[ 11 novembre 2017 ]
Le classi dirigenti euriste italiane, che non sono i politici che vediamo in televisione, sanno che la posta in gioco, per esse, è entrare a far parte della zoccola dura della Leuropa. Fallire in tal senso equivale, per loro, a fare la stessa fine dei lavoratori italiani, siano essi i salariati, le partite iva, i ceti professionali o le PMI. Il problema che il grande capitale italiano eurista deve affrontare e cercare di risolvere è contraddittorio, e consiste nel salvare i suoi assets finanziari spingendo, al contempo, il paese ad una situazione di surplus strutturale della bilancia commerciale. Per fare questo, con una moneta che non controlla e sopravvalutata del 20%, sta usando, con ferocia, due armi: la leva fiscale e l'immigrazione, entrambe con il fine di abbattere il costo del lavoro, che è l'unica variabile sulla quale si può agire in assenza di sovranità monetaria e in regime di libera circolazione.
L'immigrazione è uno strumento di medio-lungo periodo, il cui compito è quello di stabilizzare i risultati conseguiti agendo sulla leva fiscale. Quest'ultima ha il vantaggio di essere uno strumento di rapida attuazione ed efficacia, come ha ampiamente dimostrato il governo Monti. Per "leva fiscale" si intendono non solo gli inasprimenti delle imposte, che sono pesanti ancorché non del tutto percepiti (illusione finanziaria) ma soprattutto i tagli al welfare e alle pensioni. Il problema è che, così agendo, si distrugge la domanda interna, il che manda in sofferenza le banche e mette a rischio gli assets finanziari. Avendo il grande capitale italiano accettato, molto probabilmente subìto, le regole del bail-in, ovvero il meccanismo che scarica sugli obbligazionisti e sui depositanti il rischio di insolvenza delle banche, pur comprensivo della norma che limita all'8% la perdita per gli azionisti delle stesse, il sentiero che può percorrere è quanto mai stretto e difficoltoso.
Da una parte si intensificano le richieste di flessibilità nei confronti dell'asse franco-tedesco, che tuttavia si scontrano con la tetragona resistenza di questi ultimi ad ogni ipotesi di allentamento dei vincoli dei trattati leuropei, dall'altra ci si deve preparare a gestire politicamente i problemi di uno o più fallimenti bancari, conseguenza dell'esplosione dei NPL (Non Performing Loans - crediti in sofferenza). Seppur protetti dalla clausola dell'8%, che salvaguarderebbe in parte la ricchezza finanziaria, ad ogni fallimento seguirebbe l'acquisizione di fette del mercato del credito italiano da parte delle banche del centro, con il risultato, per il grande capitale italiano, di trovarsi sì ancora ricco, ma privato delle industrie finanziarie necessarie alla riproduzione di tale ricchezza. Ovviamente anche gli assets industriali, che €sso controlla tramite le banche, finirebbero in breve nelle mani dei più agguerriti concorrenti tedeschi e francesi. Che è quello che abbiamo già visto accadere negli anni passati, ma rischia di ripetersi su scala maggiore.
In sintesi, il problema è quello di guadagnare tempo per condurre a termine la deflazione salariale senza perdere il controllo politico del paese. Ma, nel fare ciò, il grande capitale italiano si trova nell'infelice posizione di dover chiedere aiuto a chi ha tutto l'interesse affinché questo tempo non sia concesso.
Mentre infuria la guerra civile leuropea, altri attori agiscono sulla scena. Gli inglesi, e ancor più gli americani, hanno sull'italia un interesse che è prioritariamente di natura geopolitica. Se alla Germania interessa la stabilità monetaria, essendo troppo debole militarmente per agire come protagonista in politica estera, l'ossessione degli USA è la stabilità politica del nostro paese, che deve essere conservata ad ogni costo. Ci sono in gioco le 85 basi militari sul nostro territorio che non si toccano. Che dico, non si toccano!Si rifletta su un fatto: la brexit non ha avuto effetti sull'economia inglese, che manteneva il controllo sulla sua moneta, ma ha letteralmente fatto saltare ogni vincolo di coordinamento in politica estera tra l'Inghilterra e la Leuropa. «Fuck The EU» si asciò scappare la vicesegretaria di Stato americano, Victoria Nuland, a colloquio con l’ambasciatore Usa in Ucraina, Geoffrey Pyatt. Vi pare che un'esponente dell'amministrazione americana possa dire, sia pure per interposta Leuropa, Fuck the England?
