[ 25 maggio ]
I risultati definitivi (in voti ed in seggi) delle elezioni regionali e comunali svoltesi ieri in Spagna non sono ancora disponibili, tuttavia il quadro è più che chiaro: crollo della destra del Partito Popolare del Primo ministro Rajoy, forte avanzata di Podemos.
La profonda crisi economica e sociale che attanaglia la Spagna da ormai sei anni è divenuta una conclamata crisi di regime. Il fatto eclatante l'ha segnalato a caldo Pablo Iglesias: "Il bipartitismo è finito", gli spagnoli non credono più al gioco truccato dell'alternanza. Se le elezioni politiche del 2011 avevano punito il Partito socialista di Zapatero, portando al governo la destra di Mariano Rajoy, queste elezioni amministrative hanno pesantemente castigato proprio il Partito Popolare.
Colpisce la consistenza del successo di Podemos, che conquista la maggioranza nelle due metropoli spagnole: Madrid e Barcellona.
Podemos ha vinto non soltanto grazie al messaggio di cambiamento, ma anche perché ha saputo costruire, attorno ai suoi candidati, più vaste alleanze di unità popolare. Così si spiegano le vittorie, inimmaginabili solo un anno fa, di Ada Colau a Barcellona (nella foto sopra) e Manuela Carmena a Madrid (foto a destra).
I candidati di Podemos hanno infatti vinto proprio dove il movimento è stato in grado di unire i pezzi più dinamici a antiliberisti della società civile spagnola, in particolare (malgrado l'opposizione della direzione nazionale di Izquierda Unida e del Partito Comunista spagnolo) quelli della sinistra spagnola.
Se queste elezioni sono la prova generale di quelle politiche nazionali che si svolgeranno a novembre, i risultati sono un ottimo auspicio.
Quanto prima pubblicheremo un commento più articolato.
I risultati definitivi (in voti ed in seggi) delle elezioni regionali e comunali svoltesi ieri in Spagna non sono ancora disponibili, tuttavia il quadro è più che chiaro: crollo della destra del Partito Popolare del Primo ministro Rajoy, forte avanzata di Podemos.
La profonda crisi economica e sociale che attanaglia la Spagna da ormai sei anni è divenuta una conclamata crisi di regime. Il fatto eclatante l'ha segnalato a caldo Pablo Iglesias: "Il bipartitismo è finito", gli spagnoli non credono più al gioco truccato dell'alternanza. Se le elezioni politiche del 2011 avevano punito il Partito socialista di Zapatero, portando al governo la destra di Mariano Rajoy, queste elezioni amministrative hanno pesantemente castigato proprio il Partito Popolare.
Colpisce la consistenza del successo di Podemos, che conquista la maggioranza nelle due metropoli spagnole: Madrid e Barcellona.
Podemos ha vinto non soltanto grazie al messaggio di cambiamento, ma anche perché ha saputo costruire, attorno ai suoi candidati, più vaste alleanze di unità popolare. Così si spiegano le vittorie, inimmaginabili solo un anno fa, di Ada Colau a Barcellona (nella foto sopra) e Manuela Carmena a Madrid (foto a destra).
I candidati di Podemos hanno infatti vinto proprio dove il movimento è stato in grado di unire i pezzi più dinamici a antiliberisti della società civile spagnola, in particolare (malgrado l'opposizione della direzione nazionale di Izquierda Unida e del Partito Comunista spagnolo) quelli della sinistra spagnola.
Se queste elezioni sono la prova generale di quelle politiche nazionali che si svolgeranno a novembre, i risultati sono un ottimo auspicio.
Quanto prima pubblicheremo un commento più articolato.
3 commenti:
In Polonia va avanti la destra, sembra che l'Ungheria faccia scuola...
Il potere politico e quello sindacale sono sovrastati dal potere economico e di conseguenza i proletari possono andare a c....e.
Ma stiamo tranquilli l'intellighezia progressista è salda nei suoi sofismi (non qui, parlo della sinistra nobile).
