15 luglio. Quando qualcuno ha diffuso la notizia che la Finlandia avrebbe l’intenzione di uscire dall’euro mi sono ricordato di un money game che Thomas Friedman pubblicò sul New York Times alla fine del 1996.
Immaginate – diceva Friedman – una Finlandia che ha i conti in ordine ma li ha perché si basa su due soli settori: telefonia e carta. Immaginate che uno dei due settori vada in crisi. Che vada in crisi la Nokia o che i russi dopo anni di difficoltà tornino sul mercato della carta e spazzi via come birilli svedesi, norvegesi e – appunto – finlandesi. La Finlandia dentro l’euro non può battere moneta e quindi non può svalutare il cambio. Se vuole sopravvivere deve fare esattamente due cose: o esce dall’euro o comincia ad abbassare i salari.Non essendoci una politica fiscale europea i finlandesi dovrebbero andarsi a cercare lavoro altrove. Money game. Come vedete vi cito un giornalista e non un articolo di qualche convegno o di qualche economista. Il problema c’era e bastava capire l’abc.
Il problema non è l’intuibilità dei problemi di un cambio fisso. Il problema non è neppure la sovranità nazionale sulla moneta. I Tedeschi non ne avevano bisogno. A loro interessava il sistema del Mercato Unico che funzionava benissimo anche senza moneta unica. I tedeschi sapevano benissimo che bisognava andare cauti. Due dirigenti politici della CDU: Wolfgang Schäube e Karl Lammers lanciarono l’idea della Kerneuropa. Un euro nel quale per almeno due anni dovessero stare fuori Portogallo, Spagna, Italia e Grecia. E di questa idea era Chirac, l’allora ministro delle finanze Wagel, gli olandesi. L’articolo 105 del Trattato di Maastricht prevedeva (e prevede) che la priorità assoluta debba essere data alla stabilità dei prezzi. L’articolo 107 prevedeva e prevede l’indipendenza della BCE. Il Patto di Dublino del 1996 obbligava i paesi membri a mantenere il rapporto deficit/PIL nel tetto massimo del 3%. L’Articolo 104c, comma 11 stabiliva e stabilisce meccanismi di punizione in caso di sforamento. Punizioni che sono, di fatto, la perdita della autonomia economica del paese trasgressore.
L’idea di Kerneuropa non era male. Ma noi, gli spagnoli, i portoghesi decisero di raggiungere i criteri stabiliti entro il 1997. La ragione era semplice: la distanza tra le valute del sud europa e il marco in termini di tassi diminuiva quando si faceva concreta la possibilità di una adesione immediata. Si temeva che ritardare l’entrata avrebbe comportato perdita di fiducia dei mercati. Lo spread sarebbe aumentato e la possibilità in due anni di salire sul treno dell’euro in corsa si sarebbe allontanata perché il rapporto deficit/PIL sarebbe ancora aumentato. Bisognava fare in fretta e salire subito sul treno.
Qualcuno si dimentica che nel maggio del 1996 i tedeschi non volevano che la lira rientrasse nello SME-2. Che ci fu una lunghissima e aspra trattativa. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung preconizzava che, per sfuggire alle regole, gli italiani avrebbero creato “patti di interesse con gli altri paesi in difficoltà”. L’euro, preconizzavano, sarbbe stato più debole del marco. Ma non era per passare da una valuta forte ad una debole che i tedeschi accettavano di entrare nell’Euro. Nel novembre del 1996 il Sole24Ore pubblicava una inchiesta dalla quale risultava che i cittadini tedeschi non avrebbero voluto un euro con dentro gli italiani. Il 5 aprile del 1997 al consiglio Ecofin di Noordwijk il ministro delle finanze Tetmeyer disse. “la convergenza dei tassi di interesse a lungo termine riflette le politiche economiche e la gestione fiscale. Ma se la convergenza fosse basata solo sulle aspettative che certi Paesi diventino membri dell’unione monetaria, ciò potrebbe diventare pericoloso per i paesi interessati”.
