30 luglio. RIPUDIARE IL DEBITO PUBBLICO ED USCIRE DALL'EURO: PER NOI DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA, i primi due punti del programma per la riconquista
della sovranità nazionale e popolare; per altri, invece, due strade
alternative fra loro. Ecco un nodo degno di essere affrontato.
Prima di entrare nel merito è bene però fare alcune osservazioni. La prima, è che le forze che hanno maturato la consapevolezza dell'assoluta centralità di queste due questioni (debito e moneta unica) sono ancora troppo deboli. La seconda, è che saranno invece i fatti a mettere questi due temi al centro della scena. La terza è che, come conseguenza di tutto ciò, quando verrà il momento il grosso delle realtà potenzialmente anticapitaliste ed alternative si troverà del tutto impreparato.
Un'impreparazione che, sommata alla profonda spoliticizzazione di massa figlia di un trentennio letargico, non potrà che favorire la gestione oligarchica di questi decisivi passaggi.
Sia chiaro, il blocco dominante non intende rinunciare all'euro. E, data la sua compenetrazione e subalternità al sistema di dominio della finanza euro-atlantica, esso non ha alcuna intenzione di intervenire, ristrutturandolo, sul debito. Il dogma di queste sanguisughe è che il debito va pagato. E, considerato anche che loro sono dalla parte dei creditori, va pagato in euro.
Questa è, ancora oggi, la linea prevalente. Quella che ha imposto il Napolitano bis al Quirinale e Letta il giovane a Palazzo Chigi. E' la linea che prevede nuovi e devastanti sacrifici per la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Ma è anche una linea che fa acqua da tutte le parti e che, dunque, ad un certo punto potrebbe essere parzialmente abbandonata almeno da un settore della classe dominante.
Come avverrà questo cambio non possiamo ancora saperlo. Quel che è certo è che le forze sistemiche faranno di tutto per poterlo gestire, con il minimo di contraccolpi sociali e politici e con il massimo dei vantaggi per se stesse.
Che una cancellazione parziale del debito sia possibile all'interno di precisi vincoli sistemici ce lo ha dimostrato il caso greco. Lì, sotto l'egida della Troika, una significativa ristrutturazione è già avvenuta, ed un'altra sembra ormai all'orizzonte. Ma tutto ciò è stato possibile solo in cambio di nuove misure draconiane e della riduzione del Paese ad uno stato di dipendenza assoluta dalle direttive del trio Ue-Bce-Fmi.
Perché ciò sia avvenuto è abbastanza chiaro: il debito era comunque inesigibile, ma mentre un default incontrollato avrebbe messo in discussione l'euro, una «sforbiciata» controllata ha consentito di salvare, per ora, la moneta unica. Che tutto questo sia servito a ben poco, dal punto di vista dei fondamentali dell'economia greca, è un altro discorso. Quel che qui giova rilevare è invece lo stretto legame tra le questioni del debito e dell'euro.
Nel caso greco si è intervenuti sul debito per mantenere in vita l'euro. Una scelta che potrebbe ripetersi anche in altri paesi. Ma niente esclude, almeno in linea di principio, che in altri casi le stesse forze sistemiche possano optare per una temporanea uscita dall'euro, magari all'interno di un sistema di cambi flessibili, onde garantirsi il pagamento del debito e (almeno questo è il loro obiettivo) il futuro rientro nella gabbia della moneta unica.
Quel che vogliamo dire, in sostanza, è che il blocco dominante è certamente ostinato nella difesa della moneta unica e dei vincoli che ne discendono, ma ben presto gli interessi sistemici potrebbero imporre delle «soluzioni» meno rigide e meno ortodosse. L'attuale ostinazione infatti non determina soltanto una macelleria sociale senza sosta, produce anche una recessione (o quantomeno una stagnazione) senza sbocchi.
Ma un capitalismo senza crescita è come un ciclista che non è più in grado di pedalare: alla fine cade. Per salvarsi le forze sistemiche potranno dunque rinunciare - almeno temporaneamente, almeno parzialmente - ai loro dogmi attuali. Il compito delle forze anti-sistemiche - sia che si verifichi l'ipotesi di cui sopra, sia che prevalga la linea dell'ostinata difesa dello status quo - dovrà essere invece quello della costruzione di un blocco e di un fronte politico-sociale capace di travolgere integralmente quei dogmi e quelle forze, per avviare un processo di sganciamento dal sistema che abbiamo definito capitalismo-casinò.
Uno sganciamento che implica sia il ripudio del debito, che l'uscita dalla moneta unica. Avendo chiaro che l'obiettivo di fondo è proprio lo sganciamento, mentre le scelte su debito e moneta sono «solo» due strumenti per perseguire questo obiettivo. Al tempo stesso, repetita juvant, nel cuore di una crisi epocale come quella che viviamo, nello specifico delle odierne condizioni dell'Italia e dell'Europa, non esiste alcuna ipotesi di sganciamento che non affronti con decisione entrambi i nodi del debito e dell'euro.
Linea 1 e Linea 2
E qui torniamo al punto da cui siamo partiti. Mentre infatti buona parte della sinistra pare ancora in tutt'altre faccende affaccendata, anche tra chi ha compreso la centralità di queste questioni regna una certa confusione. Abbiamo chi pone da tempo la necessità di ripudiare il debito, ma guardandosi bene da affrontare il nodo dell'euro (chiameremo questa posizione linea 1). Abbiamo, viceversa, chi mette al centro l'uscita dall'euro, pensando che sia sufficiente da sola a far rientrare in limiti fisiologici (e dunque gestibili) il problema del debito (la chiameremo linea 2).
Cosa hanno in comune, e in cosa differiscono, queste due posizioni?
