giovedì 7 settembre 2017

I COMUNISTI E LE FRONTIERE di Piemme

[ 8 settembre 2017 ]

Non c'è dubbio che il fenomeno dell'emigrazione (vogliamo chiamarla col suo vero nome?), è letteralmente esploso con l'avanzare della globalizzazione. Un aspetto di questo fenomeno è l'emigrazione Sud-Nord del mondo. La globalizzazione, per sua natura predatoria, ha travolto intere nazioni "arretrate", spappolando i loro tessuti sociali, producendo nuove diseguaglianze e miseria generale, quindi spingendo centinaia di milioni di nuovi paria ad abbandonare i loro paesi d'origine.

Abbiamo più volte tentato di spiegare che il fenomeno va affrontato da due angolature: quello della pietas o della solidarietà umana, e quello squisitamente politico. E' vero che ogni politica ha un fondamento etico, tuttavia l'etico, lo si voglia o meno, è sussunto nella sfera del Politico. Ove per Politico noi intendiamo la prassi e/o l'arte di una data forza politica o blocco sociale di conservare il potere (nel caso che lo abbia) o, per forze antagoniste, di conquistarlo accumulando potenza politica ed egemonia.

Evidenti sono i due poli ideologici entro i quali oscilla nel nostro Paese il dibattito sulle migrazioni: quello razzista ("a mare tutti i morti di fame!") e quello dell'accoglientismo a prescindere (" nessuno è illegale! fuck borders!"). Entrambi queste posizioni, se si va alla sostanza, sono meta-politiche, leggi moralistiche. La prima è figlia di un'etica egoistica, incarognita, malvagia. La seconda di un'etica irenica, caritatevole e buonista.

Disprezzando la prima, di nuovo dobbiamo occuparci della seconda, che consiste in tre varianti.

Tra chi inverte il rango dei due fattori e subordina il Politico all'etica e alla morale c'è la Chiesa cattolica la quale, in base al suo universalismo teologico —siamo tutti figli di Dio, quindi tutti sudditi nella cristiana civitas maxima— vorrebbe imporre agli Stati come imperativo morale categorico, quello dell'accoglienza a prescindere.

La seconda variante è quella che abbiamo chiamato quella del globalismo cosmopolitico di matrice kantiana. L'etica della tolleranza, l'idolatria dei diritti umani, l'idea che gli stati nazionali sarebbero organismi morenti, quindi della cosmopoli o società multietnica considerata non un lontano punto d'arrivo dell'umanità, ma un'entità che si va già conformando proprio grazie alla globalizzazione —libera circolazione di capitali, merci e persone.

La terza variante è quella anarchica. Gli anarchici sono coerenti, non riconoscendo alcuna legittimità ai demos nazionali, negando in linea di principio le nazioni, condannando in quanto tale la forma Stato, è per essi logico che non si debba porre alcun limite alla libera circolazione degli individui —sorvoliamo sul fatto che emigrare non sia una "libera scelta" e non invece una coercizione.

E i gruppi e partiti comunisti? Le sinistre radicali? Che posizione hanno?

Com'è noto sono per la cosiddetta "accoglienza" a prescindere. Sono contrari ad ogni controllo dei flussi migratori. Anche per loro vale il principio per cui "nessun essere umano è illegale", anch'essi dunque non riconoscono Stati e frontiere. In buona sostanza, in nome di una malinteso internazionalismo, oscillano tra l'anarchismo estremo e il globalismo cosmopolitico delle élite dominanti.

Ai comunisti "duri e puri", che pare abbiano abdicato all'anarchismo e al mito borghese del  cosmpolitismo: ai comunisti che hanno dimenticato le lezioni della storia del movimento comunista del '900, ci permettiamo rinfrescare la memoria, riportando quanto scriveva uno che la sapeva lunga:
«Il metodo della rivoluzione socialista con la parola d'ordine: "Abbasso le frontiere", è un grande pasticcio. Non siamo riusciti a pubblicare l'articolo in cui io definivo questa posizione come "economismo imperialistico". Che cosa significa "metodo" della rivoluzione socialista con la parola d'ordine: "Abbasso le frontiere"? Noi sosteniamo la necessità dello Stato, ma lo Stato presuppone le frontiere. Naturalmente, lo Stato può essere diretto da un governo borghese, mentre noi abbiamo bisogno dei Soviet. Ma la questione delle Frontiere si pone anche per i Soviet. Che vuol dire "Abbasso le frontiere"? Qui comincia l'anarchia... Il "metodo" della rivoluzione socialista con la parola d'ordine: "Abbasso le frontiere" è un puto se semplice pasticcio».
V. I. Lenin; Discorso sulla questione nazionale (12 maggio 1917) Opere Complete; Volume 24. p.305

















28 commenti:

Anonimo ha detto...