Non vi sto dicendo questo per dirvi che i tedeschi non ci volevano nell’Euro. Questa è storia e dovrebbero conoscerla anche gli econometristi di Pescara. Non sto dicendo che nell’Euro ci siamo voluti entrare per forza o per amore noi, consapevoli di tutte le regole. Anche questo è un fatto ovvio. Quel che vi sto dicendo è che i Tedeschi l’Euro non lo volevano ma l’Euro è stato il prezzo per riunificare il Paese. Quando i Tedeschi annunciarono la loro intenzione di riunificare le due Germanie Mitterand era letteralmente imbestialito. Andò in visita ufficiale a Kieve, incontrò Gorbaciov chiedendogli esplicitamente che l’Unione Sovietica agonizzante si opponesse. Poi andò in Germani Est e pubblicamente annunciò che la Francia sosteneva l’esistenza in vita della Germania Orientale. Tutto questo succedeva nel dicembre del 1989. Poi – neppure fosse il miracolo di Lourdes – nell’aprile 1990 Kohl e Mitterand firmarono un protocollo bilaterale nel quale Parigi e Berlino annunciavano la loro intenzione di far compiere all’Unione Europea un passo in avanti. L’Euro in cambio della riunificazione. E Berlino accettò la proposta francese ma pretese alcune garanzie che sono poi quelle del Trattato di Maastricht. Ma le garanzie chieste dalla Germania – appunto – non sono state scritte di nascosto. Stavano lì. Nessuno ha costretto nessuno. E non si vede perché la Germania avrebbe dovuto accettare di passare da un Marco forte ad un Euro debole senza regole. Il tentativo di far fare anticamera all’Italia e agli altri Paesi del sud Europa attraverso il progetto della Kerneuropa mirava a ridurre il sapore di una polpetta indigesta per i Tedeschi.
2013. Ha perfettamente ragione Brancaccio quando lancia l’avvertimento a proposito dei “fire sales” ed ha profondamente ragione quando nota che alla Germania interessa l’Unione Europea e non l’Euro. Gli italiani vogliono far saltare la moneta unica? Magari! Sai che festa a Berlino. Magari se la fanno saltare senza predisporre quelle due o tre cose di base che ancora Brancaccio sottolinea (indicizzazione dei salari, ripristino temporaneo dei controlli amministrativi sui prezzi “base”, politiche di limitazioni degli scambi) anche meglio. Perché pensare di uscire da un quadro neoliberista semplicemente chiudendo la porta e lasciando la luce accesa, uscire dall’Euro come da ragazzini succedeva quando il padrone del pallone decideva di andarsene a casa è un assurdo (e non mi viene in mente altro eufemismo per non dire di peggio). Uscire dall’Euro non è una operazione facile facile, un “basta volerlo”, un prendere coscienza dell’implicito nazismo del sistema in cui ci siamo ficcati a tutta velocità. Ed è una operazione da asilo mariuccia suonare la trombetta e chiamare a raccolta contro gli “alamanni”. Perché se esci male ti ritrovi anche peggio. Ma non per le ragioni che gli euroentusiasti vagheggiano. L’armageddon non ci sarà per il semplice fatto di uscire dall’Euro. Ci sarà invece perché se venisse realizzata l’uscita come è stata realizzata l’entrata, a pagare il prezzo di tutto sarebbero sempre gli stessi poveracci che rimarrebbero con tutta la scatola di cerini in fiamme tra le mani. Uscire dall’Euro senza una chiara strategia del “come” fidandosi delle taumaturgiche possibilità della “sovranità monetaria” (che poi è un altro concetto bufala perché non esiste più una effettiva sovranità nazionale monetaria nel mercato globale) è la corsa dei lemming verso la scogliera.
