27 luglio. Volentieri pubblichiamo questo articolo di Marino Badiale che ci racconta della diatriba sull'euro e l'Unione europea tra due prestigiosi intellettuali della sinistra tedesca. Esattamente tra il sociologo Wolfgang Streeck [1], nella foto, e il socialdemocratico Jurgen Habermas, celeberrimo filosofo. Il primo critico dell'Unione europea e dell'euro, il secondo a favore. Streeck cita, nella sua critica serrata alla costruzione europea come costitutivamente antidemocratica, il noto economista liberista austriaco Friedrich Von Hayek, secondo il quale ogni costruzione federale tra Stati capitalisti diversi (che lui da buon liberista si augurava) avrebbe necessariamente portato al totale predominio delle leggi di mercato sulle regole politiche democratiche [2].
Ne La lettura, l'inserto del Corriere della Sera, di domenica scorsa, un articolo di Maurizio Ferrara ci informa su un interessante dibattito, svoltosi recentemente in Germania, fra W. Streeck, affermato sociologo, e J. Habermas, il celebre filosofo.
Il primo ha scritto un libro nel quale sostiene, fra l'altro, la necessità di "smantellate" l'euro, il secondo lo ha criticato sulla stampa tedesca. Non leggo il tedesco, quindi non posso discutere le tesi di Habermas. Per fortuna, invece, il libro di Streeck è stato rapidamente tradotto.
Si tratta di un testo di grande interesse. Streeck riesce infatti a offrire una ricostruzione chiara, sintetica e organica di ciò che è successo nei paesi avanzati a partire dalla crisi del keynesismo negli anni Settanta. Dopo aver ricordato rapidamente gli aspetti fondamentali di tale crisi, Streeck discute le varie fasi della risposta neoliberista ad essa. Egli prende in esame quelli che giudica come tentativi per “guadagnare tempo” da parte dei ceti dominanti, come tentativi cioè di mediare fra la necessità di smantellare le strutture dello Stato sociale, che avevano assicurato la pace sociale nel “trentennio dorato”, e la necessità di conservare un minimo di consenso e di coesione sociali. L'inflazione degli anni Settanta, la crescita del debito pubblico negli anni successivi ed infine la finanziarizzazione dell'economia, che ha permesso un indebitamento di massa capace di sostenere almeno in parte i consumi, sono fasi lette da Streeck nel modo che s'è detto.
Nel frattempo però si consolidava l'organizzazione istituzionale neoliberista che a poco a poco distruggeva sia i diritti conquistati dai ceti subalterni, sia la democrazia, che viene vista come una fastidiosa ed erronea intromissione nelle leggi dell'economia.
Una delle cose più interessanti di questo libro è che Streeck non ha il minimo dubbio sul fatto che Unione europea ed euro siano semplicemente le forme concrete con cui si attua in Europa la dinamica neoliberista di distruzione dello Stato sociale e della democrazia, come appare evidente da passaggi come questo:
Queste tesi fondamentali vengono sostenute con molti argomenti, anch'essi di grande interesse. Per fare solo un esempio, alle pagg. 205-209 Streeck spiega perché l'idea di una “Europa democratica” sia un semplice specchietto per le allodole: occorrerebbe infatti una Costituzione democratica discussa e votata da un'assemblea costituente europea, ma una cosa del genere è oggi impossibile, vista le varietà e diversità dei popoli europei. Pensiamo ai problemi di far convivere realtà locali diverse in paesi come il Belgio o la Spagna. Ebbene, nota Streeck,
Quanto alle obiezioni di Habermas riportate da Ferrara nell'articolo citato, per ora, aspettando di poterle leggere in una lingua a me accessibile, mi limito ad esprimere il mio dissenso rispetto alla tesi che nel libro sia presente una “implausibile teoria della cospirazione”. L'analisi riguarda i problemi del ciclo del capitale e quelli di legittimazione sociale, e non i complotti degli Illuminati.
Nel breve spazio di un post non posso approfondire i tanti spunti che il libro offre, quindi non proseguo nell'esposizione dei suoi contenuti, e mi limito a raccomandarne la lettura.
Non è male in ogni caso scoprire che non siamo soli, che le cose che andiamo elaborando sono discusse e approfondite nei posti e dalle persone che non ti saresti aspettato. Rubando una bella espressione a Fortini, si può pensare a Streeck come ad uno degli “amici del futuro”, una delle persone con le quali ci incontreremo arrivando da percorsi diversi, senza averlo immaginato o programmato.