Allegria!!!
Riccardo.
Una piccola nota sulla Grecia. Parte 1
Come avrete certamente letto il ministro Voutsis ha detto che la Grecia non paga.
Poi però c'è stata una parziale smentita.
Ma contemporaneamente Varoufakis ha detto (minacciato) che se la Grecia esce dall'euro sarebbe la fine della moneta unica.
Segnali contraddittori ma non incoerenti. In Grecia è stata battezzata "ambiguità creativa" e somiglia un po' alla tattica di sfinimento dei negoziatori asiatici o mediorientali che ha sempre mandato nel pallone gli americani tanto che Kissinger confessava di sentirsi particolarmente in ansia prima degli incontri con i vietnamiti.
Qui trovate qualcosa sulla ambiguità creativa di Varoufakis, che a volte la definisce anche "ambiguità costruttiva"
https://www.google.it/search?q=varoufaklis+creative+ambiguity&ie=utf-8&oe=utf-8&gws_rd=cr&ei=fSBjVYiCFYWZsgHgwILQDw#q=varoufakis+creative+ambiguity&spell=1
Per quanto riguarda le reazioni dei mercati stanno andando male ma non c'è il vero crollo, per di più il dollaro cala ma di pochissimo. C'è da dire che sono chiuse Londra, Berlino e New York quindi è una giornata che non può dire molto.
P.S.:
Varoufakis scrive una cosa di cui in Italia non ho mai sentito parlare. Secondo lui i tedeschi e tutti i creditori in generale NON sono preoccupati di perdere il loro soldi o in generale il valore dei loro debiti. Sanno perfettamente che quei soldi in sostanza NON ESISTONO e per di più NON HANNO ALCUN BISOGNO DI INCASSARLI; in realtà gli basterebbe e avanzerebbe tenerli scritti come crediti nei libri contabili e con il leverage ci farebbero quasi dieci volte tanto.
Quindi se i creditori decidessero di mantenere il debito Greco SENZA ESIGERLO MAI, in cambio delle famose riforme, la cosa sarebbe risolta.
Varoufakis però afferma che i tedeschi insistono sulla questione del debito non per il denaro in sé ma solamente per tenere per sempre in ginocchio i paesi che dovrebbero costituire il loro lebensraum , lo spazio vitale commerciale e politico. Allora i greci (o meglio la classe media greca) hanno capito che con le riforme diventano una colonia per cui stanno lottando per mettere in scacco la ex troika.
Il tempo gioca a favore degli ellenici: in America i dati della crescita sono deludenti e si cerca di nasconderlo ma, tanto per dire, il famoso aumento dei tassi viene costantemente rinviato, segnale inequivocabile di grande timore da parte degli statunitensi; in Spagna, in Polonia, forse in Italia e in Francia i partiti anti euro o addirittura anti Europa si rafforzano notevolmente; i QE stanno diventando una medicina con effetti collaterali potenzialmente devastanti.
Ma la cosa FONDAMENTALE è questa: il successo dell'economia occidentale (più Giappone) nel dopoguerra era stato generato dalla prassi secondo la quale i paesi in surplus investivano nei paesi in deficit.
Fino al 1971 gli USA erano in surplus e investivano nel piano Marshall per l'Europa e successivamente anche in Giappone. I paesi "colonia" rifiorivano economicamente e si compravano i prodotti americani.
Poi con le varie guerre degli USA finisce Bretton Woods ma il meccanismo di riciclo del surplus non viene meno, si ribalta: gli Stati Uniti aumentano a dismisura il loro deficit e il disavanzo con l'estero comprando tutto quello che producevano Europa e Giappone, i paesi che loro stessi avevano fatto risorgere dalle loro ceneri mediante i vari piani Marshall locali, con la postilla che i paesi adesso in surplus (Europa e Giappone ma anche i paesi produttori di petrolio e successivamente la Cina) hanno convenienza nel reinvestire tutte le loro ricchezze negli USA perché il dollaro è valuta di riferimento.