Uscire dall’Euro rimanendo nell’Unione, dire insomma “abbiamo scherzato, riportiamo l’orologio al 1999” riscuoterebbe forti applausi a Berlino. Ci accompagnerebbero alla porta sorridendo a pacche sulle spalle. Non è l’Euro al tramonto ma l’Unione Europea nelle sue premesse teoriche. Ma questo non si può cogliere se non si è capaci di fare una seria analisi che vada al di là degli slogan da talk show. C’è una complessità là fuori che investe e richiede competenze complesse. Non ci sono solo aspetti economici da dominare con qualche sequenza di dati autoesplicanti. Ci sono questioni storiche, geopolitiche, sociali intrecciate le une con le altre. Ed ogni risposta semplice ad un problema complesso o è un atto di arroganza o un progetto in malafede, o tutte e due le cose insieme insieme.
* Fonte: irradiazioni
Immaginate – diceva Friedman – una Finlandia che ha i conti in ordine ma li ha perché si basa su due soli settori: telefonia e carta. Immaginate che uno dei due settori vada in crisi. Che vada in crisi la Nokia o che i russi dopo anni di difficoltà tornino sul mercato della carta e spazzi via come birilli svedesi, norvegesi e – appunto – finlandesi. La Finlandia dentro l’euro non può battere moneta e quindi non può svalutare il cambio. Se vuole sopravvivere deve fare esattamente due cose: o esce dall’euro o comincia ad abbassare i salari.Non essendoci una politica fiscale europea i finlandesi dovrebbero andarsi a cercare lavoro altrove. Money game. Come vedete vi cito un giornalista e non un articolo di qualche convegno o di qualche economista. Il problema c’era e bastava capire l’abc.
Il problema non è l’intuibilità dei problemi di un cambio fisso. Il problema non è neppure la sovranità nazionale sulla moneta. I Tedeschi non ne avevano bisogno. A loro interessava il sistema del Mercato Unico che funzionava benissimo anche senza moneta unica. I tedeschi sapevano benissimo che bisognava andare cauti. Due dirigenti politici della CDU: Wolfgang Schäube e Karl Lammers lanciarono l’idea della Kerneuropa. Un euro nel quale per almeno due anni dovessero stare fuori Portogallo, Spagna, Italia e Grecia. E di questa idea era Chirac, l’allora ministro delle finanze Wagel, gli olandesi. L’articolo 105 del Trattato di Maastricht prevedeva (e prevede) che la priorità assoluta debba essere data alla stabilità dei prezzi. L’articolo 107 prevedeva e prevede l’indipendenza della BCE. Il Patto di Dublino del 1996 obbligava i paesi membri a mantenere il rapporto deficit/PIL nel tetto massimo del 3%. L’Articolo 104c, comma 11 stabiliva e stabilisce meccanismi di punizione in caso di sforamento. Punizioni che sono, di fatto, la perdita della autonomia economica del paese trasgressore.
L’idea di Kerneuropa non era male. Ma noi, gli spagnoli, i portoghesi decisero di raggiungere i criteri stabiliti entro il 1997. La ragione era semplice: la distanza tra le valute del sud europa e il marco in termini di tassi diminuiva quando si faceva concreta la possibilità di una adesione immediata. Si temeva che ritardare l’entrata avrebbe comportato perdita di fiducia dei mercati. Lo spread sarebbe aumentato e la possibilità in due anni di salire sul treno dell’euro in corsa si sarebbe allontanata perché il rapporto deficit/PIL sarebbe ancora aumentato. Bisognava fare in fretta e salire subito sul treno.
Qualcuno si dimentica che nel maggio del 1996 i tedeschi non volevano che la lira rientrasse nello SME-2. Che ci fu una lunghissima e aspra trattativa. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung preconizzava che, per sfuggire alle regole, gli italiani avrebbero creato “patti di interesse con gli altri paesi in difficoltà”. L’euro, preconizzavano, sarbbe stato più debole del marco. Ma non era per passare da una valuta forte ad una debole che i tedeschi accettavano di entrare nell’Euro. Nel novembre del 1996 il Sole24Ore pubblicava una inchiesta dalla quale risultava che i cittadini tedeschi non avrebbero voluto un euro con dentro gli italiani. Il 5 aprile del 1997 al consiglio Ecofin di Noordwijk il ministro delle finanze Tetmeyer disse. “la convergenza dei tassi di interesse a lungo termine riflette le politiche economiche e la gestione fiscale. Ma se la convergenza fosse basata solo sulle aspettative che certi Paesi diventino membri dell’unione monetaria, ciò potrebbe diventare pericoloso per i paesi interessati”.
