29 luglio. Chi aveva ancora dei dubbi sul fatto che quello capeggiato dal generale Abdel Fattah al-Sisi fosse un colpo di Stato in piena regola dovrà ricredersi.
Il nuovo uomo forte del regime aveva giustificato l’abbattimento del governo guidato dalla Fratellanza musulmana e l’arresto di Morsi e di decine di suoi dirigenti, come misure necessarie per “riportare l’ordine in Egitto”.
Al-Sisi mentiva sapendo di mentire.
Il golpe non poteva non scatenare la protesta di massa. Così è stato. Solo ieri ci sono state un centinaio di vittime, quasi tutti militanti della Fratellanza, ammazzati dal piombo dei militari e delle forze speciali della polizia. Ma è un conto solo approssimativo. Decine e decine di manifestanti feriti lottano negli ospedali tra la vita e la morte. Non è dato sapere quanti sono stati fatti prigionieri — secondo alcune fonti ci sono oggi in Egitto il doppio di prigionieri politici che ai tempi del vecchio regime.
Il Venerdì di sangue di ieri è stato l’acme di un’ondata di proteste che il regime dei militari ha represso nel sangue, facendo forse più vittime di quante ne fece Mubarak prima della sua caduta.
Un’ondata che la repressione arresterà o che precede verso una vera e propria guerra civile?
Di sicuro il pugno di ferro dell’Esercito, da sempre il vero dominus del paese, ha per scopo quello di evitare che lo scontro prenda la piega siriana. L’Esercito sembra agire sulla falsariga dell’Okrana, i servizi di intelligence russi ai tempi dello Zar, ovvero, scatenare preventivamente una miniguerra civile così da spingere allo scoperto le forze sovversive e quindi annientarle prima che possano diventare una vera e propria minaccia per il potere.
I militari del generale al-Sisi non avrebbero potuto mettere in atto il loro colpo di Stato senza essersi prima assicurati il sostegno (scandaloso) del movimento Tamarrud, dei cosiddetti “giovani ribelli”, quelli che nei mesi scorsi avevano dato vita alle manifestazioni contro il governo Morsi. Ora al-Sisi, incapace di fermare la protesta della Fratellanza che si sente defraudata della sua legittimità, esorta la folla a scendere di nuovo in strada. Questa chiamata di correo, se è una prova di debolezza dei militari, fa del Tamarrud una specie di truppa ausiliaria dei militari golpisti, e quindi lo espone ad una crisi ineluttabile. Ci sono già i primi segni dello sfaldamento dell’alleanza ampia che protestava contro il governo Morsi.
Proprio come in Siria la crisi ha tre livelli: interno, regionale e internazionale.
La società egiziana è spaccata in due, da una parte la Fratellanza musulmana che vorrebbe seguire una specie di via turca, dall’altra un blocco sociale composito che non ne vuole sapere di islamizzare istituzioni e società. Entrambi questi blocchi sono capeggiati dalle due opposte fazioni della borghesia egiziana. E’ una tragedia che le sinistre del paese, invece di occupare lo spazio indipendente tra queste due fazioni in lotta fra loro, una volta caduto Mubarak, abbiano scelto invece di fare la quinta ruota del carro dell’Esercito.
D’altra parte contro Morsi e la Fratellanza (che di errori politici in un anno e mezzo di governo ne hanno fatti a bizzeffe) si sono schierati anche i salafiti del partito al-Nour, notoriamente finanziati e schierati con l’Arabia saudita e la corrente islamica wahabita. In Egitto, come in Palestina, in Siria, in Tunisia e in tutto il mondo arabo, l’islam politico di filiazione saudita cerca in ogni modo di contrastare non solo l’sialam shiita filo-iraniano, ma anche la crescente influenza della Turchia e del suo islamismo in salsa neo-ottomana. Questa lotta tra sauditi e turchi attraversa tutto il mondo sunnita e dilania la stessa Fratellanza. E’ sintomatico che l’Arabia saudita, che non perdonò a Morsi il riavvio delle relazioni diplomatiche con l’Iran, abbia immediatamente riconosciuto il colpo di Stato.
Sul piano regionale ovviamente operano diversi altri attori, l’islam jihadista da una parte (al-Qaida si è schierata in difesa di Morsi), e i movimenti panarabisti tipo Baath siriano che hanno invece sostenuto il Golpe, così segnalando la loro opposizione frontale all’egemonismo neo-ottomano di Ankara e il riavvicinamento tattico ai sauditi.
