[ 9 novembre 2017 ]
Qualche giorno fa un amico mi ha segnalato di aver visto su Rai3 un servizio molto interessante sul tema della commercializzazione delle informazioni genetiche. Incuriosito, sono andato scaricarmi il video. Il servizio, curato da Giorgio Mottola e trasmesso nella puntata di Report del 30 ottobre scorso, è rintracciabile qui.
Devo confessare che, più che interessante, la trasmissione mi è sembrata agghiacciante. In realtà, conoscevo già molte delle notizie che contiene, visto che in passato mi è capitato di occuparmi delle analogie fra dati informatici e informazioni genetiche e del modo in cui queste analogie vengono sfruttate a livello scientifico, economico e culturale (l’ultimo aspetto è fonte di inspirazione per molta narrativa e filmografia di fantascienza). Tuttavia il servizio ha il merito di "montare" tutte queste informazioni in un quadro coerente dal quale emerge uno scenario che, ripeto, non esito a definire agghiacciante.
Cito solo alcuni dei punti del servizio che più mi hanno colpito: un data base contenente il Dna di qualche migliaio di abitanti di una cittadina sarda che hanno il "vizio" di diventare centenari, è stato rubato dal centro di ricerca che lo deteneva (è ancora in corso un’inchiesta giudiziaria per appurare le responsabilità) e, dopo la chiusura del centro, è finito nelle mani di un’impresa privata inglese.
Qualche giorno fa un amico mi ha segnalato di aver visto su Rai3 un servizio molto interessante sul tema della commercializzazione delle informazioni genetiche. Incuriosito, sono andato scaricarmi il video. Il servizio, curato da Giorgio Mottola e trasmesso nella puntata di Report del 30 ottobre scorso, è rintracciabile qui.
Devo confessare che, più che interessante, la trasmissione mi è sembrata agghiacciante. In realtà, conoscevo già molte delle notizie che contiene, visto che in passato mi è capitato di occuparmi delle analogie fra dati informatici e informazioni genetiche e del modo in cui queste analogie vengono sfruttate a livello scientifico, economico e culturale (l’ultimo aspetto è fonte di inspirazione per molta narrativa e filmografia di fantascienza). Tuttavia il servizio ha il merito di "montare" tutte queste informazioni in un quadro coerente dal quale emerge uno scenario che, ripeto, non esito a definire agghiacciante.
Cito solo alcuni dei punti del servizio che più mi hanno colpito: un data base contenente il Dna di qualche migliaio di abitanti di una cittadina sarda che hanno il "vizio" di diventare centenari, è stato rubato dal centro di ricerca che lo deteneva (è ancora in corso un’inchiesta giudiziaria per appurare le responsabilità) e, dopo la chiusura del centro, è finito nelle mani di un’impresa privata inglese.
La moda di consegnare il proprio materiale genetico a società che poi vi spediscono informazioni sulle vostre lontane radici etniche e sui rischi statistici di contrarre determinate malattie (e, peggio ancora, la moda di "condividere" tali informazioni con altre persone —uno scimmiottamento della cultura dello sharing paragonabile a una sorta di Facebook genetico) alimenta una fiorente industria che sfrutta questi dati a fini di
marketing (per esempio: vendita di farmaci e prodotti alimentari "su misura"). Il tutto senza alcuna garanzia che i dati possano essere usati anche a fine di controllo politico, o possano alimentare discriminazioni genetiche (hai un elevato rischio di contrarre certe malattie? Pagherai di più la tua assicurazione sanitaria, non sarai assunto, ecc.).
Una quota significativa di questo business è nelle mani dei colossi della New Economy digitale come Google, Facebook, Microsoft, IBM, ecc. che gestiscono i dati al di fuori di qualsiasi controllo e con l’avvallo dei governi nazionali, che non solo lasciano loro mano libera, ma firmano contratti principeschi in cambio di presunti vantaggi per la sicurezza e la salute dei cittadini. La narrazione legittimante di queste pratiche —soprattutto nel caso delle fondazioni "benefiche" di personaggi come Bill Gates, Jeff Bezos e altri— è, come al solito, basata su promesse sensazionali: così si potranno curare il cancro, le malattie genetiche rare, ecc.
Peccato che i benefici di queste mirabolanti scoperte, una volta in mano ai boss dell’economia digitale, alle multinazionali farmaceutiche, agli ospedali privati, ecc. che hanno tutti come unica finalità la realizzazione di super profitti, saranno a disposizione solo di minoranze in grado di acquistarle (e questi gingilli rischiano di essere carucci, visto che dovranno essere ammortizzati mostruosi investimenti in ricerca e sviluppo).
Perché non affidare queste ricerche fondamentali per il nostro futuro a istituzioni pubbliche dotate delle opportune risorse? Siamo pazzi? E la concorrenza? E il libero mercato? Quanto tempo ci vorrà perché la gente la smetta di lasciarsi incantare dalle meraviglie della tecnoscienza e capisca che le sue realizzazioni saranno a disposizione di tutti solo quando verranno strappate agli artigli del grande capitale privato?
Una quota significativa di questo business è nelle mani dei colossi della New Economy digitale come Google, Facebook, Microsoft, IBM, ecc. che gestiscono i dati al di fuori di qualsiasi controllo e con l’avvallo dei governi nazionali, che non solo lasciano loro mano libera, ma firmano contratti principeschi in cambio di presunti vantaggi per la sicurezza e la salute dei cittadini. La narrazione legittimante di queste pratiche —soprattutto nel caso delle fondazioni "benefiche" di personaggi come Bill Gates, Jeff Bezos e altri— è, come al solito, basata su promesse sensazionali: così si potranno curare il cancro, le malattie genetiche rare, ecc.
Peccato che i benefici di queste mirabolanti scoperte, una volta in mano ai boss dell’economia digitale, alle multinazionali farmaceutiche, agli ospedali privati, ecc. che hanno tutti come unica finalità la realizzazione di super profitti, saranno a disposizione solo di minoranze in grado di acquistarle (e questi gingilli rischiano di essere carucci, visto che dovranno essere ammortizzati mostruosi investimenti in ricerca e sviluppo).
Perché non affidare queste ricerche fondamentali per il nostro futuro a istituzioni pubbliche dotate delle opportune risorse? Siamo pazzi? E la concorrenza? E il libero mercato? Quanto tempo ci vorrà perché la gente la smetta di lasciarsi incantare dalle meraviglie della tecnoscienza e capisca che le sue realizzazioni saranno a disposizione di tutti solo quando verranno strappate agli artigli del grande capitale privato?
* Fonte: Micromega
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