Non vi sto dicendo questo per dirvi che i tedeschi non ci volevano nell’Euro. Questa è storia e dovrebbero conoscerla anche gli econometristi di Pescara. Non sto dicendo che nell’Euro ci siamo voluti entrare per forza o per amore noi, consapevoli di tutte le regole. Anche questo è un fatto ovvio. Quel che vi sto dicendo è che i Tedeschi l’Euro non lo volevano ma l’Euro è stato il prezzo per riunificare il Paese. Quando i Tedeschi annunciarono la loro intenzione di riunificare le due Germanie Mitterand era letteralmente imbestialito. Andò in visita ufficiale a Kieve, incontrò Gorbaciov chiedendogli esplicitamente che l’Unione Sovietica agonizzante si opponesse. Poi andò in Germani Est e pubblicamente annunciò che la Francia sosteneva l’esistenza in vita della Germania Orientale. Tutto questo succedeva nel dicembre del 1989. Poi – neppure fosse il miracolo di Lourdes – nell’aprile 1990 Kohl e Mitterand firmarono un protocollo bilaterale nel quale Parigi e Berlino annunciavano la loro intenzione di far compiere all’Unione Europea un passo in avanti. L’Euro in cambio della riunificazione. E Berlino accettò la proposta francese ma pretese alcune garanzie che sono poi quelle del Trattato di Maastricht. Ma le garanzie chieste dalla Germania – appunto – non sono state scritte di nascosto. Stavano lì. Nessuno ha costretto nessuno. E non si vede perché la Germania avrebbe dovuto accettare di passare da un Marco forte ad un Euro debole senza regole. Il tentativo di far fare anticamera all’Italia e agli altri Paesi del sud Europa attraverso il progetto della Kerneuropa mirava a ridurre il sapore di una polpetta indigesta per i Tedeschi.
2013. Ha perfettamente ragione Brancaccio quando lancia l’avvertimento a proposito dei “fire sales” ed ha profondamente ragione quando nota che alla Germania interessa l’Unione Europea e non l’Euro. Gli italiani vogliono far saltare la moneta unica? Magari! Sai che festa a Berlino. Magari se la fanno saltare senza predisporre quelle due o tre cose di base che ancora Brancaccio sottolinea (indicizzazione dei salari, ripristino temporaneo dei controlli amministrativi sui prezzi “base”, politiche di limitazioni degli scambi) anche meglio. Perché pensare di uscire da un quadro neoliberista semplicemente chiudendo la porta e lasciando la luce accesa, uscire dall’Euro come da ragazzini succedeva quando il padrone del pallone decideva di andarsene a casa è un assurdo (e non mi viene in mente altro eufemismo per non dire di peggio). Uscire dall’Euro non è una operazione facile facile, un “basta volerlo”, un prendere coscienza dell’implicito nazismo del sistema in cui ci siamo ficcati a tutta velocità. Ed è una operazione da asilo mariuccia suonare la trombetta e chiamare a raccolta contro gli “alamanni”. Perché se esci male ti ritrovi anche peggio. Ma non per le ragioni che gli euroentusiasti vagheggiano. L’armageddon non ci sarà per il semplice fatto di uscire dall’Euro. Ci sarà invece perché se venisse realizzata l’uscita come è stata realizzata l’entrata, a pagare il prezzo di tutto sarebbero sempre gli stessi poveracci che rimarrebbero con tutta la scatola di cerini in fiamme tra le mani. Uscire dall’Euro senza una chiara strategia del “come” fidandosi delle taumaturgiche possibilità della “sovranità monetaria” (che poi è un altro concetto bufala perché non esiste più una effettiva sovranità nazionale monetaria nel mercato globale) è la corsa dei lemming verso la scogliera.