Certo, al loro interno possono esservi - ed in effetti vi sono - tante sfaccettature, ma volendo andare al sodo la differenza sta nel fatto che la linea 1 piace di più negli ambienti della sinistra che ha il terrore del concetto stesso di sovranità, mentre la linea 2 può catturare consensi anche in un'area liberista ma non eurista. Mentre i primi provano una sorta di sacro terrore nel mettere seriamente in discussione il processo di globalizzazione, i secondi intendono sì collocarvisi, ma in posizione meno subalterna. Se i primi si proclamano anti-liberisti, rifiutandosi però di rompere davvero con gli strumenti decisivi della politica liberista; i secondi quegli strumenti li vorrebbero mettere in discussione, ma solo per riaffermare a modo loro il liberismo e tutto quel che ne consegue.
Fin qui le differenze. Ma quali sono, invece, le comunanze?
Anche in questo caso, andando all'essenziale, la comunanza è una. Ed essa consiste nel fatto che nessuna delle due linee punta davvero ad uno sganciamento dal capitalismo-casinò, cioè dalla forma concreta assunta dal sistema capitalistico nella nostra epoca. Che sia così per chi persegue un'uscita dall'euro solo per ridare competitività alle imprese attraverso la svalutazione è scontato. Ma è così anche per chi, su posizioni anti-capitaliste, vorrebbe affrontare la questione del debito solo per riconquistare qualche margine al welfare, senza andare alla radice del problema, e cioè al fatto che l'euro non è solo una moneta ma anche un preciso sistema di dominio di classe. Ed è così anche per chi sostiene che non si possono fare le due cose insieme perché altrimenti «i mercati si arrabbiano».
Certo che si «arrabbierebbero». Che pensiamo, di imporre una svolta radicale alla politica del paese, senza che l'attuale classe dominante e le oligarchie internazionali reagiscano? Ovvio che nessuno può pensarlo. Ma credere di poter uscire dalla catastrofe in corso senza un programma di misure urgenti, incentrato sull'uscita dall'euro e l'abbattimento del debito, sarebbe altrettanto irresponsabile. Dunque non c'è altro da fare che prepararsi a sostenere uno scontro senza esclusione di colpi.
Sganciamento
Qui, a costo di ripetersi, si impone una precisazione. Il ragionamento che stiamo svolgendo riguarda un percorso di sganciamento dal capitalismo-casinò, frutto di una sollevazione popolare. Naturalmente tutto ciò richiede almeno tre cose: un vero risveglio del popolo lavoratore, un fronte in grado di guidare la sollevazione, un programma d'emergenza forte e condiviso tra le masse. Tre condizioni oggi assenti, tre condizioni da costruire se non si vuol continuare a subire passivamente il massacro sociale in atto.
Abbiamo già detto che lo stesso blocco dominante potrebbe, ad un certo punto, essere costretto ad intervenire sul debito o sulla moneta, ma non è di questo che qui parliamo. Casomai, il fatto che questa eventualità non sia da scartare è un'altra conferma di quanto questi temi siano quelli oggi decisivi e centrali. Ma mentre il blocco dominante opererebbe quelle scelte solo per necessità, con la precisa volontà di restare dentro la cornice del capitalismo-casinò, il nostro obiettivo dovrà essere proprio quello di sganciarsi da questo sistema.
Che questa nostra impostazione sia del tutto alternativa a quella delle forze sistemiche è naturalmente un'ovvietà. Un'ovvietà che merita però di essere segnalata, dato che anche i settori dichiaratamente anti-sistemici che non colgono la centralità ed il nesso indissolubile tra debito e moneta finiscono - più o meno consapevolmente - per escludere un vero progetto di sganciamento.
Giunti a questo punto è doveroso precisare cosa intendiamo per sganciamento.
Abbiamo già visto che la mera uscita dall'euro, se non accompagnata da un programma di politica economica alternativa (includente l'intervento sul debito, ma non solo), non configura da sola un percorso di sganciamento. Idem per una ristrutturazione del debito alla «greca», teleguidata dalla Troika dentro precisi vincoli sistemici.
Lo sganciamento richiede anzitutto analisi, volontà e lucidità politica. La crisi non è solo crisi europea. Essa ha anzi preso le mosse dagli USA. La crisi non è semplicemente crisi del sistema capitalistico, essa è innanzitutto crisi della specifica forma che il sistema ha assunto in epoca più recente, ed in misura più accentuata nell'area occidentale.
E' qui che il sistema ha fatto crack, ed è qui che può essere attaccato. Oggi, a causa dell'intreccio tra l'iper-finanziarizzazione e le contraddizioni prodotte dalla folle costruzione europea (moneta unica in primis) il cuore della crisi è in Europa, ed in particolare nella sua periferia sud.
Sganciarsi da questo sistema (il capitalismo-casinò), e dalla forma concreta che ha assunto nell'Unione Europea, non è dunque solo un obiettivo razionale, ma anche un progetto potenzialmente condivisibile da un blocco sociale assai ampio. Un blocco sociale guidato da forze anticapitaliste, includente però anche settori non immediatamente anticapitalistici ma giunti alla consapevolezza dell'insostenibilità del sistema attuale.
Ma da che cosa bisogna concretamente sganciarsi? Ed in che misura sarà possibile farlo?
La nostra è l'epoca del dominio dell'economia su ogni altra dimensione del vivere associato. Da qui la crisi della politica e la morte (altro che crisi!) della democrazia. Da qui bisogna partire, dalla necessità di sganciarsi da un sistema che è arrivato a determinare il valore delle pensioni (cioè la qualità della vita degli anziani) come variabile dipendente dall'andamento dei mercati finanziari. Il primo passo dovrà essere dunque quello di uscire dalla schiavitù imposta dal dominio della finanza.
