[ 13 giugno ]
Favorevole il 67% degli intervistati, ma il 43% a patto che i destinatari siano cittadini italiani.
Favorevole il 67% degli intervistati, ma il 43% a patto che i destinatari siano cittadini italiani.
Disaffezione, scollamento, allontanamento dei cittadini dalla politica. O ancora, disincanto, frattura e sfiducia. Espressioni ampiamente utilizzate e talvolta abusate per definire, in estrema sintesi, il rapporto che intercorre tra i cittadini e la politica. Termini, altresì, che hanno generato una sorta di assuefazione semantica per cui, oramai, si tende a percepire quasi con superficiale indifferenza il non-rapporto che intercorre tra i cittadini e la politica. Un binomio, quest’ultimo, paragonabile a quellodocente-studente. «In altre parole – dichiara Nicola Ferrigni, autore dello studio e direttore del Link Lab, il Laboratorio di Ricerca Socio-Economica dell’Università Link Campus University – è come se la classe politica, seppur consapevole dei suoi errori e affetta dalla sindrome del Marchese del Grillo, si ergesse a portatrice di superba infallibilità e, dal pulpito cattedratico, giudicasse gli italiani, i suoi alunni, definendoli finanche disinteressati alla res publica».
E invece i cittadini, esasperati dalla inconcludenza e indignati dal comportamento puramente affaristico di molti personaggi pubblici, hanno optato – per rimanere nella metafora docente-studente – per una formazione del fai da te. E quindi, non si è più disposti ad accettare aprioristicamente, come portatrice di verità assoluta, qualsiasi proposta programmatica solo per una questione di “appartenenza” politica, ma ci si informa, ci si interroga, ci si confronta. In primis in Rete, ma anche sui media mainstream.
«Questa tendenza – continua Ferrigni – trova conferma nel nostro sondaggio sul reddito di cittadinanza. La stragrande maggioranza del campione infatti non si è solo dichiarata, a parole, conoscitrice dei contenuti della proposta, ma lo ha dimostrato nei fatti rispondendo correttamente ai test insidiosi che si celavano dietro alcune domande».
Non si esprime l’accordo su una proposta di Governo (in questo caso il reddito di cittadinanza) semplicemente perché lo ha proposto il partito o il politico che si sostiene, ma si tratta di un consenso che si basa sulla effettiva conoscenza della proposta. «Quello a cui assistiamo oggi – prosegue il sociologo – è un rapporto asincrono tra politica e società. Una situazione che per molti aspetti ricorda quella dei cosiddetti workers buyout, lavoratori e dipendenti di grosse aziende dichiarate in fallimento e che, riunendosi in cooperative, rilevano l’azienda salvaguardando non soltanto la propria attività lavorativa ma anche il futuro dell’azienda stessa, come dimostrato dal successo dell’operazione per alcune realtà come le Fonderie Zen di Padova e la Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio. Allo stesso modo i cittadini, esasperati da una politica fallimentare, si stanno attrezzando per organizzarsi come i workers buyout e, per salvaguardare la res publica dal fallimento, delegittimano la classe dirigente pronti a intraprendere il processo di subentro aziendale. Una cessione aziendale che, nel nostro Paese, è stata avviata qualche anno fa quando un non-partito ha legittimato la rappresentanza politica da parte della stessa società civile».
I risultati. Il sondaggio nazionale sul reddito di cittadinanza, che qui viene presentato, ha avuto come obiettivo la valutazione, da una parte, dell’effettiva conoscenza dei contenuti della proposta, dall’altra parte del suo grado di accettazione e condivisione.
Dal sondaggio emerge innanzitutto una conoscenza diffusa del cosiddetto “reddito di cittadinanza”: se, infatti, il 18% ne ha sentito parlare ma non ne conosce i contenuti, ben l’80,9% dichiara non solo di esserne a conoscenza ma di esserne anche adeguatamente informato.