Uscire dall’Euro rimanendo nell’Unione, dire insomma “abbiamo scherzato, riportiamo l’orologio al 1999” riscuoterebbe forti applausi a Berlino. Ci accompagnerebbero alla porta sorridendo a pacche sulle spalle. Non è l’Euro al tramonto ma l’Unione Europea nelle sue premesse teoriche. Ma questo non si può cogliere se non si è capaci di fare una seria analisi che vada al di là degli slogan da talk show. C’è una complessità là fuori che investe e richiede competenze complesse. Non ci sono solo aspetti economici da dominare con qualche sequenza di dati autoesplicanti. Ci sono questioni storiche, geopolitiche, sociali intrecciate le une con le altre. Ed ogni risposta semplice ad un problema complesso o è un atto di arroganza o un progetto in malafede, o tutte e due le cose insieme insieme.
* Fonte: irradiazioni
16 commenti:
Anche questo articolo lo mettiamo sotto la voce "per riflettere".
Visco http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/13/alla-germania-nelleuro-servivamo-proprio-perche-deboli-parola-visco/228400/ e De Cecco http://temi.repubblica.it/micromega-online/letica-tedesca-e-lo-spirito-delleuro/ dicono il contrario. Per correttezza mi pareva giusto citare tali fonti. Saluti.
Meno male che anche fra gli anti euro cominciano a passare le idee di quest'articolo.
Uscire dall'euro non significa niente non solo se non si prenderanno i provvedimenti indicati nel post, ma soprattutto se la gente continuerà in questo stato di "assenza" totale civile e politica.
Se qualcuno pensa che uscendo dalla moneta unica si aprirà la strada a dei cambiamenti in favore del lavoro, del welfare e del rispetto delle prerogative costituzionali sulla sovranità del popolo, si sbaglia di grosso. A mio avviso nelle attuali condizioni qualsiasi scossone di una certa intensità porterà, al contrario, a limitazioni ancora maggiori della democrazia.
In parole povere, chi vuole il "cambiamento" attraverso l'uscita dall'euro si deve conveincere che forse ha anche ragione ma sarà solo l'inizio di una lotta durissima; per un lungo periodo staremo anche oeggio di adesso e capite bene che se non si ha ben chiaro questo punto non si va da nessuna parte.
Poi naturalmente uno ha la grande soddisfazione di dire che lui lo aveva detto, mel suo piccolo.
Meno male che anche fra gli anti euro cominciano a passare le idee di quest'articolo.
Uscire dall'euro non significa niente non solo se non si prenderanno i provvedimenti indicati nel post, ma soprattutto se la gente continuerà in questo stato di "assenza" totale civile e politica.
Se qualcuno pensa che uscendo dalla moneta unica si aprirà la strada a dei cambiamenti in favore del lavoro, del welfare e del rispetto delle prerogative costituzionali sulla sovranità del popolo, si sbaglia di grosso. A mio avviso nelle attuali condizioni qualsiasi scossone di una certa intensità porterà, al contrario, a limitazioni ancora maggiori della democrazia.
In parole povere, chi vuole il "cambiamento" attraverso l'uscita dall'euro si deve conveincere che forse ha anche ragione ma sarà solo l'inizio di una lotta durissima; per un lungo periodo staremo anche oeggio di adesso e capite bene che se non si ha ben chiaro questo punto non si va da nessuna parte.
Poi naturalmente alcuni hanno la grande soddisfazione di dire che loro lo avevano detto, nel loro piccolo e sono già contenti così quindi del resto si preoccupano meno.
Sraà peggio o sarà meglio senza euro?
Sbarazziamociper Dio! Dei paradigmi monetaristi. Il difetto capitale di numerosi sovranisti è che presentano il ritorno alla lira come salvifico di per sé. Un monetarismo al contrario.