A questo serve la riconquista della sovranità monetaria, conditio sine qua non per impostare una qualsiasi politica economica, condizione imprescindibile per qualsiasi politica orientata alla difesa degli interessi delle classi popolari. A questo serve l'abbattimento del debito pubblico, senza il quale i piranha della finanza internazionale continuerebbero a strangolare il Paese. A questo serve la nazionalizzazione dell'intero sistema bancario, da sottrarre integralmente ai meccanismi della speculazione. A questo serve la nazionalizzazione dei settori strategici dell'economia (energia, trasporti, telecomunicazioni), che devono essere chiamati a rispondere alle esigenze sociali, non agli appetiti degli azionisti. A questo serve un Piano del lavoro, a generare un'offerta di occupazione svincolata dai meri criteri di competitività.
Questo è lo sganciamento. A questo serve l'uscita dall'Unione Europea. Mentre, su un altro piano, solo con l'uscita dalla Nato si potrà infine parlare di riconquista della sovranità nazionale, condizione imprescindibile affinché possa darsi una concreta sovranità popolare.
Attenzione! Sganciamento non è isolamento. Così come si dovranno recidere gli attuali legami, nuove relazioni solidaristiche si potranno creare con i paesi ed i popoli che si incammineranno sulla stessa strada della liberazione da un sistema opprimente. Non solo. Siccome oltre che la strategia esiste anche la tattica, sarà assolutamente necessario giocare sulle tipiche contraddizioni intercapitalistiche. Giusto per fare un esempio, non è affatto detto che eventuali ritorsioni economiche decretate dal duo UE-USA debbano essere appoggiate da altre potenze come i Brics. E si potrebbe continuare.
Ma, ci siamo già chiesti, in quale misura sarà possibile sganciarsi?
Prima di rispondere a questa domanda è opportuna una precisazione: lo sganciamento è una politica che, come tale, non può prescindere da un sano realismo. Non immaginiamo dunque uno sganciamento totale. Esso sarebbe possibile solo con il trasferimento su un altro pianeta. Ma tra un viaggio nel cosmo e l'accettazione della schiavitù della cosiddetta «globalizzazione» c'è evidentemente tutto uno spazio da disegnare.
Un disegno frutto dell'azione cosciente di una soggettività ancora da costruire. E che dovrà tenere conto dei concreti rapporti di forza, interni ed esterni. Un disegno, dunque, che potrà assumere una forma precisa solo nel vivo della lotta. Ma un disegno possibile. Anzi, l'unico realistico. Perché francamente non abbiamo ancora capito cosa propongano gli altri.
Non è più tempo di limitarsi ad obiettivi giusti, senza misurarsi sul percorso per raggiungerli. E non è tempo (non lo è mai stato) di illudersi sui limiti alla capacità distruttiva delle oligarchie dominanti. Non è tempo per le mezze misure, nell'incoffessata speranza di limitare i danni.
E' tempo di immaginare, prefigurare, costruire un'alternativa. Sganciamento è in questo senso il concetto decisivo. Un concetto che contiene i singoli obiettivi, compresi quelli per noi decisivi - e non separabili l'uno dall'altro - dell'uscita dall'euro e del ripudio del debito.
Prima di entrare nel merito è bene però fare alcune osservazioni. La prima, è che le forze che hanno maturato la consapevolezza dell'assoluta centralità di queste due questioni (debito e moneta unica) sono ancora troppo deboli. La seconda, è che saranno invece i fatti a mettere questi due temi al centro della scena. La terza è che, come conseguenza di tutto ciò, quando verrà il momento il grosso delle realtà potenzialmente anticapitaliste ed alternative si troverà del tutto impreparato.
Un'impreparazione che, sommata alla profonda spoliticizzazione di massa figlia di un trentennio letargico, non potrà che favorire la gestione oligarchica di questi decisivi passaggi.
Sia chiaro, il blocco dominante non intende rinunciare all'euro. E, data la sua compenetrazione e subalternità al sistema di dominio della finanza euro-atlantica, esso non ha alcuna intenzione di intervenire, ristrutturandolo, sul debito. Il dogma di queste sanguisughe è che il debito va pagato. E, considerato anche che loro sono dalla parte dei creditori, va pagato in euro.
Questa è, ancora oggi, la linea prevalente. Quella che ha imposto il Napolitano bis al Quirinale e Letta il giovane a Palazzo Chigi. E' la linea che prevede nuovi e devastanti sacrifici per la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Ma è anche una linea che fa acqua da tutte le parti e che, dunque, ad un certo punto potrebbe essere parzialmente abbandonata almeno da un settore della classe dominante.
Come avverrà questo cambio non possiamo ancora saperlo. Quel che è certo è che le forze sistemiche faranno di tutto per poterlo gestire, con il minimo di contraccolpi sociali e politici e con il massimo dei vantaggi per se stesse.
Che una cancellazione parziale del debito sia possibile all'interno di precisi vincoli sistemici ce lo ha dimostrato il caso greco. Lì, sotto l'egida della Troika, una significativa ristrutturazione è già avvenuta, ed un'altra sembra ormai all'orizzonte. Ma tutto ciò è stato possibile solo in cambio di nuove misure draconiane e della riduzione del Paese ad uno stato di dipendenza assoluta dalle direttive del trio Ue-Bce-Fmi.
Perché ciò sia avvenuto è abbastanza chiaro: il debito era comunque inesigibile, ma mentre un default incontrollato avrebbe messo in discussione l'euro, una «sforbiciata» controllata ha consentito di salvare, per ora, la moneta unica. Che tutto questo sia servito a ben poco, dal punto di vista dei fondamentali dell'economia greca, è un altro discorso. Quel che qui giova rilevare è invece lo stretto legame tra le questioni del debito e dell'euro.
Nel caso greco si è intervenuti sul debito per mantenere in vita l'euro. Una scelta che potrebbe ripetersi anche in altri paesi. Ma niente esclude, almeno in linea di principio, che in altri casi le stesse forze sistemiche possano optare per una temporanea uscita dall'euro, magari all'interno di un sistema di cambi flessibili, onde garantirsi il pagamento del debito e (almeno questo è il loro obiettivo) il futuro rientro nella gabbia della moneta unica.