Ma quanti conoscono davvero i contenuti della proposta? Nel disegno di legge n. 1148[1] viene definito reddito di cittadinanza «l’insieme delle misure volte al sostegno del reddito per tutti i soggetti residenti nel territorio nazionale che hanno un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà» individuando quindi i beneficiari in tutti i soggetti maggiorenni che risiedono sul territorio nazionale e che percepiscono un reddito inferiore a quello calcolato secondo l’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione Europea. I soggetti beneficiari, dovranno inoltre essere in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parti dell’Unione Europea, ma sono contemplati anche quei soggetti provenienti da Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale. Il reddito di cittadinanza, ancora, sarà erogato per l’intero periodo nel quale il beneficiario si trovi nella situazione economica definita nel disegno di legge, salvo revoche del beneficio e purchè i destinatari rispettino obblighi e vincoli imposti. Tra questi, l’immediata disponibilità al lavoro fornita presso i centri per l’impiego territorialmente competenti, che avvii un intero percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo. A tal proposito, sempre nel disegno di legge, si specifica che i centri per l’impiego provvederanno a proporre ai beneficiari attività lavorative congrue ed attinenti alle «propensioni, agli interessi e alle competenze acquisite dal beneficiario in ambito formale, non formale e informale, certificate, nel corso del colloquio di orientamento» e che il beneficio decadrà qualora il destinatario rifiuti, nell’arco di tempo riferito al periodo di disoccupazione, più di tre proposte di impiego ritenute congrue con le sue attitudini e le sue competenze.
Al fine di verificare, dunque, la reale conoscenza del provvedimento, agli intervistati è stato somministrato un breve test dai cui risultati emerge nel complesso una elevata conoscenza e padronanza dei principali punti della proposta di legge. Interrogati sui potenziali destinatari del reddito di cittadinanza, la quasi totalità degli intervistati (90,2%) ha infatti risposto correttamente, indicando come vera l’affermazione secondo la quale avranno diritto al sussidio tutti coloro che si trovano sulla soglia di rischio di povertà. È altresì pari al 60% la quota percentuale di coloro che hanno correttamente giudicato falsa l’affermazione secondo la quale a usufruire del diritto di cittadinanza saranno soltanto i disoccupati senza sussidi sociali. Ancora, elevata e significativa appare la percentuale, pari al 90,2%, di chi ha giustamente indicato come vero un altro dei punti principali della proposta: il contributo versato corrisponderà a una cifra necessaria per il raggiungimento, anche tramite integrazione, di un reddito netto quantificato sulla base della soglia di povertà. Il 90,8% afferma correttamente, inoltre, che il reddito di cittadinanza verrà erogato per l’intero periodo durante il quale il beneficiario percepisce un reddito inferiore alla soglia di rischo di povertà.
Evidentemente bisogna spiegare meglio il ruolo dei centri per l’impiego. Il 78,3% degli intervistati indica come vero uno degli obblighi previsti dalla proposta di legge: i beneficiari del diritto di cittadinanza dovranno fornire immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego territoriali. Da non sottovalutare tuttavia la percentuale significativa, pari al 16,9% del campione, che non ha saputo rispondere a questa sezione del test.
Dai risultati del sondaggio non si evince invece una chiara consapevolezza di un altro aspetto importante della proposta: come precedentemente riportato, il reddito di cittadinanza non prevede infatti che il beneficiario debba accettare qualsiasi tipo di proposta lavorativa che gli venga offerta dal centro per l’impiego; al contrario la proposta dovrà essere in linea e appropriata rispetto agli skills e al curriculum del candidato. All’affermazione “il soggetto beneficiario del reddito di cittadinanza dovrà accettare qualsiasi proposta lavorativa proveniente dai centri per l’impiego”, solo il 35,2% del campione ha risposto correttamente, indicando l’affermazione come falsa. Il 36,5% ha invece risposto in maniera errata, considerando quindi come vera la suddetta affermazione. A questo dato significativo c’è da aggiungere il 28,3% degli intervistati che, nel dubbio, ha preferito non rispondere.
Dalla conoscenza alla valutazione. La seconda parte del sondaggio si focalizza sulla valutazione che gli intervistati hanno espresso nei confronti del provvedimento. I risultati che emergono mostrano delle significative, e interessanti, contraddizioni.
Il 67,8% è favorevole, ma il 43,4% a patto che i destinatari siano italiani. Benchè il 67,8% del campione si dichiari complessivamente favorevole all’erogazione del contributo, ben il 43,4% degli intervistati individua come possibili beneficiari soltanto i cittadini italiani, escludendo dunque gli stranieri. Per contro il 24,4% del campione ritiene che il reddito di cittadinanza debba essere destinato a tutti i cittadini residenti sul territorio italiano, compresi quindi gli stranieri. Pari al 29,4% invece la quota di coloro che si dichiarano contrari tout court all’assegnazione di un contributo economico.
