
Dovresti spiegare quali sarebbero le altre responsabilità, oltre a quelle (vere ma non esclusive) dell' occidente (o meglio dell' imperialismo occidentale).
E inoltre che "Una forza politica seria dovrebbe avere la capacità di tenere insieme nell'analisi del fenomeno migratorio queste due verità: la causa dell'immigrazione è da ricercarsi nell'imperialismo e nell'attuale assetto economico capitalistico-globalista, ma i problemi delle popolazioni depredate non si risolvono importando milioni di diseredati qui da noi".
Verissimo.
Ma come si risolvono?
Non certo respingendo tali popolazioni perché crepino dove l' imperialismo occidentale le fa crepare!
Ovvero: come lottare per impedire al "proprio" imperialismo occidentale di nuocere al mondo e se possibile eliminarlo tout court?
Tenendoci strette le condizioni di relativa minore barbarie che il "nostro" imperialismo occidentale ci consente (e di chi sta molto peggio di noi chi se ne frega) o cercando di lottare insieme anche a chi sta peggio di noi?
(certo, so bene che il farsi é molro più difficile del dirsi...).
Giulio Bonali
Si tratta di un dilemma: praticamente posto dal mainstream come quello famoso dell"Asino di Buridano" il quale, poiché fu costretto a scegliere fra un secchio d'acqua e un secchio di avena, non sapendo se aveva più fame o più sete, mori e di sete e di fame.
Nel caso specifico i comportamenti nei confronti dei flussi migratori vengono da alcuni inquadrati in una problematica di solidarietà umano-cattolica (o pseudo socialista) e da altri come un caso di razzismo.
SE non fossero fenomeni indotti da strategie di destabiizzazione si potrebbe ricorrere alla razionalità e al buon senso ma la regia è in malafede visto che la destabilizzazione di etnie ha uno scopo politico: arrivare ad "un frullato" di popolazioni costipate in situazioni emergenziali per raggiungere l'impero mondiale, obiettivo ormai chiaro del capitalismo terminale.
Il problema si risolve liberando l'Europa dalla schiavitù del debito e dalle avide mani dei banchieri internazionali,con il recuperato benessere aumenterebbe l'occupazione e la ricchezza,di questa ricchezza una parte andrebbe investita per creare le condizioni affinchè i popoli possano vivere decentemente la dove sono nati,allora molti tornernerebbero spontaneamente a casa.Se questa vi pare utopia basta che guardate quanto fece Hitler (non stò in nessun modo facendo apologia del nazismo sappiamo benissimo quali atrocità ha commesso)Hitler quando prese il potere aveva una nazione con 6 milioni di disoccupati ed il popolo alla fame, con il sistema dei crediti fiscali denominati mefo in pratica con una moneta sovrana e con il commercio fatto merce contro merce cioè il baratto senza moneta con paesi dell'America Latina, in meno di 4 anni portò i disoccupati a meno di 40000 il benessere per il popolo e addirittura (aimè)i soldi per un massiccio riarmo.Se L'Europa adottasse una moneta sovrana potremo fare lo stesso ma invece di spendere i soldi per il riarmo potremo investirli in progetti per la crescita ed il benessere nei paesi da cui provengono gli immigrati,si lo so è utopia ma questa sarebbe l'unica vera soluzione.
Ringrazio i commentatori per l'attenzione che hanno riservato al mio intervento.
Come si evince dall' articolo esso sarà seguito presto da un secondo, nel quale proverò a rispondere anche alle domande, alle critiche ed ai dubbi.
Moreno Pasquinelli
"Così si ferma l'esodo dall'Africa". Articolo che consiglio a tutti i lettori di Sollevazione: http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/06/22/news/migranti-cosi-si-ferma-l-esodo-dall-africa-1.217579?ref=HRBZ-1
Credo che l'articolo sia lucido ed obiettivo. Non si può considerare tutti i migranti come degli invasori-clandestini-delinquenti-parassiti-terroristi, ma nemmeno come delle "risorse" come vorrebbe farci intendere la sinistra radical chic . La considerazione da fare oggettiva è che possiamo farne a meno e dobbiamo farne a meno per la nostra stessa sopravvivenza. Altrimenti sarà solo miseria e caos. Il Giappone non ha immigrati eppure funziona bene lo stesso.Prendiamo esempio da Orban e cominciamo a chiudere pure noi le nostre frontiere. Speriamo in Putin.
Chiudo citando Tex Willer :"Poca brigata vita beata". Ed in Italia mi sembra che siamo già troppi...
Posta un commento