Quel che vogliamo dire, in sostanza, è che il blocco dominante è certamente ostinato nella difesa della moneta unica e dei vincoli che ne discendono, ma ben presto gli interessi sistemici potrebbero imporre delle «soluzioni» meno rigide e meno ortodosse. L'attuale ostinazione infatti non determina soltanto una macelleria sociale senza sosta, produce anche una recessione (o quantomeno una stagnazione) senza sbocchi.
Ma un capitalismo senza crescita è come un ciclista che non è più in grado di pedalare: alla fine cade. Per salvarsi le forze sistemiche potranno dunque rinunciare - almeno temporaneamente, almeno parzialmente - ai loro dogmi attuali. Il compito delle forze anti-sistemiche - sia che si verifichi l'ipotesi di cui sopra, sia che prevalga la linea dell'ostinata difesa dello status quo - dovrà essere invece quello della costruzione di un blocco e di un fronte politico-sociale capace di travolgere integralmente quei dogmi e quelle forze, per avviare un processo di sganciamento dal sistema che abbiamo definito capitalismo-casinò.
Uno sganciamento che implica sia il ripudio del debito, che l'uscita dalla moneta unica. Avendo chiaro che l'obiettivo di fondo è proprio lo sganciamento, mentre le scelte su debito e moneta sono «solo» due strumenti per perseguire questo obiettivo. Al tempo stesso, repetita juvant, nel cuore di una crisi epocale come quella che viviamo, nello specifico delle odierne condizioni dell'Italia e dell'Europa, non esiste alcuna ipotesi di sganciamento che non affronti con decisione entrambi i nodi del debito e dell'euro.
Linea 1 e Linea 2
E qui torniamo al punto da cui siamo partiti. Mentre infatti buona parte della sinistra pare ancora in tutt'altre faccende affaccendata, anche tra chi ha compreso la centralità di queste questioni regna una certa confusione. Abbiamo chi pone da tempo la necessità di ripudiare il debito, ma guardandosi bene da affrontare il nodo dell'euro (chiameremo questa posizione linea 1). Abbiamo, viceversa, chi mette al centro l'uscita dall'euro, pensando che sia sufficiente da sola a far rientrare in limiti fisiologici (e dunque gestibili) il problema del debito (la chiameremo linea 2).
Cosa hanno in comune, e in cosa differiscono, queste due posizioni?
Certo, al loro interno possono esservi - ed in effetti vi sono - tante sfaccettature, ma volendo andare al sodo la differenza sta nel fatto che la linea 1 piace di più negli ambienti della sinistra che ha il terrore del concetto stesso di sovranità, mentre la linea 2 può catturare consensi anche in un'area liberista ma non eurista. Mentre i primi provano una sorta di sacro terrore nel mettere seriamente in discussione il processo di globalizzazione, i secondi intendono sì collocarvisi, ma in posizione meno subalterna. Se i primi si proclamano anti-liberisti, rifiutandosi però di rompere davvero con gli strumenti decisivi della politica liberista; i secondi quegli strumenti li vorrebbero mettere in discussione, ma solo per riaffermare a modo loro il liberismo e tutto quel che ne consegue.
Fin qui le differenze. Ma quali sono, invece, le comunanze?
Anche in questo caso, andando all'essenziale, la comunanza è una. Ed essa consiste nel fatto che nessuna delle due linee punta davvero ad uno sganciamento dal capitalismo-casinò, cioè dalla forma concreta assunta dal sistema capitalistico nella nostra epoca. Che sia così per chi persegue un'uscita dall'euro solo per ridare competitività alle imprese attraverso la svalutazione è scontato. Ma è così anche per chi, su posizioni anti-capitaliste, vorrebbe affrontare la questione del debito solo per riconquistare qualche margine al welfare, senza andare alla radice del problema, e cioè al fatto che l'euro non è solo una moneta ma anche un preciso sistema di dominio di classe. Ed è così anche per chi sostiene che non si possono fare le due cose insieme perché altrimenti «i mercati si arrabbiano».
Certo che si «arrabbierebbero». Che pensiamo, di imporre una svolta radicale alla politica del paese, senza che l'attuale classe dominante e le oligarchie internazionali reagiscano? Ovvio che nessuno può pensarlo. Ma credere di poter uscire dalla catastrofe in corso senza un programma di misure urgenti, incentrato sull'uscita dall'euro e l'abbattimento del debito, sarebbe altrettanto irresponsabile. Dunque non c'è altro da fare che prepararsi a sostenere uno scontro senza esclusione di colpi.
Sganciamento
Qui, a costo di ripetersi, si impone una precisazione. Il ragionamento che stiamo svolgendo riguarda un percorso di sganciamento dal capitalismo-casinò, frutto di una sollevazione popolare. Naturalmente tutto ciò richiede almeno tre cose: un vero risveglio del popolo lavoratore, un fronte in grado di guidare la sollevazione, un programma d'emergenza forte e condiviso tra le masse. Tre condizioni oggi assenti, tre condizioni da costruire se non si vuol continuare a subire passivamente il massacro sociale in atto.
Abbiamo già detto che lo stesso blocco dominante potrebbe, ad un certo punto, essere costretto ad intervenire sul debito o sulla moneta, ma non è di questo che qui parliamo. Casomai, il fatto che questa eventualità non sia da scartare è un'altra conferma di quanto questi temi siano quelli oggi decisivi e centrali. Ma mentre il blocco dominante opererebbe quelle scelte solo per necessità, con la precisa volontà di restare dentro la cornice del capitalismo-casinò, il nostro obiettivo dovrà essere proprio quello di sganciarsi da questo sistema.
Che questa nostra impostazione sia del tutto alternativa a quella delle forze sistemiche è naturalmente un'ovvietà. Un'ovvietà che merita però di essere segnalata, dato che anche i settori dichiaratamente anti-sistemici che non colgono la centralità ed il nesso indissolubile tra debito e moneta finiscono - più o meno consapevolmente - per escludere un vero progetto di sganciamento.