Per Lenin c'è la fase di conquista dello Stato ( dove evidentemente esistono ancora le frontiere ) ma per quale scopo ? per la fase successiva , che è di abbattimento dello Stato : "Stato e rivoluzione" di Lenin è esplicito a tal riguardo . Non a caso , nello stesso testo citato nell'articolo ( "L'autodecisione delle nazioni" ) , lo stesso Lenin spiega che lo scopo dei comunisti è sostenere "il crollo delle barriere nazionali" . In realtà tra anarchici e comunisti non c'è alcuna differenza su l'abbattimento delle frontiere e degli Stati : la differenza c'è tra anarchici e stalinisti , ma questi ultimi non c'entrano nulla con Marx e nemmeno con Lenin .

Luca Tonelli ha detto...

del resto gli stati comunisti nella storia sono sempre stati quelli con i confini più controllati in assoluto.

mentre gli stati liberisti quelli con i confini più aperti.

ma passa in cavalleria anche questo per i sinistrati.

Anonimo ha detto...

@anonimo: abbiamo già fatto la rivoluzione, superata la fase intermedia e siamo arrivati al comunismo integrale? Se non mi sono perso qualcosina direi di no. Quindi l’obiettivo è ancora la determinazione democratica delle frontiere.

"Lo sciovinista tedesco Lensch, negli articoli da noi menzionati nella tesi 5 (nota), ha citato, un passo interessante dallo scritto di Engels: Po e Reno. Engels vi dice, tra l’altro, che le frontiere delle « grandi e vitali nazioni europee » sono state sempre più determinate, nel processo dello sviluppo storico che inghiottì una serie di nazioni piccole e prive di vitalità, « dalla lingua e dalle simpatie » della popolazione.
Engels chiama queste frontiere « frontiere naturali ». Cosi stavano le cose in Europa, nell'epoca del capitalismo progressivo, attorno agli anni 1848-1871. Ora il capitalismo reazionario, imperialistico, spezza sempre più spesso queste frontiere determinate democraticamente. Tutti gli indizi attestano che l’imperialismo lascerà in eredità al socialismo che lo sostituirà frontiere meno democratiche, parecchie annessioni in Europa e nelle altre parti del mondo. E allora? Il socialismo vittorioso, ristabilendo e applicando fino in fondo, su tutta la linea, la piena democrazia, rinuncerà a determinare democraticamente le frontiere dello Stato? Non vorrà tener conto delle « simpatie » della popolazione? Basta porre queste domande per vedere chiaramente che i nostri colleghi polacchi scivolano dal marxismo verso l'«economismo imperialista».
I vecchi « economisti », facendo del marxismo una caricatura, insegnavano agli operai che per i marxisti è importante « soltanto » l’« economico ». I nuovi « economisti » credono o che lo Stato democratico del socialismo vittorioso esisterà senza frontiere (come « il complesso delle sensazioni » senza la materia), oppure che le frontiere verranno determinate « soltanto » in funzione dei bisogni della produzione.
In realtà queste frontiere verranno determinate democraticamente, cioè conformemente alla volontà e alle « simpatie » della popolazione. *Il capitalismo violenta queste simpatie aggiungendo cosi nuove difficoltà al ravvicinamento delle nazioni* [enfasi mia]. Il socialismo, organizzando la produzione senza oppressione di classe, assicurando il benessere a tutti i membri dello Stato, permette con ciò stesso il libero esprimersi delle « simpatie » della popolazione, e facilita e accelera quindi grandemente il ravvicinamento e la fusione delle nazioni.” (Risultati della discussione sull’autodecisione, luglio (ottobre) 1916, Opere complete, vol. XXII, pagg. 321-23).