LO sappiano o meno, quelli che parlano si sovranità monetaria senza spiegare il segno di classe della politica economica e sociale che occorrerà seguire una volta tornai alla lira, esprimono uan concezione capitalistica, difendono gli interessi di queata o quella fazione della classe dominante —che potrebbe usare lo shock dell'uscita per dare una mazzata storica alle classi lavoratrici.
Detto questo resta che l'abbandono dell'euro è la porta stretta attravesro cui passare per salvare sia il popolo lavoartire che tutto il paese.
Il problema politico è che l'uscita non deve essere lasciata pilotare da forze sociali capitaliste che, per quanto oggi perdenti, domani potrebbero fare peggio di chi ci ha portato al macello eurista.
Io resto allibito da commenti che si vedono su internet (non qui, non in questo post sia chiaro) ma sento gente che era di sinistra dire "Ah, se ci fosse la Le Pen voterei per lei" dimenticando o ignorando chi fosse stato il padre e dove sia nato il progetto eurista (fonte Paolo Barnard). E' comprensibile tale sfogo, ma sono dell'opinione che facendo così si distrugga anche quel residuo di buono che c'è a sinsitra (Emiliano Brancaccio, Il CSP di Marco Rizzo e gli stessi MPL e Campo Antimperialista).
Forse queste forze, pur essendo in inferiorità numerica debbono iniziare a lavorare serriamente su un progetto politico di ampio respiro e non confidare solo nel potersela giocare all'interno della sollevazione che verrà.
Questa ovviamente non è una polemica, ma un qualcosa a metà tra uno sfogo, una preoccpuazione e una previsione fosca cui spero si abbia una risposta. Salvatevi, giocate d'anticipo prima che il qualunquismo distruttivo faccia a pezzi anche le residue parti come voi che stanno lavorando per uscire dall'impero eurista per il bene delle classi più deboli
J.M
Il processo di integrazione euoropea non è stato solo il risultato dell'evidente, nuovo, esecrato progetto economico / sociale che la Germania ha posto in essere per riunificarsi.E'stata nel contempo la messa in campo di una politica dirigista accompagnata da diktat ferocemente antipopolari,e di una nuova divisione internazionale del lavoro che il capitale le ha assegnato come nazione guida dell'eurozona, da contrapporre all'altra d'oltre atlantico.I tedeschi di questo loro rinnovato ruolo all'interno dell'Ue ne erano perfettamente consapevoli,tant'è che ne hanno finora grandemente beneficiato a spese dei paesi "fannulloni".In termini marxiani si tratta della funzione che gli oligopoli devono darsi nel corso di una crisi di accumulazione.Sottovalutare quest'aspetto significa condannarsi al più devastante attacco alle condizioni di vita delle classi dominate.Bene,allora che fare?.Continuare ad assolverli perchè non è un problema di unione monetaria perseverando nell'analisi del meno peggio?Si dovrà fare i conti prima o poi con questa mostruosa costruzione degli assetti sociali,o,come sostiene l'autore di quest'intervento non si deve attaccare troppo la nefasta(per le classi subalterne),politica del rigore impostaci dalla Germania,pena la disordinata e catastrofica situazione che si verrebbe a creare?Non è necessario essere dei discepoli dell'economista di Pescara,per capire che la moneta unica è solo un aspetto del problema e che le sue radici non sono solo di natura "sovrastrutturale",ma affondano in quelle ben più concrete del riassetto della composizione del capitale a livello mondiale.In conclusione:tedeschi con il loro fardello storico(do you remember i campi di sterminio?), da assolvere perchè il reato non sussiste?
"In termini marxiani si tratta della funzione che gli oligopoli devono darsi nel corso di una crisi di accumulazione."
Puoi citare il capitolo e i paragrafi che mi interesserebbe leggerli?