Giunti a questo punto è doveroso precisare cosa intendiamo per sganciamento.
Abbiamo già visto che la mera uscita dall'euro, se non accompagnata da un programma di politica economica alternativa (includente l'intervento sul debito, ma non solo), non configura da sola un percorso di sganciamento. Idem per una ristrutturazione del debito alla «greca», teleguidata dalla Troika dentro precisi vincoli sistemici.
Lo sganciamento richiede anzitutto analisi, volontà e lucidità politica. La crisi non è solo crisi europea. Essa ha anzi preso le mosse dagli USA. La crisi non è semplicemente crisi del sistema capitalistico, essa è innanzitutto crisi della specifica forma che il sistema ha assunto in epoca più recente, ed in misura più accentuata nell'area occidentale.
E' qui che il sistema ha fatto crack, ed è qui che può essere attaccato. Oggi, a causa dell'intreccio tra l'iper-finanziarizzazione e le contraddizioni prodotte dalla folle costruzione europea (moneta unica in primis) il cuore della crisi è in Europa, ed in particolare nella sua periferia sud.
Sganciarsi da questo sistema (il capitalismo-casinò), e dalla forma concreta che ha assunto nell'Unione Europea, non è dunque solo un obiettivo razionale, ma anche un progetto potenzialmente condivisibile da un blocco sociale assai ampio. Un blocco sociale guidato da forze anticapitaliste, includente però anche settori non immediatamente anticapitalistici ma giunti alla consapevolezza dell'insostenibilità del sistema attuale.
Ma da che cosa bisogna concretamente sganciarsi? Ed in che misura sarà possibile farlo?
La nostra è l'epoca del dominio dell'economia su ogni altra dimensione del vivere associato. Da qui la crisi della politica e la morte (altro che crisi!) della democrazia. Da qui bisogna partire, dalla necessità di sganciarsi da un sistema che è arrivato a determinare il valore delle pensioni (cioè la qualità della vita degli anziani) come variabile dipendente dall'andamento dei mercati finanziari. Il primo passo dovrà essere dunque quello di uscire dalla schiavitù imposta dal dominio della finanza.
A questo serve la riconquista della sovranità monetaria, conditio sine qua non per impostare una qualsiasi politica economica, condizione imprescindibile per qualsiasi politica orientata alla difesa degli interessi delle classi popolari. A questo serve l'abbattimento del debito pubblico, senza il quale i piranha della finanza internazionale continuerebbero a strangolare il Paese. A questo serve la nazionalizzazione dell'intero sistema bancario, da sottrarre integralmente ai meccanismi della speculazione. A questo serve la nazionalizzazione dei settori strategici dell'economia (energia, trasporti, telecomunicazioni), che devono essere chiamati a rispondere alle esigenze sociali, non agli appetiti degli azionisti. A questo serve un Piano del lavoro, a generare un'offerta di occupazione svincolata dai meri criteri di competitività.
Questo è lo sganciamento. A questo serve l'uscita dall'Unione Europea. Mentre, su un altro piano, solo con l'uscita dalla Nato si potrà infine parlare di riconquista della sovranità nazionale, condizione imprescindibile affinché possa darsi una concreta sovranità popolare.
Attenzione! Sganciamento non è isolamento. Così come si dovranno recidere gli attuali legami, nuove relazioni solidaristiche si potranno creare con i paesi ed i popoli che si incammineranno sulla stessa strada della liberazione da un sistema opprimente. Non solo. Siccome oltre che la strategia esiste anche la tattica, sarà assolutamente necessario giocare sulle tipiche contraddizioni intercapitalistiche. Giusto per fare un esempio, non è affatto detto che eventuali ritorsioni economiche decretate dal duo UE-USA debbano essere appoggiate da altre potenze come i Brics. E si potrebbe continuare.
Ma, ci siamo già chiesti, in quale misura sarà possibile sganciarsi?
Prima di rispondere a questa domanda è opportuna una precisazione: lo sganciamento è una politica che, come tale, non può prescindere da un sano realismo. Non immaginiamo dunque uno sganciamento totale. Esso sarebbe possibile solo con il trasferimento su un altro pianeta. Ma tra un viaggio nel cosmo e l'accettazione della schiavitù della cosiddetta «globalizzazione» c'è evidentemente tutto uno spazio da disegnare.
Un disegno frutto dell'azione cosciente di una soggettività ancora da costruire. E che dovrà tenere conto dei concreti rapporti di forza, interni ed esterni. Un disegno, dunque, che potrà assumere una forma precisa solo nel vivo della lotta. Ma un disegno possibile. Anzi, l'unico realistico. Perché francamente non abbiamo ancora capito cosa propongano gli altri.
Non è più tempo di limitarsi ad obiettivi giusti, senza misurarsi sul percorso per raggiungerli. E non è tempo (non lo è mai stato) di illudersi sui limiti alla capacità distruttiva delle oligarchie dominanti. Non è tempo per le mezze misure, nell'incoffessata speranza di limitare i danni.
E' tempo di immaginare, prefigurare, costruire un'alternativa. Sganciamento è in questo senso il concetto decisivo. Un concetto che contiene i singoli obiettivi, compresi quelli per noi decisivi - e non separabili l'uno dall'altro - dell'uscita dall'euro e del ripudio del debito.
21 commenti:
Vorrei sapere come ripudiereste il debito, visto che Brancaccio (non di certo il primo dei fessi) ha sempre sostenuto che rinegoziazione e uscita messe insieme sarebbero nefaste. E soprattutto, quale debito? Visto che il 70% è posseduto da risparmiatori italiani?
NN DICA CORBELLERIE!
Per la composizione del debito italiano basta andare al sito di Bankitalia.