Ovvero, la fusione è sì la meta finale, ma è realizzabile solo dopo la rivoluzione, quando le nazioni più piccole saranno attirate dal più elevato livello di vita dei paesi socialisti, e ovviamente su base strettamente volontaria (un diritto di scelta che Lenin avrebbe difeso fino alla fine, anche nel suo c.d. testamento):

"È proprio la libertà di separazione, che i socialdemocratici polacchi «concedono» alle colonie, che inciterà le nazioni oppresse dell'Europa, piccole, ma colte e politicamente esigenti, a volere unirsi ai grandi Stati socialisti, poiché un grande Stato in regime socialista significherà tante ore di lavoro al giorno in meno, tanto salario al giorno in più. Le masse lavoratrici, liberatesi dal giogo della borghesia, tenderanno con tutte le forze verso l’unione e la fusione con le grandi nazioni socialiste avanzate, pur di avere questo « aiuto culturale », purché gli oppressori di ieri non offendano il senso democratico altamente sviluppato di dignità che possiede una nazione da lungo tempo oppressa, purché le si assicuri l'uguaglianza in tutti i campi, anche nell'edificazione del suo Stato, nel tentativo di edificare il «suo» Stato." (Ivi, pag. 377)

Ho paura che questo farsi carico del consenso democratico delle varie nazioni abbia ben poco a che vedere con gli attuali "no borders", mentre d'altra parte l'accusa di "socialnazionalismo" era una delle armi polemiche favorite di Stalin…

Fiorenzo Fraioli ha detto...

Ricordo che nel 1975 andai in Ungheria e Cecoslovacchia, e c'erano soldati armati alla dogana. Avendo i documenti in regola non avemmo alun impedimento né ritardo.

Anonimo ha detto...

Che anche Lenin fosse per superare la forma-stato è cosa nota.
Tuttavia l'estenzione dello Stato sarebbe stata possibile solo nella fase superiore del socialismo (comunismo), ovvero dopo la scomparsa delle classi e degli antagonismi sociali e, come sottolineava Lenin una volta avvenuta la rivoluzione in tutto il mondo.
Cosa ci dice Lenin in quella citazione? Che fino a quando esisteranno antagonismi sociali e tra nazioni le frontiere sono necessarie, anzitutto per uno Stato che abbia fatto la rivoluzione e deve difendersi.
Quindi il primo commentatore non ha capito un fico secco.

Anonimo ha detto...

Se si parla del comunismo come teoria/ideologia , esso è notoriamente per l'abbattimento delle frontiere e delle differenze nazionali . Se si parla dell'esperienza realmente esistita dell'URSS e dei satelliti , cioè di un capitalismo di stato , essa è stata chiaramente per il controllo delle frontiere . Bisogna intendersi di cosa si parla .
Per quanto riguarda i migranti , non solo la teoria , ma anche l'esperienza realmente esistita dell'URSS era per nessuna discriminazione , come recita la sua costituzione :
“In conseguenza della solidarietà tra i lavoratori di tutti i paesi, la Repubblica socialista sovietica federativa russa riconosce tutti i diritti politici dei cittadini russi a coloro che risiedono nel territorio della Repubblica russa, hanno un lavoro e appartengono alla classe operaia. La Repubblica socialista sovietica federativa russa riconosce inoltre il diritto dei soviet locali di garantire la cittadinanza a questi stranieri senza complicate formalità”.
( Art 2 della Costituzione della Russia Sovietica )

Anonimo ha detto...

E poi,per dirla davvero tutta,sarebbe interessante fare una analisi sociologica riferita al posto occupato nella gerarchia di classe africana di questi "profughi".Da un indagine svolta da una seria africanista pare che ricoprano i gradini di quel ceto medio urbano dei paesi a sud del Sahara obnubilati dalla propaganda dei media occidenali che riportano e propalano un'immagine dell'Europa falsa e benevola nei loro confronti e che sarebbe pronta ad accoglierli facendoli ARRICCHIRE in breve tempo.La stragrande maggioranza parte convinta di questo, stupendosi poi della realtà che è ben lungi da quella propagandata dai media occidentali.E costoro sarebbero i nuovi proletari che ci proietteranno verso un mondo di liberi ed eguali,avendo loro l'unica aspirazione quella di scimmiottare lo stile di vita del "bravo europeo"tutto auto di lusso,vacanze in resort e smartphone di ultima generazione(per pochi),con questa coscienza di classe?Agli emigranti italiani del secolo scorso veniva prospettato un futuro di lacrime e sangue,non un fasullo facile arricchimento.Indicazioni valide ancora oggi per chi è costretto ad andarsene dal paese vassallo de "leuropa".