I contrastanti interessi testé descritti, quello dell'asse franco-tedesco a cannibalizzare gli assets finanziari e industriali italiani, e quello (anglo) americano teso ad assicurare la stabilità politica del nostro paese in funzione geopolitica, quale che sia il prezzo da pagare per l'Italia sull'altare del folle progetto unionista - si pensi alla Grecia - trovano rappresentanza negli schieramenti politici nostrani delimitando due campi che chiameremo "il partito tedesco" e "il partito americano". Tutta la classe politica italiana, comprese alcune piccole organizzazioni dell'estrema destra e dell'estrema sinistra prive di rappresentanti eletti, è schierata con l'uno o con l'altro partito estero. Non c'è, né può esserci rebus sic stantibus, alcun "partito italiano", come dimostra il fatto che, a dispetto di un agitarsi dal basso come non si era mai visto dal Risorgimento, ogni tentativo di aggregazione è fallito, infrangendosi contro gli ostacoli di mille e speciose divisioni ideologiche e/o su temi secondari seppure importanti.
Guai ad arrendersi, però. Questa sarebbe la scelta peggiore perché un popolo, quando si arrende, muore e scompare dalla Storia, riproducendo su scala collettiva la morte individuale. Ebbene, se davanti alla minaccia di essere uccisi la scelta peggiore è quella di offrire il collo per il timore di soffrire, allo stesso modo non dobbiamo abbandonare la lotta e, per viltà, accettare l'annientamento. Bisogna invece resistere, accettare di essere messi da parte, perfino derisi, ma continuare a dire la verità. Se milioni di italiani capiranno questo allora ne usciremo, in un modo o nell'altro. Con le ossa rotte, ma ne usciremo. E, spero, ce ne ricorderemo nei secoli a venire.
* Fonte: Ego della Rete
Le classi dirigenti euriste italiane, che non sono i politici che vediamo in televisione, sanno che la posta in gioco, per esse, è entrare a far parte della zoccola dura della Leuropa. Fallire in tal senso equivale, per loro, a fare la stessa fine dei lavoratori italiani, siano essi i salariati, le partite iva, i ceti professionali o le PMI. Il problema che il grande capitale italiano eurista deve affrontare e cercare di risolvere è contraddittorio, e consiste nel salvare i suoi assets finanziari spingendo, al contempo, il paese ad una situazione di surplus strutturale della bilancia commerciale. Per fare questo, con una moneta che non controlla e sopravvalutata del 20%, sta usando, con ferocia, due armi: la leva fiscale e l'immigrazione, entrambe con il fine di abbattere il costo del lavoro, che è l'unica variabile sulla quale si può agire in assenza di sovranità monetaria e in regime di libera circolazione.
L'immigrazione è uno strumento di medio-lungo periodo, il cui compito è quello di stabilizzare i risultati conseguiti agendo sulla leva fiscale. Quest'ultima ha il vantaggio di essere uno strumento di rapida attuazione ed efficacia, come ha ampiamente dimostrato il governo Monti. Per "leva fiscale" si intendono non solo gli inasprimenti delle imposte, che sono pesanti ancorché non del tutto percepiti (illusione finanziaria) ma soprattutto i tagli al welfare e alle pensioni. Il problema è che, così agendo, si distrugge la domanda interna, il che manda in sofferenza le banche e mette a rischio gli assets finanziari. Avendo il grande capitale italiano accettato, molto probabilmente subìto, le regole del bail-in, ovvero il meccanismo che scarica sugli obbligazionisti e sui depositanti il rischio di insolvenza delle banche, pur comprensivo della norma che limita all'8% la perdita per gli azionisti delle stesse, il sentiero che può percorrere è quanto mai stretto e difficoltoso.
Da una parte si intensificano le richieste di flessibilità nei confronti dell'asse franco-tedesco, che tuttavia si scontrano con la tetragona resistenza di questi ultimi ad ogni ipotesi di allentamento dei vincoli dei trattati leuropei, dall'altra ci si deve preparare a gestire politicamente i problemi di uno o più fallimenti bancari, conseguenza dell'esplosione dei NPL (Non Performing Loans - crediti in sofferenza). Seppur protetti dalla clausola dell'8%, che salvaguarderebbe in parte la ricchezza finanziaria, ad ogni fallimento seguirebbe l'acquisizione di fette del mercato del credito italiano da parte delle banche del centro, con il risultato, per il grande capitale italiano, di trovarsi sì ancora ricco, ma privato delle industrie finanziarie necessarie alla riproduzione di tale ricchezza. Ovviamente anche gli assets industriali, che €sso controlla tramite le banche, finirebbero in breve nelle mani dei più agguerriti concorrenti tedeschi e francesi. Che è quello che abbiamo già visto accadere negli anni passati, ma rischia di ripetersi su scala maggiore.