Se puoi, grazie. ciao
Uno dei motivi fondanti di Mpl è stata appunto l''idea che fosse necessario e urgente dare vita ad un fronte popolare, democratico e sovranista per evitare che il crollo fosse gestito da forze reazionarie.
Da subito abbiamo tentato di mettere assieme le frange politiche che coniugano sovranismo, democrazia difesa defli interessi del popolo lavoratore.
Purtroppo tutti i nostri appelli sono andati a vuoto.
Un ostacolo è quello che noi chiamiamo "identitarismo": il mettere avanti alla volontà unitaria istanze ideologiche settarie —con la convinzione che esse siano tutto.
Non per questo demordiamo, il problema è che la situazione sta precipitando, che questa corre ad alta velocità mentre ciò che resta della sinistra che pur ragiona va a passo di tartaruga.
Nella realtà non funzionano i paradossi di Zenone.
I sinistrati si riomperanno la testa contro i fatti, un'altra volta. L'ultima.
E quindi una svolta reazionaria, contestuale allo shock della fine dell'euro, è altamente probabile.
Dobbiamo evitarla, perché altrimenti sarebbe una sconfitta storica per la classe lavoratrice.
Qui il dissenso con chi sottovaluta il dramma imminente e anzi dice che esso è inevitabile.
Questo fatalismo politico, vestito di realismo, va battuto.
Qui uno dei significati della nostra polemica con Alberto Bagnai e con altre formazioni sovraniste che dicono di stare "sopra", "oltre", "al di là" di destra e sinistra — così facendo, non avvertendo il pericolo, disarmano il popolo lavoratore e spianano la strada, dopo quella sociale in atto, alla catastrofe politica e istituzionale reazionaria.
Moreno Pasquinelli
Aggiungerei all'analisi di Pasquinelli certe idee complottiste che girano in rete secondo cui il socialismo è un invenzione dei Savi di Sion, una cosa del genere, e che Lenin era un pupazzo manovrato dai Rotschild e pagato dalla finanza e tutte le altre fregnacce varie per screditare la lotta verso il socialismo e canalizzare le giovani menti nel pensiero dominante.
JM
Un testo fondamentale per capire le dinamiche del capitale monopolistico resta ancora quello di Lenin "L'Imperialismo fase suprema del capitalismo".Per quanto riguarda la teoria del valore puoi andare al capitolo nono della quarta sezione del Capitale di Marx"La produzione del capitale relativo"inerente il concetto di plusvalore.In risposta invece al commento di Pasquinelli,voglio far notare che lo scempio di ogni diritto sociale è già avvenuto con, in ordine:il pareggio di bilancio,lo smantellamento del sistema pensionistico,la privatizzazione della sanità,la distruzione della scuola pubblica,una disoccupazione di massa irreversibile,la proibizione,di fatto, di ogni contestazione al sistema.Le classi dominate SONO GIA'ORA immerse in questo schifoso contesto! O si vuol far credere che esiste ancora un qualsivoglia residuo spurio di democrazia da difendere?
@Redazione, se possibile vorrei avere la vostra opinione
Voi dite
Detto questo resta che l'abbandono dell'euro è la porta stretta attravesro cui passare per salvare sia il popolo lavoartire che tutto il paese.
Vorrei capire la vosta posizione: siete d'accordo che l'uscita dall'euro, probabilmente indispensabile, da sola non risolve niente?
Che i lavoatori sono stati massacrati in Inghilterra dalla Thatcher eppure avevano la loro moneta nazionale?
Soprattutto: ci si rende conto che la recuprata sovranità nazionale comporterà una lotta politica e sociale durissima e in molti ci rimetteranno economicamente le penne?
Se uno capisce questo, sto dalla vostra parte; se è solo "perché io l'avevo detto prima, nel mio piccolo" capite che di strada se ne farebbe pochina.
NON ESISTE SLLA FACCIA DELLA TERRA CHE UNA POLITICA MONETARIA IN SE' CAMBI I RAPPOTI SOCIALI E DI LAVORO A FAVORE DEL POPOLO.