Anonimo ha detto...

all'anonimo di cui sopra ( 8 settembre 2017 ore 13:29)

La citazione dalla costituzione della Russia (una delle 15 repubbliche dell'URSS) non c'azzecca un cazzo con la nostra situazione.
Li si parla dell'obbligo della Repubblica russa di accettare e dare cittadinanza ai cittadini delle altre repubbliche SOVIETICHE.
Capì?

Fiorenzo Fraioli ha detto...

"Se si parla del comunismo come teoria/ideologia , esso è notoriamente per l'abbattimento delle frontiere e delle differenze nazionali ."

Notoriamente de che?

Quanto alla costituzione russa, che recita “In conseguenza della solidarietà tra i lavoratori di tutti i paesi, la Repubblica socialista sovietica federativa russa riconosce tutti i diritti politici dei cittadini russi a coloro che risiedono nel territorio della Repubblica russa, hanno un lavoro e appartengono alla classe operaia. La Repubblica socialista sovietica federativa russa riconosce inoltre il diritto dei soviet locali di garantire la cittadinanza a questi stranieri senza complicate formalità”.

Il grassetto è il cuore del problema: "risiedono", "hanno un lavoro", "appartengono alla classe operaia". C'è scritto forse che chiunque "può entrare"? C'è scritto forse che si può risiedere senza avere un lavoro? Non c'è forse scritto che devono appartenere alla classe operaia, cioè avere un lavoro, cioè essere già nella federazione russa... il che implica, se l'italiano ha un senso, che la federazione russa (dei lavoratori) li ha accolti?

Richiamo infine la tua attenzione sul termine "diritto", che non significa "obbligo" di accoglienza. Decidono i soviet, questo c'è scritto.

Lo vuoi capire o no, anonimo bello, che i lavoratori italiani, sic stantibus rebus, sono per lo stop all'accoglienza? Non sei d'accordo? Pace, i lavoratori italiani la pensano diversamente da te, caro "diversamente comunista"!

E QUANNO CE VO' CE VO'!

Anonimo ha detto...

"La citazione dalla costituzione della Russia (una delle 15 repubbliche dell'URSS) non c'azzecca un cazzo con la nostra situazione.
Li si parla dell'obbligo della Repubblica russa di accettare e dare cittadinanza ai cittadini delle altre repubbliche SOVIETICHE.
Capì?"

No , sei tu che non hai capito , non "ai cittadini delle altre repubbliche SOVIETICHE" , ma a tutti "coloro che risiedono nel territorio della Repubblica russa, hanno un lavoro e appartengono alla classe operaia" : a tutti "questi stranieri" devono essere concessi "tutti i diritti politici dei cittadini russi" "senza complicate formalità" . Basta leggere .

Anonimo ha detto...

Fiorenzo Fraioli ha detto...
" "Se si parla del comunismo come teoria/ideologia , esso è notoriamente per l'abbattimento delle frontiere e delle differenze nazionali ."

Notoriamente de che? "

@Fraioli

“La società che riorganizza la produzione in base ad una libera ed uguale associazione di produttori, relega l'intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all'ascia di bronzo”
Marx/Engels - L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato

“Il marxismo sostituisce a ogni nazionalismo l'internazionalismo, la fusione di tutte le nazioni in una unità superiore. (...) Il proletariato non può appoggiare nessun consolidamento del nazionalismo, anzi, esso appoggia tutto ciò che favorisce la scomparsa delle differenze nazionali, il crollo delle barriere nazionali, tutto ciò che rende sempre più stretto il legame fra le nazionalità, tutto ciò che conduce alla fusione delle nazioni” Vladimir Lenin - L'autodecisione delle nazioni

“La borghesia ha giocato nella storia un ruolo altamente rivoluzionario(..)Con grande dispiacere dei reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento nazionale.(..) Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d'esistenza. Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più(…) Proletari di tutto il mondo unitevi”
K.Marx – IlManifesto ,

"I proletari invece, per affermarsi personalmente, devono abolire la loro propria condizione di esistenza quale è stata fino ad oggi, che in pari tempo è la condizione di esistenza di tutta la società fino ad oggi, il lavoro. Essi si trovano quindi anche in antagonismo diretto con la forma nella quale gli individui della società si sono dati finora un'espressione collettiva, lo Stato, e devono rovesciare lo Stato per affermare la loro personalità".
Marx-Engels, L'ideologia tedesca

“I comunisti mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni dell’intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità … sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo”
( K.Marx , IlManifesto , pg 1 del cap 2 , Proletari e comunisti )

Etc.etc.etc.