Per quanto possa apparire strano ai complottisti che dietro ad ogni stormir di fronde vedono lo zampino del grande demiurgo nord-americano, la Casa Bianca sembra assistere impotente al precipitare degli eventi senza davvero poterli telecomandare.
Il caos egiziano complica infatti, e di molto, le cose agli americani.
Se fino a ieri gli equilibri regionali sembravano giocarsi solo in Siria, adesso l’Egitto potrebbe diventare un secondo epicentro della contesa geopolitica.
La contesa multipla per l’egemonia regionale tra Iran, Turchia e Arabia Saudita, impedisce agli americani di surdeterminare i conflitti mediorientali, sovraordinandoli e subordinandoli alle loro esclusive pretese imperiali.
Con grande prudenza e non senza imbarazzo la Casa Bianca spalleggia la coalizione sgangherata che vede unite, contro il regime di Bashar al-Assad le tre principali componenti islamiste: i filo-sauditi, i filo-turchi e i jihadisti — con questi ultimi che si stanno incuneando abilmente (e minacciosamente per gli americani) tra i tre principali litiganti islamisti regionali.
La verità è che gli Stati Uniti non sanno che pesci prendere, ciò che accresce il rischio che il caos egiziano, dopo il conflitto in Siria, accresca la possibilità che tutto il Medio oriente precipiti in una specie di Guerra dei Trent’anni. Una mediorientale pace di Westaflia è lontana.
* Fonte: Campo Antimperialista
Il nuovo uomo forte del regime aveva giustificato l’abbattimento del governo guidato dalla Fratellanza musulmana e l’arresto di Morsi e di decine di suoi dirigenti, come misure necessarie per “riportare l’ordine in Egitto”.
Al-Sisi mentiva sapendo di mentire.
Il golpe non poteva non scatenare la protesta di massa. Così è stato. Solo ieri ci sono state un centinaio di vittime, quasi tutti militanti della Fratellanza, ammazzati dal piombo dei militari e delle forze speciali della polizia. Ma è un conto solo approssimativo. Decine e decine di manifestanti feriti lottano negli ospedali tra la vita e la morte. Non è dato sapere quanti sono stati fatti prigionieri — secondo alcune fonti ci sono oggi in Egitto il doppio di prigionieri politici che ai tempi del vecchio regime.
Il Venerdì di sangue di ieri è stato l’acme di un’ondata di proteste che il regime dei militari ha represso nel sangue, facendo forse più vittime di quante ne fece Mubarak prima della sua caduta.
Un’ondata che la repressione arresterà o che precede verso una vera e propria guerra civile?
Di sicuro il pugno di ferro dell’Esercito, da sempre il vero dominus del paese, ha per scopo quello di evitare che lo scontro prenda la piega siriana. L’Esercito sembra agire sulla falsariga dell’Okrana, i servizi di intelligence russi ai tempi dello Zar, ovvero, scatenare preventivamente una miniguerra civile così da spingere allo scoperto le forze sovversive e quindi annientarle prima che possano diventare una vera e propria minaccia per il potere.
I militari del generale al-Sisi non avrebbero potuto mettere in atto il loro colpo di Stato senza essersi prima assicurati il sostegno (scandaloso) del movimento Tamarrud, dei cosiddetti “giovani ribelli”, quelli che nei mesi scorsi avevano dato vita alle manifestazioni contro il governo Morsi. Ora al-Sisi, incapace di fermare la protesta della Fratellanza che si sente defraudata della sua legittimità, esorta la folla a scendere di nuovo in strada. Questa chiamata di correo, se è una prova di debolezza dei militari, fa del Tamarrud una specie di truppa ausiliaria dei militari golpisti, e quindi lo espone ad una crisi ineluttabile. Ci sono già i primi segni dello sfaldamento dell’alleanza ampia che protestava contro il governo Morsi.
Proprio come in Siria la crisi ha tre livelli: interno, regionale e internazionale.
La società egiziana è spaccata in due, da una parte la Fratellanza musulmana che vorrebbe seguire una specie di via turca, dall’altra un blocco sociale composito che non ne vuole sapere di islamizzare istituzioni e società. Entrambi questi blocchi sono capeggiati dalle due opposte fazioni della borghesia egiziana. E’ una tragedia che le sinistre del paese, invece di occupare lo spazio indipendente tra queste due fazioni in lotta fra loro, una volta caduto Mubarak, abbiano scelto invece di fare la quinta ruota del carro dell’Esercito.