Gli americani quindi si prendono tutti quei soldi e per fare profitto se li giocano al casino, a un certo punto salta il sistema e succede che il meccanismo di riciclo del surplus si inceppa.
SENZA RICICLO DEL SURPLUS DAI PAESI RICCHI AI PAESI POVERI IL SISTEMA CROLLA SENZA SPERANZA.
segue...
parte 2
continua...
Poi con le varie guerre degli USA finisce Bretton Woods ma il meccanismo di riciclo del surplus non viene meno, si ribalta: gli Stati Uniti aumentano a dismisura il loro deficit e il disavanzo con l'estero comprando tutto quello che producevano Europa e Giappone, i paesi che loro stessi avevano fatto risorgere dalle loro ceneri mediante i vari piani Marshall locali, con la postilla che i paesi adesso in surplus (Europa e Giappone ma anche i paesi produttori di petrolio e successivamente la Cina) hanno convenienza nel reinvestire tutte le loro ricchezze negli USA perché il dollaro è valuta di riferimento.
Gli americani quindi si prendono tutti quei soldi e per fare profitto se li giocano al casino, a un certo punto salta il sistema e succede che il meccanismo di riciclo del surplus si inceppa.
SENZA RICICLO DEL SURPLUS DAI PAESI RICCHI AI PAESI POVERI IL SISTEMA CROLLA SENZA SPERANZA.
E infatti guardate cosa sta facendo la Cina: sta investendo in Sudamerica per costruire infrastrutture ossia sta cercando di mettere su una specie di piano Marshall per i paesi non allineati in modo da costruirsi UNA RISERVA DI DOMANDA.
La chiave relativamente all'Europa è che probabilmente questo meccanismo di riciclo del surplus non può materialmente più essere messo in atto perché, come osserva Varoufakis, porterebbe alla perdita dell'egemonia per i tedeschi e per i creditori internazionali in genere.
La ricchezza serve a ottenere e mantenere il potere altrimenti è inutile.
La mia personale opinione a questo punto è che se prima c'era questo meccanismo di riciclo dai paesi ricchi ai paesi poveri era solo (ovviamente) per convenienza politica (in entrambe le fasi). Oggi questa convenienza politica NON C'E' PIU' quindi il meccanismo di riciclo non sarà più messo in atto CON CONSEGUENTE IMPAZZIMENTO E CROLLO DELL'INTERO SISTEMA. Prima si riciclava il surplus -con effetti positivi almeno per l'occidente - ma solo per imporre il potere imperiale NON PER UNA IDEA DI GIUSTIZIA come si voleva far credere.
Oggi il potere imperiale non ce la fa più e quindi reinvestire il surplus significherebbe perdere il grip sul dominio delle province.
IN PRATICA L'IMPERO SI E' LEVATO LA MASCHERA, RIVELANDO CHE E' PRIVO DI IDEALI DI GIUSTIZIA E LASCIANDO CAMPO LIBERO AL VERO DISSENSO.
Le classi sociali che si ritroveranno impoverite se vorranno ribellarsi al sistema dovranno necessariamente dare vita una risposta politica che sarà per forza di cose di tipo solidaristico e che si richiamerà alla necessità di un diverso rapporto fra ricchi e poveri non più per semplice convenienza imperialistica ma per un nuovo ideale di solidarietà contrapposto alla competitività.
In concreto la classe media capirà che deve porsi in una diversa relazione con i lavoratori e vorrei far presente che in questa ottica destra e sinistra hanno ancora senso MA POSSONO UNIRSI SENZA PERDERE LA LORO IDENTITA' ossia diventano gli imprescindibili poli di una sana dialettica democratica.
Il contenitore politico con alcune di queste caratteristiche in Italia ci sarebbe...ma teniamo presente che per cogliere le occasione c'è uno slot di tempo che poi a un certo punto si richiude...
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