Dati aprile 2013: solo il 13% dei titoli di stato è in mano a risparmiatori italiani. Il resto a banche, italiane ed estere, che ci lucrano sopra.
Per l'esatezza banche e fondi esteri posseggono quasi il 40% dei titoli di debio dello Stato.
E quel 13% che fine farà?
E riguardo a cio che sosteneva Brancaccio?
A me risulta che Brancaccio abbia scritto una cosa diversa, e cioè che il ripudio del debito SENZA uscita dall'euro sarebbe una iattura.
Il motivo, spiega Brancaccio, è che se tu ripudi il debito ma poi resti in disavanzo commerciale verso l'estero, poi sarai costretto a rifinanziare il debito, e i creditori internazionali a quel punto te la fanno pagare cara. Per questo, dice Brancaccio, un eventuale ripudio dovrebbe essere accompagnato da una politica che punti al pareggio dei conti verso l'estero, e l'uscita dall'euro rappresenta un tassello (oltretutto nemmeno sufficiente) di questa politica.
Brancaccio ha chiarito il punto sia quando si è trattato di spiegare la cosa a Cremaschi e al movimento No-Debito, sia quando si è trattato di spiegare la cosa ai grillini.
Mino
Ringrazio Mino per il chiarimento. Non so esattamente la posizione di Brancaccio, a questo punto la studierò meglio, ma giustamente un'uscita dall'euro potrebbe portare le partite commerciali in pareggio, ma come giustamente hai puntualizzato tu non è detto che un'uscita automaticamente possa realizzarlo. Forse con politiche più a vantaggio del capitale questo potrebbe ottenersi (volgarmente l'uscita di destra), e comunque tessendo nuovi rapporti commerciali con altri paesi (se si decide di uscire anche dal mercato unico europeo).
Magari mi sbaglio, ma non capisco quindi a cosa serva ripudiare il debito pubblico. Discorso cambia invece se si tratta di debito privato, quello si che è il vero abominio.
Scrivete:
il blocco dominante è certamente ostinato
Concordo, anche questa notizia può essere letta nel quadro dell'ostinazione del blocco dominante contro qualcuno che da tempo cerca di sganciarsi?
Ammetto di averlo scoperto la cosa poco fa. Mi pare una notizia di una certa rilevanza, un po' off-topic ma non troppo direi, trascurata (guarda caso) dal mainstream.
SollevAzione può darne una lettura?
Giustamente ci viene chiesto come “ripudieremmo” il debito. La richiesta di concretezza è giusta e salutare, ma ovviamente non è possibile in tutti gli articoli scendere nei dettagli di ogni questione toccata.
In ogni caso può essere utile la lettura di questo articolo, specie nella sua parte finale:
CANCELLARE IL DEBITO
E’ vecchio di due anni, e le cifre riportate sono nel frattempo un po’ mutate. Tuttavia l’importante è il ragionamento che lì ho cercato di svolgere.
Naturalmente quell’articolo non intendeva proporre “una linea”, ma solo un’ipotesi di lavoro. Il suo scopo principale era quello di dimostrare che l’obiettivo dell’abbattimento del debito è – naturalmente a certe condizioni – realistico e praticabile.
Nel merito è ovvio che possono esserci diversi aspetti da discutere. Ma, appunto, ben venga la discussione. Perché se è vero che dettagliare troppo può oggi non essere necessario, restare fermi a delle mere posizioni di principio di certo non è più (ammesso e non concesso che lo sia mai stato) sufficiente.
Leonardo Mazzei
Ringrazio Leonardo Mazzei per la gentile risposta. Leggerò volentieri l'articolo da Lei postato
@Redazione
@Mino
Brancaccio dice esplicitamente che o si ristruttura o si esce e non tutti e due, doppia eventualità che Emiliano definisce "funesta" (ossia Mino ha capito l'esatto contrario di quello che ha scritto E.B.).
Riporto le parole di Brancaccio con il link (il brano è alla fine dell'articolo)
"(*) Il ragionamento delinaeto era in realtà diverso. Nella intervista affermavo che una ristrutturazione unilaterale del debito, attuata senza risolvere il problema del disavanzo delle partite correnti, implica l’esigenza per il paese di tornare a chiedere prestiti all’estero appena dopo avere rifiutato di pagare quelli assunti in precedenza. Questà eventualità sarebbe funesta, il che chiarisce che la ristrutturazione, presa a sé stante, è una soluzione logica alternativa e potenzialmente caratterizzata da più inconvenienti rispetto a uno sganciamento dalla moneta unica. E.B."
Link
http://www.emilianobrancaccio.it/2013/06/24/brancaccio-sul-documento-del-m5s-il-reddito-di-cittadinanza-ha-dei-limiti-occorre-un-piano-che-punti-a-creare-occupazione/
Ho due domande per Redazione:
1) Cosa ne pensate delle parole di Brancaccio?
2) Bello l'articlo di Mazzei che condivido in pieno. Piccolo particolare: come si fa a risvegliare il popolo? Senza risveglio non si andrà da nessuna parte ma Mazzei parla di tutto meno di come operare questa pesa di coscienza. Voi avete un piano? Pensate che ci penserà la divina provvidenza? Che succederà non si sa come, non si sa quando, ma succederà per forza?
Sarebbe bello che ogni tanto si parlasse più in concreto di questo problema centrale.
Siete davvero incredibili!
Leggete un articolo su un tema già complesso e controverso come la crisi di debito sovrano e il suo legame con la questione della sovranità monetaria. fate i complicmenti perché lo ritenete ottimo.
Poi...
Poi...
«L'articolo non dice... come si risveglia il popolo».
ma Dio santo!!!!!!!
Non si può dire tutto in un singolo articolo. Con un po' di pazienza si può navigare in sollevazione e trovare alcune risposte alla domande.
E comunque, come scrisse Pasquino: «Il popolo si sveglia quando decide lui».
Scusate, ma ve la prendete pure quando uno vi fa i complimenti?
