[ 13 maggio ]
«Se il governo greco pensa di tenere un referendum, allora dovrebbe organizzarlo. Forse potrebbe essere la misura giusta per consentire al popolo greco di decidere se è pronto ad accettare quello che è necessario, o se vogliono altro».
Così Wolfgang Schaeuble all'Eurogruppo di lunedì scorso. Una provocazione fine a se stessa? Un puro esercizio di tecnica negoziale? O, più realisticamente, una vera e propria sfida politica?
Quattro anni fa, di fronte all'ipotesi di un referendum, Merkel e Sarkozy obbligarono l'allora primo ministro Papandreou alle dimissioni. Un golpe eurista - non scordiamoci mai qual è l'essenza della democrazia europea - svoltosi in contemporanea con quello di Monti-Napolitano in Italia. Oggi, almeno nelle parole del ministro delle Finanze tedesco, quel referendum potrebbe anche tenersi. Perché questa svolta?
Qualcuno penserà alle differenti situazioni finanziarie. Oggi, dicono lorsignori, la Grecia non è più un problema, può anche andarsene dall'euro senza che questo inquieti più di tanto i mercati finanziari. Il motivo di tanta sicumera è noto. L'80% del debito greco è ormai detenuto dagli stati e dalle istituzioni dell'eurozona. Il colpo può dunque essere assorbito senza troppi traumi, questo è il pensiero dominante nei circoli europei.
Ma è davvero questa la spiegazione della sfida tedesca? Penso proprio di no. Tutti sanno che se le stesse conseguenze finanziarie restano da scoprire, quelle politiche sarebbero certamente devastanti. La sfida di Schaeuble è dunque in primo luogo politica. La Germania ha probabilmente capito che il governo Tsipras non può concedere tutto quanto gli viene richiesto. Dunque, che fare? In teoria c'è l'opzione del ribaltone ad Atene, ma come confezionarlo?
Le congetture fin qui fatte, come quella fondata su una spaccatura pilotata di Syriza, per poi arrivare ad una nuova maggioranza di governo, non sembrano troppo realistiche. Perché dunque non inserirsi alla grande nell'ambiguità che ha consentito a Syriza di vincere le elezioni? Quale sia questa "felice contraddittorietà" ce lo sintetizza il Sole 24 Ore di ieri: «stare nell'euro senza convergere sulla politica europea, né ripagare tutti i debiti». Titolo enfatico quanto significativo dell'articolo: «Se il referendum è la miglior riforma strutturale».
L'idea che sta dietro la sfida di Schaeuble è dunque piuttosto semplice. Siccome i greci non vogliono fare più sacrifici, ma - così dicono i sondaggi - ancor meno vogliono uscire dall'euro, che siano essi stessi a sfiduciare Tsipras con il referendum.
Ma i tedeschi non sono stupidi. Essi sanno benissimo che l'esito del referendum sarebbe largamente deciso dalla formulazione del quesito. Una formulazione che è evidentemente nelle mani del parlamento, e dunque della maggioranza governativa di Atene. La sfida è quindi in primo luogo a Tsipras ed al gruppo dirigente di Syriza. Avranno costoro il coraggio di raccoglierla, organizzando davvero il referendum?
Il calcolo tedesco è evidente. Se il referendum dovesse dar torto al governo di Atene, che è ovviamente l'ipotesi sulla quale scommette Schaeuble, si aprirebbe la strada per una sua rapidissima sostituzione. Se invece Syriza vincesse la sfida, si aprirebbe quella - altrettanto rapida - dell'uscita della Grecia dall'eurozona, la cui responsabilità verrebbe fatta ricadere a quel punto interamente sui greci, un particolare a cui tengono molto a Berlino. C'è infine la terza possibilità, quella che Tsipras scelga di evitare, dopo averla ripetutamente evocata, la consultazione referendaria. Una scelta, quest'ultima, che sarebbe un segnale di grande difficoltà politica, che certo rafforzerebbe le posizioni dei creditori (la troika) al tavolo dei negoziati.
Per quel che vale, la mia opinione è che la sfida debba essere invece raccolta. La "felice contraddittorietà" del programma di Syriza non può più reggere. Non perché lo dice Schaeuble, perché ce lo ricordano continuamente i fatti. Ben venga dunque il referendum. Ben venga una consultazione democratica che affronti i termini reali della questione: o con l'Europa per la certezza dei sacrifici, o fuori da essa per tentare una strada alternativa. Per porre fine all'austerità e ricostruire l'economia nazionale, base indispensabile per ogni sviluppo sociale e politico più avanzato.
Quattro anni fa, di fronte all'ipotesi di un referendum, Merkel e Sarkozy obbligarono l'allora primo ministro Papandreou alle dimissioni. Un golpe eurista - non scordiamoci mai qual è l'essenza della democrazia europea - svoltosi in contemporanea con quello di Monti-Napolitano in Italia. Oggi, almeno nelle parole del ministro delle Finanze tedesco, quel referendum potrebbe anche tenersi. Perché questa svolta?
Qualcuno penserà alle differenti situazioni finanziarie. Oggi, dicono lorsignori, la Grecia non è più un problema, può anche andarsene dall'euro senza che questo inquieti più di tanto i mercati finanziari. Il motivo di tanta sicumera è noto. L'80% del debito greco è ormai detenuto dagli stati e dalle istituzioni dell'eurozona. Il colpo può dunque essere assorbito senza troppi traumi, questo è il pensiero dominante nei circoli europei.