Anonimo ha detto...

@anonimo 15:46: dai, che ci divertiamo un po'!

Il Lenin dell'autodecisione l'abbiam già visto sopra.

Poi:

Marx: "To give an example, one of the commonest forms of the movement for emancipation is that of strikes. Formerly, when a strike took place in one country it was defeated by the importation of workmen from another. The International has nearly stopped all that." ( https://www.marxists.org/archive/marx/works/1871/07/18.htm )

Marx: "Gli inglesi risero molto allorché iniziai il mio discorso osservando che l’amico Lafargue ecc., che ha abolito le nazionalità, si è rivolto a noi «in francese», cioè in una lingua che i 9/10 dell’uditorio non comprendevano. Ho accennato inoltre al fatto che egli, in modo del tutto inconscio, per negazione delle nazionalità intende il loro assorbimento nella nazione francese modello" (MEW, 31; 228-29)

Engels a Kautsky, 1882: «Un movimento internazionale del proletariato è possibile solo tra nazioni indipendenti», così come una «cooperazione internazionale è possibile solo tra eguali» (MEW, 35; 270)

Sempre Engels, 1892: «Una sincera collaborazione internazionale delle nazioni europee è possibile solo quando ogni singola nazione è del tutto autonoma nel suo territorio nazionale». Mettendosi alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale, il «proletariato polacco» svolge un ruolo anche internazionalista, in quanto getta le fondamenta per una cooperazione diversamente impossibile (MEW, 4; 588)

Marx a Domela Nieuwenhuis, 1881: "It is my conviction that the critical juncture for a new International Workingmen's Association has not yet arrived and for this reason I regard all workers' congresses, particularly socialist congresses, in so far as they are not related to the immediate given conditions in this or that particular nation, as not merely useless but harmful. They will always fade away in innumerable stale generalised banalities."

Gramsci (Q 14 (I), § 68): “Che i concetti non nazionali (cioè non riferibili a ogni singolo paese) siano sbagliati si vede per assurdo: essi hanno portato alla passività e all’inerzia in due fasi ben distinte:
1. nella prima fase, nessuno credeva di dover incominciare, cioè riteneva che incominciando si sarebbe trovato isolato; nell’attesa che tutti insieme si muovessero, nessuno intanto si muo-veva e organizzava il movimento;
2. la seconda fase è forse peggiore, perché si aspetta una forma di «napoleoni-smo» anacronistico e antinaturale (poiché non tutte le fasi storiche si ripetono nella stessa forma).
Le debolezze di questa forma moderna del vecchio meccanicismo sono mascherate dalla teoria generale della rivoluzione permanente che non è altro che una previsione generica presentata come dogma e che si distrugge da sé, per il fatto che non si manifesta effettualmente.”

Bob Rowthorn, The Alternative Economic Strategy, 1980: "The Communist Party believes that this strategy must be primarily national in orientation."

"The conditions for a revolution throughout Western Europe, or even a major shift to the left, do not at present exist. Nor are they likely to do so in the foreseeable future. Yet the crisis which is affecting millions of British people is upon us now. If the left is to exploit the present situation, it must have a programme which offers these people some hope, and it must think in terms of something more practical than a European or world revolution. Those who attack a national strategy for socialism in Britain as doomed to failure, and call for a European or world revolution, may sound very revolutionary. But in fact theirs is a doctrine of despair, and however much their views may inspire a small vanguard of sympathisers, they can only breed demoralisation amongst the mass of workers to whom they offer nothing."

Non so, a me pare che a colpi di citazioncine, anziché di realtà, non la risolviamo.

Fiorenzo Fraioli ha detto...

"Non so, a me pare che a colpi di citazioncine, anziché di realtà, non la risolviamo."

BRAVO! Anche perché io sono, in primis, per la sovranità nazionale; per cui se Lenin&co sono d'accordo ne sono felice, altrimenti ciccia.

Discutetene voi, poi fatemi sapere. Ciao ciao.

Anonimo ha detto...