Appendice
Il libro che stiamo discutendo contiene una autentica “chicca”, che non potevo non segnalare. Alle pagg. 118-124 viene infatti discusso un saggio di Hayek del 1939, The Economic Conditions of Interstate Federalism.
Si tratta ovviamente della stessa tesi che abbiamo sostenuto più volte nel nostro libro e in questo blog: non esiste un popolo europeo che possa essere la base sociale di uno “Stato sociale europeo”. E' impressionante la lucidità di Hayek, che aveva capito tutto questo nel 1939. Tanto di cappello.
Ma la cosa davvero impressionante sono gli attuali “intellettuali di sinistra” che questa cosa non la capiscono nemmeno oggi, 2013, nemmeno dopo che tutto ci è stato squadernato davanti. E magari sono gli stessi che pensosamente si interrogano sui motivi della crisi della sinistra...
NOTE
[1] Di Wolfgang Streeck segnaliamo The crisis of democratic capitalism, un analisi formidabile sulla crisi del lungo ciclo keynesiamo postbellico e l'avvento di quello neoliberista.
[2] In questo articolo segnalavamo che esponenti del F.V.Hayek Institute fossero tra i firmatari assieme ad Alberto Bagnai del "Manifesto della solidarietà europea".
* Fonte dell'articolo di Badiale: MAINSTREAM
Ne La lettura, l'inserto del Corriere della Sera, di domenica scorsa, un articolo di Maurizio Ferrara ci informa su un interessante dibattito, svoltosi recentemente in Germania, fra W. Streeck, affermato sociologo, e J. Habermas, il celebre filosofo.
Il primo ha scritto un libro nel quale sostiene, fra l'altro, la necessità di "smantellate" l'euro, il secondo lo ha criticato sulla stampa tedesca. Non leggo il tedesco, quindi non posso discutere le tesi di Habermas. Per fortuna, invece, il libro di Streeck è stato rapidamente tradotto.
Si tratta di un testo di grande interesse. Streeck riesce infatti a offrire una ricostruzione chiara, sintetica e organica di ciò che è successo nei paesi avanzati a partire dalla crisi del keynesismo negli anni Settanta. Dopo aver ricordato rapidamente gli aspetti fondamentali di tale crisi, Streeck discute le varie fasi della risposta neoliberista ad essa. Egli prende in esame quelli che giudica come tentativi per “guadagnare tempo” da parte dei ceti dominanti, come tentativi cioè di mediare fra la necessità di smantellare le strutture dello Stato sociale, che avevano assicurato la pace sociale nel “trentennio dorato”, e la necessità di conservare un minimo di consenso e di coesione sociali. L'inflazione degli anni Settanta, la crescita del debito pubblico negli anni successivi ed infine la finanziarizzazione dell'economia, che ha permesso un indebitamento di massa capace di sostenere almeno in parte i consumi, sono fasi lette da Streeck nel modo che s'è detto.
Jurgen Habermas |
Una delle cose più interessanti di questo libro è che Streeck non ha il minimo dubbio sul fatto che Unione europea ed euro siano semplicemente le forme concrete con cui si attua in Europa la dinamica neoliberista di distruzione dello Stato sociale e della democrazia, come appare evidente da passaggi come questo:
«chi rifiuta la “globalizzazione” perché essa sottomette il mondo a un'unica legge di mercato, obbligandolo alla convergenza, non può decidere di rimanere ancorato all'euro dato che impone proprio questo modello all'Europa» (pag. 215)o questo:
«Chiedere di smantellare l'Unione monetaria in quanto progetto di modernizzazione tecnocratica socialmente spericolato, che espropria politicamente e divide economicamente i popoli dello stato che compongono il vero popolo europeo, appare una plausibile risposta democratica alla crisi di legittimazione di cui soffre la politica neoliberista» (pag.216)[per intendere quest'ultima citazione, occorre sapere che per “popolo dello stato” l'autore intende il popolo dei cittadini dello Stato-nazione, contrapposto al “popolo del mercato” che trova il suo piano naturale di azione nella dimensione della finanza globalizzata].