Diamoci una regolata per cortesia che ho fatto due domande e non avete risposto a nessuna.
Non sto dicendo che siete obbligati a rispondermi naturalmente però già che avete risposto potevate dirmi cosa ne pensate di quello che scrive Brancaccio, che mi interessa il vosto parere (e altri ne hanno discusso nei commenti quindi interessa anche a loro).
Sul problema del popolo mi spiace ma è la cosa più importante, anzi l'unica cosa che conta; poi ognuno la vede come gli pare.
Secondo me occorre un attivismo maggiore e soprattutto è necessario cooptare qualcuno con un curriculm importante sennò la maggioranza non gli darebbe retta.
Non è una critica a voi, spero che si capisca.
Allora.
Sul problema della sollevazione e della rivolta popolare consigliamo di leggere due cose (tra le altre che abbiamo scritto):
La prima:
PERCHE' QUESTO MORTORIO SOCIALE
La seconda:
LA CATASTROFE SOCIALE E LA SOLLEVAZIONE
In quanto al compagno Brancaccio ci ripromettiamo di tornare con precisione.
Grazie molto gentili.
E' importante che ci sia un dialogo costante.
Scusatemi, e non fraintendetemi, “ sono con voi”, perché mi ritrovo concorde con le vostre analisi, proposte, e ideali sociali.
Però, siccome sono un po’ dubbioso sulla faccenda della cancellazione del debito pubblico, mi chiedo, e vi chiedo; cos’è che rende insostenibile il debito pubblico? Non è forse l’interesse che ci paga sopra? O il debito in se stesso?
Non sarebbe sufficiente non pagare interessi, blocco dei movimenti di capitali, ripristino della scala mobile, etc.? O meglio pagare interessi reali negativi, (come propone l’ARS, per esempio, “per indorare la pillola”). REPRIMERE LA RENDITA FINANZIARIA E INSTAURARE UN SISTEMA FINANZIARIO NAZIONALE
Se l’obbiettivo è;
Lo sganciamento dal capitalismo-casinò,
La riconquista della sovranità monetaria, conditio sine qua non per impostare una qualsiasi politica economica, condizione imprescindibile per qualsiasi politica orientata alla difesa degli interessi delle classi popolari.
Impedire alla finanza internazionale di strangolare il Paese.
La nazionalizzazione dell'intero sistema bancario, da sottrarre integralmente ai meccanismi della speculazione.
La nazionalizzazione dei settori strategici dell'economia (energia, trasporti, telecomunicazioni), che devono essere chiamati a rispondere alle esigenze sociali, non agli appetiti degli azionisti.
Allestire un piano di sviluppo energetico, industriale, occupazionale, etc., svincolato dai meri criteri di competitività e di profitto.
Etc.
Questi obbiettivi, con la “repressione della rendita finanziaria” non si ottengono ugualmente? E non è “forse” più “aggregante”?
Però, allo stesso tempo mi chiedo, e vi chiedo; ma con il sistema della “repressione della rendita finanziaria”, come funzionerebbe con il debito detenuto dall’estero?
Potreste chiarirmi un po’ le idee sulle differenze tra i due sistemi?
Nunzio
Scusatemi, e non fraintendetemi, “ sono con voi”, perché mi ritrovo concorde con le vostre analisi, proposte, e ideali sociali.
Però, siccome sono un po’ dubbioso sulla faccenda della cancellazione del debito pubblico, mi chiedo, e vi chiedo; cos’è che rende insostenibile il debito pubblico? Non è forse l’interesse che ci si paga sopra? O il debito in se stesso?
Non sarebbe sufficiente non pagare interessi, blocco dei movimenti di capitali, ripristino della scala mobile, etc.? O meglio, pagare interessi reali negativi, (come propone l’ARS, per esempio, “per indorare la pillola”). REPRIMERE LA RENDITA FINANZIARIA E INSTAURARE UN SISTEMA FINANZIARIO NAZIONALE
Se l’obbiettivo è;
- Lo sganciamento dal capitalismo-casinò.
- La riconquista della sovranità monetaria, conditio sine qua non per impostare una qualsiasi politica economica, condizione imprescindibile per qualsiasi politica orientata alla difesa degli interessi delle classi popolari.
-Impedire alla finanza internazionale di strangolare il Paese.
- La nazionalizzazione dell'intero sistema bancario, da sottrarre integralmente ai meccanismi della speculazione.
- La nazionalizzazione dei settori strategici dell'economia (energia, trasporti, telecomunicazioni), che devono essere chiamati a rispondere alle esigenze sociali, non agli appetiti degli azionisti.
-Allestire un piano di sviluppo energetico, industriale, occupazionale, etc., svincolato dai meri criteri di competitività e di profitto.
-Etc.
Questi obbiettivi, con la “repressione della rendita finanziaria” non potrebbero essere raggiunti ugualmente? E non è “forse” più “aggregante”?
Però, allo stesso tempo mi chiedo, e vi chiedo; ma con il sistema della “repressione della rendita finanziaria”, come funzionerebbe con il debito detenuto dai creditori stranieri?
Potreste chiarirmi un po’ le idee sulle differenze tra i due sistemi?
Nunzio
Nunzio ci pone tre questioni: 1. Cos’è che rende insostenibile il debito? 2. Non sarebbe sufficiente praticare un po’ di “repressione finanziaria”? 3. Com’è possibile trattare in maniera differenziata i creditori interni e quelli esteri?
Provo a rispondere in maniera sintetica.
Dividendo in due parti data la lounghezza]
1. Il debito pubblico italiano è insostenibile sia per la sua consistenza che per gli interessi che genera. Due fattori che del resto si alimentano a vicenda. Non che esista una soglia magica sotto la quale il debito è astrattamente “sostenibile”, superata la quale diventa ad un tratto “insostenibile”. Questa era l’assurda teoria di “quota 90”, recentemente smentita ed anche ridicolizzata, a causa degli stessi calcoli “scientifici” che ne stavano alla base.