Leggendo i commenti mi pare che gli internazionalisti duri e puri vadano a pescare tutti i passaggi di Marx o Lenin sull'abolizione degli stati , il superamento delle differenze nazionali , proletari di tutto il mondo unitevi etc etc .
I patriottici duri e puri evidentemente fanno il contrario : vanno a pescare i passaggi dove la questione nazionale sembra importante .
Credo che un modo ragionevole per dipanare il quesito , per sancire definitivamente se Marx fosse un patriottico o uno che volesse abolire gli stati e le differenze nazionali , è quello di capire , in quelle circostanze che ha trattato i casi contingenti di indipendenza nazionale , se per lui la Patria fosse un Valore in sé , un Fine ultimo , oppure se tratta di quei casi contingenti per un altro Fine ultimo , che è l'umanità senza classi . E' ovvio che con il solo gioco delle citazioni fuori contesto , uno bravo potrebbe riuscire anche a far passare Hitler per un cosmopolita o Renzi per un socialdemocratico : ma , premesso questo , quello di sopra mi sembra un quesito abbastanza facile da risolvere anche per uno studente del primo anno .
Rimane però la realtà attuale : nel 2017 viviamo in un’economia totalmente globale e interdipendente : se non fosse così noi non potremmo nemmeno comunicare tra noi tramite il blog di Sollevazione ( il coltan non proviene dall’Umbria.. ) , curarci etc.etc. Ma , ed è questo il problema , per adesso le forme di democrazia federalista inter e sovra statali ( come il parlamento di Strasburgo ) non sono ancora compiute o sono palesemente una presa per il culo ( dipende dalla lettura che se ne dà ) .

Ciao .
Andrea M. da Brescia .

Fiorenzo Fraioli ha detto...

Se è per questo nemmeno il tè si coltiva in Inghilterra. Sarà per questo che si sono fatti un impero? Oh yes!

Anonimo ha detto...

Ma qual è il quesito, Andrea? Che Marx fosse per l'emancipazione umana, nessuno l'ha negato, mi pare; ciò di cui si discute è come realizzarla. Dettagli, insomma.

Ovvero, non mi ritengo affatto un "duro e puro", pur avendo riportato la citazioni "nazionaliste"; mi ritengo anzi molto incerto. Mi conforta sapere che lo stesso Marx ha passato tutta la vita a riflettere e rivedere le sue stesse posizioni (per esempio è evidente che il Marx del '48 non è lo stesso della vecchiaia). Ovvero Marx è indispensabile, ma per pensare con lui, non per nasconderci dietro formulette precotte, cosa che avrebbe fatto orrore a lui per primo.

La conclusione formulata qualche decennio fa da Roberto Finzi su Critica Marxista mi sembra ancora un punto di partenza ragionevole:

"I nodi nazionali non solo s’intrecciano con quelli di classe, a volte costituiscono una sorta di « frattura », se cosi ci si può esprimere, rispetto al corso della storia caratterizzato e determinato dal succedersi dei modi di produzione. È anche questo un terreno in cui si esprime la « spinta incoercibile al cambiamento » del processo storico ed è uno di quelli su cui si misura con chiarezza che in esso « non vi sono sequenze e traguardi prestabiliti ». Non servono, per addentrarvisi e dominarlo, petizioni di principio di astratta giustizia o emotive adesioni sentimentali: serve un adeguato sforzo di comprensione misurato sempre sul terreno del complessivo avanzamento dell’emancipazione umana. Marx ed Engels lo produssero con le armi del loro tempo, ed anche con i loro pregiudizi senza alcuna pretesa profetica."

Anonimo ha detto...

Seguendo il consiglio del Roberto Finzi citato dall'anonimo delle 22.300 ( e sempre rimanendo in tema con migranti e frontiere ) , cioè provando ad adattare Marx all'oggi , provo a porre un quesito per approfondire il dibattito :
Oggi dove e chi sono realmente i proletari ? Può essere che siano quelli sparsi a milionate nel Sud del mondo , che è l'attuale "officina del Mondo" , e che quei pochi ancora presenti in Occidente siano coloro che non hanno nemmeno la sicurezza dei pieni diritti di cittadinanza ?

Anonimo ha detto...

Il Marx che vuole relegare lo Stato accanto "alla Rocca per filare e all'ascia di bronzo" per me e' un gran cazzaro che fa il gioco dei plutocrati .
Il Marx che dice che “I comunisti mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni dell’intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità … sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo” per me e' un cazzaro che fa il gioco dei plutocrati .

Le nazionalità sono fondamentali per l'identità dei popoli che e' l'unica arma contro il capitalismo cosmopolita apolide . Non sono fascista ma per me certo progressismo ha fatto solo danni .

Anonimo ha detto...