In sintesi, il problema è quello di guadagnare tempo per condurre a termine la deflazione salariale senza perdere il controllo politico del paese. Ma, nel fare ciò, il grande capitale italiano si trova nell'infelice posizione di dover chiedere aiuto a chi ha tutto l'interesse affinché questo tempo non sia concesso.
Mentre infuria la guerra civile leuropea, altri attori agiscono sulla scena. Gli inglesi, e ancor più gli americani, hanno sull'italia un interesse che è prioritariamente di natura geopolitica. Se alla Germania interessa la stabilità monetaria, essendo troppo debole militarmente per agire come protagonista in politica estera, l'ossessione degli USA è la stabilità politica del nostro paese, che deve essere conservata ad ogni costo. Ci sono in gioco le 85 basi militari sul nostro territorio che non si toccano. Che dico, non si toccano!Si rifletta su un fatto: la brexit non ha avuto effetti sull'economia inglese, che manteneva il controllo sulla sua moneta, ma ha letteralmente fatto saltare ogni vincolo di coordinamento in politica estera tra l'Inghilterra e la Leuropa. «Fuck The EU» si asciò scappare la vicesegretaria di Stato americano, Victoria Nuland, a colloquio con l’ambasciatore Usa in Ucraina, Geoffrey Pyatt. Vi pare che un'esponente dell'amministrazione americana possa dire, sia pure per interposta Leuropa, Fuck the England?
I contrastanti interessi testé descritti, quello dell'asse franco-tedesco a cannibalizzare gli assets finanziari e industriali italiani, e quello (anglo) americano teso ad assicurare la stabilità politica del nostro paese in funzione geopolitica, quale che sia il prezzo da pagare per l'Italia sull'altare del folle progetto unionista - si pensi alla Grecia - trovano rappresentanza negli schieramenti politici nostrani delimitando due campi che chiameremo "il partito tedesco" e "il partito americano". Tutta la classe politica italiana, comprese alcune piccole organizzazioni dell'estrema destra e dell'estrema sinistra prive di rappresentanti eletti, è schierata con l'uno o con l'altro partito estero. Non c'è, né può esserci rebus sic stantibus, alcun "partito italiano", come dimostra il fatto che, a dispetto di un agitarsi dal basso come non si era mai visto dal Risorgimento, ogni tentativo di aggregazione è fallito, infrangendosi contro gli ostacoli di mille e speciose divisioni ideologiche e/o su temi secondari seppure importanti.
Guai ad arrendersi, però. Questa sarebbe la scelta peggiore perché un popolo, quando si arrende, muore e scompare dalla Storia, riproducendo su scala collettiva la morte individuale. Ebbene, se davanti alla minaccia di essere uccisi la scelta peggiore è quella di offrire il collo per il timore di soffrire, allo stesso modo non dobbiamo abbandonare la lotta e, per viltà, accettare l'annientamento. Bisogna invece resistere, accettare di essere messi da parte, perfino derisi, ma continuare a dire la verità. Se milioni di italiani capiranno questo allora ne usciremo, in un modo o nell'altro. Con le ossa rotte, ma ne usciremo. E, spero, ce ne ricorderemo nei secoli a venire.
* Fonte: Ego della Rete
4 commenti:
"La rana poverella muore e sicuramente qualcuno di voi ha pensato che la propria vita non è così a rischio come la sua, ma se accettate passivamente ogni cosa che accade non state vivendo, state solo sopravvivendo e lo scopo dell’uomo è “vivere”. Voi state lentamente cadendo in quello che la psicologia definisce stress dormiente, quello che corrode lentamente, il più subdolo e pericoloso". Noam Chomsky
http://www.eticamente.net/58655/il-principio-della-rana-bollita-di-noam-chomsky.html?refresh_ce
Grazie, Fiorenzo, un altro illuminante articolo.
Mi chiedo quale spirito dovrebbe ispirare il "partito italiano", nel caso riuscissimo a superare il modo specioso di considerare la situazione.
A me sembra che il "partito americano" sia ancora saldamente ai fornelli, dove noi(potenziale partito italiano) siamo la rana, prima tramortita con la strategia della tensione e poi messa a bollire a fuoco lento.