Se, però, tutti gli interventi volti a contenere l’aumento del debito, generano a loro volta una spirale senza fine che non solo produce recessione, ma anche nuovo debito, questo significa che nel concreto la soglia della sostenibilità è stata abbondantemente superata.
Certo, si può disquisire all’infinito sulla bontà di questa o quella misura, si può discutere se altre misure avrebbero dato risultati diversi, ma in termini macro-economici il risultato non sarebbe cambiato granché.
Possiamo dunque dire che il debito pubblico è insostenibile quando ogni tentativo di ridurlo per via ordinaria – cioè senza ristrutturazioni di alcun tipo – finisce sistematicamente per determinarne un nuovo aumento.
Questa definizione ha forse il vizio di essere un po’ troppo empirica, ma ha certamente il pregio di essere facilmente comprensibile.
Ora, l’Italia (ma anche la Grecia, il Portogallo, la Spagna...) non si trovano forse in una situazione di questo tipo?
[continua]
Leonardo Mazzei
[viene da sopra]
2. L’idea che sarebbe sufficiente la cosiddetta “repressione finanziaria” non regge. Del resto le banche centrali (Bce, Fed ecc.), con i loro bassissimi tassi, stanno praticando esattamente questa politica.
Ma mentre questa politica è certamente efficace nell’opera di potatura dei piccoli risparmi (basti pensare agli interessi praticati sui conti correnti bancari, vicini allo zero e lontanissimi dai tassi di inflazione), essa è del tutto inefficace nei confronti della grande finanza internazionale, dato che essa opera con tutt’altre modalità, spingendola semmai a giocare più decisamente sui prodotti finanziari più speculativi, come i derivati eccetera.
Chi pone questa questione parte dal presupposto che non vi siano le condizioni (rapporti di forza) per operare, con una decisione politica, una sostanziale riduzione del debito. Il presupposto di questo ragionamento è che lo sganciamento dai meccanismi del capitalismo-casinò non sia possibile.
Ma rimanendo in quei meccanismi, non è possibile nemmeno operare la “repressione finanziaria” sui titoli di Stato. Se questi titoli possono essere negoziati su qualunque piazza finanziaria, chi mai potrà obbligare i loro possessori ad accettare su un decennale l’1% anziché il 5% o il 6%? Ovviamente nessuno.
La vera repressione della rendita finanziaria – fatti salvi i piccoli risparmiatori – ha bisogno di decisioni drastiche, implicanti fra l’altro il blocco almeno temporaneo dei movimenti di capitale.
3. Come differenziare il trattamento dei vari tipi di creditori – non solo operando una distinzione tra quelli interni e quelli esteri – è una questione meramente politica. Dal punto di vista tecnico, come si è visto nel caso di Cipro, ed ancor di più in quello greco, questa differenziazione non è certo un problema.
Questa questione ci rimanda tuttavia alla necessità di un taglio davvero sostanziale del debito, perché solo in questo modo sarà possibile diventare indipendenti dai mercati finanziari.
Se non si costruisce questa indipendenza è chiaro che sarà sempre difficile operare i tagli necessari, dato che una banca estera x che ha perso il suo investimento in Btp non tornerebbe ad acquistarne di nuovi almeno per alcuni anni.
Solo mettendosi nella condizione di massima indipendenza possibile (non dimentichiamoci che l’Italia è già da diversi anni in avanzo primario), sarà possibile tagliare le unghie alle sanguisughe della finanza internazionale.
Leonardo Mazzei
"solo il 13% dei titoli di stato è in mano a risparmiatori italiani. Il resto a banche, italiane ed estere, che ci lucrano sopra. "
il piccolo problema è che le banche italiane hanno una grandissima esposizione ai titoli di stato, e quindi se viene azzerato il loro valore, falliranno subito. Ma il fallimento di una banca vuol dire anche azzeramento di tutti i conti correnti (perchè nessuna banca ha riserve pari alla somma dei depositi, la storiella dei 100.000 euro a conto garantiti se la possono bere i bambini, gli adulti capiscono benissimo che se un'Unicredit fallisce nessuno potrà gaantire il rimborso totale ai milioni di suoi correntisti). Insomma, qualsiasi italiano che ha dei soldi in banca perderà TUTTO, e non solo i Bot. Pensare che il danno per i risparmiatori italiani sarà solo nell'azzeramento dei titoli di stato è da ingenui, e voi non siete ingenuti.
Solo un piccolo appunto che forse è sfuggito.L' uscita dall' euro e il ritorno alla lira in sistema di cambi flessibili produrrebbe una svalutazione della stessa del differenziale di inflazione verso la moneta dell' altro stato.Questo è ristrutturare di fatto ma con la lex monetae non darebbe problemi con il debito tra italiani.La moneta fiat da sola produrrebbe il pareggio di bilancio sostanziale in quanto se importiamo troppo si deprezza la ns valuta e quindi diventiamo competitivi con l' estero e esportiamo di più.In sostanza tutto sta nella moneta fiat ne più ne meno.
Demetrio
Un antico proverbio così dice: "Fin che il medico pensa, il malato muore". Nel caso italiano il malato, per quanto non sia agonizzante come la Grecia, sta per andare in coma: si vedrà nei prossimi sei-otto mesi, anche meno. Purtroppo.
Visto che da più parti si tira a campare come niente fosse e da altre parti si propongono soluzioni drastiche, ma difficilmente prevedibili nei loro esiti in base alle elucubrazioni teoriche degli economisti, visto e considerato che il malato se non si fa qualcosa morirà senza dubbio, non resta che una soluzione: buttarlo in acqua. Cioè, vale a dire: tentare sperimentalmente il ridimensionamento del debito e l'uscita dall'euro.
Forse quelli che ci hanno messo il giogo dell'euro non hanno fatto anch'essi un esperimento rischioso?
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