@anonimo 00:49: se pensi che oggi in occidente i proletari siano "pochi", ti posso semplicemente rispondere che non stai usando il termine in senso marxiano. E' vero invece che nei paesi periferici ce ne sono molti. Aspetto la dimostrazione analitica che la loro emancipazione si realizzerebbe se una piccola minoranza potesse venir qui a fare lavori sottopagati, perché per il momento mi pare di vedere solo i soliti fuorvianti fremiti emotivi.

@anonimo 02:00: Marx si riferisce all'abolizione dello Stato come dominio di classe, non come organizzazione politica tout court.
Come non ha senso usare le citazioni fuori contesto, non ce l'ha proiettare all'indietro le esigenze politiche dell'oggi: in passato l'integrazione nazionale è stata il veicolo della più spaventosa carneficina di proletari che la storia contemporanea avesse visto, vale a dire la prima guerra mondiale. Oggi le dinamiche dell'imperialismo sono diverse (Screpanti lo spiega in modo chiaro), ma distinguere il "nazionalismo" del lavoro da quello borghese e in ogni caso affrontare la questione da una prospettiva "totale" mi sembrano approcci tutt'altro che obsoleti. Faccio presente che il secondo, naturalmente in modo diverso, è il punto di vista anche di Keynes.

pasquino55 ha detto...

IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE. Questo, in via di principio, era, è, e sempre sarà vero. Ma questo non significa e non può significare che esso viva sospeso in un altro mondo o in un’altra dimensione. Inevitabilmente abiterà, vivrà e lavorerà pur da qualche parte! Di conseguenza il proletariato, pur affermando la sua contrarietà verso il nazionalismo, non può esimersi dal dover difendere e proteggere il territorio dove nasce e(o)vive (il suo Stato, la sua Regione, il suo Comune) e dove ha i suoi affetti e i suoi interessi. Rinunciando ed abbandonando questo compito non si rafforza l’internazionalismo ma si gettano alle ortiche le storiche ed indispensabili armi che esso ha a sua disposizione per la propria difesa dentro una concezione internazionalista (o meglio in-territorialista) quindi dei suoi diritti, dei suoi valori e della sua autodeterminazione.
Pasquino55

Anonimo ha detto...

@Anonimo 15.30

"@anonimo 02:00: Marx si riferisce all'abolizione dello Stato come dominio di classe, non come organizzazione politica tout court."

Sei sicuro ? Io ho letto che Marx e Lenin lo Stato lo vogliono proprio "estinguere" tout court : c'è una prima fase transitoria , quella della dittatura del proletariato , dove lo Stato ancora esiste ( socialismo ) , e poi c'è la fase finale dove gli Stati devo "estinguersi" tout court , cioè il comunismo , che non potrá vincere se non su scala mondiale, grazie ad un enorme sviluppo delle forze produttive che supererá lo stretto quadro degli stati nazionali .
Cerca in rete , vedrai che troverai tanti link che te lo confermeranno . Questa è la logica aberrante di Marx .

Anonimo ha detto...

@anonimo 18:15: grazie, ho letto Marx e Lenin in lungo e in largo. Consiglio a te di leggere questo (attentissimo) esame dei testi fatto da Draper: https://www.marxists.org/archive/draper/1970/xx/state.html

Anonimo ha detto...

@anonimo 20:52

Li avrai letti in lungo e in largo ma è chiaro che hai saltato delle pagine .

https://www.marxists.org/italiano/lenin/1917/stat-riv/sr-1cp.htm

https://www.panarchy.org/berneri/abolizione.stato.html



Anonimo ha detto...

@anonimo 23:48: L'unica cosa chiara è che non hai voglia di leggere Draper (che ti farebbe da guida anche per Stato e rivoluzione, visto che buona parte dei testi esaminati sono gli stessi). Pazienza.

Anonimo ha detto...

@anonimo 12.16
Alla fine non hai letto nemmeno il Draper che consigli di leggere ... Draper non solo spiega che per Marx e Engels lo Stato deve essere abolito ( e mette tutte le citazioni di Marx ed Engels , sia in età giovanile che da vecchi , e spiegando i modi diversi per arrivare all’abolizioni dello Stato tra Marx e Mr. Girardin o tra Marx e Bakunin ecc. ) , ma Draper conclude addirittura che per loro la stessa parola “Stato” dovrà essere abolita :
“ This distinguishes Marxism not only from anarchism but also from the various types of “Marxism” which limit themselves to repeating the contents of proposition (a). [ proposition (a) : We” will establish a state ruled by the working class, which will repress the exploiters. This (workers’) state is a class rule, just like every other state-only the guns are turned the other way. (However, one day this state will disappear). Letter, Engels to T. Cuno, 24 January, 1872 ]
This is the positive content of the suggestion which Engels tosses in: in order to designate this new type of state even at the very beginning of its existence, the word “state” should be dropped , in favour of “commune” ( Letter, Engels to Van Patten, 18 April, 1883 ) “

Anonimo ha detto...

