[ 24 febbraio 2019 ]
Quando si viene insigniti di una laurea honoris causa — come accaduto a Mario Draghi giorni addietro a Bologna — si tende, per giustificare il riconoscimento, ad ostentare retoricamente la propria erudizione. Di norma simili cerimonie sono condannate a passare del tutto inosservate.
Non è il caso di quella che ha avuto per protagonista Draghi il cui discorso merita invece di essere segnalato perché il Nostro ha esposto, addirittura in maniera programmatica, la visione del mondo sua e della consorteria turbo-capitalistica di cui fa parte.
Al centro del panegirico di Draghi l’apologia più radicale della globalizzazione, quindi la difesa dell’Unione europea, del mercato unico e dell’euro:
Draghi non ha solo condannato la tendenza generale che vede gli stati nazionali tornare al centro della scena, ha riconosciuto che questa tendenza rischia di sfasciare l’Unione europea. Non ci sono tuttavia dubbi su quale debba essere la terapia:
E qui veniamo al centro geometrico del suo discorso:
E’ vera questa tesi? Sì, è vera, ma a patto che sia valida la premessa, cioè che uno Stato voglia restare imprigionato nella gabbia dorata della globalizzazione, cioè essere subalterno alla logica ed alle leggi dei mercati che com’è evidente non si autoregolano affatto ma ubbidiscono ai dettami ed agli interessi di potentissimi conglomerati finanziari globali.
Falsa, questa tesi, ove, al contrario, uno Stato decida di sganciarsi dalla globalizzazione e scegliere una sua propria strada, un suo proprio modello sociale, essendo che proprio in questo consiste la sovranità di un Paese: mettere al primo posto il benessere, la qualità della vita e la dignità dei propri cittadini, quindi proteggersi con ogni mezzo da chi la minaccia.
Traspare poi, dal discorso di Draghi, il concetto più caro ai neoliberisti, quello antidemocratico per antonomasia per cui sovrano, in ultima istanza, dev’essere il mercato, giammai il popolo, considerato un ostacolo alla supremazia predatoria del capitale.
Ma il difetto del discorso di Draghi, detto che non può sputare sul piatto dove mangia, sta proprio nel manico. Egli prende atto che la globalizzazione traballa e che l’Unione europea rischia di lasciarci le penne, ma da per assodato che questa ne uscirà, come nuovo impero, più forte. Si tratta, com’è evidente, del più classico atto di fede, e non a caso egli ha concluso la sua prolusione citando una frase di Benedetto XVI.
Per cui la domanda resta: quale sarà l’assetto geopolitico del mondo ove la sua distopia imperiale non si realizzasse? Ove la globalizzazione sia al tramonto e l’Unione destinata a collassare su sé stessa?
La risposta a noi pare una sola: gli stati nazionali tenderanno a riguadagnare la loro sovranità politica, e ciò sarà vero anzitutto in Europa.
Quando si viene insigniti di una laurea honoris causa — come accaduto a Mario Draghi giorni addietro a Bologna — si tende, per giustificare il riconoscimento, ad ostentare retoricamente la propria erudizione. Di norma simili cerimonie sono condannate a passare del tutto inosservate.
Non è il caso di quella che ha avuto per protagonista Draghi il cui discorso merita invece di essere segnalato perché il Nostro ha esposto, addirittura in maniera programmatica, la visione del mondo sua e della consorteria turbo-capitalistica di cui fa parte.
Al centro del panegirico di Draghi l’apologia più radicale della globalizzazione, quindi la difesa dell’Unione europea, del mercato unico e dell’euro:
«L'Unione europea è stata un successo economico perché ha offerto l'ambiente in cui le energie dei suoi cittadini hanno prodotto una prosperità diffusa e durevole fondata sul mercato unico e protetta dalla moneta unica. Gli ultimi dieci anni hanno messo drammaticamente in luce carenze delle politiche nazionali e la necessità di evoluzione nella cooperazione all'interno dell'Unione europea e al suo esterno».Tanto più convinta, questa difesa, date le “frizioni tra le grandi potenze” e la — per il Nostro sciagurata — spinta neoprotezionistica che viene dagli Stati Uniti trumpiani.
Draghi non ha solo condannato la tendenza generale che vede gli stati nazionali tornare al centro della scena, ha riconosciuto che questa tendenza rischia di sfasciare l’Unione europea. Non ci sono tuttavia dubbi su quale debba essere la terapia:
«Non ci devono essere equivoci: questo adattamento dovrà essere profondo, quanto lo sono i fenomeni che hanno rivelato la fragilità dell'ordine esistente e vasto quanto lo sono le dimensioni di un ordine geopolitico che va cambiando in senso non favorevole all'Europa».Dove quindi “adattamento” è da intendersi come avanti tutta verso un’Unione ancor più compatta e rafforzata che tolga agli stati le loro ultime prerogative sovrane, che andrebbero trasferite ad organi decisionali sovra-nazionali, quali la Bce di cui è a capo, poiché, nel mondo totalmente interconnesso, non ci sarebbe scampo per nessun paese se non per grandi imperi, quali appunto sarebbe una Ue rafforzata.