Queste tesi fondamentali vengono sostenute con molti argomenti, anch'essi di grande interesse. Per fare solo un esempio, alle pagg. 205-209 Streeck spiega perché l'idea di una “Europa democratica” sia un semplice specchietto per le allodole: occorrerebbe infatti una Costituzione democratica discussa e votata da un'assemblea costituente europea, ma una cosa del genere è oggi impossibile, vista le varietà e diversità dei popoli europei. Pensiamo ai problemi di far convivere realtà locali diverse in paesi come il Belgio o la Spagna. Ebbene, nota Streeck,
«Un costituente europeo dovrebbe affrontare gli stessi tipi di conflitti, ma moltiplicati e notevolmente complicati, tutti in una volta, e non all'interno di una Costituzione democratica già esistente, bensì come precondizione per la sua realizzazione» (pag.206)[Si veda qui un discorso simile che avevamo svolto tempo fa, proprio in relazione all'idea di una Costituzione europea].
Quanto alle obiezioni di Habermas riportate da Ferrara nell'articolo citato, per ora, aspettando di poterle leggere in una lingua a me accessibile, mi limito ad esprimere il mio dissenso rispetto alla tesi che nel libro sia presente una “implausibile teoria della cospirazione”. L'analisi riguarda i problemi del ciclo del capitale e quelli di legittimazione sociale, e non i complotti degli Illuminati.
Nel breve spazio di un post non posso approfondire i tanti spunti che il libro offre, quindi non proseguo nell'esposizione dei suoi contenuti, e mi limito a raccomandarne la lettura.
Non è male in ogni caso scoprire che non siamo soli, che le cose che andiamo elaborando sono discusse e approfondite nei posti e dalle persone che non ti saresti aspettato. Rubando una bella espressione a Fortini, si può pensare a Streeck come ad uno degli “amici del futuro”, una delle persone con le quali ci incontreremo arrivando da percorsi diversi, senza averlo immaginato o programmato.
Appendice
Friedrich Von Hayek |
Il libro che stiamo discutendo contiene una autentica “chicca”, che non potevo non segnalare. Alle pagg. 118-124 viene infatti discusso un saggio di Hayek del 1939, The Economic Conditions of Interstate Federalism.
In questo saggio Hayek discute le condizioni di un ordine internazionale rivolto alla pace. Hayek pensa ad una federazione di Stati, e la cosa davvero interessante è la sua discussione, come dice appunto il titolo, delle conseguenze economiche di una tale federazione. Con logica stringente, Hayek dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia, e quindi alla vittoria di politiche economiche liberiste (il che ovviamente dal suo punto di vista è un bene). Infatti una federazione per essere stabile ha bisogno di un sistema economico comune e condiviso, e quindi della libera circolazione di merci e capitali, e questo porterà ovviamente a una perdita di controllo dei singoli Stati sulle loro economie. Si potrebbe allora pensare che il controllo statale si sposti al livello federale. Il nuovo super-stato federale si riprenderebbe quei poteri di controllo sull'economia che i singoli Stati avranno perso. Hayek risponde di no. Perché l'intervento statale sull'economia presuppone la capacità di mediare fra interessi contrapposti, di accettare compromessi ragionevoli, che non ci sono, o sono più difficili, fra popoli di Stati diversi. Come scrive Streeck riassumendo Hayek,
«In una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee». (pagg.121-122)
Si tratta ovviamente della stessa tesi che abbiamo sostenuto più volte nel nostro libro e in questo blog: non esiste un popolo europeo che possa essere la base sociale di uno “Stato sociale europeo”. E' impressionante la lucidità di Hayek, che aveva capito tutto questo nel 1939. Tanto di cappello.
Ma la cosa davvero impressionante sono gli attuali “intellettuali di sinistra” che questa cosa non la capiscono nemmeno oggi, 2013, nemmeno dopo che tutto ci è stato squadernato davanti. E magari sono gli stessi che pensosamente si interrogano sui motivi della crisi della sinistra...
NOTE
[1] Di Wolfgang Streeck segnaliamo The crisis of democratic capitalism, un analisi formidabile sulla crisi del lungo ciclo keynesiamo postbellico e l'avvento di quello neoliberista.
[2] In questo articolo segnalavamo che esponenti del F.V.Hayek Institute fossero tra i firmatari assieme ad Alberto Bagnai del "Manifesto della solidarietà europea".
* Fonte dell'articolo di Badiale: MAINSTREAM
1 commento:
Fortunatamente c'è una cosa che Hayek non aveva previsto: il turbocapitalismo porta alla rovina le società che appesta. L'individualismo estremo non è compatibile col vincolo associato.
Per quanto i capitalisti riescano a scaricare sul gregge la propria sete di sangue, il sistema è sempre meno stabile. Io prevedo un ventennio di sgretolamento interno ed impoverimento generalizzato, al quale farà seguito una terza o una serie di terze guerre mondiali.
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