D’altra parte contro Morsi e la Fratellanza (che di errori politici in un anno e mezzo di governo ne hanno fatti a bizzeffe) si sono schierati anche i salafiti del partito al-Nour, notoriamente finanziati e schierati con l’Arabia saudita e la corrente islamica wahabita. In Egitto, come in Palestina, in Siria, in Tunisia e in tutto il mondo arabo, l’islam politico di filiazione saudita cerca in ogni modo di contrastare non solo l’sialam shiita filo-iraniano, ma anche la crescente influenza della Turchia e del suo islamismo in salsa neo-ottomana. Questa lotta tra sauditi e turchi attraversa tutto il mondo sunnita e dilania la stessa Fratellanza. E’ sintomatico che l’Arabia saudita, che non perdonò a Morsi il riavvio delle relazioni diplomatiche con l’Iran, abbia immediatamente riconosciuto il colpo di Stato.
Sul piano regionale ovviamente operano diversi altri attori, l’islam jihadista da una parte (al-Qaida si è schierata in difesa di Morsi), e i movimenti panarabisti tipo Baath siriano che hanno invece sostenuto il Golpe, così segnalando la loro opposizione frontale all’egemonismo neo-ottomano di Ankara e il riavvicinamento tattico ai sauditi.
Per quanto possa apparire strano ai complottisti che dietro ad ogni stormir di fronde vedono lo zampino del grande demiurgo nord-americano, la Casa Bianca sembra assistere impotente al precipitare degli eventi senza davvero poterli telecomandare.
Il caos egiziano complica infatti, e di molto, le cose agli americani.
Se fino a ieri gli equilibri regionali sembravano giocarsi solo in Siria, adesso l’Egitto potrebbe diventare un secondo epicentro della contesa geopolitica.
La contesa multipla per l’egemonia regionale tra Iran, Turchia e Arabia Saudita, impedisce agli americani di surdeterminare i conflitti mediorientali, sovraordinandoli e subordinandoli alle loro esclusive pretese imperiali.
Con grande prudenza e non senza imbarazzo la Casa Bianca spalleggia la coalizione sgangherata che vede unite, contro il regime di Bashar al-Assad le tre principali componenti islamiste: i filo-sauditi, i filo-turchi e i jihadisti — con questi ultimi che si stanno incuneando abilmente (e minacciosamente per gli americani) tra i tre principali litiganti islamisti regionali.
La verità è che gli Stati Uniti non sanno che pesci prendere, ciò che accresce il rischio che il caos egiziano, dopo il conflitto in Siria, accresca la possibilità che tutto il Medio oriente precipiti in una specie di Guerra dei Trent’anni. Una mediorientale pace di Westaflia è lontana.
* Fonte: Campo Antimperialista
4 commenti:
Analisi che fa un po'a cazzotti con quella di qualche giorno fa sempre di Campo Antimperialista.
http://sollevazione.blogspot.it/2013/07/egitto-lora-della-verita-per-la.html
Come potete leggere C.A. diceva che la sollevazione è veramente di popolo e non eterodiretta.
E' di popolo ma non nel senso che credete voi; non è etrodiretta ma nei suoi presupposti "arabi" era evidente che il suo punto centrale sarebbe diventata l'eterodirezione, mentre stando ai toni del primo articolo sembrava trattarsi di una presa di coscienza delle masse.
Scriveva C.A.:
"Stupidaggini. Nessun complotto poteva spingere milioni di cittadini a rischiare la pelle per abbattere la dittatura di Mubarak, né tantomeno oggi l’accusa di “cospirazione esterna” può spiegare le ragioni profonde di una protesta popolare tanto massiccia."
E ancora:
"Un rischio reale che potrà essere sventato solo a condizione che la mobilitazione non si fermi, nemmeno davanti alle probabili dimissioni di Morsi, e che vada fino alla vittoria, ovvero alla formazione di una assemblea costituente"
Ovviamente queste frasi non stanno né in cielo né in terra per chi conosca anche solo vagamente il nordafrica (ma insomma chiunqe abbia viaggiato un po' nel terzo mondo lo sa).
In Egitto non esiste il concetto di popolo che si "incazza"; c'è una mentalità simile a quella che poteva esserci da noi diversi secoli di fa, ossia vige una specie di principio di autorità per cui il popolo se si ribella lo fa solo perché sta chiamando un'altra autorità a prendersi carico dello Stato (tribù, religione o quello che è a seconda dei casi).