Ma è davvero questa la spiegazione della sfida tedesca? Penso proprio di no. Tutti sanno che se le stesse conseguenze finanziarie restano da scoprire, quelle politiche sarebbero certamente devastanti. La sfida di Schaeuble è dunque in primo luogo politica. La Germania ha probabilmente capito che il governo Tsipras non può concedere tutto quanto gli viene richiesto. Dunque, che fare? In teoria c'è l'opzione del ribaltone ad Atene, ma come confezionarlo?
Le congetture fin qui fatte, come quella fondata su una spaccatura pilotata di Syriza, per poi arrivare ad una nuova maggioranza di governo, non sembrano troppo realistiche. Perché dunque non inserirsi alla grande nell'ambiguità che ha consentito a Syriza di vincere le elezioni? Quale sia questa "felice contraddittorietà" ce lo sintetizza il Sole 24 Ore di ieri: «stare nell'euro senza convergere sulla politica europea, né ripagare tutti i debiti». Titolo enfatico quanto significativo dell'articolo: «Se il referendum è la miglior riforma strutturale».
L'idea che sta dietro la sfida di Schaeuble è dunque piuttosto semplice. Siccome i greci non vogliono fare più sacrifici, ma - così dicono i sondaggi - ancor meno vogliono uscire dall'euro, che siano essi stessi a sfiduciare Tsipras con il referendum.
Ma i tedeschi non sono stupidi. Essi sanno benissimo che l'esito del referendum sarebbe largamente deciso dalla formulazione del quesito. Una formulazione che è evidentemente nelle mani del parlamento, e dunque della maggioranza governativa di Atene. La sfida è quindi in primo luogo a Tsipras ed al gruppo dirigente di Syriza. Avranno costoro il coraggio di raccoglierla, organizzando davvero il referendum?
Il calcolo tedesco è evidente. Se il referendum dovesse dar torto al governo di Atene, che è ovviamente l'ipotesi sulla quale scommette Schaeuble, si aprirebbe la strada per una sua rapidissima sostituzione. Se invece Syriza vincesse la sfida, si aprirebbe quella - altrettanto rapida - dell'uscita della Grecia dall'eurozona, la cui responsabilità verrebbe fatta ricadere a quel punto interamente sui greci, un particolare a cui tengono molto a Berlino. C'è infine la terza possibilità, quella che Tsipras scelga di evitare, dopo averla ripetutamente evocata, la consultazione referendaria. Una scelta, quest'ultima, che sarebbe un segnale di grande difficoltà politica, che certo rafforzerebbe le posizioni dei creditori (la troika) al tavolo dei negoziati.
Per quel che vale, la mia opinione è che la sfida debba essere invece raccolta. La "felice contraddittorietà" del programma di Syriza non può più reggere. Non perché lo dice Schaeuble, perché ce lo ricordano continuamente i fatti. Ben venga dunque il referendum. Ben venga una consultazione democratica che affronti i termini reali della questione: o con l'Europa per la certezza dei sacrifici, o fuori da essa per tentare una strada alternativa. Per porre fine all'austerità e ricostruire l'economia nazionale, base indispensabile per ogni sviluppo sociale e politico più avanzato.
2 commenti:
Mi permetto di dissentire, tatticamente la manovra dilatoria che mi pare il governo Tsipras interpreti molto bene, rimane la migliore, e basta vedere come l'atteggiamento assunto da Varoufakis inella penultima riunione dell'eurogruppo abbia letteralmente fatto saltare i nervi a tutti i presenti, inclusi quel cretino del presidente e il sempre più inutilmente ubbidiente Padoan.
La mia tesi è che il tempo lavori per la Grecia ed in genere per tutti coloro che si oppongono alla politica made in Germany del rigore masochista.
Vi sono due ragioni precise da cui faccio discendere tale tesi, l'una è che l'evidenza dell'assurdità di questa politica economica è sempre più palese, i fatti diventano giorno dopo giorno più complicati da occultare. L'altra è che le elezioni che si vanno succedendo in un po' tutti i paesi della UE tendono a ridurre il consenso all'alleanza di ferro socialdemocrazia/popolari che è quella che impone tale politica. In particolare, si avvicinano le elezioni di fine anno in Spagna che potrebbero davvero costituire la spallata decisiva per la UE.
Di contro, non vedo nessun vantaggio ad assecondare la richiesta di chiarimento da parte della Germania. Non occorre che Tsipras sconfessi l'ipotesi del referendum, basta che non ne fissi la data, lasciandola nello sfondo, è una situazione che questi idioti non riescono a sopportare, alal fine non è che siano questi geni, giocarli è facile, e i vari governanti italiani non incidono perchè non lo vogliono, fanno parte di quel partito dell'austerità di cui di tanto in tanto fa tanto comodo sul piano mediatico lamentarsi.
Vincenzo
Sono d'accordo e lo sto dicendo da un po' su vari blog.
Il punto è che i padroni non sono capaci di resistere allo stress; il fatto stesso di non riuscire a piegare immediatamente i recalcitranti è di per sé una sconfitta perché ne appanna l'immagine di onnipotenza e soprattutto perché suscita sentimenti di simpatia e solidarietà verso i ribelli che inevitabilmente portano prima o poi all'emulazione.
Oltre a questo la situazione generale è molto complicata quindi può bastare poco a far saltare certi equilibri.
Credo che Tsipras e quel grande giocatore di Varoufakis debbano continuare con la loro tattica che personalmente mi ricorda molto la diplomazia vietnamita che con la sua pignoleria esasperante e i suoi tira e mollacontinui aveva portato Kissinger a confessare di sentirsi in grandissima ansia prima di ogni colloquio.
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