E qui veniamo al centro geometrico del suo discorso:
«In un mondo globalizzato tutti i paesi per essere sovrani devono cooperare. E ciò è ancor più necessario per i paesi appartenenti all'Unione europea. La cooperazione, proteggendo gli Stati nazionali dalle pressioni esterne, rende più efficaci le sue politiche interne. (…) Nel mondo di oggi le interconnessioni tecnologiche, finanziarie, commerciali sono così potenti che solo gli Stati più grandi riescono a essere indipendenti e sovrani al tempo stesso, e neppure interamente. Per la maggior parte degli altri Stati nazionali, fra cui i paesi europei, indipendenza e sovranità non coincidono. L'Unione europea è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani. È una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente. È una sovranità complementare a quella esercitata dai singoli Stati nazionali in altre aree. È una sovranità che piace agli Europei».Ergo: oggigiorno nessuno Stato nazionale che voglia restare dentro la sfera della globalizzazione, per quanto formalmente indipendente, può dirsi effettivamente sovrano.
E’ vera questa tesi? Sì, è vera, ma a patto che sia valida la premessa, cioè che uno Stato voglia restare imprigionato nella gabbia dorata della globalizzazione, cioè essere subalterno alla logica ed alle leggi dei mercati che com’è evidente non si autoregolano affatto ma ubbidiscono ai dettami ed agli interessi di potentissimi conglomerati finanziari globali.
Falsa, questa tesi, ove, al contrario, uno Stato decida di sganciarsi dalla globalizzazione e scegliere una sua propria strada, un suo proprio modello sociale, essendo che proprio in questo consiste la sovranità di un Paese: mettere al primo posto il benessere, la qualità della vita e la dignità dei propri cittadini, quindi proteggersi con ogni mezzo da chi la minaccia.
Traspare poi, dal discorso di Draghi, il concetto più caro ai neoliberisti, quello antidemocratico per antonomasia per cui sovrano, in ultima istanza, dev’essere il mercato, giammai il popolo, considerato un ostacolo alla supremazia predatoria del capitale.
Ma il difetto del discorso di Draghi, detto che non può sputare sul piatto dove mangia, sta proprio nel manico. Egli prende atto che la globalizzazione traballa e che l’Unione europea rischia di lasciarci le penne, ma da per assodato che questa ne uscirà, come nuovo impero, più forte. Si tratta, com’è evidente, del più classico atto di fede, e non a caso egli ha concluso la sua prolusione citando una frase di Benedetto XVI.
Per cui la domanda resta: quale sarà l’assetto geopolitico del mondo ove la sua distopia imperiale non si realizzasse? Ove la globalizzazione sia al tramonto e l’Unione destinata a collassare su sé stessa?
La risposta a noi pare una sola: gli stati nazionali tenderanno a riguadagnare la loro sovranità politica, e ciò sarà vero anzitutto in Europa.
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5 commenti:
A proposito di sovranità. Ecco l'ultima sparata di Bernie Sanders (da una segnalazione de "Il Pedante") con tanto di risposta contrariata di Roger Waters subito sotto.
"allow humanitarian aid into the country" dice lui a Maduro, "maybe you’re the perfect stooge for the 1 %" gli risponde critico Waters.
Se qualcuno ancora pensa Sanders sia affidabile fa sempre in tempo a ravvedersi.
Non è il pensiero di Draghi. E' il Leit-motiv centrale attorno a cui gli esperti comunicativi assoldati dal regime hanno deciso di combattere la battaglia in vista delle europee. Negli ultimi dieci giorni ho letto discorsi pressoché identici negli editoriali del principale fogliaccio nazionale (ovviamente parlo del Corriere; il Sole 24 ore cerca di arrivare allo stesso risultato per vie un po' più raffinate). Draghi si limita a fargli da cassa di risonanza.
Come si spiega in questo il fatto che Draghi si vanti tuttora di essere "un socialista keynesiano" (cit. 2018 a Frankfurt), che ha 3 (e dicasi 3!!!) tatuaggi con volti e frasi di Keynes sul suo corpo, che continua a venerare la memoria del socialista Caffè come il suo unico maestro politico e economicp? grazie
Eppure c'è il paradosso di fenomeni come quello catalano o padano che dimostrano come sotto sotto c'è chi spera che Draghi difenda la moneta dall'inflazione, e in culo tutto il resto. Intanto in Sardegna il popolo sfancula i casaleggini e premia un autonomista.francesco
anonimo delle 08:13
si spiega col fatto che Draghi è affetto dalla medesima sindrome della maggior parte degli intellettuali della sua generazione, quella del tradimento
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