Per cui è del tutto assurda la frase di C.A. quando dice che dopo le "probabili" dimissioni di Morsi ( e anche lì altra toppa ) la protesta dovrebbe continuare per evitare "complicazioni".
La protesta da sola non avrebbe mai portato alle dimissioni di Morsi la deposizione del quale è avvenuta solo perché, come dicevo, un'altra autorità si è presa carico dello Stato; una volta entrata in gioco questa autorità la protesta NON POTEVA PIU' continuare se non trasformandosi in una specie di guerra civile in cui le spinte diventano da un lato il potere "stabilmente e regolarmente" insediato sostenuto da potenze straniere, dall'altro la religione, con buona pace delle istanze dei "lavoratori" (concetto che in nordafrica non significa quello che credete voi).
Questa è una cosa che gli occidentali non riescono a capire e infatti gli americani non sanno più come raccapezzarsi.
Da parte vostra invece insistete nelle stupidaggini dell'esaltazione della "rivolta di popolo" perché volete ostinatamente credere che "i lavoratori" a un certo punto, in qualche luogo del mondo, prendono coscienza.
Il lavoratore, e questo vale per lì ma anche per qui, non prenderà mai coscienza nei vostri termini se non a determinate condizioni che per il momento NON esistono; il che avrebbe delle implicazioni non banali e di primaria importanza per voi...
In fondo è come quando su Sollevazione Piemme (credo) ha scritto che scommetteva puubblicamente che Monti non sarebbe sceso in campo.
Una cantonata presa per il gusto di far vedere di saper dare l'interpretazione "definitiva" a tutti i costi; per farlo bisogna avere un'apertura mentale un tantino maggiore.
Molto capziose queste obiezioni.
per non parlare del tono spocchiso.
Stiamo ai fatti.
Ecco come si concludeva l'articolo "incriminato" del 2 luglio:
«Gli Stati Uniti di Obama, che finirono per abbandonare Mubarak al suo destino e consacrare l’ascesa al potere della Fratellanza, per adesso stanno alla finestra. Non hanno ancora deciso da quale parte far pendere il loro pendolo. La Casa Bianca pensa di essere in una botte di ferro avendo dalla sua il potente esercito egiziano, alle sue dipendenze e che detiene il potere di ultima istanza.
Il rischio, se l’Egitto precipitasse nel caos, potrebbe quindi essere un golpe militare. Un esercito che si porrebbe formalmente come organismo super partes, ma che finirebbe per imporre la propria dittatura per nome e per conto dell’amministrazione nordamericana».
EGITTO:L'ORA DELLA VERITA
Chiunque può giudicare, alla luce dei fatti, la solidità dell'analisi e della previsione.
Ma la questione qui è un'altra, il solito COMPLOTTISMO.
Mubarak cadde per la pressione formidabile della rivolta di popolo, che era composita, ma alla fine unita contro il comune nemico.
Una volta che la Fratellanza ha vinto le elezioni e posto Morsi al potere il movimento di massa che abbatté Mubarak si è diviso inevitabilmente in due fronti contrapposti.
Morsi è stato fatto secco dalla protesta massiccia, moltituddinaria, di quella parte di popolo che non lo votò e che gli ha contestato i suoi tentativi aautoritari.
Erano legittime le rivendicazioni di chi condannava il governo Moersi? Si lo erano.
Che i militari abbiamo sfuttato questa mobilitazione contro Morsi per farlo secco, è sotto gli occhi di tutti.
Sempre quando le masse entrano in scena, aprono varchi alle forze sistemiche in lotta fra di loro.
La frittata la si puà rigirare come si vuole, ma vien sempre fuori che senza i movimenti popolari svolte profonde non si producono mai; che i popoli, quando si alzano, sono i protagonisti della storia.
I complottisti pensano invece sempre che i popoli siano solo un gregge, manovrati dai soliti pupari.
Una concezione francamante reazionaria, elitista, ci vien da dire fascista. A bel leggere il commento anche razzista.
Oh, finalmente. Grande redazione! Il complottismo è quasi sinonimo di fascismo. Non li sopporto più gli squinternati che parlano di scie kimike e cavolate varie.
PS:
Il mio riferimento non è all'anonimo del primo commento, ma sfogo personale
Complottisti per lo meno fate un favore, non occupatevi di politica che fate solo danni e iniettate in chi ha voglia di farla sul serio una specie di gas soporifero fatto di fatalismo.
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