[ 5 novembre 2017 ]
Sul CORRIERE DELLA SERA di ieri, Lorenzo Cremonesi ci informa delle dimissioni del primo ministro libanese Saad Hariri, noto fantoccio dell'Arabia Saudita, agitando lo spauracchio iraniano.
Ma non dice l'essenziale...
Milleseicentonovanta. Questa la distanza in chilometri percorsa dal primo ministro di Beirut per andare ad annunciare le sue dimissioni a Ryad. Una cosa senza precedenti. Il secondo viaggio in cinque giorni nella terra dei Saud. Forse un po' troppo per tenere nascosto il ruolo dei sauditi nell'ennesimo tentativo di destabilizzazione del Libano.
Sauditi che però non sono soli, basti considerare le crescenti minacce israeliane al confine, la discussione semi-pubblica nell'establishment sionista circa la decisione di un nuova invasione del Libano, la forte svolta anti-iraniana recentemente impressa alla politica americana da Trump. Non sempre due più due fa quattro, specie nella complessa geopolitica mediorientale, ma generalmente uno (Israele) più uno (Stati uniti) più uno (Arabia Saudita) fa tre, cioè guerra ad Hezbollah.
Ed è proprio Hezbollah nel mirino di Hariri junior, che ha giustificato la sua scelta con presunte minacce rivolte alla sua vita. Il passaggio cruciale di un discorso dai pesanti toni anti-iraniani è in questa testuale minaccia: «il braccio dell'Iran nella regione sarà tagliato». Ovvio il riferimento ad Hezbollah. Peccato che proprio l'organizzazione sciita abbia tessuto la tela che portò, giusto un anno fa, alla fine della lunghissima crisi politica libanese, con l'elezione del cristiano maronita Michel Aoun alla presidenza della repubblica.
Adesso la scelta saudita di destabilizzare di nuovo il Libano attraverso il burattino Hariri. Sbaglieremmo a pensare ad una mera vicenda interna alla pur complicata politica libanese. Qui è in ballo qualcosa di più. Mentre il tentativo americano - via curdi iracheni e siriani - di interrompere il corridoio iraniano verso il Mediterraneo sta fallendo (vedi la ritirata curda in Iraq), si tenterà ora la carta libanese. Il che significa, di necessità, un nuovo e più potente attacco (rispetto a quello sostanzialmente respinto nel 2006) ad Hezbollah.
Non possiamo ovviamente sapere come e quando si svolgerà questa azione, ma senza dubbio la mossa di Hariri serve a preparare il terreno, riaccendendo le tensioni confessionali nel Paese dei cedri. Una mossa che va di pari passo alle nuove sanzioni americane contro il movimento sciita ed alla richiesta di Trump all'Europa di inserirlo nella lista delle organizzazioni terroristiche. Tutti tasselli di una strategia applaudita a Tel Aviv.
Questa ennesima ingerenza saudita negli affari interni del Libano - Paese che fra l'altro ospita attualmente un milione di profughi siriani - è dunque una vera e propria dichiarazione di guerra ad Hezbollah ed al Libano intero. Come ha detto il presidente (cristiano-maronita) Michel Aoun, denunciando la politica saudita:
«il movimento sciita è una risorsa militare difensiva per tutta la popolazione... e rappresenta la forza dell'unità nazionale contro la minaccia jihadista e la politica aggressiva e colonialista israeliana».
Del resto - aggiungiamo noi - chi difese eroicamente il Libano durante l'aggressione israeliana del 2006 se non Hezbollah?
* Fonte: Campo Antimperialista
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