E' ovvio che a gestirla sarebbero almeno in prima battuta gli stessi poteri e gruppi di interesse di adesso, per cui non aspettatevi di tornare agli anni '70 come per magia. Scordatevelo proprio.
Il problema è meno l'uscita in sé quanto il poter realmente gestirla e lì ci sarà da combattere democraticamente.
Non dico che bisogna spaccare tutto nelle piazze, anzi secondo me è controproducente; ma ci sarà da lottare E RIIMPARARE A ESSERE UNITI.
Questo spirito di unità per adesso non lo vedo, ma almeno se si capisce che QUELLO E SOLO QUELLO E' L'OBIETTIVO è già un passetto avanti.
"Lì ci sarà da combattere democraticamente"??Democraticamente,e contro chi,se è lecito?Contro le orride oligarchie che HANNO GIA'PROVVEDUTO A SMANTELLARE OGNI RESIDUO DI DIRITTO SOCIALE?Contro le multinazionali, che sono già ora in possesso di quote di maggioranza delle maggiori aziende nel sud Europa?La svendita a prezzi di saldo della forza lavoro e della struttura industriale dei paesi cosiddetti Pigs, si è già concretizzata in questi anni di durissima ristrutturazione capitalistica, governata e sotto il controllo degli uomini dei poteri forti incaricati in vari organismi di governo.E'ancora sostenibile la nozione del "meno peggio",inserita in questo quadro?Per chi possiede una seppur minima nozione dei fondamenti dell'economia(capitalistica),sa che la moneta è quell'equivalente universale utile alla creazione del valore;sa che se non si cambiano i rapporti sociali di produzione,non vi sarà un reale miglioramento delle classi subalterne.Agitare lo spauracchio delle terribili conseguenze per i salariati, se si uscisse dalla moneta unica,mi ricorda tanto quella del" voto utile",che a furia di inculcarlo al "popolo di sinistra",con la panzana del" meno peggio",ha prodotto esattamente quello che abbiamo sotto gli occhi oggi:una apatia generalizzata fra i lavoratori e una sfiducia totale verso ogni iniziativa che metta in discussione l'attuale assetto sociale.Altro che unità e lotta per scongiurare una imminente catastrofe dei salari!Le conseguenze le abbiamo qui e ora,e non basterà agitarla per rivitalizzare una coscienza di classe da troppo tempo sopita.Non si tratta di credere alle virtù taumaturgiche di una probabile uscita dall'euro,ma di nutrire qualche dubbio sulla tenuta in campo dei lavoratori,visti i precedenti,anche recenti,con l'approssimarsi di scadenze sempre meno gestibili da" lor signori".
@Anonimo delle 0.39
La posizione di sollevazione a me risulta essere sempre stata chiara. Loro considerano l'euro un aggravante e l'uscita di per se non risolverà i problemi del popolo lavoratore. Ma è un primo passo indispensabile per iniziare la lotta, perchè restare nel pantano è peggio ancora che agitarsi tra le fiamme.
JM
@JM
Ma di cosa cianci scusa? Ma ti rendi conto della bestialità che hai scritto nella foga di trovare una morale attivista che non regge?
Io sono fortemente per l'attivismo ma L'IDIOZIA della vostra posizione è perfettamente rappresentata dalla ta comica metafora.
Hai scritto che è meglio agitarsi fra le fiamme che stare fermi nel pantano...
Ma che cacchio dici figliolo? E' intuitivo che se c'è un incendio nel bosco sarebbe meglio stare in un umido pantano pittosto che in mezzo alle fiamme?
Non sai nemmeno tu cosa cerchi e ti impegoli in paragoni sconclusionati.
Lo vedi che chiacchierate a gratis?
Io sono per l'attivismo totale, giorno e notte con dedizione assoluta; ma non voglio rivedere LE STESSE RIDICOLE STRONZATE alle quali ho divuto assistere per anni.
Ci siamo, sì? Se servono spiegazioni chiedi pure.
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