Caro anonimo delle 18:11, che immagino sia lo stesso delle 18:15 di ieri, qual è la mia frase a cui stai rispondendo? La seguente: "Marx si riferisce all'abolizione dello Stato come dominio di classe, non come organizzazione politica tout court."

Lo devo ripetere in un altro modo? Per Marx ed Engels in una società senza classi, lo Stato (borghese), in quanto strumento di oppressione di classe, perderà le sue funzioni, e sarà quindi abolito, senza che questo comporti l'abolizione di ogni organizzazione pubblica a fini generali. Ovvero: "The state would lose its “political character”, that is, its repressive and coercive character, especially in terms of class repression and coercion, but *there would still be “public functions” to be organized*."

Certo, inizialmente ho usato il termine "politico" come sinonimo di pubblico, che è diverso dal senso con cui usano la parola Marx ed Engels. Mi pare che ora sia tutto chiaro (posto che l'intenzione sia effettivamente di capire, ovviamente...).

Anonimo ha detto...

@Anonimo 22:58
Non è che “Per Marx ed Engels in una società senza classi, lo Stato (borghese), in quanto strumento di oppressione di classe, perderà le sue funzioni, e sarà quindi abolito” : Draper spiega che per Marx ed Engels è proprio lo Stato tout court che verrà abolito , non solo quello “borghese” . Addirittura lo stesso nome “Stato” deve essere abolito . E la frase che citi in inglese dopo “ovvero” non è né di Marx né di Engels , è una deduzione che fa Draper da una lettera di Engels . Ma lo stesso Draper spiega che Marx non si è mai voluto esprimere sulla futura società senza Stato ( Draper fa delle deduzioni da qualche lettera di Marx facendo l’esempio dei liberi produttori organizzati in cooperative ecc. ) tranne nella famosa e generica frase del Manifesto “In place of the old bourgeois society, with its classes and class antagonisms, we shall have an association, in which the free development of each is the condition for the free development of all.” . Quindi , si , stavamo discutendo di quella tua frase ("Marx si riferisce all'abolizione dello Stato come dominio di classe, non come organizzazione politica tout court." ) che è fuorviante e sbagliata non un po' , ma totalmente : te lo dice lo stesso Draper che tu stesso hai linkato .

Anonimo ha detto...

Caro anonimo, visto che - ma bisogna precisarlo? - la rivoluzione socialista si svolgerà in una società capitalista (con possibili parziali eccezioni, in particolare con riferimento alla Russia, nell'ultimo Marx, ma sono questioni secondarie), è ovvio che sul piano operativo parliamo di abolizione dello Stato borghese. Che poi anche tutte le organizzazioni pubbliche di società in cui esiste la divisione in classi (l'unico senso in cui possiamo parlare di "Stato tout court" in M & E) siano oppressive, con l'eccezione quindi di quella del comunismo primitivo, è ciò che sostiene Engels nell'Anti-Dühring. Analisi che ci riporta direttamente alla fine di un'organizzazione dell'oppressione di classe (che i nostri definiscono "politica") in una società senza classi.

Quella che ho riportato sì, è una frase di Draper. Non ti pare corretta? Non sei tu che affermi che "lo stesso Draper" mi darebbe torto? :-)

Comunque questo lo dice lo stesso Marx:

"While the merely repressive organs of the old governmental power were to be amputated, *its legitimate functions* were to be wrested from an authority usurping pre-eminence over society itself, and restored to the responsible agents of Society."

E' vero che oltre queste indicazioni generiche Marx non si è voluto esprimere, come più in generale non si è espresso, se non in termini generali, sulla società senza classi. Anche questo è, o dovrebbe essere, un fatto noto e risaputo.

Quindi sì, la mia frase, salvo forse l'impiego del termine "politico", è del tutto corretta e tu stai evidentemente polemizzando sul nulla. In ogni modo mi pare che a questo punto chi legge abbia tutti i materiali per farsi un'idea da sé. Buona giornata.

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