[24 giugno]
Con le
proposte di lunedì scorso il governo Tsipras si è spinto molto in là nelle
concessioni alla Troika.
All’inasprimento della pressione fiscale sulle imprese
si è aggiunto un inasprimento non banale dei contributi sociali
che colpisce imprese, salari e pensioni. Queste in Grecia sono piuttosto basse
con il 60% dei pensionati con un reddito netto sotto i 700 € mensili, malgrado
le sciocchezze che si sentono —martedì sera dal prof. Quadrio Curzio su Radio
1— di pensioni a livello tedesco.
E spesso la pensione è l’unico reddito della
famiglia estesa. Nonostante ciò la Troika non è soddisfatta, soprattutto nei
riguardi delle misure sulle imprese (che non necessariamente sono un bene).
Si
tratta comunque di misure recessive che non interrompono l’austerità. Non ci
deve infatti consolare l’alleggerimento del target di surplus primario del
bilancio pubblico dai 3 o 4,5% chiesti dalla Troika al’1% nel 2015 (e 2% nel
2016). La differenza è nell’uccidere subito il condannato o torturarlo ancora
più a lungo. Perché di una indegna e inutile tortura stiamo parlando.
Eppure la
soluzione ragionevole c’è, e Varoufakis l’ha riproposta all’Eurogruppo la
scorsa settimana: il fondo salva-Stati europeo emetta titoli per acquistare i
titoli greci in mano alla BCE (26 miliardi) con il duplice effetto di: (a)
dilazionare la restituzione di questo debito fra dieci o vent’anni dando
respiro al bilancio greco e (b) consentire alla Grecia di entrare nel programma
di quantitative easing della BCE (ora
quest’ultima non può acquistare titoli greci perché già ne ha troppi in
pancia).
Ma su questo tema l’Europa ha già detto no, che se ne riparlerà più avanti.
Che se ne dovrà riparlare è sicuro visto che la confermata austerità impedirà
alle finanze greche la restituzione di questi fondi alla BCE e anche di quelli
al FMI (32,5m). L’unica concessione alla Grecia sono i famosi ultimi 7,2m del
piano di salvataggio in scadenza con cui essa potrà ripagare la tranche al FMI
in scadenza questo mese e le rate di luglio e agosto alla BCE.
Questo è
perverso. Si sa che un nuovo piano di salvataggio sarà necessario quando le prossime
rate verranno a scadenza. Ma il salvataggio deve avvenire, nel disegno dei
torturatori, centellinando le erogazioni in corrispondenza alle rate in
scadenza, tenendo il governo greco col cappio al collo.
Logica vorrebbe che
l’Europa si assumesse subito e ora tutto il debito greco con BCE e anche FMI —come molti economisti hanno invocato, anche conservatori quale Jacob Kirkegaard
del Peterson Institute— nei fatti dilazionandolo
per qualche decennio sì da liberare per un po’ la Grecia dal fardello. A quel
punto pur vincolata da obiettivi stringenti di bilancio, la Grecia disporrebbe
di uno o due miliardi al mese in più (lo dico ad occhio) da spendere per
sostenere la domanda interna ed effettuare politiche di sviluppo. La
prospettiva cambierebbe radicalmente. La ragione dell’apparentemente illogico
rifiuto europeo va probabilmente trovata nelle elezioni spagnole: far capire a
Podemos che non v’è possibilità di europeizzazione dei debiti sovrani e
all’elettorato che le forze alternative troveranno un muro.
E non si dica
che il cattivo è il FMI. Nel 2013 questo ha fatto autocritica affermando di
essere stato tirato dentro al primo “salvataggio” della Grecia nel 2010 —quello che salvò le banche francesi e tedesche coi soldi anche del contribuente
italiano· consapevole già allora che il debito greco andava ristrutturato. Una
volta tirato dentro il FMI, che gestisce quattrini dei contribuenti di tutto il
mondo, fa il suo mestiere di pretenderli indietro. Se vuole, l’Europa lo può
liquidare. E’ questa che ne esce priva di ogni residua credibilità,
sperabilmente anche agli occhi di coloro che pervicacemente ancora sperano in
un suo mutamento.
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