[21 giugno ]
Il 23 gennaio scorso davamo un giudizio severo dell'operazione di "Quantitative easing" della Bce (partita effettivamente il 9 marzo scorso) strombazzata come risolutiva per porre fine alla recessione. Scrivevamo:
«Gli investimenti sono fermi non per mancanza di liquidità, quanto soprattutto per la ragionevole assenza di fiducia sulle prospettive economiche generali. E' perciò prevedibile che i soldi incamerati dalle banche, anziché riversarsi in finanziamenti agli investimenti produttivi, rimangano nel circuito finanziario, dirigendosi più realisticamente verso attività ancor più speculative».
[QUANTITATIVE EASING: CRESCITA O BOLLA? di Leonardo Mazzei]
Draghi ed i banchieri ci dicono che, seppure con difficoltà, le banche italiane stanno finalmente erogando quattrini alle imprese, che dunque, grazie al Quantitative easing si registrano i primi segnali di aumento degli investimenti e di crescita economica. Qualcosa, molto poco, effettivamente si muove, ma che ciò dipenda anzitutto dal fatto che le banche italiane stiano invertendo la loro politica, quella di privilegiare la speculazione finanziaria per rimettere in sesto i loro bilanci, è tutto ancora da dimostrare. Altri sembrano i fattori che spiegano la fine momentanea della recessione, tra cui il deprezzamento dell'euro rispetto al dollaro e il calo del prezzo del petrolio, che hanno stimolato le esportazioni a fronte di un mercato interno che invece è sempre depresso.
Basavamo il giudizio severo sul Qe sulla base dei risultati della prima ondata di prestiti della Bce alle banche, del dicembre 2011, nota come Ltro, acronimo che sta per Long Term Refinancing Operation. [Ne parlammo QUI).
La prima operazione Ltro venne seguita, nel settembre 2014, da una seconda ondata di prestiti della Bce alla banche, la cosiddetta Tltro (Targeted long term refinancing operation), anche quella strombazzata come salvifica: "Dalla Bce alle imprese: così funzionano le Tltro di Draghi".
La Cgia di Mestre ha appena pubblicato un'analisi impietosa sull'esito della mossa della Bce. Fallita come la prima, ciò che spiega come mai la Bce si sia alla fine decisa al Qe:
«Grazie all'operazione Tltro, dal settembre dell'anno scorso al marzo di quest'anno la Bce ha erogato ben 94 miliardi di euro agli istituti di credito italiani, a loro volta obbligati a "riversare" questi soldi all'economia reale entro la fine del 2016. Ad oggi, purtroppo, gli effetti sono stati molto modesti. Lo sostiene la Cgia di Mestre. Se le famiglie hanno visto aumentare gli impieghi di 3,4 miliardi, le imprese, invece, hanno registrato una contrazione degli impieghi di 13,2 miliardi di euro: in termini complessivi gli italiani hanno visto ulteriormente scendere l'ammontare dei prestiti erogati dalle banche di ben 9,8 miliardi».
Vale la pena leggere il seguito del report:
«In buona sostanza - afferma il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - nonostante le iniezioni di liquidità messe sul mercato dalla Bce i soldi arrivano alle famiglie con il contagocce, mentre il rubinetto del credito alle imprese continua a rimanere chiuso". Le Tltro, segnala l'Ufficio studi della Cgia, sono delle operazioni di rifinanziamento a più lungo termine che la Bce ha deciso di avviare per porre rimedio al credit crunch.Cosa dunque ci hanno fatto le banche italiane con i soldi prestati dall Bce?
Attraverso queste operazioni le banche europee possono chiedere finanziamenti alla Bce: tali finanziamenti dovranno, in seguito, venire orientati all'economia reale (imprese e famiglie). Nelle prime tre aste Tltro (settembre 2014, dicembre 2014 e marzo 2015) le principali banche italiane hanno ottenuto circa 94 miliardi di euro.
Se l'operazione 'Tltro' sembra non sortire gli effetti sperati, le imprese sperano che con il Quantitative easing (Qe) la situazione si sblocchi. "Con il Qe - prosegue Bortolussi - dal marzo di quest'anno la Bce si è impegnata ad acquistare titoli pubblici e privati per un ammontare di 60 miliardi di euro al mese. Complessivamente, la Banca centrale dovrebbe erogare fino al settembre del 2016 più di 1.000 miliardi di euro. Di questi 1.000 miliardi, sostengono alcune importanti società finanziare europee, 150 miliardi di euro circa dovrebbero interessare l'Italia. L'obiettivo è ridare liquidità al nostro sistema economico che negli ultimi tre anni ha subito una contrazione nell'erogazione del credito del 9,2 per cento che, in valore assoluto, corrisponde a una riduzione dei prestiti pari a quasi 91 miliardi di euro. Si pensi che nell'ultimo anno lo stock degli impieghi è diminuito di ben 24 miliardi di euro».
Li hanno investiti in Bot, Btp, Cct e Ctz, ancora una volta per sostenere i loro bilanci traballanti.
«Tra l'ottobre del 2011 e l'aprile di quest'anno, infatti, la quantità di titoli di stato italiani detenuti dalle banche residenti nel nostro Paese è pressoché raddoppiata. Se tre anni e mezzo fa nelle cassette di sicurezza dei nostri istituti di credito gli asset governativi ammontavano a 208,6 miliardi di euro, nell'ultima rilevazione hanno toccato i 415,5 miliardi di euro.
Tuttavia - conclude Bortolussi -, tale operazione non va demonizzata. A seguito di questi copiosi investimenti nei titoli di Stato ci siamo riappropriati del nostro debito pubblico, che nel 2011 era per il 44 per cento nelle mani degli investitori stranieri. Oggi, invece, tale quota è scesa al 34 per cento. Certo, con più investimenti in titoli di Stato e meno impieghi all'economia reale, non sono state poche le imprese che hanno chiuso i battenti. Pertanto, è necessario cambiare rotta. Tuttavia, se da un lato siamo diventati un Paese meno a rischio, non va nemmeno dimenticato che l'acquisto di Bot, Cct e Btp ha consentito alle nostre banche di aumentare il proprio livello di patrimonializzazione, così come richiesto dagli accordi di Basilea».
[Economia & Finanza, del 20 giugno 2015, la Repubblica]
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