Assolutamente favorevoli per chi vive in condizioni di forte disagio.Chiamati a esprimere un giudizio sul contributo per chi non raggiunge un livello di reddito tale da garantirgli una vita dignitosa, appare elevata la percentuale di chi si schiera a favore della misura. Complessivamente il 64,5% ritiene infatti che il reddito di cittadinanza sia utile; tra questi, il 62,4% crede che si tratti di un aiuto concreto per tutti coloro che vivono in condizioni di disagio, mentre il 37,6% ritiene che possa ridare nuovamente potere d’acquisto ai cittadini, facendo così ripartire l’economia.
I contrari temono tasse e disincentivo alla ricerca del lavoro. Il 35,5% del campione intervistato reputa invece inutile il reddito di cittadinanza. Tra i contrari, il 56,3% è convinto che all’erogazione del contributo farà da contraltare una maggiore pressione fiscale, necessaria per costituire il bacino economico cui attingere. È di queste ore la notizia che l’Istat ha stimato in 14,9 miliardi di euro il costo totale del provvedimento, di cui beneficerebbero 2 milioni e 759 mila famiglie con un reddito inferiore alla linea di povertà (10,6% delle famiglie residenti in Italia).
Il 43,8% di chi giudica inutile il contributo, infine, ritiene che questo possa innescare una perversa spirale assistenziale: l’erogazione del contributo rappresenterebbe infatti un disincentivo alla ricerca di un lavoro da parte dei beneficiari. Questo a sua volta darebbe forma a una nuova concezione del lavoro, che verrebbe inteso più come sussistenza che come un percorso di crescita e sviluppo della persona. Dunque un nuovo modello della cultura del lavoro.
Per circa il 60% dovrebbe essere a tempo indeterminato. Ma l’attuale crisi economica non rappresenta, per gli intervistati, il pretesto per assicurare e assicurarsi un reddito minimo che allontani in qualche modo il rischio e la paura della povertà. Le risposte degli intervistati sembrano infatti portare il reddito di cittadinanza sul tavolo dei diritti, garantiti a chiunque e in qualsiasi momento. Ben il 61,1% ritiene che il reddito di cittadinanza debba essere erogato sempre, indipendentemente dall’andamento dell’economia, mentre il 10,6% giudica opportuno il contributo solo in questa fase emergenziale di crisi economica. Resta in ogni caso elevata la percentuale (26,1%) dei contrari all’erogazione del sussidio, poichè esso rappresenterebbe un freno alla ricerca di un lavoro.
Nota metodologica: il sondaggio ha registrato la partecipazione di 1.027 individui maggiorenni, residenti su tutto il territorio nazionale. I risultati, benchè proveninenti da un campione non individuato con tecniche di campionamento probabilistico, consente tuttavia di individuare delle significative linee di tendenza in merito alla conoscenza da parte degli intervistati dell’oggetto di analisi e dei suoi possibili effetti sulla società italiana. La rilevazione è stata condotta nel periodo 5-9 giugno 2015 mediante tecnica CAWI (Computer Assisted Web Interview) sul sito www.nicolaferrigni.it tramite piattaforma opensource LimeSurvey con IP univoco per evitare la reiterata compilazione del questionario da parte di uno stesso intervistato. Ai partecipanti è stato chiesto di rispondere a un questionario semi-strutturato ad alternative fisse predeterminate e auto compilabile in modalità anonima.
NOTE
[1] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/308596.pdf
* Fonte: Nicola Ferrigni
3 commenti:
Giusto. Solo che il costo non è certo di circa 15 mld come dice l'istat ripreso anche dal sacro blog, ma è di circa 60 mld. Con 15 mld la misura non sarà certo universale ma fortemente discrezionale e con grossi problemi di copertura.
Serve incrementare il deficit e monetizzare il disavanzo, ovviamente non sarà mai fatta dentro l'euro.
Purtroppo vedo la solita propaganda anti M5s ("il sacro blog", "il grilleggiante", "Casaleggio", "adepti") che è quanto di più razzista esista cioè la classificazione discriminatoria basata sugli stigma (Stigmatizzare sull'opinione politica).
Il costo COME DICE ISTAT è di 15 md le coperture come dice ISTAT e come dicono Ragioneria dello stato e commissione bilancio Senato sono state trovate. Idem è una cazzata che si possa fare solo fuori dall'euro.Io anti euro per eccellenza dico chiaramente che è proprio se si fa prima che finalmente l'avremo se prima invece usciamo le destre non ce lo daranno mai.
Alla grande M5s!
Sì sì, e sempre come dice istat l'inflazione è stata di pochi punti punti percentuali in questi ultimi quindici anni, anche dopo l'introduzione dell'euro quando tutti prezzi praticamente raddoppiarono. Fidiamoci dell'istat che non mente mai.
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