Il "partito tedesco" più che litigare per prendere il posto di chi sta ai fornelli sembra accontentarsi di mettere il coperchio alla pentola.
Se fosse così la natura del nostro eroe ("partito italiano") è quella della vittima che nella pentola fa discorsi speciosi, considerazioni sul salto fuori dalla pentola, se farlo prima per sé o in sé.
L'eroe deve avere un sogno, così la rana deve desiderare la libertà prima di considerare le condizioni perfette di quando e come essa possa accadere.
Desiderare vs Considerare, primi 4 minuti del video: Le 4 "i" della rana: indecisione, ignoranza, inconsapevolezza, inerzia.
https://www.youtube.com/watch?v=3M36aSH5Ln0
Se l'eroe americano vuole sempre vincere, mentre quello tedesco cerca sempre rivincite, l'eroe italiano deve salvare la pelle, e se non vuole fuggire (emigrare, delinquere, annichilire o fare resilienza) deve lottare per evitare la catastrofe.
https://www.youtube.com/watch?v=wU4rVi15vzY
C'è anche un'altra opzione per l'eroe italiano chiamata Dragon Dreaming, divulgata da John Croft, una forma di resilienza che non sembra tanto una fuga nella decrescita, e che teorizza un cambio di paradigma: dal win/lose (vinci o perdi) al win/win. Forse dovremmo provare a fare "entrismo" con questi resilienti, prendendo quanto di buono potrebbero dare al progetto del "partito italiano".
"Le statistiche sono deprimenti, perché sembrano suggerire che solo uno su mille dei nostri sogni di cambiamento viene realizzato. Ma cos’hanno in comune, quei (pochissimi!) progetti che funzionano? Secondo Croft, uno dei punti fondamentali è il raggiungimento di un equilibrio tra quattro aspetti, che possono anche essere intesi come quattro tipi di personalità presenti nel gruppo di lavoro: sogno, progetto, realizzazione, e celebrazione (e quindi sognatori, progettisti, attuatori e festeggiatori). La celebrazione, in particolare, è l’elemento che chiude il cerchio, riportando il progetto verso la dimensione del sogno, permettendo a tutti coloro che sono coinvolti di assorbire e riflettere sulle lezioni apprese, ricaricandosi per prepararsi ad un nuovo ciclo".
http://www.ilcambiamento.it/articoli/dragon_dreaming_john_croft_luglio_italia
Sette passi per cambiare il mondo, secondo John Croft:
1) Creare una comunità dove ci ci sostiene a vicenda (non c'è bisogno di lasciare la città); 2) Semplificare, ridurre la complessità (burocratica? tecnologica?); 3) Massimizzare la creatività, in ogni campo; 4) Imparare a risolvere i conflitti a partire dalla famiglia, in modo non violento; 5) Preservare la Conoscenza/Saggezza distinguendola dall'informazione; 6) Diffondere la comprensione che la spiritualità è essenzialmente riconoscere il mistero del dono che è la vita, inclusione delle differenze e non chiusura dogmatica; 7) Creare un sistema politico economico che sostiene i primi 6 passi. (ultimi 2 minuti del video)
https://www.youtube.com/watch?v=ueiREyhi-9Q
L'importanza della celebrazione/creatività per i Dragon Dreamers.francesco
https://www.youtube.com/watch?v=JAqEuuAd218
Quali partiti in Italia sn con i tedeschi e quali con gli americani.?
Per me, come da metafora, il cuoco americano e quello tedesco lavorano per lo stesso ristorante.
Quando a volte cade la quarta parete del teatrino della politica nazionale, come accadde con mani pulite, se ne alza un'altra a separarci dal teatrino della geopolitica.francesco
Mi scuso per il ritardo nel rispondere all'anonimo che mi chiede "quali partiti in Italia sono con i tedeschi e quali con gli americani". Non è mia intenzione stilare una lista esaustiva e completa perché ciò mi esporrebbe ad errori, conseguenza del fatto di non essere addentro le segrete cose, per cui mi limito a segnalare questi due articoli che parlano da soli.
1 - Aprile 2013: Merkel invita Letta a Berlino: parte il tour del premier in Europa
2 - Di Maio vola a Washington: “Fedeli agli Usa, non a Mosca”
Poi si possono spendere fiumi di parole sul "chi sta con chi", ma francamente me ne infischio. Io sto con l'Italia, son sovranista. Penso cioè che né con Franza né con Spagna se magna!
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